RVG settimana 14
 
Radio-video-giornale del Villaggio
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Settimana-14 del 2024
 
 
RVG-14 - da  - Radio-Fornace
 
Settimana 14       2024-04-01 -  Aprile - Calendario - la settimana
01/04 - 14-092 - Lunedi
02/04 - 14-093 - Martedi
03/04 - 14-094 - Mercoledi
04/04 - 14-095 - Giovedi
05/04 - 14-096 - Venerdi
06/04 - 14-097 - Sabato
07/04 - 14-098 - Domenica
 
01 Aprile 2024 - lunedi - sett. 14-092
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Busto Arsizio - Gli inizi del borgo cap. 2 (4/4)
Nello stesso modo e per le stesse ragioni avevano stabilito delle colonie, dopo aver fondato nuove sedi o restaurate quelle antiche.
Così leggiamo nel principio dei Commentari della Guerra Gallica che Giulio Cesare stabilì delle legioni nei pressi del villaggio Tigurino per impedire agli Elvezi nascosti nelle selve, di uscirne a depredare e a devatare. E spesso qua e là nel paese degli Insubri, e specialmente vicino al lago Verbano, si vedono iscrizioni che ricordano i soldati italici e principalmente quelli delle legioni Galarita, a e Galbiana, dalle quali forse derivano ai luoghi i nomi, cioè dalla legione Gallarita Gallarate, dalla Galbiana Galbiate. Per non dire di altri, nel paese di Morazzone presso Castiglione, si trovano due iscrizioni della legione Scitica scolpite su due pietre quadrate a lettere semicubitali, nelle quali si fa menzione della quarta legione che era opposta ai popoli Sciti.
Queste iscrizioni sono ricordate da Bonaventura da Castiglione nel suo libro "De Antiquis Gallorum In- subrum sedibus,, e a me sono notissime perchè, un tempo, essendo in quel paese in cura d'anime, feci chiesetta di trasportare fuori le due lapidi dalla S. Maria Maddalena e le feci collocare nell'atrio della chiesetta stessa.
Ecco le parole delle iscrizioni :
I VETERANI
DELLA LEGIONE IIII
A GIOVE
V.S.S.L. M.
 
L. SENZIO L. F.
O. V. F. NERONE
PORTABANDIERA DELLA LEGIONE IIII
SCYTICA QUI NATO QUI È POSTO
M. SENZIO
L.F.O.V.F
MACRO VETERANO
DELLA LEGIONE IIII SCYTIÇA VIVENTE FECE
Stando così le cose non sarà fuor di luogo asserire che i Romani restaurarono questo borgo, distrutto da Brenno, e lo munirono di un castello per stabilirvi una colonia. E lo dimostreremo fra poco.
Bonvesin de la Riva
L'immagine di una città felice, almeno per condizione economica, commerciale, industriale, la vede e la celebra, orgoglioso ed entusiasta, un suo cronista-scrittore che è nato e vive in Ripa Ticinese. "Per il clima e per le acque e per la bellezza e la fertilità della pianura non potrebbe Milano esser meglio situata: lo provano all'evidenza e il gran numero di vecchi decrepiti che vi si incontrano e, per grazia di Dio, il continuo aumento delle nascite, della popolazione e della prosperità". Questo dice, anno 1288, nel suo "De magnalibus urbis Mediolani" (Le meraviglie della città di Milano), Bonvesin de la Riva, frate dell'ordine degli Umiliati, maestro di grammatica, che scrive in latino e in dialetto lombardo. Afferma (ma sulla bontà dei suoi dati statistici non si può giurare) che la città conta 200 mila abitanti e questa sembra davvero una cifra eccessiva. Merita credito quando parla di 12.500 case, e in ogni "casa decente" c'è un pozzo, di 60 "coperti" o porticati, di 200 chiese e 120 campanili, di 14 conventi dove vivono più di diecimila religiosi.
Sono dieci gli ospedali e quello di S. Stefano in Brolo può accogliere oltre mille ammalati e ha un reparto pediatrico capace di "allevare" 350 neonati. Un ospedale specializzato è riservato ai lebbrosi. Come sia garantita l'assistenza sanitaria non sappiamo, visto che i medici sono soltanto 28; però esercitano 150 chirurghi "eccellenti e non si crede abbiano pari nelle altre città della Lombardia".
Nell'elenco dei professionisti, degli intellettuali, 1500 notai e 120 giureconsulti, membri di un celeberrimo collegio. In tempi di imperante analfabetismo, si segnalano 18 professori di grammatica, 14 insegnanti di canto ambrosiano e più di 70 maestri nelle scuole elementari, che sono private. Abbondano pane, carne e vino: in più di mille botteghe trovi ogni ben di Dio, fresca pescheria, gamberi di stagione, latticini; sono aperti 300 forni e 410 macellerie, dove ogni giorno si abbattono 70 buoi, per non parlare di maiali, pecore e montoni. Fiorente l'industria delle armi: più di cento pro- vetti artigiani modellano ed esportano corazze, elmi, scudi, spade. Qui finisce le descrizione della Milano felice tramandata da Bonvesin. Il quale volentieri sorvola invece sulle vicende politiche, perchè la bella immagine potrebbero inquinarla. Vi accenna a malincuore, seppure col furore tipico e disarmato dei letterati, e genericamente lamenta: "O città che sei l'ornamento mirabile del mondo, splendente di grazie multiformi, chi possono essere quelli che ardiscono turbare la tua pace, se non certi tuoi cittadini prepotenti? Guai a quelli che, sostenendo i partiti faziosi, stimolano e istigano i magnati empi a rovinare la città".
Finisce il XIII secolo, antica nobiltà feudale ed emergente borghesia si disputano il potere, tra cruente lotte intestine muore il Comune democratico e s'instaura la Signoria dei Visconti.
L'era vun de quej giust, chi a Milan: tant de latin e dialett nostran. Milladusent: un'era tant giuliva, i temp del Bonvesin, quell de la Riva. El tronava:
"O cittadin malnatt, a tirà di sass a 'stà città gh'avii de vergognass". Pover pattan. Pensà che al dì d'incoeu te caven la camisa e anca i biroeu (1). - (1) letteralmente, i bulloni delle scarpe, tipo quelle usate dai calciatori. Qui sta per "denti".
Pappa buona  - (31 marzo-1 aprile 1897)
Ci si narra un fatterello curioso. Un venditore ambulante di agrumi, a forza di girare per la città col suo carretto, era riuscito ad accumulare parecchie  migliaia di lire. Poco fidandosi delle Banche, e meno ancora della moglie, soleva nascondere le sue carte da 100 e da 1000 fra il fondo del cassettone e il più basso cassetto di quello; ed a forza di ammucchiare si era fatto un bel capitale... infruttifero. Ma ci fu chi pensò a farlo fruttare e godere. L'altro giorno, nell'aprire il suo nascondiglio, il nostro uomo ne vide scappar fuori un topolino. Insospettitosi, levò il cassetto... e trovò che sotto ad esso c'erano due magnifici nidi di topi, i quali, come altrettanti principi scialacquatori, s'erano mangiato un migliaio di lire al giorno. Del tesoro non restavano che pochi pezzetti di carta senza valore! Il disgraziato assicura che i suoi piccoli ospiti gli mangiarono in tal modo circa L. 60,000; ma, pur sapendo che il fatto è vero, su codesta somma noi siamo disposti a fare uno sconto.
