RVG settimana 15
 
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Settimana-15 del 2024
 
 
RVG-15 - da  - Radio-Fornace
 
Settimana 15       2024-04-08 -  Aprile - Calendario - la settimana
08⁄04- 15-099 - Lunedi
09⁄04- 15-100 - Martedi
10⁄04- 15-101 - Mercoledi
11⁄04- 15-102 - Giovedi
12⁄04- 15-103 - Venerdi
13⁄04- 15-104 - Sabato
14⁄04- 15-105  - Domenica
 
08 Aprile 2024 - lunedi - sett. 15⁄099
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ANDATA E RITORNO: - VIAGGIO NEL TRAPASSATO REMOTO (1-3)
La mamma mi raccontava spesso come il nonno muratore per non spendere soldi a comprare il biglietto del treno, andava a piedi a lavorare fin nella Svizzera tedesca.
In maniera simile si comportava a stagione finita per non intaccare il gruzzolo messo da parte con grande fatica e non poca abnegazione. I nostri vecchi - quando capitava andavano a piedi fino a Milano. Nel mio cortile abitava un meccanico molto bravo nel suo lavoro, che nei giorni lavorativi percorreva mattina e sera col sole, col vento, nella bufera del temporale estivo, sotto le nevicate di dicembre e di gennaio - la strada che andava da Verghera, piazza Volta, fino a Crenna e viceversa: in un anno quasi un giro d'Italia a piedi. Ciao, Alfredo. Ma non era il caso di meravigliarsi. Ai miei tempi a Verghera, non c'era la quinta elementare che ho dovuto frequentare a Gallarate. Due andate e due ritorni al giorno per tutti i giorni feriali con qualsiasi tempo, giovedì eccettuato, perché giorno di vacanza. Non poco per un ragazzino di dieci anni, anche se percorrevo il tragitto in bicicletta
Il primo viaggio della mia vita mi ha portato fino a Venezia. Era la metà degli anni trenta, eravamo almeno un centinaio di Verghera su di un treno che era più una tradotta militare che un treno passeggeri: classe terza scarsa, sedili di traversine di legno, vetri appannati da mezzo dito di polvere, trainato da una locomotiva della prima Guerra Mondiale, dalla cui ciminiera uscivano volute di fumo nero, tossico, puzzolente di anidride carbonica e pieno di corpuscoli di carbone acceso, dolorosissimi se entravano negli occhi, fischi laceranti ad ogni passaggio a livello, una sinfonia continua di assordanti rumori di vecchie ferraglie.
Tutto per amore della città lagunare, della Cà d'Oro, delle Procuratie Nuove e dei rii stagnanti infestati di immondizie, di moscerini, e di sgradevoli odori.
Poi Caravaggio. Tutti gli anni, per grazia ricevuta. In comitiva sul pullman di sessanta⁄settanta persone. Prima tappa Caravaggio con la messa, la comunione, le preghiere in santuario.
Poi scappate veloci a famose località vicine. Il posto più bello e le maggiori attrattive artistiche ce le ha offerte il Palazzo Visconteo di Brignano Gera d'Adda. Per la nostra sommaria istruzione artistica era come un fantastico palazzo delle fate. Una meraviglia.
A Caravaggio, per tener fede a un voto di mia madre, siamo andati almeno una trentina di volte. Ci meravigliò, le prime volte, la maestosità della basilica, gli ex-voto che tappezzavano le pareti interne del santuario e le piante di granoturco alte almeno due volte rispetto a quelle delle nostre campagne (con pannocchie lunghe quaranta centimetri), gli infiniti rivi e roggie d'acqua che servivano a bagnare prati e irrigare coltivi in caso di siccità o di scarsa pioggia. Sempre in comitiva, col conforto sonoro della banda musicale per festeggiare la festa sociale annuale, si faceva la traversata in battello del Lago Maggiore, da Arona a Locarno, con fermate intermedie alla Rocca d'Angera, al Palazzo Borromeo dell'Isola Bella, a Santa Caterina del Sasso e alla Madonna del Sasso di Locarno.
TRAVEDONA-MONATE -
38) Marsc: area adiacente al Maren. Con tutta probabilità l' etimo è da ricercare nella voce dialettale marse "marcio", in riferimento forse ad una marcita li presente.
39) Matèe: toponimo di dubbia origine. Alcuni abitanti del luogo indicano questa zona come l'antico luogo dove venivano uccisi e macellati gli animali, da cui forse la vicinanza del toponimo con il termine italiano "mattatoio". Questa località è molto a nord rispetto ai centri abitati di Monate e di Travedona, più a nord anche della località Pasquée. L'atto della macellazione, soprattutto quella in serie, era un atto da tenere lontano dalla vista delle persone, poiché era un momento di morte che male era vissuto all'interno della comunità.
40) Mis'ciane: terreno ai piedi della Crosa a pochi passi dal centro del paese. Il nome forse designava un'area coltivata con vari prodotti da cui il nome dialettale mis'cia "miscuglio".
41) Miseröö: piccolo agglomerato di case a ovest di Monate verso il comune di Cadrezzate. Il toponimo è riconducibile al termine dialettale miserin "misero" tipo di terreno. e si rifa, forse,
42) Mogni: in dialetto la zona è nota come Mögn. È presente anche la località Salt de Mogn. Le due aree sono limitrofe e si sviluppano in una piccola propaggine di terreno che immette direttamente sul Lago di Monate
43) Molini: in dialetto denominato Murin. Zona a est del centro di Travadona in cui scorre il fiume Acquanegra. Qui un tempo sorgeva un mulino detto Murin di Val "mulino della valle" che sfruttava appunto tale risorsa idrica.
44) Moncucco: noto come Muncüch. È un lieve dosso che si trova a sud del paese in direzione di Comabbio. Non ha niente a che fare con il Moncucco di Comabbio e con lo stesso toponimo rilevato a Cadrezzate
45) Mont: "monte" è l'altura che caratterizza Travedona con i suoi 301 metri ed è il luogo che ospita la cave. Nella cartografia ufficiale è detto Montebello, ma i locali non hanno mai utilizzato tale denominazione.
46) Monteggia: in dialetto Muntége, è una zona isolata ad est del comune sul confine con Bregano.
Riflessioni su Dio tra grigliate carnivore, vegetariane, vegane…
Tra grigliate carnivore, vegetariane, vegane…
PER SORRIDERE UN PO’
Più volte ho detto del presunto Dio di amore che – pur essendo onnipotente e capace quindi di escogitare ogni possibile sistema di nutrimento per i viventi – “crea” o quanto meno “permette che si sviluppi” un fenomeno così crudele come quello della catena alimentare, a causa della quale milioni di individui, per vivere, sono costretti a produrre terrore, generare atroce sofferenza fisica e dare la morte a milioni di altri individui… ogni giorno.
Poi mi viene detto che questo Dio di amore ha “pensato, voluto e amato l’uomo” fin dall’eternità, creandolo (??) e ponendolo addirittura al vertice della creazione.
Non posso fare a meno di pensare a un particolare: lo ha posto al vertice, ma contemporaneamente lo ha inserito a pieno titolo nella catena alimentare, e non solo come consumatore ma proprio come “cibo”.
Già!
Me lo vedo, questo Dio, mentre dice alla sua amatissima creatura:
“Caro Uomo, io ti amo da sempre ma, se vuoi un consiglio, difendi i tuoi cuccioli perché, per il modo in cui ti ho creato, rappresentano un cibo molto appetitoso per un sacco di altri esseri viventi (dalle formiche, alle fiere fino ai rapaci…).
