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Cascina Molinazzo e oratorio dei Santi Filippo e Donato – Via Martinetti – Via Gulli.
Cascina molto antica ed importante, si pensa che sia nata come un’ospitale dei Templari. In origine il suo oratorio era dedicato a S. Giacomo, infatti era chiamato Oratorio di S. Giacomo al Ristochano, in seguito è stato dedicato ai Santi Filippo e Donato.
Il Ristochano o Restocco, come viene chiamato adesso, è un fontanile di grande portata e di grande importanza per Milano.
Sulla cascina Molinazzo sul suo Oratorio riportiamo fedelmente quanto scritto da Raffaele Bagnoli nel suo splendido libro “Passeggiate milanesi fuori porta” – Almanacco della Famiglia Meneghina 1965.
“…Giunto una ventina d’anni fa, quando visitai per la prima volta questa località, ricordo che la chiesetta spiccava sullo smeraldo dei prati ed aveva intorno a sé un vasto sagrato e, di fianco, una sfilata di cascine con le scale d’accesso esternamente appoggiate alla facciata e una piccola vigna. Un bel loggiato a colonne trabeato occhieggiava su di un giardino. Tracce di decorazioni si rilevavano ancora lungo la scala che conduceva al piano superiore dell’edificio centrale. Verosimilmente si trattava di una costruzione della fine del secolo XVII quando il Molinazzo, dopo la peste di S. Carlo, ebbe il suo quarto d’ora di notorietà.
Un’ala delle cascine, ormai cadente, era stata abbattuta, ma rimaneva in piedi una cortina di abitazioni ridotte a bicocche.
Stava per accadere una grave sciagura all’intorno, giacché un’impresa edile, che aveva acquistato la proprietà dell’area, si apprestava a spianare anche il superstite oratorio del Molinazzo, quando si levarono alcune voci in sua difesa. Si costituì il Comitato “Pro Molinazzo”, il 15 luglio 1957, incoraggiato con simpatia dalla Sovrintendenza ai Monumenti della Lombardia, il quale si propose di ripristinare l’edificio e ridare al nostro patrimonio artistico una delle sue antiche memorie.
Le origini della cadente chiesetta si fanno risalire al Mille ed il motivo della sua fondazione lo si attribuisce all’atto espiatorio di una nobildonna.
Si narra pure che il nostro arcivescovo Ariberto d’Intimiano officiò in questa chiesa il 13 luglio 1023. Di quel luogo se ne conserverebbe la testimonianza nella doppia abside a mezzo fondo come i templi romanici. La maggior parte della costruzione attuale è una tarda sovrapposizione cinquecentesca alla primitiva, la quale pare si debba ascrivere al tempo del pontificato di S. Carlo, quando imperversando la peste anche in questa plaga, gli abitanti, impossibilitati di recarsi in città, perché le porte erano state rigorosamente chiuse, rimasero privi di assistenza spirituale. La chiesuola, ad una sola navata, umile e disadorna, fu rinnovata in breve tempo e fu lo stesso presule che, percorrendo sulla mula le sei miglia che corrono tra essa e l’arcivescovado, si
recò a benedire l’unica campana fissata su di un simulacro di campanile.
Vuole la leggenda che, appena la chiesetta fu aperta, l’epidemia in tutta la zona sparisse come per incanto, tanto che molta gente della città, attratta da quella fama, vi si trasferì, allogandosi alla meglio nelle dimore contadinesche che presero il nome di “Cascine della Salute”. Da allora la chiesa di S Donato cessò di essere disadorna; con l’affluenza delle elemosine e dei lasciti, si poté decorarla riccamente.
Al tempietto giunse in visita pastorale il 4 maggio 1595 il cardinale Federico Borromeo.
Qualche cosa della preziosità d’arte originale è arrivata sino ai giorni nostri ed è per ciò che la chiesa, dalle apparenze esteriori alquanto modeste è stata classificata tra i monumenti nazionali. Un’altra abside e la sagrestia furono aggiunte alla fabbrica primitiva e furono coperte di affreschi pregevoli. Un volo di angeli nella cappelletta di Sant’Antonio e un Ecce Homo probabilmente del Solari e una Pietà della scuola del Caradosso sono opere che giustificano una visita al tempietto.
Le caratteristiche architettoniche dell’interno appartengono al tardo Rinascimento. Sontuoso è l’altare barocco.
Il tempietto, per quasi due secoli, fu retto dai Francescani che avevano costruito vicino un vastissimo convento. Questo non doveva avere, per altro, alcun pregio artistico, se al tempo della riforma di Giuseppe II, essendosene i frati allontanati, non si ebbe scrupolo di trasformarlo in case rurali e in fienili.
Qualche traccia di vetustà vi rimase sino all’agosto del 1937, quando un incendio distrusse quella che era probabilmente la foresteria del convento, piena di sterpi e di paglia. E di quel lontano ricordo di prosperità fratesca non rimase che la chiesetta, come dire il titolo nobiliare etico in un lembo tutto nuovo della città.
Malgrado l’impegno e la buona volontà di coloro che si sono presi a cuore la rinascita di questa chiesetta, alcuni vandali, cui forse non andava a genio così nobile impresa, hanno forzato tempo fa la porta d’ingresso della chiesa frantumando i quadri della Via Crucis, lacerando i paramenti in sagrestia, scardinando i battenti del tabernacolo e spezzando in più parti il Crocefisso settecentesco scolpito in legno.
Questo bestiale atto, anziché scoraggiare gli amici del Comitato, li ha sollecitati, con rinnovato impegno, a riaprire la chiesetta al culto.
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Piede