El sanguinarj Quand l'è bel cott e serviì denter on piatt te el manget per conilij anch se l'è gatt!
Quando è bel cotto e servito dentro un piatto, te lo mangi per coniglio anche se è gatto!
Il detto era molto diffuso a Porta Ticinese e sembra sia stato coniato per quella gente schizzinosa che diffidava degli osti; in altre parole è un altro modo di dire che l'apparenza inganna.
       **************** fine giornata ************************
 
 
 
02 Aprile 2024 - martedi - sett. 14-093
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EL VA, EL VA EL BARCHETT (1- )
Da una carta datata 1777 si rileva come certi signori barcaioli di Boffalora, di nome Castiglioni l';uno e l';altro Compagni, richiedono il monopolio di trasportare gente.
Come si siano svolte le pratiche e come avesse proceduto l';iter, non lo sappiamo; però sappiamo che cinquant';anni dopo, tra il 1824/1825 si riscontra un vero e proprio servizio organizzato di trasporto passeggeri sui tratti Milano Gaggiano, Milano Abbiategrasso, Milano Boffalora.
E venne così il magico momento de:
"EL BARCHETT DE BOFFALORA";
Ona disperazion ninada da l';acqua del Navili
lòtt lòtt la se vesina,
la riva giò in contrada.
On mond de poverett che ha lassaa indree i marscid;
calcaa dent el barchett
speranz magon e scorlid.
Era questa una barca più piccola dei barconi che siamo abituati a vedere ed aveva anche una specie di abitacolo, sorta di cabina chiamata non si sa perché la ";Gambarana";.
Ottimo e benedetto riparo nelle giornate di pioggia, di vento, di neve.
Se questa cabina, certamente non divisa in classi, potesse parlare, racconterebbe storie vissute, vicende sofferte, sogni perduti.
Il tragitto in lenta corrente era così lungo e le ore necessarie tante: per l'intero percorso ne occorrevano qualche volta otto e qualche volta dieci.
I bambini venivano sollecitati
";a traa in pee el gioeugh de l'oca
........gh'è on ciel gris che el saa de fiocca";.
Gli adulti si arrangiavano ad ammazzare il tempo con distrazioni varie. Era gente disperata o quasi; veniva dai paesi non solo rivieraschi, ma anche dall'interno della bassa: Albairate, Vermezzo, Zelo Surrigone, S.Vito di Gaggiano e cascine varie.
E LA VEGNEVA GIO' DA CASTELLETT ONA BANDINA AL COLL E DO'ZIBRETT
na biella 'na basletta
on materazz e la zietta; la sola compagnia
de dì e de nòtt.
L'iutava a pagà 'l fitt e a impienì el baslott
vendend pattinn
faa su coi bocconitt,
cavaa dal sacch di strasc
di nost sartinn.
Scendeva in città con quattro stracci avvolti nella ";bandina";, un largo panno che si annodava al centro e si portava a tracolla, poche stoviglie, qualche masserizia
"Trii piatt 'na fiammenghinna
quatter tovajoeu.........
COM'ERA IL MIO PAESE (1930 CIRCA) - (2/3)
Nel cavo l'acqua restava anche per settimane e se l'estate era piovosa, non scompariva del tutto, per la felicità delle legioni di rospi di cui, verso sera e nelle notti di luna, si sentivano i monotoni interminabili gracidii. Nel burrone, pieno d'acqua per un recente temporale, per poco non persero la vita per annegamento 'l Luigi Bartulen e 'l Nino Milani. Vollero attraversare il laghetto sulla marnetta del pane che era tutta fessure e che, appena ammarata, si riempi d'acqua inabissandosi.
Solo la prontezza, l'ardimento e la capacità natatoria di due compagni presenti come spettatori li trassero in salvo, trascinandoli a riva. Provammo tutti un grandissimo spavento. I due malcapitati, tremanti di freddo per il terrore provato, ci fecero anche scoppiare dalle risa perché erano totalmente ricoperti di verde muschio acquatico, dando l'impressione di somigliare a rospi giganteschi.
Una carreggiata tutta cosparsa di sassi e ricoperta di buche portava in fondo al buzòn. Era la via al Calvario dei cavalli. Era la via tormentata e quasi impraticabile sulla quale veniva "saggiata" la forza degli animali da acquistare, la loro resistenza alla fatica, la loro potenza. Il cavallo veniva aggiogato ad un carretto pieno di sacchi di patate o di granoturco o carico di sassi e dal fondo il carrettiere lo incitava verso l'alto, verso la strada. Se sosteneva bene la prima prova, si sottoponeva subito il cavallo, senza lasciare che si riposasse più di un minuto, alla seconda prova ben più impegnativa. Doveva ancora risalire dal fondo fin sulla strada con lo stesso carico, ma con una stanga tra le ruote. Se vinceva anche questa difficile prova, il cavallo veniva acquistato ad occhi chiusi, senza tirare di un solo centesimo sul prezzo richiesto.
Ogni mese noi ragazzi disputavamo come gara di corsa il periplo del nostro paese: posti focali, perché lì c'erano i commissari di corsa a controllare il passaggio: la pesa e la rèsiga. La rèsiga (la segheria Introini) aveva l'entrata in principio di via Adua, venendo da Verghera, a sinistra. Per l'entrata apparteneva a Samarate, ma il lato ovest, che confinava con via Monte Rosa, il lato sud e il lato est appartenevano a Verghera, perché i terreni e il cortile dei Mazett erano di Verghera. Era una segheria trafficata, dove c'era un continuo via vai di carri carichi di tronchi in arrivo e di carri carichi di assi da costruzione, assi da ponte e assi di tutte le larghezze e lunghezze in partenza. Ricordo ancora l'ingegnere Paolo Introini, mutilato dalla Grande Guerra, amico di mio padre, morto come avverrà qualche tempo dopo per suo fratello, durante un mitragliamento aereo alleato nel 1944.
La via dall'Eden - (9-10 ottobre 1897)
Chi esce dall'Eden, e in generale chi esce dai teatri, dalle chiese, dalle tranvie, specialmente in giorni di gran folla, tenga aperti gli occhi e chiuso il vestito se vuole difendersi dai ladri. Ieri sera all'Eden, finito il solito spettacolo, mentre la gente s'accalcava sulla porta d'uscita, un giovinotto, dato un magistrale spintone ad un signore che stava infilando un soprabito, gli fece cadere a terra il portafogli, lo raccolse, lo intascò, e con tutta calma si allontanò. Il derubato non s'accorse di nulla, e chi s'accorse tacque per non aver fastidi.