Da adulto vedi poi di acquisire la capacità di fuggire o di uccidere per difenderti, perché un sacco di altri esseri viventi ti assaggeranno molto volentieri: devi però dotarti di strumenti di difesa perché quelli che ti ho dato io non sono per nulla sufficienti… purtroppo mi è scappata la mano e i tuoi predatori ne hanno di ben più efficaci dei tuoi… sai… loro hanno artigli, zanne, becchi potenti… odorato, udito, vista finissimi… corrono, nuotano o volano velocissimi… tu sei un pochino impedito e mediocre in tutte queste cose… purtroppo questo mi è sfuggito (non ho pensato a tutto) ma oramai la frittata è fatta… quindi… amatissima creatura mia, usa la tua intelligenza… datti da fare se non vuoi essere cibo…. Scusami… è andata così… ho fatto un po’ di casino ma devi capire: in fondo non sono mica Dio”
 
       **************** fine giornata ************************
 
 
 
09 Aprile 2024 - martedi - sett. 15⁄100
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Busto Arsizio - cap. 7 (3⁄5)
«Al dott. Lualdi, condotto e direttore dell'Ospedale venivano assegnati, con la nuova sistemazione, 2446 << anime » del quartiere interno; agli altri due, rispettivamente 4643 « anime » sparse in 202 case e cascine, e 4600 << anime » in 196 abitazioni, il tutto gravato da numerosi obblighi, che risalivano a un capitolato del 1817, discusso, abolito e risuscitato più volte. Non era escluso, fra l'altro, l'obbligo di due visite al giorno agli ammalati acuti e di due visite settimanali ai cronici << non dovendoli privare nella loro infelice posizione della soddisfa zione di vedersi non dimenticati dal medico >>. I condotti non potevano << obbligare gli ammalati di malattie tanto mediche che chirurgiche a recarsi per la visita al domicilio del medico-chirurgo, meno poi per salassi » nè, tanto meno, ricettare << in casa o per istrada agli ammalati giacenti a letto »; o chiedere compensi ai poveri, anche se « esteri »>, nemmeno sotto forma di generi vari. Solo coi non poveri, ai quali non dovevano in nessun caso rifiutare la assistenza, potevano far valere « il diritto al giusto compenso de' suoi incomodi ». Dovevano inoltre < essere solleciti » di notte, visitare gratis i gendarmi, consegnare al parroco gli attestati di visita ai cadaveri, assistere le donne partorienti, « aver occhio che non si esercitasse l'arte ostetrica da persone non approvate », invigilare sulle levatrici « perchè non eccedano i limiti dell'arte prescritta nei parti naturali » e anche << in genere » sulla loro condotta morale, vigilare sui << cerretani, i venditori di medicamenti », ecc.; eseguire gli innesti del vaiolo, tenere un registro giornale degli infermi, non allontanarsi di molto dalla residenza << nè di giorno nè di notte, ed in ogni caso lasciar scritto al proprio alloggio l'indicazione del luogo ove potrà essere reperibile» ma, sopratutto, denunciare tosto alla Deputazione << qualunque cosa che arrecar possa discussioni, o dissapori fra i medici-chirurghi condotti » perchè questa possa interporre tutta l'opera sua per « combinare in modo che la buona armonia tra di essi tanto utile al diligente servizio degli ammalati non abbia mai ad alterarsi ».
Invece, oh invece!
Tutto questo accumularsi di doveri, di regolamenti, di capitoli normali ed addizionali, aveva, come oggi, messo di malumore i medici. Perchè tante norme quando sarebbe bastato scriveva il dott. Pavesi simpegnare pei poveri le relative incombenze, prestarsi a tutte le visite ordinarie e straordinarie, diurne e notturne, nel numero richiesto dalla gravezza rispettiva dei mali... », esercitando le proprie funzioni «< in modo degno della propria qualità, e conforme ai principj della scienza, alle pratiche dell'arte ed ai dettami della coscienza? In questo unico, verrebbero a concentrarsi tutti i numerosi e prolissi capitoli normali e addizionali che si vorrebbero ora richiamare in vigore; e, per tal modo, i medici condotti, penetrati della alta missione a loro affidata dalle leggi della filantropia e dell'umanità, e non dalla sterile materialità di un capitolato, sapranno meglio adoperarsi al disimpegno delle loro incumbenze, onde, meritarsi sempre più la stima e l'affezione della popolazione. »
Quante cose e quante esperienze fanno mai gli uomini, che presto dimenticano! Da quanti anni si cerca mai di strozzare coi regolamenti un'arte che è solo confidenza, fiducia, passione, devozione?
Ma anche questi benedetti medici non sono propriamente degli stinchi di santo.
Dal 1945 al 1960 (7⁄13)
M: Ann milanes te diset, ma mì disaria anca tanto american. perché bisogna ricognoss che el gran svilupp che gh'emm avuu in Italia e anca a Milan in quei ann, l'è cominciàa cont i aiutt del piano Marshall, cioè danée e sostanz che gh'hinn stàa mandàa da l'America, e l'Italia la podéva nò daggh nient in cambi, cioè l'alleanza politica cont l'occident, cont el Patto Atlantico e i basi militar che gh'hinn ancamò incoeu dopo 80 (vottanta) ann. Ogni modo, hinn stàa ona grand desèna 'sti ann '50 (cinquanta), quei del boom economich, quand in tutta Italia, ma soratutt a Milan s'hinn giustàa quasi tucc i fabbrich che gh'aveven avuu di dagn in la guèrra e ghe n'era vegnuu su on sacch d'alter noeuv che s'éren miss a fabbricà i novità che seguitaven a vegnì foeura: i elettrodomestich, la plastica, i ròbb de consum, cont tanta gent che la se spostava dai cà de ringhéra, in dove lassaven spazi a quei che ve gniven de foeura, per andà in di condomini de vòtt pian che vegniven su compagn di fung; e poeu i scooter, cont la Vespa e poeu la Lambretta; l'automobil, la sescent prima e poeu la Cinqcent, la television, che la costava pussée del l'automobil, e semper a firmà pacch de cambiai, che se sperava de podè pagà; Ma inscì i milanes, vècc e noeuv, hann poduu cognoss on benesser mai vist in tutta la storia e soratutt spanduu a ona gran quantità de gent. Gh'eren semper i sciori naturalment, magari pussée sciori, e gh'eren semper anca i poveritt, forse meno poveritt, ma gh'era de lavorà per tucc e gh'era semper pussée gent che la faseva crèss ona via de mèzz che l'è stàa ciamàa el ceto medio, che l'è poeu stàa la vera sostanza de la Milan moderna.
C: L'è anca vera però che l'America in quei ann lì l'è stada on po el nòster modèll, cont el cinema, la musica, i articol de sum, el ciuingum (chewing gum) e el bughi vughi (boogie woo- gie), e tanti alter ròbb che cognossévom nò e che gh'è minga dubbi che gh'hann fàa viv mei e a pussée bon mercàa. E poeu bisogna mai desmentegà che hinn anca quei che gh'hann liberàa dal fascismo e dai alter dittatur; fo fadiga a capì come el sia success che dopo nanca vint'ann el sia vegnu foeura on odio antiamerican dai sessantottin che da 'sta gent gh'aveven praticament avuu tusscoss, benesser, possibiltà de lavorà e studià, e de viv in pas per tanti ann.
Le fornaci con forno Hoffmann (1-3)
Le prime fornaci risalgono all'epoca del Catasto Teresiano (1730-1760) e sono site lungo i margini del filone argilloso piu' antico: altre risalgono ai primi anno del novecento e sono dislocate ai margini dei filoni argillosi piu' esterni, in prossimita' delle vie di comunicazione, le fornaci sopperirono pertanto, in parte, alla mancanza di industrie "particolari" sul territorio sfruttando la stessa sterilita' del terreno.
L'insediamento delle fornaci segui' quindi schemi di divisione delle terre e di sfruttamento intensivo del terrazzo argilloso: in un primo tempo a isole nella parte centrale (antico), successivamente a strisce perimetrali lungo i lati del terrazzamento (piu' recente).
L'argilla delle Groane e' del tipo "detritico", cioe' formatasi e raggruppatasi per l'azione del trasporto nelle varie fasi geologiche. E' grassa e porosa, molto ferrata (ossido di ferro), adatta per la fabbricazione soprattutto di mattoni pieni.
