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Cascina Lampugnano , la Cort di Scigolatt e la Cort del Porro.
Più che una cascina era un borgo. Lampugnano ha un’origine molto antica, risulta citato in una sentenza dell’864, emessa dal conte di Milano Alberico in favore di un certo Odelberto da Lampuniano. Nel 1119 sembra che il Borgo abbia ospitato anche un monastero di Umiliate. In questo posto nel 1328 Ludovico il Bavaro pose il suo quartier generale durante l’assedio di Milano.
Di proprietà della nobile famiglia Lampugnani, comprendeva anche una chiesa ed una casa signorile con una targa stemmaria in marmo del secolo XV sopra il portone d’ingresso.
La chiesa, dedicata a Santa Maria Nascente, fu eretta nel 1328, si è salvata solo lei, tutto il complesso è stato demolito per costruire caseggiati d’abitazione moderni progettati dall’architetto Franco Marescotti. Gli appartamenti sono dotati di ogni comfort e dispongono di zone libere e locali di uso comune che formano un Centro Sociale con sala per spettacoli, riunioni, conferenze. Da “Passeggiate Milanesi fuori Porta” di R. Bagnoli per Almanacco della Famiglia Meneghina del 1965.
“…Lampugnano era una delle appendici della Pieve di Trenno ed era allora un gruppuscolo di casette attorno alla chiesa Natività di Maria (che aveva in precedenza una denominazione diversa); un piccolo borgo dove prevaleva l’allevamento bovino e la coltivazione delle cipolle.
Una di queste cascine rimane un’affascinante documentazione del suburbio milanese, vista dall’esterno; gli abitanti la chiamano ancora “la Cort del Porro”, dal casato di una delle famiglie che ne ebbe la conduzione per molto tempo.
Una pietra scolpita e murata su di un lato interno reca la data 1839 ma si presume sia quella di un riattamento del complesso (forse dopo il terremoto del 1801 una parte rimase danneggiata). Eccovene una descrizione dell’epoca.
La fisionomia è quella tipica del contado lombardo, disposta in quadrato con un ampio cortile centrale e l’aia ampissima a lato, ad un solo piano oltre il terreno e l’ingressomaestoso.
Varcato il cancello d’ingresso si nota subito a sinistra la dimora del fittavolo con sovrastante  una torretta civettuola, con tanto di campana; questa serviva per chiamare a raccolta gli uomini intenti ai lavori dei campi e delle ortaglie.
Poteva anche servire per dare l’allarme in caso di incendio o calamità d’altro genere; la cascina non aveva pretese d’essere una guarnigione o un fortilizio come taluni credono.
Immaginate, sempre sulla sinistra, le stalle con un centinaio di capi bovini e sovrastanti i fienili ben riforniti; di fronte all’ingresso sul fondo del cortile un portico per ricovero dei carri e degli attrezzi.
Sul lato destro del porticato, sempre di fronte, un pollaio e una conigliera; ampi locali soprastanti per conservarvi cereali ed ortaggi di durata: patate e cipolle in prevalenza. Quella di Lampugnano era notoriamente una terra “de scigolatt” (cipollai, coltivatori di cipolle); molti i rivi oltre all’Olona non ancora inquinato che bagnavano quella terra.
Tutto il lato destro della cascina era occupato da famiglie contadine, mungitori, bergamini, ortolani e persino giardinieri, dopo che nel 1895 è stato aperto il cimitero di Musocco.
La trasformazione ha inizio dopo l’annessione di Trenno ed Uniti (1923) a Milano; sulla via Trenno aprono due botteghe: una di falegname e l’altra di droghiere, “el Fondeghèe de Lampugnan”.
Approdano a la Cort del Porro anche i fratelli Nava e nascono così all’interno una bottega di maniscalco e una di sellaio. (È ancora tempo di cavalli, calessi e carrozze; vicino c’è anche il galoppatoio di S. Siro e Trenno).
I vuoti del lavoro di maniscalco due dei fratelli Nava lo riempivano con l’attività di fabbro e l’arte del ferro battuto dando così un’intonazione diversa al quieto andare della vita di Lampugnano.
Venne poi, come in tutte indistintamente le periferie milanesi, l’assalto del cemento; sparirono alcune vecchie cascine, l’attività agricola si dimensionò fino a cessare e cambiò volto anche la Curt del Porro.
Neppure l’eco dei tanti muggiti e dei canti dei galli; verso la metà degli anni ’60 ha inizio l’insediamento di attività artigiane nuove ed una delle presenze più gagliarde è costituita da un piemontese: Domenico Ivaldi.
A lui si aggiungono altri artigiani e vi fiorisce un’intensa nuova attività che azzera quanto descritto sulle funzioni originarie della primitiva cascina.
Persino la campana non è più sulla parte turrita della costruzione; scomparso il droghiere, il falegname, il sellaio e il maniscalco-fabbro-artista.
Anche l’esterno è un poco cambiato; un lattaio ha preso il posto del falegname, ma ora la saracinesca è abbassata; dove c’era il droghiere c’è un piccolo bar; sul lato che volge verso via Diomede c’è ora un negozio di elettrodomestici, attività succeduta ad altra in tempi recenti. Su la Cort del Porro si profila un’ombra cupa e questa è l’amara realtà che vivono gli inquilini e gli artigiani; dopo le promesse fatte loro dalla proprietà di cessione in caso venisse alienato lo stabile, prelazione, hanno ricevuto lo sfratto come … benservito…”
Da un articolo di Arcano del dicembre 1988 per il giornale “Milano19”.
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