Chi se troeuva semper in [stat debitori el paga quand pissa el [cavall del Missori.
Chi si trova sempre in [condizione debitoria paga quando fa la pipì il cavallo [di Missori.
La statua equestre del colonnello Missori si trova nella piazza omonima, lontana dal Monte dei pegni o Monte di pietà; forse il detto milanese si limita ad affermare che quel cavallo farà la pipì soltanto quando certa gente onorerà i suoi debiti; sembra però che il detto sia stato coniato da un agente di cambio che esercitava l'usura nella vicina via Unione, attorno agli anni '30.
 
 
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03 Aprile 2024 - mercoledi - sett. 14-094
redigio.it/rvg101/rvg-14-094.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
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AL BAR E A TAVOLA SENZA RIMÒRS SE TE SCERNISSET ON PRODOTT  RIPULITO
«Camerer on cappuccino decafeinaa e senza s'ciuma per ch'el scior chì...».
In d'on bar qualsesia. In d'ona mattina come tutt'i alter. Tanta gent al bancon: l'è el moment de la prima svèlta colazion, prima de andà in offizzi. I ordinazion hinn i pussee divèrs: cappuccini cald, teved, ciar, cafè longh, curt, senza cafeina, american, maggiaa cald, maggiaa frègg, biccer de latt, tè al latt, tè cont el limon, ò senza nient. Ghe n'è per tutt'i gust, però la richiesta d'on cappuccino senza cafeina, senza s'ciuma (e magari anca senza zuccher) la par la negazion stèssa del  cappuccino  ò del sò significaa universal (dòpo  pizza  e  spaghetti , cappuccino l'è la paròla italiana pussee conossuda e utilizzada al mond).
Ma gh'è minga de meravigliass. I negòzzi, i supermercaa, i scaffai, i frigorifer e i cardenz hinn pien de  autonegazion . Gh'è el latt senza el lattòsio, el cafè senza la cafeina, el tè senza la teina, la birra senza l'alcol, la Còca Còla e i biscott senza 'l zuccher. Gh'è fina el butter con pòcch grass, perchè fall pròppi senza l'è impossibil. Ghe n'è on badalucch e vègnen venduu e consumaa in abbondanza.
Perchè? La rispòsta l'è molto sempliz; per motiv de salut, ò de diètta. Insòma per podè sentiss mèj, pussee in forma, pussee soddisfaa de sè stèss. Ma soratutt per ridù al minim el sens de rinonzia, de sacrifizzi.
Ona volta chi doveva stà a diètta per motiv d'estetica ò de salut el gh'aveva nò scamp: la rinonzia la doveva vèss decisa e total. Tròpp zuccher? Minga de dòlci, de bibit. E bisognava stà attent a la pasta e al El colesteròlo l'è alt? Nient condiment e nient formagg. Se gh'ha on sens de agitazion, de ansia senza motiv? Se dev rinonzià al cafè, al tè e a la Còca Còla che la gh'ha denter la cafeina e l'è come bev on cafè esprèss.
L'era verament dura. Settass giò al taol ò andà denter in d'on bar l'era ona sofferenza: chesschì nò, chellà nò e i amis che te tentaven con di invid con l'aria innocenta: «Ma dai, 'ste voeuret che la sia ona briosc...».
«Su dai! Per ona vòlta... poeu doman te recuperet!».
L'è pussee che facil fass tentà, gòd per on moment de la meravigliosa tentazion. E poeu finì cont el tormentass cont i rimòrs, dai sens de colpa.
Adèss tutt l'è pussee facil. L'è assee doprà prodòtt  dietetich   disinnescati , nètt come se fudessen tanti sit piscinitt  denuclearizzaa  (in doe però el nuclear el gh'è mai staa). Fantastich invenzion che te permetten de minga rinoncià al piasè del  contegnidor  ma te devet però eliminà quèll che gh'è denter che l'è pericolos. Se sa che di vòlt gust l'è nò pròppi l'istèss ma bisogna contentass. Perchè in fond - e quèst l'è forsi l'element principal de tutta la faccenda - la ròba pussee importanta l'è de salvà i abitu- din: on cafè a metà mattina, ona birra cont i amis, ona Còca denanz a la television, on cafèlatt senza  lattòsio  ma con tanti biscott senza zuccher.
El piasè de la  non rinuncia , la soddisfazion de sentiss come i alter ò almen minga tròpp divèrs. La tranquilli- tà de nò dovè pèrd i abitudin ch'hinn la nòstra vita de semper.
Tuscòss l'è pussee facil certament. Ma cont on doppi ris'c: la tròppa  fiducia  e l'effett  alibi . D'ona part vèss sicur che l'è davéra assee cattà foeura i prodòtt  disinnescati  per podè ottegnì i stèss effètt d'ona vera e dolorosa diètta. De l'altra part la meravigliosa sensazion de vèss in pas con sè stèss, d'avè rispettaa i prescizion del dottor ò del dietologh e de podè poeu descadenass in pacciad per compensà tusscòss e bon de cancellà in d'on soll colp mes de rinonzi sconduu e de prodòtt  denuclearizzati .
COM'ERA IL MIO PAESE (1930 CIRCA) - (3/3)
Dietro il lato sud della chiesetta si S. Bernardo, che era dotata di un bell'altare ligneo, e che, durante la prima guerra mondiale e poco dopo, aveva dato ricovero ai prigionieri slovacchi, come mi raccontava un mio zio paterno, c'era il vecchio cimitero anch'esso scomparso come la chiesetta, e la "muntagnèta", uno spiazzo leggermente rialzato, erboso, di un centinaio di metri quadrati: dove si giocava al pallone, ai ladri e ai carabinieri, a palla avvelenata, a nasconderci. Lì si portavano al pascolo le oche, le pecore e le capre, perché la ricopriva un verde mantello di tenera erba.
Durante le vacanze estive, tutti i pomeriggi non festivi, portavo al pascolo, sulla muntagnèta, le mie oche, un libro sotto il braccio, in una mano un bastone, e nell'altra il secchiello dell'acqua per abbeverare le mai sazie bevitrici.
Le oche, come arrivavano al pascolo, ricco di trifoglio tenerissimo, si sgranchivano prima con svolazzi, scatti e brevi corse, poi davano inizio al banchetto con aria solenne e distaccata.