Le terre adoperate per ala fabbricazione dei mattoni sono principalmente composte da silice ed allumina, calce carbonata, sabbia, ossido di ferro, acqua, ma si classificano soprattutto in base alla quantita' di sabbia contenuta: argilla grassa o argilla magra.
L'origine del mattone, ossia delle pietre artificiali fatte con terra - laterizi - risale alla piu' alta antichita'. L'omogeneita', una cottura regolare, un colore uniforme, un suono chiaro sotto la percussione sono da sempre i principali caratteri che distinguono i buoni mattoni.
La fabbricazione del mattone porto' alla Lombardia, nel 1928, il primato per il numero delle ditte e addetti presenti sul territorio. Quindici ditte operavano sul pianalto delle Groane che porto' ad esse, nel 1956, il primato della produzione nazionale.
La tecnologia piu' avanzata della lavorazione dell'argilla non differisce di molto dalla tecnologia primitiva di ibernazione-estivazione, sminuzzamento-impasto, modellatura, essicazione, cottura.
L'argilla , cavata manualmente (generalmente nei mesi autunnali) da squadre composte principalmente da un nucleo familiare, veniva ammucchiata per ibernare e nelle zone calde per essicare affinche' l'azione degli agenti atmosferici compisse la prima sgrossatura della terra. Nei mesi primaverili, solitamente i ragazzi e le donne provvedevano a pressarla con i piedi, dopo che era stata temprata con acqua prelevata da buche, chiamate "foppe".
Il "formista" provvedeva alla successiva fase della modellatura dei mattoni, per la quale venivano utilizzate cassette di legno.
 
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10 Aprile 2024 - mercoledi - sett. 15⁄101
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ANDATA E RITORNO: - VIAGGIO NEL TRAPASSATO REMOTO (2-3)
Le marce suonate dalla banda ci tenevano compagnia e in allegria dalla partenza all'arrivo, sia nell'andata che nel ritorno, specialmente al ritorno, i bandisti erano più allegri e più allegra era la musica che suonavano con non poche stonature.
Non avevano un fine orecchio musicale ma le intenzioni erano buone sia quelle della banda che le nostre: produrre un certo gradevole suono e godere del suono prodotto, suono sempre scanzonato e a volte perfino digestivo.
Poi c'erano le gite organizzate dall'oratorio e riservate ai giovani: gita con puntata all'isola di San Giulio, al Sacro Monte sopra Varese con visita alle cappelle e successiva scalata del Campo dei Fiori e fotografia di gruppo davanti alle tre crocette, al Mottarone dove si aveva la visione simultanea di tre laghi lombardi (o quattro?), a Varallo, al santuario di Crea, alla casa natale di Don Bosco.
Non sempre si andava così lontano. Si girava il mondo che ci circondava da vicino in bicicletta. Forse erano quelle le gite migliori, le più amate e le più desiderate.
Un continuo scattare, una voglia pazza di arrivare primi in un dato posto, buttarsi a capofitto nelle discese con audace sprezzo del pericolo, arrancare in testa, magari col fiato grosso e le gambe a pezzi, pur di arrivare soli in cima alle salite come fossimo dei Binda o dei Bartali in erba (di Coppi, che non era arrivato ad essere famoso, non si parlava ancora sui giornali).
Oh la beata gioventù che non ci abbandonava mai, che brillava nei nostri occhi accesi dallo sforzo del pedalare, nel continuo gridare a squarciagola compagni che non erano lontani da noi che qualche metro, cantare, fischiare, schiamazzare, fare scherzi ed essere vittima di scherzi.
Non è vero - ora che ci penso che il mio primo viaggio è stato quello di Venezia. Ero da poco chierichetto quando Don Dante, mi portò, insieme agli altri chierichetti più anziani di me, ad una gara di catechismo per chierichetti, a Milano.
(Ho ripetuto in una sola frase per ben tre volte il sostantivo chierichetti: che sottolineatura blu su due dei tre chierichetti avrebbe tracciato la mia maestra Ida Comuni ancora viva qualche anno fa. Hai quasi cent'anni, se vivi, ti benedica il Signore).
Avevo una tale paura di non essere in grado di rispondere alle domande che non mi bastava l'animo di guardare in giro.
Non mi accorsi dei tram, dei palazzi molto più alti e molto più belli della casa della nostra via Palazzo; non provai stupore neanche alla vista della selva, delle guglie e delle statue del Duomo; la Scala mi lasciò indifferente, e così pure la Galleria.
Dal 1945 al 1960 (8⁄13)
M: L'è minga facil de capì, ma in 'sti ann '50 (cinquanta) gh'è staa on personagg che l'ha vorsuu dì tanto per Milan, ma che cont i american el gh'ha avuu i sò bei problemm: Enrico Mattei, on ex capo partigian che l'è stàa miss a liquidà l'Agip e invece de seràlla l'è riessì a falla crèss fin a falla diventà tanto granda de dagh fastidi ai compagnii american del petroli, e inscì gh'è quaighedun che ghe dà la colpa pròpri ai american per la soa mort, che la gh'è stada nel 1962 (milanoeuvcentsessantaduu) quand el sò ae- roplano l'è s'cioppàa in aria appèna foeura de Milan, intant che l'era adrée a atterrà a Linà. El rivava da la Sicilia e gh'è chi dis che gh'è de mèzz la mafia, de concert appunto cont i american. Ona gran brutta storia, che certo l'ha fa vedè l'America sotta on profil certament minga bèll e l'ha fa vegnì tanti dubbi anca a quei che ghe voreven minga mal. Ma insèmma a la soa storia de partigian, politich, industrial, editor (el giornal Il Giorno l'ha fondàa lù in quei ann lì e l'era diventàa in svelt el primm concorrent del Corriere) el Mattei gh'ha lassàa Metanopoli, on noeuv quartier crèssuu tra Milan e San Donà, on borg vegnuu su intorna a la fabbrica e i sò uffizzi, e abità dai sò lavorador, complètt de scòll. gésa, impiant sportiv, e servizi vari, che l'è stàa on po l'esempi di alter sitt vegnuu su intorna a Milan a la stessa manéra, come Zingonia, Brollo, Borghi e alter che ciappaven el nom dai padron di fabbrich. Insèmma a 'sti iniziativ che podàrium ciamà appunto padronai, in di ann '50 (cinquanta) i cà seguitaven a vegnì su in tutt i manér, dai casermoni popolar, ai condomìni de proprietà, ai primm grattaciei, in piazza Repubblica, a Porta Volta, fina a la torr Velasca, che in principi l'era minga piasuda, ma che poeu l'è di- ventada anca lée vun di simbol pussée caratteristic de Milan. Poeu l'aeroport de Linà, che per quei ann l'era el massim, anca se in pocch temp el sarìa restàa on aeroportin de città, tanto comod però per nun milanes e anca per el traffic de gent italiana e straniera che la vegniva a Milan semper pussée numerosa per i sò affari.
C: Certo che tucc quei cà che hinn vegnuu su compagn di fung hann fàa anca crèss di periferii dove viv l'era giamò in princìpi minga tanto bell e hinn diventàa semper pégg, e poeu gh'hann minga aiutàa a fagh avè ona bèlla immagin, vist che i tanti vis  tador che te me diset, vegniven minga chi per turismo, anzi, ap- pèna podeven scappaven via. E pensà che de ròbb bei a Milan ghe n'era semper tanti, anca dopo che la guèrra n'aveva trà giò on po. L'è on'immagin de città che fèmm semper fadiga a fà capì a chi ghe cognoss minga. Ma d'altra parte i primm a credegh pocch semm nun milanes, che appèna gh'emm on quai dì liber, semm subit pront a scappà via de Milan, anca se chi visin gh'emm debon di gran bei post, el Lag de Comm, el Maggior, la Brianza, che se fudesser inturna a quai altra città sarien consideràa insemma a la città stessa.
