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Cascina Lampugnanello - Lampugnarèll.
“…La rigogliosa campagna milanese, quella che è stata cancellata completamente negli ultimi quarant’anni, rimane ancora nel ricordo della gente che vi ha vissuto ed ha lasciato ormai di scarsi riferimenti le tracce.
Una traccia dell’abitato di Lampugnano vecchia è data dalla cascina Lampugnanello, da alcuni residenti citata con antico dialetto locale “Lampugnarèll” contraendo la consonante N in R, cosa davvero insolita nei nomi e più frequente in alcune declinazioni verbali milanesi. Difficile proporre la data di costruzione; comunque la sua presenza risulta dai carteggi di quando la Pieve di Trenno estendeva su questa parte del territorio la sua circoscrizione e quindi gli abitanti venivano registrati in quella sede.
La cascina Lampugnanello era di proprietà di Carlo Osma che (strana coincidenza) era in Lampugnano quello che era per la vicina Trenno Rosa Scolari: il proprietario di mezzo paese.
Senza acredine dunque, il patriota e filantropo, come precisa la targa stradale che indica la via a lui intestata, aveva molte proprietà; non si sa invece, della Lampugnanello, cosa ne fecero i suoi eredi e chi ne è oggi il proprietario anche se voci circolanti danno credito che il complesso sia diventato patrimonio del Comune di Milano.
Originariamente la costruzione adibita ad abitazioni e magazzini di orticoltori che operavano nelle estesissime campagne al di là dell’Olona che correva sul retro; in massima parte le coltivazioni riguardavano le cipolle, classico prodotto che fece conoscere Lampugnano come “ Borgh di scigolatt”.
Naturalmente i coltivi, al di là della prevalenza, davano prodotti anche più nobili, tra cui gustosissime fragole, neppure mancavano frutteti; in un’ansa dell’Olona c’era un vivaio di gamberi d’acqua dolce.
Inutile dire che le acque dell’Olona conobbero l’azzurro più delicato, erano terse e addirittura bevibili, pescose ed invitanti nelle afose giornate estive, avvolte nelle dense nebbie come bambagia d’inverno, ma sempre pulite e tutt’altro che maleodoranti e pestifere come quando se ne decise la copertura.
Della cascina Lampugnanello faceva parte anche un lato padronale, all’interno d’un imponente cancello in ferro e di civettuola compostezza.
Da una parte del piano terreno c’era l’abitazione del custode che aveva compiti di giardiniere; nel centro del cortile da una civettuola fontana zampillava fresca l’acqua più buona della zona, tanto che i contadini o anche la gente comune dell’abitato di Lampugnano se ne provvedevano gratuitamente. Un grazioso portichetto portava alla residenza degli Osma; al piano terra un locale soggiorno con camino di grandi proporzioni e una cucina; un breve corridoio portava ad una sala adibita a studio e a trattenere gli ospiti di riguardo.
Al primo piano le camere spaziose con stucchi alle pareti e ampie finestre sui due lati; vi si accedeva da una scala di pietra di austera fattura al cui termine un ampio pianerottolo aveva anche funzione di vestibolo. Non ci è stato possibile andare oltre con la ricognizione; notizie precise ci sono pervenute dei fratelli Barni e della famiglia di Domenico Flocco, gli orticoltori dell’ultimo periodo de “i scigolatt” di Lampugnano che videro sparire le loro colture di fronte … all’invasione della città. Rimangono ancora testimonianze dell’attività agricola: una vasca grande per il lavaggio delle verdure prima di essere portate al mercato all’ingrosso; le stalle dal tetto sfondato e destinate al completo abbattimento circondate da sterpi; i magazzini vuoti ed in parte sprangati o murati per vietarne l’accesso a vagabondi e intrusi.
Uno spettacolo desolante, un deprimente interrogativo sulla sorte futura della costruzione, un senso acuto d’angoscia per coloro che hanno vivo il ricordo degli anni della feconda attività di questo lembo di terra a due passi dalla metropoli.
Dopo la interratura dell’Olona, che ultimamente era diventato un ex fiume, una cloaca a cielo aperto, un’emissione di miasmi pestilenziali, è stata costruita una strada, via Natta.
Rimasero ad abitare la Lampugnanello solo alcune famiglie che assistevano al suo
progressivo degrado; quando siamo andati per prendere appunti per questo servizio due sole persone vi abitavano ancora, anch’esse sul punto di lasciare i locali. Abbiamo notato in due successive giornate festive della nostra ricognizione che una silenziosa processione di gente veniva a vedere i resti di questa cascina; gente del vicino quartiere Gallaratese, del QT8 e anche coloro che casualmente si trovavano a passare dalla via Sant’Elia e venivano colpiti da un indiscutibile contrasto: da una parte la stazione del metrò e dall’altra la squinternata tettoia delle ex stalle.
Non volevamo (e non potevamo) fare i ciceroni; gli stessi interrogativi sul futuro della costruzione ci possedevano e tutt’ora non abbiamo chiare idee al proposito.
Se il Comune di Milano è intenzionato a farla rientrare nel novero delle cascine da recuperare e ristrutturare è probabile che possa servire all’insediamento di un centro culturale, sportivo o di ritrovo per anziani; viceversa …”
Da un articolo di Arcano del febbraio 1989 per il giornale “milano19”.
Cessata l’attività agricola Lampugnanello venne in più riprese interessata da occupazioni abusive.
Mancando la necessaria manutenzione, effettuata in modo parziale ed approssimativo dagli occupanti, le strutture hanno subito un rapido degrado.
Tutto il complesso è stato definitivamente sgomberato all’inizio degli anni ’90.
Gli accessi al cortile ed alle abitazioni vennero opportunamente sbarrati per impedire nuovi “arrivi”.
Lasciata in completo abbandono, nell’agosto 2004 è stata completamente demolita in soli due giorni per motivi di “sicurezza pubblica”.
Ora al suo posto c’è un anonimo piazzale con tanto di recinzione per impedire le occupazioni abusive.
La vicenda della demolizione ebbe ampio risalto sulla stampa a seguito di una interrogazione presentata dai gruppi di opposizione di Palazzo Marino.
Quello che tutti ha stupito è stata la velocità di esecuzione dei lavori di abbattimento e di successivo smaltimento delle macerie.
Bisogna ammettere che Lampugnanello si trovava in uno stato di conservazione pessimo e che le risorse necessarie per il suo restauro architettonico e strutturale sarebbero risultate talmente ingenti da rendere anti economico l’intervento.
Ma si sarebbe potuto intervenire prima, evitando il degrado delle strutture e le occupazioni abusive in assoluta mancanza di agibilità sia strutturale che igienica.
L’azione inesorabile delle intemperie, gli usi impropri e la non attuazione dei più elementari interventi di consolidamento o di rimozione delle parti pericolanti hanno di fatto provocato la fine della Lampugnanello.
Strategia ormai ampiamente collaudata per disfarsi delle vecchie cascine: si lasciano nel più totale abbandono accelerandone così la decadenza.
Poi l’intervento delle ruspe liberatrici, salutate con estremo favore dai residenti delle vicine abitazioni stanchi di dover osservare dalle loro finestre l’indecente spettacolo di abbandono e di insensibilità verso i monumenti del nostro recente passato.
Scelte urbanistiche molto discutibili, avvallate in silenzio dai pubblici organismi, e che, purtroppo costituiscono, tranne pochissime eccezioni, la norma corrente.
Addio per sempre Lampugnanello!
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Piede