Io che ne ho sempre avuto la mania, mi immergevo nella lettura e ben presto dimenticavo la ragione per cui mi trovavo in quel luogo: dimenticavo di essere un guardiano di oche, dimenticavo il mondo intero e perfino le oche. Le quali oche, comprendendo molto bene lo stato d'animo del loro pastore, (non sono per niente stupide, le oche) non appena si sentivano sazie, e dopo essersi sedute per un breve riposino, prendevano noia del luogo e provavano nostalgia del recinto di casa. Senza far schiamazzi per non disturbare il guardiano assorto nella lettura, in fila indiana, nella disciplina più perfetta, se ne tornavano a casa. Non c'era pericolo che sbagliassero cortile o dessero luogo a inconvenienti di traffico, da quelle bestiole intelligenti che erano, guidate dal capogruppo, che, com'era giusto, si dava un po' di arie.
Quando, dopo un bel po' di tempo, mi risvegliavo e ritoccavo terra, le oche non c'erano più. Le prime volte mi spaventai: partivo di corsa alla loro ricerca.
Ma per strada, i paesani, che già sapevano cos'era accaduto, sorridevano divertiti, e forse consideravano un po' matto e presagivano niente di buono per quel guardiano di oche che si lasciava abbindolare dalle fantasie dei libri.
Quand'ero appena nato (nel 27) venne a Verghera il parroco nuovo (Don Tancredi) in sostituzione di Don Luigi Brambilla che era stato parroco per più di cinquant'anni. La provincia di Varese fu istituita con decreto del 2 Gennaio 1927 togliendo una parte del territorio a quella di Como (zona di Varese) e una parte a quella di Milano, alla quale, con la denominazione di Alto Milanese, faceva parte anche il nostro territorio.
Pressappoco in quegli anni venne asfaltata la provinciale (la stràa nòa). Era proprio una meraviglia correrci sopra a piedi scalzi, liscia com'era, senza spine o pezzetti di vetro. Era bello percorrerla anche quando il solleone la surriscaldava fin quasi a scioglierne l'asfalto che noi chiamavamo gudròn, alla francese.
 
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04 Aprile 2024 - giovedi - sett. 14-095
redigio.it/rvg101/rvg-14-095.mp3 - Te la racconto io la giornata
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TRAVEDONA-MONATE -
23) Dursena: è difficile leggere nel toponimo un composto con dur "duro". Forse il termine può essere ricondotto alla voce "darsena" che è il luogo o la costruzione, nei pressi del lago, dove si ricoverano le barche (è ipotizzabile un semplice errore di scrittura sulla carta di riferimento). La località è in territorio di Monate sulla sponda nord del Lago di Monate.
24) Faraona: la più estesa frazione all'interno del comune di Travedona-Monate. È situata ad sud est del paese e della località Funtanevive. Questa frazione è composta a sua volta da due località, Cascine e Selvasce. Agli inizi del Novecento fu inglobata nel limitrofo comune di Biandronno e passò poi al comune attuale per volontà popolare.
L'interpretazione del toponimo è incerta e si potrebbe far risalire alla voce longobarda fara che copriva un'ampia area semantica "dell'appartenenza ad una casa o ad una famiglia". Il termine longobardo lo ritroviamo spesso identico nei toponimi italiani accompagnato, in molti casi, da uno specifico (cfr. Fara Olivana -BG-, Fara Gera d'Adda -BG-)167. Di solito la voce fara la troviamo designare entità abitative più ampie ma in rari casi abbiamo attestazioni di questo nome anche per frazioni o località più piccole (cfr. via fara a Gallarate -VA-168). Conosciamo pochissimi toponimi che presentano derivazioni dalla voce originaria (cfr. Farella località di Aquileia -UD-) e nessun caso, oltre a questo, in cui si può riscontrare la presenza di un accrescitivo come-one/-ona.
25) Fontanili: in dialetto Funtàn. Zona pianeggiante sulla costa del Lago di Monate che ospita una ricca fonte da cui tutt'oggi gli abianti di Travedona e Monate si riforniscono.(v. Comabbio n. 15).
26) Formighera: la voce dialettale è Furmighére (v. Osmate n. 8). Terreno molto appartato a ovest del Muncüch e che si apre ad ovest nel Arbur düre lüne (cfr. Formigara -CR-)169
27) Fornaci: dai locali noto come Furnàs. Si trovano a piedi del Mont e sono sorte in questa zona un tempo per sfruttare la risorsa delle cave.
28) Furnasèt: fornaci più piccole rispetto alle precedenti che sorgevano nei pressi del centro del paese. Ora non sono più esistenti ma la zona è nota ancora con questo nome.
29) Gaté: toponimo registrato solamente nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860. L'area oggi non è localizzata (v. Mercallo n. 19).
Dal 1945 al 1960 (6/13)
'Sto crèss de la città, comunque, l'ha minga riguardàa domà i milanes, ma tanta gent che l'è vegnuda chi a trovà fortuna, sora tutt de la bassa Italia, che chi i emm ciamàa, ma senza offesa, perché l'era assée che gh'avarissen voeuia de lavorà che quasi subit diventaven milanes anca lor. Compagn de quella po- vera gent che nel '50 (cinquanta) l'è rivada dal Polesine, dove l'ha perduu tuscoss cont la terribil alluvion del Pò, e che l'ha trovà a Milan la soa noeuva cà. In 'sti ann gh'è vegnuu a Milan quasi mezz milion de immigràa, e naturalment gh'era el problèma di allogg. Vegniven su di quartier che ie ciamaven "corea" dal nòmm de la noeuva guèrra che l'era giamò s'ciupada tra quei che fina a on para d'ann prima eren alleàa, occidentai e comunisti, cont cà pussée o meno regolar, in mèzz ai baracch o a di borghett che diventen di grupp de cà provvisori, anca senza ser vizi, che poeu sarann sostituìi dai casermon e dai cà popolar tirà su in ona quai manéra.
C: Var semper el detto che a Milan te domanden nò de dove te vègnet, ma se te se bon de fa. E inscì semm ai ann '50 (cin quanta), quei che forse hinn stàa i ann pussée milanes del dopo guèrra, che mis'ciaven operari e gent che vegniva de la campagna e cominciaven a dagh i connotati de città che la voreva vèss semper davanti a tucc e in tusscoss. E anca la gent la cominciava debon a viv mei. O almeno mì inscì me ricordi de quei ann.
La Rotonda della Besana (fondazione 1692) -  via Besana 12
L'edificio, che si chiamava in origine San Michele dei nuovi Sepolcri, era il foppone dell'ospedale Maggiore, costruito per dare sepoltura ai morti della Cà Granda. L'elegante struttura porticata e la chiesa sono di poco successive. Il nome attuale lo deve al nome della via, Enrico Besana, garibaldino.