Le fornaci con forno Hoffmann (2-3)
Dopo l'essicazione il mattone veniva raccolto, sempre a mano, e in "cobbie" (pacchi regolari nel numero e nella forma) sotto le falde del tetto, per venire poi introdotte all'interno del forno.
L'antisignano del forno moderno e' stato il forno a pignone caratterizzato da una forma piramidale che racchiudeva al proprio interno, intorno ad una buca scavata nel terreno, i materiali da cuocere.
Questo tipo di forno "a fuoco intermittente" causava una saltuarieta' nella produzione in quanto obbligava a lunghe e improduttive soste in attesa di carico, cottura e raffreddamento del materiale; inoltre aumentava il rischio cui era sottoposta l'intera produzione. Questo spiega l'intromissione di segni religiosi che ricordano l'atavica venerazione per l'elemento fuoco.
L'avvento del forno Hoffmann, messo in funzione per la prima volta il 22 novembre 1858, col principio del funzionamento del forno continuo, con il recupero del calore, produsse effetti sorprendenti, contribuendo a meccanizzare l'industria dei laterizi.
I primi forni Hoffmann hanno la forma di una galleria circolare fiancheggiata da due muri verticali e coperta da una volta: nel muro esterno ci sono varie aperture o porte per "infornaciare" e "sfornaciare"; nel muro interno esistono bocche aperte a livello del pavimento che, con condotte in muratura regolate da valvole a campana, permettono alla galleria di comunicare col collettore del fumo; quest'ultimo circonda la base del camino, che per mezzo di aperture, attiva il tiraggio del fumo stesso.
Nella volta si trovano, ad intervalli regolari, aperture munite di coperchio per l'introduzione del combustibile. Il fuoco e' attivato in due celle dalle quali fuoriescono i prodotti della combustione che riscaldano i mattoni posti nelle celle successive. L'aria che entra dalle porte di celle antecedenti si scalda a contatto dei mattoni in queste contenuti, gia' in fase di raffreddamento, accellerando cosi' il raffreddamento stesso e acquistando del calore che rendera' piu' sollecita la cottura dei mattoni posti nelle celle in cui si fa fuoco. Scaricando cosi' le celle nelle quali i mattoni si sono raffreddati e ricaricandole con materiali pronti per la cottura, l'operazione diventa continua. E' per questo che le fornaci Hoffmann sono dette a "fuoco continuo".
Col tempo il forno Hoffmann assunse la forma allungata per permettere il passaggio uniforme delle correnti d'aria calda e fredda; il camino venne spostato lateralmente o in testa al forno.
Per meglio proteggere i mattoni durante le fasi di carico e scarico attraverso le bocche, vennero allungate le falde del tetto: nel forno Hoffmann, a differenza del forno a pignone dove le "cobbie" costituivano il nucleo centrale fisso del forno, l'accatastamento del materiale e' distribuito su tutta la lunghezza del percorso esterno per essere poi introdotte attraverso bocche laterali.
Il taglio delle teste permise di caricare i pacchi di mattoni sfruttando meglio la capienza del forno ed i mezzi meccanici. Quest'ultimo intervento inizio' il processo di meccanizzazione che stravolse la conformazione originaria.
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11 Aprile 2024 - giovedi - sett. 15⁄102
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Finiti al castello i guai del bel Gastone
Certamente non è famoso come Ilaria del Carretto, che riposa serena nel Duomo di Lucca, né attira baci di romantiche visitatrici come Guidarello Guidarelli, che dorme all'Accademia di Belle Arti di Ravenna. Tuttavia un indubbio fascino, una suggestiva nota patetica non possiamo negarli al nostro (lo conserviamo al Castello Sforzesco) seppur meno celebre Gaston de Foix. Il quale aveva qualcosa in comune con Guidarello: erano vissuti nella stessa epoca, avevano esercitato il mestiere di «uomo d'arme», erano morti di morte violenta e in giovane età: a 33 anni nel 1501 Guidarello, a 23 Gastone nel 1512, proprio davanti alle mura di Ravenna.
Per quanto interessa il nostro racconto basterà ricordare che, agli inizi del '500, il re di Francia Luigi XII, vantando discendenze dai Visconti e quindi titoli per pretendere il ducato di Milano, arriva in Lombardia e caccia in esilio Ludovico il Moro.
Nasce un conflitto che dura anni, scendono in campo papa Giulio II, il re di Spagna, l'imperatore Massimiliano, Venezia, staterelli minori e le milizie svizzere che, essendo mercenarie, cambiano disinvoltamente bandiera e si offrono a che più le paga.
Nella guerra che non conosce soste, anno 1511, il comando dell'esercito francese viene affidato al poco più che ventenne Gaston de Foix, duca di Nemours, figlio del visconte di Narbona e di Maria d'Orleans, sorella del re. Il regale nipote è un bel condottiero, valente e fortunato, infila vittorie su vittorie, lo chiamano la «&lt;folgore d'Italia». Finché, 11 aprile 1512, giorno di Pasqua, presso Ravenna si combatte una gran battaglia e Gaston, in una mischia, è sbalzato di sella e ucciso da fanti spagnoli a colpi di spada e di picca.
Il cadavere è trasportato a Milano e sepolto in Duomo. Ma in quello stesso anno, mutate le sorti dei belligeranti, lo strappano dalla tomba per mostrarlo in atto di sfregio alla guarnigione francese assediata nel Castello. Lo ripongono poi nella chiesa del monastero di Santa Marta che sorgeva sull'area dell'attuale piazza Mentana. Trascorsi dieci anni e sfrattati i francesi, i miseri resti una volta ancora vengono rimossi e finiscono dispersi nel fossato del Castello.
Sorte non più felice è toccata al monumento funebre, voluto dal nuovo re di Francia, Francesco I, e commissionato nel 1515 allo scultore milanese Agostino Busti detto il Bambaja: non fu mai portato a termine e i vari frammenti, rimasti per anni presso Santa Marta, andarono ad arricchire musei e collezionisti privati. A Milano, in una sala del Castello, è stato raccolto il nucleo più consistente del sepolcro smembrato. Andiamola a vedere la statua giacente del glorioso guerriero.
Nanca pù in Domm se poeu ben requià pensand a la toa fin, Gaston de Foix. Spacchen la tomba 'me spaccaa on quadrell per mostral ai frances saraa in Castell. Poeu, finalment, 'me dis 'na veggia carta, el poggen in convent a Santa Marta. Ma anmò no l'è fenida per 'sti oss che, via i frances, je sbatten in del foss. E lì, al Castell, de 'sto bel pretendent a gh'è restaa on tocchel de monument.
Le fornaci con forno Hoffmann (3-3)
La produzione a "ciclo continuo" rivoluziono', con l'introduzione dei mezzi meccanici, la lavorazione dell'argilla; dopo la miscelazione, per recuperare consistenza e plasticita', l'argilla veniva impastata epassata attraverso una filiera che la sagomava a secondo delle dimensioni volute per essere poi tagliata ad intervalli regolari da un filo di ferro. Tra le macchine si ricorda la "stupida" di Clayton in grado di impastare e trafilare.
I mattoni una volta formati, venivano prelevati a tre a tre, cosparsi di sabbia e posti ad essicare sulle gambette: speciali filari di legno o cemento coperti da tegole o da stuoie di paglia a protezione delle intemperie.
Il periodo di essicazione, in questi filari alti mediamente un metro da terra e rapportati sempre all'altezza dell'uomo, variava da luogo a luogo e a seconda del tempo atmosferico (generalmente da una settimana a quindici giorni).
Il ricordo delle vecchie fornaci impallidisce alla luce delle moderne trasformazioni tecnologiche. I moderni contenitori dell'industria dei laterizi, senza piu' ciminiere,sostituiti da gruppi di ventilatori, i mastodontici silos, gli impianti continui della catena di produzione, sono entrati ormai a fare parte del paesaggio industriale quotidiano.
