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Molino dei Bissi – Molin di Biss.
Assieme a Molino Dorino, costituiva un singolare “polo” per la macinazione dei cereali.
Dell’antico uso non rimane granché, a parte la forma originaria delle costruzioni riconvertite a residenza.
Il fontanile Cagnola, che un tempo faceva girare le pale di questo mulino è da tempo asciutto, a testimonianza rimane solo la traccia dell’antico alveo.
Due erano le caratteristiche essenziali per scegliere il posto dove costruire il mulino: un luogo possibilmente non troppo lontano dalla città e lungo un fiume o un corso d’acqua di portata costante durante tutto l’anno.
La grande ruota con palette, mossa dall’acqua corrente trasmetteva il moto alla macina tramite alberi, ruote dentate, cinghie e pulegge. Una incastellatura, chiamata anche pulpito, di solito in legno, sorreggeva i due grossi dischi di pietra che formavano la macina; quello inferiore era fisso ed attraversato da un foro centrale in cui girava l’albero che faceva ruotare il disco superiore. Una tramoggia sospesa faceva scendere in modo graduale i cereali nella bocca della macina rotante. Tra i due dischi della macina c’era una piccola intercapedine dove si infilava il grano che veniva macinato e trasformato in farina per sfregamento. La farina veniva convogliata in un cassone e da qui nei sacchi. Un ingegnoso dispositivo a campanella avvertiva il mugnaio quando la tramoggia era vuota.
Il mugnaio di solito era una persona di corporatura robusta, in grado di caricarsi sulle spalle un sacco di circa un quintale, la sua era una professione invidiata perché per legge gli aspettava il 15% del macinato come compenso per ogni macinatura.
Era comunque un lavoro duro, svolto sia di giorno che di notte, in un ambiente freddo ed umido, inzaccherato di farina respirava polvere e pulviscoli dannosi alla salute; due volte al mese doveva “batt i prei”, rimuovere le macine e martellare le superfici per rinnovare le parti abrasive.
Le macine erano formate da più sassi molto duri “i sass frances”, sagomati tra loro in modo da formare il disco.
Oltre alla macinatura dei cereali c’era anche la pila del riso, macine più piccole abrasive scorticavano il risone, poi i buratti, macchine di legno che si muovevano in moto alternativo, setacciavano e dividevano i grani del riso sbramato dalle glumelle.
Il mugnaio di solito lavorava sei mesi alla pila e sei mesi alla macina.
Per svolgere al meglio il lavoro, i mugnai dovevano essere persone dotate di molte capacità;  all’occorrenza sapevano aggiustare e sostituire le parti delle strutture in legno ed in metallo che si rompevano, costruire le ruote dentate col legno di rovere calcolando la torsione a cui venivano sottoposti i pezzi, saper regimentare le acque delle rogge molinare alla perfezione.
Il Molino dei Bissi con tutta probabilità prende il nome di una famiglia di vecchi proprietari.
La versione, pur suggestiva, che fa derivare il nome dalla moltitudine di bisce e serpenti che avrebbero infestato questo luogo, non ha fondamento sicuro.
Nel 1836 su una carta topografica del ten. Brenna è chiamato Molino de Bissi.
Gli ultimi mugnai di questo mulino sono stati i Marziali, oggi è abitato dalla famiglia Romagnoni.
Tutto il complesso è stato restaurato di recente e si presenta in una forma splendida, un bell’esempio da imitare.
Anche per Molino dei Bissi valgono le considerazioni fatte per Cascina Fametta.
Nonostante l’imponente vicinanza di strutture industriali e di terziario, percorrendo la stradina di accesso da Trenno sembra di essere lontanissimi da Milano con l’affaccio alle ridenti risaie ed i fossetti pieni d’acqua e di forme viventi.
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