Fino al 1782, nelle 80 cripte, arrivarono a stiparsi 150000 cadaveri. Le salme erano dei malati poveri, mentre quelli ricchi venivano sepolti nelle chiese. Scriveva il contemporaneo Serviliano Latuada nella sua Descrizione di Milano: "... e due bocche per ogni sepolcro, in cui si disciolgono i cadaveri più facilmente, e si tiene il regolamento di mutare ogni sera in giro la seppoltura, ondi si scansi l'esalazione dell'odore fetente, e si dia comodo tempo a consumare con maggiore facilità quegli esanimi corpi". Nella cripta sotto la chiesa trovarono una collocazione provvisoria le spoglie dei 324 Milanesi caduti durante le Cinque Giornate, poi traslate nel 1894 nel sacrario situato sotto il monumento celebrativo dell'insurrezione, capolavoro dello scultore Giuseppe Grandi, dove era Porta Tosa (oggi piazza Cinque Giornate). La Rotonda venne poi trasformata in ospedale per malati contagiosi, arrivando ad accoglierne 5000 durante l'epidemia di vaiolo del 1870.
Successivamente, fino al 1940, fu utilizzata come lavanderia del vicino Ospedale. Dopo un lungo periodo d'abbandono, dal 2014 la Rotonda della Besana ospita il Museo dei Bambini (Muba) e il giardino è stato trasformato in parco pubblico.
E' guarito il glicine dai sinuosi tentacoli
Nella città disastrata siamo condannati a camminare a testa bassa. Non per un, del resto inesistente, senso di colpa, non per la vergogna di una cattiva azione mai commessa, semplicemente per autodifesa. Per non precipitare negli infiniti trabocchetti disseminati lungo i dissestati marciapiedi e le strade.
Così, marciando a capo chino, passiamo senza vedere niente accanto a cose che pure meriterebbero un briciolo di attenzione, un'occhiata curiosa: potrebbe essere il fregio di un palazzo, il particolare di un monumento, lo spruzzo di una delle rare fontane, l'angolo di un giardino o di un cortile, un albero dall'aspetto singolare. Potrebbe essere un albero. Nel nostro caso, è un glicine. I botanici insegnano che si tratta di una pianta dicotiledone, della famiglia delle papilionacee, scientificamente battezzata "Wistaria sinensis" o anche "Kraunhia floribunda" e che è originaria della Cina. Chiusa la parentesi dotta, andiamo ad ammirare quel glicine davvero speciale che ha messo radici, più di cento anni fa, in via Marco De Marchi e ha infilato i suoi rami contorti nel piccolo giardino che si apre alle spalle della chiesa cristiana protestante di rito evangelico luterano. Il nostro glicine nasce da due robusti ceppi, l'aspetto è di nera cartapesta, che bucano il marciapiede e sono protetti da un basso recinto di barre di ferro. Dai ceppi si sviluppa un groviglio di grossi rami talmente contorti e ondulati da suggerire il paragone con i robusti tentacoli di un polipo gigante.
Questi vigorosi rami-tentacoli hanno preso d'assalto le tre finestre del muro di cinta, vanamente protette da grate di legno: il glicine ha forzato ogni resistenza ed è penetrato prepotentemente nel piccolo giardino, dove si è allungato strisciando sinuoso come un serpente e poi si è moltiplicato attraverso una ragnatela di più sottili ramoscelli finchè ha raggiunto e si è impadronito di un pergolato.
Per essere di città, il glicine di via De Marchi ha raggiunto un'età venerabile, dovrebbe avere circa gli anni della chiesa, inaugurata il 18 dicembre 1864. Ha attraversato momenti di crisi, è stato malato, nel 1981 fu chiamato dalla Svizzera un illustre botanico che lo rimise in salute con una energica cura ricostituente. Il pericolo peggiore era però riuscito a superarlo nel 1938 quando il nuovo piano regolatore, che prevedeva il prolungamento della via, ne aveva decretato la scomparsa. Fu invece risparmiato: gli ambientalisti esistevano anche allora e sapevano imporsi.
Oh gent, pensee al miracol! 'Na veggia glicine potenta ben franca in di tentacol, i ann hinn squas centtrenta, la viv anmò:
l'è lì, l'hann propi nò strappada anca coi lavorà per strada.
In via De Marchi, 'rent dò vii a la granda: voeuna ghe staa la pola che comanda e l'altra del poetta meneghin
che tucc el sann, el Porta scior Carlin.
 
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05 Aprile 2024 - venerdi - sett. 14-096
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EL VA, EL VA EL BARCHETT (2- )
Approdava e sbarcava al quartiere della Ripa o Riva, in cerca di un lavoro che fosse un po' meno da fame di quello che aveva lasciato nelle campagne. Purtroppo molti venivano aggrediti dalla tisi e destinati quindi alla consun zione: si spegneranno come il mozzicone di una candela, come ";on moccolott";. Però, sul ";barchett"; viaggiavano anche passeggeri non così affranti e sconsolati. C'eran quelli che scendevan nei dì dei grandi mercati, ed altri che venivan apposta per visitare la città, e lì ci stavano l'intera giornata ubriacandosi di progresso. Dopo la notte passata a bordo per risparmiare i soldi della locanda, ritornavano al paese: la sera sull'aia o nelle stalle, raccontavano le meraviglie viste. Gli altri ascoltavano e, la fantasia galoppava.
Gli ";altri"; erano quelli che non avevano il tempo per queste novità, ma soprattutto non possedevano la lira: per lira s'intende ";una lira";, il prezzo d'ingresso per accedere all'Esposizione Mondiale del 1906.
A cadenzare tale processione, come dice una nenia
"I dolor je cascen via
tra i fiasch in sto calvari
el lumm d'on osteria
l'è mej d'on santuari";.
badava un uomo, uno strano irripetibile ed insostituibile personaggio. Accompagnandosi con la ";vioeula";, la chitarra intonata allo sciabordio delle acque, cantava la storia di Adua, della disfatta di Dogali, della ribellione al potere centrale, causa del delitto di Piazza Vetra nel 1914.
Il tredici di agosto
in una notte scura
commisero un delitto
gli agenti di questura. Hanno ammazzato un angelo
di nome era Rosetta;
era di Piazza Vetra
battea la Colonnetta.
Chi ha ucciso la Rosetta
non è della ";ligera";;
viene dal meridione,
é della mano nera
Quando la nostalgia era ancor più struggente, narrava di piccoli fatti di uomini e donne viventi, o veramente esistiti: li incontreremo nel nostro breve, ideale viaggio.
Il suo nome balzellante al ritmo delle filastrocche, era come il batter preciso acuto e solenne di un martello sovra una stonata tastiera: ";TOROTOTELA";.
L'attività del ";barchett"; durò per decenni.
Le prime nubi sul suo inevitabile tramonto già si addensarono con l'entrata in funzione della prima tranvia a cavalli fino dal 29 maggio 1894.
E' d'obbligo ed interessante prima di procedere, inserire questa autentica annotazione.