Dove le attivita' si sono estinte le fornaci crollano o sono riutilizzate in modo inadeguato e non corrispondente alla finalita' del parco con interventi che costituiscono pesanti manomissioni del patrimonio culturale e dell'ambiente.Questi edifici, invece, la cui caratteristica principale e' "quella di essere un luogo", concorrono alla formazione di un notevole patrimonio che non deve essere disperso o abbandonato, ma ricomposto in un unico ecosistema.
Il parco nel suo piano ha definito le aree dove insistono tali strutture come zone di interesse storico ambientale nelle quali e' consentito il recupero della struttura originale, comprese le gambette per l'essicazione naturale dei mattoni.
Il fine del parco e' quello di cercare la possibilita' di soluzione del problema dell'assetto delle fornaci in funzione, il riuso di quelle dismesse, non piu' idonee a scopi produttivi, della salvaguardia dei ruderi, ove convenga, per giungere ad avviare, almeno a grandi linee, lo studio di un programmati intervento che soddisfi le esigenze del parco, dei Comuni in esso esistenti, che sia in accordo con le legittime aspettative della proprieta', potendo privilegiare fini sociali, di sostegno ad attivita' ricreative, in linea con un discorso di parco attrezzato per il tempo libero.
Da Milano a Pavia e Certosa
#vol #sett - Anche a Pavia si può andare tanto per tramway (2. ore) che per ferrovia (1 ora).
A Pavia sono degni di essere visitati l’antica Università coi suoi ricchi Musei, il Duomo e la chiesa di San Michele.
Lungo lo stradale da Milano a Pavia, a circa sei chilometri da questa città ammirasi la Certosa, giudicala una delle più insigni opere d’architettura italiana. Galeazzo Visconti ne decretò la costruzione nel 1396. Della facciata è autore Ambrogio da Fossano, che l’ha compiuta nel 1473. E ricchissima, e decorata di statue, di medaglie, ed ornati eseguiti dai più distinti artisti di quell’epoca, quali il Solaro, il Fusina, il Busti, il Marco d’Azzaie, ecc. ecc. Le cappelle che ascendono al numero di quattordici, contengono bei mosaici, per la maggior parte lavorati dalla famiglia Sacchi nello spazio di tre secoli !
Gli affreschi che decorano le cappelle sono del Panzoni.
Il Mausoleo di G. Galeazzo Visconti, il cui disegno è di Galeazzo Pellegrini (1490) fu compiuto nel 1562, da parecchi scultori, fra i quali, il Cristoforo Romano, che vi scolpi le decorazioni ed arabeschi a fogliami. Vi si ammirano le tavole rappresentanti san Brunone del Cerano, e gli affreschi nella vòlta, attribuiti al Bramantino. La Certosa fu soppressa nel 1782 da Giuseppe II. Nel 1845 vennero ripristinati i Certosini, soppressi poi nuovamente.
Origine dell’Esposizione.
L’opportunità di una Esposizione italiana, da tenersi in Milano nel 1881, e il  modo più conveniente per attuarla vennero primamente enunciati dai signori Luigi Fuzier, Luigi Ginoulhiac, Stefano Labus, Giulio Richard e Giuseppe Speluzzi alla Camera di Commercio ed Arti di Milano, nella seduta del 23 dicembre 1879.
Siffatte proposte ottennero immediata accoglienza; onde fu tosto provveduto alla nomina di un Comitato esecutivo, che, proclamato eletto nella susseguente seduta del 4 gennaio 1880, costituivasi come è innanzi indicato, e sotto la data del 1° febbraio 1880, emetteva un manifesto allo scopo di recare l’idea di una mostra dei prodotti industriali nazionali a notizia dei corpi costituiti e dei cittadini d’ogni parte d’Italia, e di provocare adesioni e incoraggiamenti. Nè le adesioni e gli incoraggiamenti si fecero molto attendere, chè anzi vennero numerosi e splendidi, accompagnati dal plauso di tutto il paese.
Gli edilìzi dell’Esposizione.
L’area occupata per l’esposizione è di circa 200 mila metri quadrati con un perimetro dello sviluppo di oltre 2300 metri; di quell’area più di 56 mila metri quadrati resta coperta da edifìci quasi tutti appositamente eretti ; codesti edifìci sorsero quasi per incanto, essendosi impiegato alla costruzione di essi circa 8 mesi. In tutto i fabbricati oltrepassano il numero di 40.
Il salone pompeiano è qualche cosa di gentile e di forma rettangolare a due piani : uno a livello della galleria principale, l’altro è una specie di gran ballatoio che gira tutto all’intorno ed al quale si accede da due scalinate laterali. Il ballatoio o galleria circolare è sostenuto da colonne scanalate, stile pompeiano, fìnto marmo, coi capitelli di bronzo, e di stile pompeiano sono parimenti tutte le decorazioni ; è in questa galleria che è collocata specialmente l’esposizione etnografica, cioè dei caratteristici e pittoreschi costumi di tutta Italia. 11 salone pompeiano è stato costrutto su disegno dell’ing. Cerutti.
Il cortile della Villa Reale fu pure convertito in una gran sala ove sono le oreficerie. Eleganti pur sono le grandi  gallerie, le decorazioni leggiere e di perfetto buon gusto a linee rosse e nere, verdi e nere, bianche e nocciuola. La rotonda esagonale di contro alla Villa Reale è un gioiello di sfumature e di ornati. Le gallerie delle macchine maestose e piene di luce hanno fondo giallo con ornati nero e rosso.
Le gallerie delle statue e dei quadri sono elegantissime, ottimamente predisposte e di un effetto davvero meraviglioso, la distribuzione della luce vi è perfetta, giammai in nessun’altra esposizione italiana e in molte altre all’estero ci venne dato di vedere così bene e così opportunamente collocate le opere degli scultori e dei pittori. I padiglioni ed i chioschi sono pur belli; hanno i pinacoli rossi cogli archi a ferro di cavallo, di stile arabo, coi trafori di legno, stile svizzero : vi sono casette e porticati di cemento, di ghisa, di ferro, tempietti di terra cotta, chdlets di legno e molte altre costruzioni di stile elegantissimo; si improvvisarono giardinetti, luoghi di riposo e di conforto pei visitatori
Arcivescovado
Nel palazzo di residenza dell’arcivescovo, vi è una bellissima raccolta di quadri. Esso è diviso in due separati cortili; uno serve per l’abitazione dell’Arcivescovo, e l’altro pel Capitolo. Il maggior cortile è di soda e bella architettura del Pellegrini, come lo è la comodissima scuderia di forma decagona a tre piani ora chiusa.
Le statue di marmo di Carrara rappresentanti le Sirene che veggonsi nella bella piazza Fontana, adiacente a questo palazzo, sono lavoro del Franchi
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12 Aprile 2024 - venerdi - sett. 15⁄103
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Busto Arsizio - cap. 7 (4⁄5)
Da molti anni, cioè dal 1828, i condotti bustesi erano assistiti da un quarto medico, o « chirurgo minore » che, nominato in via di esperimento, era stato poi trattenuto con l'obbligo di prestare la sua opera, massimamente quella del salasso, su ordine del medico, al quale il chirurgo era per regolamento << necessariamente subordinato »>, a tutti i poveri che ne avessero bisogno, al loro domicilio, salvo quelli delle cascine lontane ai quali doveva provvedere il condotto stesso.
Era, questo flebotomo, un certo dottor Domenico Bianchi, pavese focoso per temperamento e, sembra, per opinioni, propenso a considerare per ignoranti tutti questi nuovi medici che vedeva avvicendarsi in Busto a ordinare medicamenti sempre nuovi e salassi a sproposito. Il curioso era che, proprio lui, che aveva per ufficio quello del flebotomo, era un acerrimo nemico dei salassi, che faceva a malavoglia e non senza discussioni, forse per togliersi di dosso quella << regolamentare subordinazione » al medico.
