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Cascina Melghera.
Si trova a Ovest di Trenno, tra l’abitato e l’area di Italia Nostra-Boscoincittà.
La cascina è adibita a deposito degli attrezzi, macchinari e del riso prodotto nelle efficienti risaie circostanti. Si tratta delle risaie in assoluto più vicine alla Città e che, nonostante i problemi causati dalla notevole presenza d’acqua superficiale, ben si integrano con i nuovi insediamenti abitativi di Trenno e del Quartiere Gallaratese. Le vaste case dei salariati, sul lato est, sono desolatamente vuote. Nonostante sia ancora in attività, l’aspetto della Melghera è dunque dimesso, come se fosse abbandonata o in graduale dismissione. Interessante e di pregio l’ecosistema instaurato ed i segni del paesaggio agrario, caratteristici di una zona “umida” come quello delle aree coltivate a risaia. Copiosa la presenza della flora e fauna tipica delle zone “umide”: vegetazione rigogliosa e popolose colonie di uccelli acquatici (soprattutto garzette ed aironi) che prolificano grazie all’abbondanza di cibo (soprattutto anfibi) ed alla relativa assenza di disturbo, nonostante la vicinanza di popolosi insediamenti residenziali. Un ambiente unico, speciale; per alcuni versi inimmaginabile in una metropoli tanto frenetica come la nostra. Le risaie della Melghera si estendono per 1000 pertiche (circa 70 ettari), una volta erano irrigate con l’acqua del fontanile Cagnola, adesso con quella del canale Villoresi. Le aree sono di proprietà di alcune aziende private che mal tollerano la presenza di un’agricoltura di pregio in zone di grande valore immobiliare. In più riprese, nel corso degli ultimi decenni, sono state avanzate numerose richieste di riconversione urbanistica da agricolo a residenziale e terziario. Grande speranze per il mantenimento dell’attuale tipologia di attività sono quindi riversate nella approvazione, in tempi rapidi, del relativo “Piano d’area” del Parco Agricolo Sud Milano nel cui perimetro del Piano Territoriale di Coordinamento queste aree ricadono.
Le memorie di un vecchio contadino di Trenno.
"Nella corte della Scolari, allora proprietaria di molti terreni attorno a Trenno e coltivatrice, c'era un grande locale detto "el Casón" dove lavoravano il latte, facendo burro e formaggi di vari tipi e c'erano le "baste" per l'allevamento dei maiali. Alla Melghera c'era la "conserva" dove, durante l'inverno, veniva riempita di ghiaccio. Era a forma di imbuto, era tutta
ricoperta di fasci di paglia di segale, così durante l'estate non lasciava passare il caldo. Per produrre il ghiaccio si riempiva un pezzo di terreno di acqua, così si gelava. Quando il ghiaccio raggiungeva un dato spessore, che a quei tempi c'erano i veri inverni, veniva tagliato in lastre e tirato a riva con dei ramponi appesi alle aste di legno, poi veniva fatto a pezzi, caricato sui carri e messo nella conserva. Per riempirla dentro che lo mettevano a posto c'erano due o tre uomini, che non dovevano lasciare spazi vuoti. Di solito impiegavano tre o quattro giorni per riempirla. Finito il lavoro facevano "la colma" per festeggiare la fine del lavoro, ciò era una grande cena. D'estate tutte le mattine c'era il cavallante che andava a prendere la razione di ghiaccio per fare il burro. La panna si metteva in un recipiente di legno detto "el pénacc", che lo faceva girare c'era un mulo, perché era molto resistente, doveva girare delle ore. Il mulo, per non fare che si ubriacava, gli venivano bendati gli occhi.
Che bei tempi, io mi ricordo che ero ragazzino e, a noi agricoltori che si consegnava il latte, ci davano mezzo chilo di burro alla settimana. Quel burro la mia mamma cercava di consumarlo poco, così lo dava all'oste in cambio di vino. In fondo di via fratelli Gorlini c'era un molino, di proprietà di Rosa Scolari, demolito dopo la prima guerra mondiale per fare il posto a due lavandai. Questi al mattino del lunedì partivano con il loro cavallo e il biroccio a prendere i sacchi di biancheria nelle famiglie, nei ristoranti e negli ospedali. Quando i panni erano lavati, d'estate, li mettevano nel prato d'ove c'erano dei telai di legno per stenderli, d'inverno, in un apposito locale con la stufa a legna che dava molte calorie. Al mercoledì, asciutti e stirati, caricavano il loro carro e li portavano a domicilio. I due lavandai, il Ricci e il scior Mario, attendevano sul carro mentre le donne li consegnavano. Povere donne con quanta fatica su e giù dalle scale. Le lavanderie venivano alimentate da una "ronsgia" con acqua perenne che veniva dal Cagnola, dove c'era la porta di ferro con una misura che faceva passare un'oncia di acqua. In più fu fatto un lavatoio con le famose "preie" di granito, che le massaie di Trenno nei giorni si chinavano a lavare i loro panni e qualcuna a
pagamento. Mentre lavavano i panni cantavano: "la bella lavanderina la và al fosso a lavà i pàgn per guadagnà el pàn per i so fioeù". C'era niente e loro si sacrificavano perchéattaccate alla famiglia ed ai figli."
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Piede