GILDO GAMÈLA
Si chiamava Gildo, era di statura alta e smilzo di costituzione. Nome avvolto nella leggenda. Leggenda per un nome che è restato famoso nella storia civile di Verghera, soprattutto fino agli anni quaranta. Me ne parlava spesso mio padre quando, nelle fredde notti invernali, libero da impegni, si discorreva seduti davanti al fuoco acceso nel camino. Raccontavano le "storie" anche le donne del cortile, quando sul principio dell'autunno, sotto le stelle fredde della sera umida e fresca, si "spannocchiava", presente la comunità della corte al completo, il granoturco colto in quella stessa giornata. Era nato poco dopo il novanta (forse nel novantacinque) a Verghera, dove aveva fratelli. Non si conosce il motivo per cui intraprese la carriera del fuorilegge. Non risulta che abbia ucciso qualcuno. Era il capo riconosciuto di una banda di malviventi taglieggiatori, ladri di strada e di bestiame. Aspettava sulla strada, nascosto, i malcapitati da derubare che spiava di persona, facendo intervenire, al momento giusto, i compagni nascosti in luogo sicuro richiamandoli con un fischio speciale. Si racconta che i contadini facevano la guardia, armati di fucile, agli animali della loro stalla. Il Gamèla si nascondeva di giorno nella mangiatoia sotto il fieno e quando sentiva il contadino russare, gli toglieva dalle mani il fucile e così armato, slegava il vitello o la mucca o il cavallo o l'asino e lo spingeva fuori dalla stalla, tenendo sotto la minaccia dell'arma spianata il malcapitato contadino che, tremante di paura, aveva tutto l'interesse a far finta di niente.
Era costantemente ricercato dai carabinieri che arrivavano sul "posto", quando il Gamèla, a sua volta avvertito da "soffiate" inspiegabili, se l'era già svignata.
Aveva protetto la sua casa con buche, fili di ferro, corde tese contro le quali i carabinieri perdevano testa e tempo, dando modo al ricercato di scomparire senza lasciare tracce.
Una sera oscura e tempestosa, durant della legge, scappando sui tetti scivolosi delle case di una via intera. Ma alla fine fu arrestato dai carabinieri, che in quell'occasione ebbero maggiore fortuna rispetto alle altre volte, riuscendo anche a ferirlo al ventre. Fu catturato, portato sotto scorta all'ospedale. La porta della sua camera fu posta sotto continua vigilanza armata. Ma il Gamèla, che ne sapeva e ne faceva sempre una più del diavolo, riuscì a scappare saltando dalla finestra, dicono con la ferita tamponata da una mano. Alcune cronache verbali narrano che fu ucciso nella "camàna" di campagna della fidanzata, tradito da un conoscente. L'amica era di Samarate e il capanno, che serviva da deposito dei frutti della terra e di arnesi agricoli, era in località Giambrèa. Altre cronache danno versioni diverse.
Non aveva mai torto un capello, ne' rubato un filo d'erba ad un compaesano.
 
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06 Aprile 2024 - sabato - sett. 14-097
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Busto Arsizio - cap. 7 (2/5)
<< Nella certezza che codesta Lodevole Deputazione Comunale vorrà farne calcolo dei miei sentimenti di filantropia, della quale ne diedi tante prove in tempi già difficili e pericolosi, mi sottoscrivo l'umilissimo dottor fisico Angelo Lualdi ».
Più prudente il dott. Custodi, che il 17 giugno scrive: « abbisognando il sottoscritto di intraprendere una cura di bagni a vapore per motivo di salute, prega questa Rispettabile Deputazione a volergli accordare una quindicina di giorni circa per intraprendere tale cura, essendo anche la stagione più opportuna.
< Siccome il Municipio di Milano fa appello anche ai Medici Chirurghi forensi per l'assistenza dei feriti così il sottoscritto (quando questa Deputazione glielo permetta) potrebbe nel medesimo tempo attendere tan- to alla cura di questi, quanto alla propria ».
Più focoso ed entusiasta il dott. Pavesi; « attesa la grande affluenza dei militari feriti, raccolti nella Città di Milano in seguito alle grandiose battaglie specialmente di Magenta e di Melegnano, ed in vista anche della eventualità d'aumento di tali feriti per altre fazioni campali che andranno a succedere, il sottoscritto in seguito al lamentato diffetto di personale sanitario, ed allo scopo anche di essere in qualche modo giovevole alla Santa Causa Italiana, prega questa Egregia Deputazione Comunale a volergli accordare un permesso di assenza onde recarsi a quella qualunque destinazione che gli potrà essere indicata dalla apposita Commissione Sanitaria Militare.
<< Il sottoscritto poi trova opportuno di ricordare come egli già altre volte si sia prestato al Servizio Militare nell'esercito Italiano. Nel 1848 egli fu addetto al Quartier Generale Principale di S. M. Sarda, come dal- l'unita dichiarazione del Medico in Capo d'allora S. Cav. Bonino; e prestò servizio negli spedali di Peschiera, Volta, Valeggio, Monzambano, Bozzolo etc. ove le mosse del Quartier Generale lo richiedevano; e nel 1849 fu addetto al corpo dei Cavalleggieri Lombardi come dall'unito attestato del Comandante di quella Brigata, al quale attestato sta pure unita la lettera di dimissione del Ministero di Guerra.
<< Ciò solo egli rende noto a codesta Perlodata Deputazione Comunale onde far conoscere con quale intimo desiderio egli ambirebbe di poter essere nuovamente di profitto a chi eroicamente espone la sua vita a prò del- la patria. Busto Arsizio 18 giugno 1859. Dottor Giovanni Pavesi, med. chir. condotto ».
La Deputazione fissò tre turni iniziali di un mese l'uno e si affidò alla sorte. Toccò per il primo mese al dott. Custodi, per il secondo ed il terzo ai dottori Pavesi e Lualdi che, « destinati dalla sorte a rimanere in Paese si sono spontaneamente e volonterosamente offerti a supplire con tutto lo zelo il quartiere destinato al me- dico assente ».
Dopo un mese però, cessate le esigenze staordinarie, i medici foresi vengono dimessi e il dott. Custodi avvi- sa la Deputazione che rientra in sede « per riassumere le mie ordinarie mansioni presso codesto Borgo ». (Avrà fatto anche la cura di bagni a vapore?).
Il 25 aprile 1860 i tre medici condotti di Busto erano pagati con la somma di L. 1123.40 annue, a cui andavano aggiunte L. 155.55 per il servizio che essi prestavano, a turno di un mese, per i poveri del comune di Sacconago.