Fioccavano così, da anni, contro il Bianchi, rimostranze ed accuse che la Deputazione cercava, di volta in volta, di calmare o di colpire, sempre con scarso risultato, al punto che, il 23 aprile del 1856, di fronte a un nuovo colpo di testa del chirurgo, si vede costretta a rivolgersi all'Imperial Regio Commissario perchè senta il Bianchi « sulla circostanza di non aver fatto a tempo debito alcuni prescritti salassi », che, per essere prescritti dal medico condotto, imbestialivano sempre di più il chirurgo.
Passa poco tempo, ed è la volta della Angela Cerana che espone alla Deputazione di << essere stata maltrattata con parole ingiuriose e discacciata con calci perchè cercava di calmarlo nella sua furia bestiale, rifiutandosi (il Bianchi) di salassarla >>.
Scenate del genere avvenivano ogni giorno anche in Ospedale, dove il Bianchi svolgeva le sue mansioni di flebotomo e di acerrimo competitore col direttore Lualdi; talchè un giorno << per evitare pubblicità ridicolaggini ed inconvenienti » il Lualdi riesce a farlo sospendere dal servizio, accennando anche, fra i motivi addotti nel rapporto, « alla sua maniera di pensare e per il suo cattivo carattere ». E il Bianchi, per rappresaglia, mentre accusa l'Ospedale per aver affidata la direzione alle chiacchere, ai preti e ai capricci di un individuo « che non sa nemmeno dirigere se stesso », fiuta di salassare due ricoverate dell'Ospizio dei cronici e, sollecitato per amicizia, risponde che « l'amicizia è amicizia, i diritti sono diritti, i doveri sono doveri!», mentre il Lualdi replica e l'altro controbatte che « alla fine son cambiati i tempi!» Siamo nel 1860, il patrio nuovo governo sembra voler rinnovare tante cose, spira aria di fronda contro i preti, accusati di essere ancora devoti all'Austria; e in Ospedale ben tre preti fanno parte del Consiglio!
Intanto fioccano nuove risposte. Il Bianchi, che si firma << umile servo », con evidente ironia, continua a discutere e a rifiutare i salassi: quello ordinato alla Carolina Stefanazzi abitante al civico n. 120, e quello prescritto a Luigia Bottigelli « da qualche ora travagliata dalle prime doglie di parto » e per la quale la le-atrice Carolina Tosi aveva << creduto il caso di una cacciata di sangue »>! Povero dottor Bianchi, non aveva tutti i torti; si era recato al letto della ammalata, « esplorò soltanto il polso dissero le vicine — e senz'altro disse risolutamente che si rifiutava di salassarla perchè il salasso era mal indicato e che, come individuo amante del prossimo non voleva copparla ». Ma era la medicina di allora e le obiezioni del Bianchi, considerato << l'anello di discordia tra collega e collega », non venivano più ascoltate. E così gli si gridò il crucifige quando la ammalata, salassata dal dottor Custodi, riuscì nonostante tutto a partorire e a salvare la pelle.
A furia di liti, di ripicchi, di denuncie, si arriva intanto al giorno in cui la Deputazione perde la pazienza e chiede al Bianchi una ragione di questo suo modo di comportarsi e l'archivio - cosa strana ci ha con- servato un grosso fascicolo di carte e un gioiello di r sposta, che val la pena di sfogliare.
Storie, personaggi, luoghi di Affori I due morosini (1⁄2)
La conoscenza di un borgo, di un paese, di un quartiere passa attraverso la sua storia fatta di eventi, date, personaggi, il tutto documentato e conservato negli archivi o nei ricordi di famiglia. Ma non possono mancare novelle, fantasie tramandate da generazioni attraverso racconti ascoltati al caldo di un camino nelle buie e fredde serate invernali. Fanno anch'esse parte del grande mosaico della storia di una comunità che condivide il quotidiano. Tra le memorie tramandate anche dai miei nonni ne conservo una in particolare, che vi racconto. Dal santuario dedicato a Santa Maria alla Fontana partiva un'importante strada che senza soluzione di continuità congiungeva le attuali via Farini, Imbonati, P. Rossi, Astesani e proseguiva verso Como, oggi chiamata via Comasina. Attraversava il borgo di Affori dividendolo in due parti ben distinte come sponde di un fiume. In quel tratto la strada era ombreggiata da una verde processione di alti pini, secolari platani, olmi e bagolari: un vero tripudio di alberi ad alto fusto, ornamento e vanto delle deliziose ville di cui Affori andava orgogliosa.
Proprio nel cuore del paese due alberi spiccavano in tutta la loro dignitosa maestosità: per noi afforesi erano la Pianta e il Pino, in realtà un platano e un cedro del Libano.
Ambedue vecchie glorie locali, cariche di età, circondate di fama e di affetto. Per chi entrava in Milano da nord o ne usciva verso le colline comasche sembravano due colonne di una trionfale porta della città costruita dalla Natura, il loro era sempre un benvenuto o un arrivederci, un souvenir o un saluto d'accoglienza: una vera favola!
Erano posti sui due lati dello  stradone principale , quasi un riflesso l'uno dell'altra. Pur essendo di pari genere (un cedro ed un platano),
Scarfa per  noi erano un Pino ed una Pianta, una vetusta coppia, ma sempre verde e di giovanile aspetto. Ogni primavera Lei, la Pianta, si rivestiva di un brillante manto che ne nascondeva l'età, Lui, sempre in impeccabile abito alla moda. Si diceva in paese che nelle notti primaverili si abbandonavano a raffinati duetti, sussurrandosi espressioni sentimentali inaccessibili a noi umani! E forse era vero. Forse si guardavano in silenzio poi, con lieve fruscio di Lei e ondeggiare della cima di Lui, si scambiavano luci e ombre, profumi e colori... E vuoi dire che non si amassero a loro modo? Li chiamavano i due morosini, ed erano amanti anche per noi ragazzi, che ne ammiravamo la bellezza, la maestosità, il loro gigantesco quanto dolce aspetto, il loro fruscio ai venti del nord, il loro abbigliamento ammantato di nevi invernali, il loro pianto con le piogge autunnali, lo splendido abito verde delle loro più serene e gioiose primavere.
DI due morosini di via Astesani in un quadro di Angelo Scorta, afforese, amico di Luigi Ripamonti, scomparso qualche anno fa.
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13 Aprile 2024 - sabato - sett. 15⁄104
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Dal 1945 al 1960 (9⁄13)
M: Incoeu, in di ann dòmila e passa, i ròbb hinn on po cambiàa, ma allora l'era inscì, anca perché sérom famos per la nebbia, tanto che tucc quei che parlaven de Milan la pitturaven semper compagn di quader del Sironi, ona specie de giron de l'inferno, semper scura e grisa, pièna de fabbrich e de fumm, e nissun ghe dava a tràa al Manzon quand el diséva che el ciel de Lombardia l'è inscì bell, quand l'è bell. E in effett Milan l'è mai stada famosa el sò clima, particolarment in quei ann, cont i inverni frèce, nebbios, cont ona carisna in de l'aria che l'era on po la conse guenza de l'industrializzazion turbolenta e senza tanti regol che la riguardava on po tucc i pussée important città del mond, ma che chi a Milan la se faseva vedè, e sentì in misura pussée forta, via che chi in de nun, in mèzz a la pianura, circola per poca e el vent l'è rar. Per fà andà i fabbrich e i riscaldament di cà se dopraven soratutt el carbon o la lègna, e d'inverno quand te passavet el did sul scòss di finèster t'el tiravet indrée tutt sporch de negher, inscì come quand te se boffavet el nas te vegniva foeura on po de quel negher che te avevet respiràa (l'alter po el restava in di polmon...). De allora i industri hinn pian pian sparì de la città e hinn stàa modernizzàa cont di macchin semper pussée rispettos de l'ambient, ma poeu bisògna dàgh el sò merit anca a quei che s'hinn battuu e s'hinn dà de fà per rend pussée vivibil la città, tanto che la nebbia l'è praticament sparida. Allora gh'eren ancamò tanti stuv, che però cominciaven a lassà post ai calorifer, el carbon l'ha lassà spazi al gasolio prima e al gas metano poeu. In compens cresséven i automobil, anca lór cont el sò bell inquinament, ma anca la benzina l'è diventada semper pussée nètta e i motor s'hinn perfezionàa per trà foeura meno sporch possibil. D'està in compens, faséva on gran cald, de nott come in del dì, soratutt in agost, cont quaighedun ch'el dormiva sora i lenzoeu bagnàa...