« ...al generale lamento di troppo tenue retribuzione dei medici condotti venne già in moltissime località provveduto con aumento di stipendio meglio pro porzionato al quantitativo della popolazione ed all'estensione del territorio; e tali provvidenze, se vennero sentite necessarie ed effettuate in località di poca importanza, ove anche gli impegni sociali non esigono grave dispendio per il medico condotto, non vorranno certo essere disconosciute in una cospicua borgata come Busto Arsizio, delle cui vistose risorse economico-finanziarie non è qui il caso di fare l'enumerazione... » : così scrivevano i tre medici << alla Esimia Giunta Municipale » che esaminata la situazione, disdettò l'accordo con Sacconago e propose, con l'aumento dello stipendio a 1400 lire, e cioè alla cifra originaria del 1849, una nuova si- stemazione delle condotte, tenuto conto che dal 1853 Busto si onorava di un Pio Istituto Ospitaliero, approvato e lodato anche dall'Imperial-Regio Luogotenente Bürger con « convenienti espressioni di encomio e di incoraggiamento ».
Quella guglia onora il mercante di schiave
I denigratori di professione, gli invidiosi, osavano sussurrare che "quello li" la sua ricchezza se l'era costruita con criminale disinvoltura, in spregio a ogni legge umana e divina, esercitando, sotto il paravento di un'onesta attività mercantile, il lucroso commercio degli schiavi; per essere precisi, la tratta delle bianche. Mercante era comunque davvero Marco Carelli, nato milanese sotto il ducato dei Visconti (siamo nel 1300 e rotti) ma poi emigrato a Venezia, dove aveva aperto portego e fondego, casa e bottega. Negli affari era certamente abile e altrettanto fortunato. Sotto la tutela della Serenisssima Repubblica, era riuscito ad allargare i propri interessi fino a raggiungere i mercati più importanti: aveva spedito corrispondenti e creato filiali nel centro e nel nord d'Europa e in Oriente. Trattava generalmente tessuti e spezie; stando alle voci maligne, gli introiti più consistenti li avrebbe tuttavia ricavati vendendo ai potentati arabi ragazze bianche.
Soltanto calunnie? La verità non s'è mai saputa, documenti non esistono o, se c'erano, non sono arrivati fino a noi. Ma quando Marco Carelli, un anno prima di morire (a Venezia nel 1394) dettò il suo testamento, le solite malelingue avevano parlato di crisi di coscienza. Perché il munifico mercante non soltanto aveva destinato un congruo lascito per dotare le fanciulle povere, ma, soprattutto (da buon emigrante patito di nostalgia per la città natale), aveva donato l'ingente suo patrimonio alla Fabbrica del Duomo: un gruzzolo di 35 mila scudi d'oro, un valore oggi valutabile in parecchi miliardi.
Soldi benedetti, chiudendo gli occhi sulla loro forse non limpida provenienza, piovuti al momento più opportuno nelle esauste casse della Veneranda Fabbrica: le spese per la costruzione del Duomo erano enormemente aumentate (si era perfino temuto la minaccia di una sospensione dei lavori) nonostante il contributo quotidiano di offerte.
Di fronte a un dono tanto generoso quanto inatteso, i responsabili della Fabbrica non erano rimasti insensibili: un atto di riconoscenza, sia pure alla memoria, era più che doveroso. E avevano disposto due provvedimenti: la dedica a Marco Carelli della prima guglia eretta sul Duomo (tra il 1400 e il 1404 e in cima alla quale, sempre nel 1404, era stata collocata la statua, commissionata da Giorgio Solari, raffigurante in sembianza di San Giorgio) il duca Gian Galeazzo Visconti al cui nome è legato l'inizio della nostra cattedrale (l'originale si trova al Museo del Duomo, sulla guglia c'è la copia).
E, secondo ma ancora più significativo omaggio al mercante Carelli, la sua arca funebre, eretta nella quarta campata della navata esterna destra, sem pre in Duomo. Sarcofago disegnato (1406) dall'architetto modenese Filippino degli Organi, mentre le statue che lo adornano sono di Jacopino da Tradate. A quei tempi, tanto si poteva ottenere donando alla chiesa 35 mila scudi d'oro.
(1) a chi fiutava l'eredità.
Cuntà 'sta storia gh'è tant de brutt e bell che, 'penna vuu el sentor de tirà i calzett el g'ha piantà 'n del goeubb 'sto scior Carell a chi usmava el palpee on gram dispett.
Mi voeuri spend 'na seggia de palanch per vess ben regordaa come on grand omm, mi voeuri senza rogn nè puu nè manch la prima guglia de piazzà in sul Domm.
Me la faa su i danee, disem, se saa: vendend tosann per ben al scior Pascià.
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07 Aprile 2024 - domenica - sett. 14-098
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TRAVEDONA-MONATE -
30) Geréte: piccola area a sud di Travedona che si affaccia sul Lago di Monate. Il nome riprende la voce dialettale gèra "ghiaia" ed è un toponimo frequente per designare aree in riva a fiumi o laghi che sono caratterizzati da ghiaia e laterizi (cfr. Gera -CO-, Cascina Gerola -80-). Il suffisso forse rimanda ad un di collettivo anche se non abbiamo altre attestazioni dell'utilizzo di questo suffisso con questa particolare voce dialettale
30) Giardinette: il nome presente sulle carte è di tradizione seria La località è nota da locali come Rucars in italiano traducibile come "luogo del rovi". In dialetto infanti novo è denominator". E una piccola area a nord del centro del paese che un tempe or contornata da un recinto. L'atto di trascrizione compito cartografo ha portato un cambiamento del nome della località da un semplice "luogo di novi ad un più "grazioso" Giardinetto
32) Grauvigna toponimo che pare un composto trasparente di "grande" e "vigna" is Sialetto denominato Granvige. Il sito si trova a sud del paese a nord ovest del Munich di Travedona
33) Isale ampia zona di Monate a sud del centro del paese che si estende lungo una propagine all'interno del Lago di Monate. A est è bagnata dall'Acquanegra (Runge). Il nome isula "isola" è frequentissimo in Lombardia ed è attribuito a leggeri pendii e dossi circondati e toccati da corsi d'acqua siano essi fiumi, laghi o semplici torrenti (ct Isola zona di Milano, Isola frazione di Valsaviore BS.)
34) Lanchè nome da riferisi al tersine milanese lanca che ha siguifcato di "stage o terreno acquirinose" La località, che dà il nome anche ad una cascina è situata in territorio di Monate poco più a sud della Cascina Carolina (cfr. Foppa della Lanca -LC Prá Lancheita-CO-)"
35) Laverine in dialetto denominata ere, che nulla a che vedere con le "lavoratrici". In dialetto, infatti, il léur è la "lepre"". Un tempo questa zona era periferica rispetto al centro cittadino ed era parzialmente coltivata a causa della presenza di animali selvatici tra i quali, crediamo, anche la lepre. La zona del Leurin oggi è localizzabile tra il Runcùn e la Funtàn pochi metri a nord del Lago di Monate.
36) Lööch: letteralmente traducibile come "luogo" ma con significato anche di "podere" dal latino locus. Territorio di estensione latitudinale che insieme al Lüghet "luoghetto" si inserisce tra il Sel e il Selve a nord est del centro del paese di Monate. Un tempo era utilizzata come le Peze. L'unica differenza è che questa terra era coltivata a frutta.