C: L'aria condizionada la gh'era minga...
Storie, personaggi, luoghi di Affori I due morosini (2⁄2)
Immagino che nelle ore soleggiate e silenziose d'estate o nelle brume autunnali si scambiassero memorie e ricordi di truppe napoleoniche, degli austro-russi-cosacchi del generale Suvaroff, dei fermenti delle epiche giornate milanesi del 1848... ma anche ricordi dello zoccolìo dei tiri a quattro con carrozze di lusso, da passeggio, e di gruppi di dame e cavalieri a passeggio o seduti ai due famosi ristoranti. Lui allargava i poderosi rami presso il ristorante con alloggio, sala da tè e biliardo  Affori chez Torretta , Lei affiancava l'altrettanto famoso ristorante  La Pianta , luoghi di incontro fra borghesi, artisti e vip. Tradizioni mantenute sino ai giorni nostri, con quel profumo di nostalgia di tempi d'oro dei salotti letterari e mondani dell'800 milanese. Tra i vari pettegolezzi sui due morosini si sussurrava anche che Lei avesse abbandonato la compagnia dei platani che adornavano il parco di Villa Litta Modignani per mettersi in bella mostra sul frequentato stradone, dove avrebbe attirato l'attenzione dei passanti op- pure per incontrare Lui, il cedro. E infatti nessuno ancora si spiega cosa ci faccia un così maestoso albero solo soletto... Pettegolezzi! Non ho ancora capito perché li chiamassero morosini: un diminutivo in contrasto con la loro ultrasecolare età; e mi domando perché non si siano mai sposati. Forse lo stavano progettando quando Lui, il maestoso, incrollabile cedro cominciò a mostrare i segni dell'età. Un inevitabile momento del ciclo della vita. Lei se ne accorse, ed ebbe inizio un nuovo corso nel loro rapporto. Quando venne quel giorno, noi ragazzini, attoniti, addolorati, delusi come dopo un sogno infranto, l'abbiamo visto cadere ramo per ramo in pezzi, un mucchio di legno e aghi color cinereo. Ogni volta che proietto nella mente quella scena, il cuore fibrilla e avverto ancora il profumo di quei rami spezzati, di quell'immenso tronco decapitato: profumo di vita mai spenta. Lei, la nostra Pianta, sbigottita, accusò il colpo; da allora non ha più indossato quello sfavillante verde di un tempo, sempre più bitorzoluta, complice anche il crescente inquinamento. Ora il suo sguardo un po' spento vaga al di là dello stradone dove, forse per attutirne il dolore, hanno piantato un albero che col tempo sarà forse all'altezza di quel cedro; ma non è più lui! Lei è sempre più amata dagli afforesi, che la annoverano fra i loro simboli storici. Ma Affori non ha più da raccontare una favola come quella, il mito è sfatato, non abbiamo più i nostri Romeo e Giulietta. Favole, nonni, camini oggi svaniscono nelle nebbie della nostalgia, rimangono solo i sogni dei nipotini!
CULTURA ISTRUZIONE (1-5 )
A Milano c'è la pratica e la grammatica... gh'è el molitta e gh'è el dottor!
?M: In effetti, quell che te diset de la cusinna el ghe porta a parlà de la cultura, che, in comune, hanno la curiosità, la voglia che abbiamo noi milanesi di interessarci di tutto, di conoscere le cose... mei se robb bonn ma anca bei. E così Milano l'è minga domà la capital del mangià ben con il suo straordinario assortimento di locali di ogni genere, ma è anche un luogo dove la cultura ha una quantità di motivi di interesse, una varietà di musei che ci raccontano dei tempi più remoti fino alla modernità più "estrema"... Insomma, storia, arte, scienza qui sono davvero di casa. E per restà ai noster dì, Milano è anche la capitale dell'editoria italiana: quasi tutti i più importanti editori sono di qui; e chi voeur mettess a scriv e mandà in gir el sò penser, per gran parte passa di qui, dove vale sempre il detto che, chi arriva a Milano, ghe domanden nò de dove el ven, ma se l'è bon de fa.
C: Ed è cultura anche la qualità dei palazzi del centro e la modernità dei nuovi grattacieli, che stanno dando nuove, inaspettate prospettive al panorama milanese, che el gh'ha nient de invidià ai quei pussee famos de alter città.
M: E poi le chiese: un numero davvero sorprendente di chiese di notevole valore e con tante varietà di stili, dal più antico romanico e certosino al medievale al rinascimentale fino all'architettura contemporanea. Con, al loro interno, una presenza notevole di d'arte: quadri, affreschi, sta- opere tue, vetrate... Tutte cose che, nei secoli passati, godevano del più grande interesse di tutti i milanesi, dai pussee sciori ai poveritt, uniti nel desiderio di vedere custodito nelle loro parrocchie il massimo della magnificenza; ed alle quali spesso lasciavano, infatti, i loro beni in eredità chirle ancora di più.
C: Forse anche perché temevano di non andare in Paradiso e cercavano così di ripagare i loro peccati... Grandi peccatori Grandi cattedrali ha scritto qualcuno. Ma i milanes d'incoeu come se comporten davanti a tanti bei robb, a tanta cultura? Ho la netta sensazione che femm fadiga a cognossei di conseguenza, non sappiamo dar loro tutta l'importanza che invece meriterebbero.
M: Ghè on po de ver in quell che te diset, perché con la scu- sa che il primo pensiero dei milanesi, forse prima ancora della famiglia, è il lavoro, sembra che tutto quello che non porta benefici concreti e rapidi non meriti di essere seria mente preso in considerazione.
C: Me ven in ment la frase attribuita a un autorevole personaggio, che con la cultura non si mangia, ma forse costui non si rende ben conto che la prima ricchezza dell'Italia è proprio il suo patrimonio culturale, che a Milano non manca proprio. Però, più che di milanesità, qui si dovrebbe lare di italianità.
M: Vero! La cultura, insieme al paesaggio, è la prima ricchezza dell'Italia intera, ma anca in quest Milan el riess quaicoss de sò, grazie alle innumerevoli iniziative nate proprio qui e che seguiten a sviluppass cont semper di noeuv idei e che, naturalmente, non mancano di caratterizzare anche i tantissimi milanesi che vi partecipano.
C: Me ven però on dubbi: 'se voeur dì cultura? Perché sento parlare di cultura quando c'è un concerto alla Scala, una mostra a Palazzo Reale, una visita guidata a Brera, un corso universitario, uno spettacolo al Piccolo, ma anche a proposito di una festa di quartiere o di uno degli innumerevoli festival che si tengono soprattutto d'estate.
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14 Aprile 2024 - domenica - sett. 15⁄105
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ANDATA E RITORNO: - VIAGGIO NEL TRAPASSATO REMOTO (3-3)
In prima fila c'era l'esame di catechismo e la sua ombra mi nascondeva e oscurava Milano intera.
Ma il mio viaggio di Gulliver, il mio viaggio all'isola del tesoro, il mio viaggio nel paese delle meraviglie, risale all'estate del trentadue, quando, per motivi di salute i miei genitori mi portarono a Dissimo, in Valle Vigezzo.
Nell'inverno trentuno-trentadue frequentavo la prima elementare. Ci era maestra Argia Miglioli-Lazio, la "vegèta", per noi bambini cattiva come la peste, che ci comandava percuotendoci con frequenza a colpi di canna di bambù sulle mani. La malattia fu lunga; a niente valsero le polentine bollenti di linosa né lo sciroppo Famel. Il dottor Ollearo consigliò la montagna e la montagna per me, da allora e per sempre, si chiamò Dissimo.
La prima volta viaggiammo su una balilla nera, con la tromba di gomma che faceva POT-POT con la voce lontana e roca, traballante, che arrancava lungo i tornanti della valle, lenta e bolsa, sfiancata per la fatica e che lasciammo in riposo a Meis in una stalla ripostiglio dove al momento del ritorno la trovammo decorata da una infinità di profumati regali donatici abbondanti dalle galline che vi dormivano sopra di notte. -
Salimmo a piedi fino a Dissimo su una mulattiera ripida e sassosa. La salita cominciava dal ponte dei mulini ed era lunga quasi due chilometri. Quante volte l'ho ripercorso quel sentiero, da allora a quando qualche anno dopo la guerra, si incominciò a tracciare la strada carrozzabile?
Paesino sperduto a pochi chilometri dal confine con la Svizzera, di non più di un centinaio di abitanti, senza illuminazione stradale, senza acqua che bisognava andare a prendere alla fontana con un recipiente a forma di cilindro, di legno, alto due metri che si doveva caricare sulle spalle. Per la nostra inesperienza, ci rovesciavamo sempre addosso buona parte dell'acqua in esso contenuta.
Era un paese senza radio, senza dottore, senza bar, senza ufficio postale, con pochi collegamenti coi paesi più importanti della valle, quasi sempre deserto, una specie di Tebaide di povere case disadorne, ma dove, alla sera, vedevi le stelle grandi così, perché le vedevi vicine a non più di mille metri, e vedevi la luna vagare sopra le montagne scortata da cento nuvolette gialle e grigie il verde dei prati e delle foglie degli alberi brillava alla luce viva del sole, e sentivi cadere l'acqua dei ruscello scroscianti, e sentivi la pace sospesa, invisibile ma viva, sopra la tua testa: una pace che ti confortava e ti obbligava ad essere felice.
E te rivedo, ridente e solatia, Dissimo cara,
piccolo nido d'antichi ricordi.
CULTURA ISTRUZIONE (2-5 )
M: Te set ti a dill: tutto quello che hai elencato è cultura, dal Cenacolo di Leonardo all'organo di Baggio alla sagra del Panettone. Ed è proprio per questo che Milano riesce a produrre e diffondere cultura a tutti i livelli.
C: Forse, però, minga tucc la pensen inscì. Hai citato il Cenacolo, ma mi risulta che sia l'unico sito di Milano ad essere stato iscritto nella lista UNESCO come Patrimonio dell'Umanità E tutto il resto? Il Duomo, la Scala...? Qualcuno li ritiene meno meritevoli della pizza...
M: L'UNESCO è una istituzione indubbiamente benemerita, ma come tutte le organizzazioni delle Nazioni Unite la tegn cunt pussee degli aspetti politici che delle realtà effettive, e Milano, si sa, politicamente non è mai stata molto... diciamo capace...
C: Per fortuna, però, gh'emm mai piangiuu sora. Anzi, abbiamo continuato a valorizzare praticamente tutti gli aspetti della cultura italiana, non solo di quella milanese. Penso al Touring Club, al FAI, alla Triennale, a manifestazioni e spettacoli che riempiono, numerosissimi, l'intero calendario di ogni anno.
M: Touring e FAI: uno attivo da oltre 120 anni, l'altro più giovane ma di grande attualità, nati entrambi a Milano grazie al dinamismo ed alla mentalità aperta e di larghe vedute di una borghesia illuminata, che unisce aspetti economici e culturali e l'è bonna de offrì debon un concetto concreto di milanesità. Basti pensare a come siano riusciti a diffondere in tutta Italia lo spirito di volontariato che consente di far fruire di tanti beni culturali altrimenti inaccessibili e che coinvolge sempre più persone, di ogni età e istruzione, uniti dal desiderio di conservare e valorizzare il nostro patrimonio.
C: Certo sono due istituzioni che ghe fann tanto onor, ma qualcuno dice che l'immagine di Milano che esportiamo sia basata su moda e design e shopping, che indubbiamente sono importanti, ma non esprimono la "vera" città. L'immagine più vera, dicono, è quella descritta da Testori, Jannacci, Gadda, Scerbanenco, Gaber, che quando ti e legget o ti e sentet, ghe fann sentì tanto milanes; e credo che lo facciano capire anche agli altri. Senza dimenticare che, almeno personalmente, lo stesso mi capita quando ascolto una certa aria di Verdi oppure vedo i quadri di Boccioni o sento cita- re I promessi sposi... Effettivamente, è tutta cultura che possiamo definire davvero milanese.
M: Hinn tanti i robb che fann cognoss Milan in de per tutt i canton, ma è sempre particolarmente difficile far conoscere le tante mirabili cose "nascoste" e, per questo, spesso sconosciute anche agli stessi milanesi, come i bellissimi cortili dei palazzi del centro. Ma hinn anca de meno quei che poden ammirà le collezioni che si trovano nelle case di tanti milanesi più o meno ricchi, che contribuiscono a dare lustro al nostro carattere di godere delle belle cose. Me vegnen in ment i tanti raccolt che hinn staa lassaa ai musei da privati cittadini che ne hanno goduto in vita, dalla Raccolta delle Stampe Bertarelli, alla casa dei coniugi Boschi. E a proposito del romanzo dei Promessi sposi, lassom dì che, allora a Milan, se parlava domà el dialett ed è stato proprio il Manzoni a rendere nazionale la parlata toscana anziché quella lombarda, peraltro obbiettivamente più ostica. Ma adesso che parliamo italiano, siamo criticati per come lo pronunciamo, con le nostre "e", "o" eccetera, e nei media i primi ad autocriticarsi sono proprio i milanesi, quasi che gh'abbien vergo del lor dialett.
C: Forse per questo in tutti i media si parla solo dal romanesco in giù... Mi ricordo di un Renzo Tramaglino con accento romano e la sua Lucia mica tanto distante... Ma tegnemel el noster accent, e semmen orgoglios! Anche perché è il modo forse più espressivo del nostro essere milanesi. Quanto ai patrimoni sconosciuti nelle case di molti collezionisti milanesi, restano spesso nascosti perché si teme che le istituzioni non siano in grado di valorizzarli rendendoli publici e neppure di conservarli cont almeno on po del spirit de quei che i hann miss insemma. Ma questo rafforza il concetto che la cultura produce ricchezza, se non altro perché l'è on patrimoni ch'el seguita a cress de valor.
       **************** fine giornata ************************
La lista degli argomenti della settimana 15
  1. andata e ritorno: - viaggio nel trapassato remoto (1-3)
  2. andata e ritorno: - viaggio nel trapassato remoto (2-3)
  3. andata e ritorno: - viaggio nel trapassato remoto (3-3)
  4. arcivescovado.
  5. busto arsizio - cap. 7 (3⁄5)
  6. busto arsizio - cap. 7 (4⁄5)
  7. cultura istruzione (1-5 )
  8. cultura istruzione (2-5 )
  9. da milano a pavia e certosa
  10. dal 1945 al 1960 (7⁄13)
  11. dal 1945 al 1960 (8⁄13)
  12. dal 1945 al 1960 (9⁄13)
  13. finiti al castello i guai del bel gastone
  14. gli edilìzi dell’esposizione.
  15. le fornaci con forno hoffmann (1-3)
  16. le fornaci con forno hoffmann (2-3)
  17. le fornaci con forno hoffmann (3-3)
  18. origine dell’esposizione.
  19. riflessioni su dio tra grigliate carnivore, vegetariane, vegane…
  20. storie, personaggi, luoghi di affori i due morosini (1⁄2)
  21. storie, personaggi, luoghi di affori i due morosini (2⁄2)
  22. travedona-monate -
Sommario
Le dirette
Pensiero della settimana