37) Marèn: area pianeggiante e un tempo acquitrinosa a sud del Runchìt in località Monate (v. Cazzago Brabbia n. 16)
L'ANTICA PIAZZA DEL MERCATO di Varese (1-3 )
Con la nuova sistemazione dell'antica piazza del Mercato varesino, sono state aperte le porte della città a un maggior afflusso di autovetture, in un punto cruciale già penalizzato per la vicinanza dell'ingresso e uscita dell'autostrada.
E così la piazza dei nostri lontani ricordi, quella che ospitava il mercato e la Fiera di Varese si è completamente trasformata sotto le ruspe demolitrici, seguendo il ritmo dei tempi moderni.
Giudicare il nuovo volto della piazza Repubblica è ancora troppo presto, ma fin d'ora possiamo dire che coloro che hanno vissuto come noi lo spirito, le caratteristiche e il ritmo dell'ariosa piazza del Mercato, non possono fare a meno di ricordare con tanta nostalgia gli anni in cui, circondata dai rigogliosi alberi di tiglio, si trasformava in vecchia fiera di villaggio, dove baracche e baracconi sorgevano allineati nell'ampio perimetro quadrato.
Il ricordo dell'antica piazza del Mercato, attraverso le scritture, risale al secolo diciottesimo, quando venne realizzata la distruzione della  Caserma vecchia , un tempo monastero dei Gerolimini, divenuta proprietà del Comune.
Noi la ricordiamo particolarmente negli anni venti, nei giorni della fiera e del mercato, quale punto d'incontro dei varesini per lo scambio dei prodotti, la compravendita della merce, attività basilare nella vita umana e nei rapporti sociali.
Con l'arrivo della primavera la piazza del mercato, sepolta d'inverno sotto mucchi di neve spalata dalle vie cittadine, si rianimava, come la fioritura dei campi e nei giorni che precedevano la Fiera di aprile, arrivavano i carrozzoni traballanti, accuratamente dipinti a tinte speciali, tra lo schiamazzare eccitato e festoso dei monelli. Dalle finestre dei carrozzoni spuntava la fungaia degli occupanti, facce cotte da ogni clima, capelli scarnigliati e sguardi che offrivano l'impudenza di una esotica curiosità. E non c'era autorità di genitori o d'insegnanti che poteva frenare l'irrequieto accorrere dei giovani curiosi, perché anche loro subivano il fascino dei baracconi.
A quel tempo la fortuna delle donne barbute, delle donne-cannone, dei fratelli siamesi e di altre infinite varianti di esemplari umani ridicolizzati da un fisico disgraziato, era dovuto all'esistenza della fiera. La gente veniva dalle campagne, dai vicini paesi e affascinata dalle voci degli imbonitori si fermava davanti alla tenda che racchiudeva l'uomo selvaggio del Congo, figlio di un gorilla e di una donna rapita dalla sua tribù nel fiore degli anni. In realtà il selvaggio del Congo era nato probabilmente alla Bovisa, ma il nerofumo e la parrucca arruffata, con l'ausilio di urla bestiali nell'interno di una gabbia di ferro, servivano alla fantasia dell'imbonitore per attirare la curiosità degli ingenui visitatori.
Nelle case non si parlava d'altro. Con aria importante e sapiente, rigidi padri di famiglia, annunciavano l'imminente arrivo del Circo Equestre Spinetto, raccontando alle mogli trepidanti ed ai figli gli anticipi di quello che avrebbero visto al Circo in una delle prossime serate.
E puntualmente, leggermente in ritardo rispetto alle altre attrattive, giungevano le carovane del Circo nelle prime ore del mattino; e nella stessa serata la tenda era già issata per lo spettacolo inaugurale, vistosamente propagandato durante la giornata dai caroselli sonori che alcuni rappresentanti del Circo eseguivano nelle strade cittadine.
Avevano ragione i nostri padri, il Circo offriva un divertimento caratteristico, originale, emozionante, tutto pervaso dal fervore dei protagonisti che nel presentare i loro numeri suscitavano una suggestione indefinibile, ma schiettamente umana.
Cavallerizzi, atleti, acrobati e pagliacci, si alternavano nell'esecuzione del programma con grande bravura, sempre accompagnati dal gradito suono di un piccolo complesso bandistico e ricevendo un uragano di applausi al termine di ogni numero.
I BARBIS DUL FURMENTON (1-2)
Non ho mai fumato, per cui mi è totalmente sconosciuto il vizio del fumo. Sui quindici anni mi sono ripromesso di non toccare sigaretta di sorta e di utilizzare i soldi che avrei speso per il fumo nell'acquisto di libri. Così ho fatto e in più di cinquant'anni ho avuto modo di mettere in piedi, rinunciando alle sigarette, una biblioteca di più di quattromila volumi, di cui non pochi difficili da trovare anche in buone biblioteche. In casa però ero circondato da fumatori. Mio padre fumava le Maryland che erano forti e lo facevano tossire tutte le mattine quando si alzava, fino a togliergli il fiato. Era fumatore accanito e la salute passava in secondo piano. In casa fumavano Nazionali e Popolari, i miei zii fumavano il tabacco (tabacc da segonda, un po' più forte dul tabacc da prima). Con le cartine di riso marca Modiano si confezionavano sigarette, "estraendo" il "trinciato forte" e le cartine della tabacchiera che tenevano sempre in tasca per averla a disposizione ogni qualvolta il desiderio del fumo si faceva sentire. In tempo di guerra si fumavano le Mìlit, andanti e grossolane. Chi non aveva soldi da spendere ed era di buona bocca raccoglieva da terra i cicch e i mucc e si confezionava sigarette eterogenee dai gusti diversi: dalle Macedonia, fini e leggere, alle Popolari, forti da mozzare il fiato, perfino con Marlboro Lights e Galois francesi.
Dal nostar tabachen sa podèa cumprà i Alfa, Africa orientale, Macedonia con o senza filtro, Popolari, Nazionali, Milit (di contrabbando), Maryland, sigarette per signorine al mentolo, Turmac bleu e Turmac rouge in scatole di latta blu e rosse (sigarette turche leggermente drogate), tabacco di prima e di seconda, trinciato forte. Toscani e tuscanèi; Virginia.
Molto usata la pipa, soprattutto dagli anziani. Non si riempivano di profumato tabacco olandese, ma di trinciato che aveva odore (non si può parlare di profumo) ordinario e che restava a lungo sospeso in aria. Qualche vecchio masticava tabacco. Ho conosciuto un veneto (Pizzaia Giacomo) che fumava il toscano tenendo la parte accesa in bocca.
Aveva così tanto fumato che non sentiva più né l'odore né il profumo di qualsiasi genere di tabacco. Noi ragazzotti per darci aria di importanza, fumavamo nella pipa la camamèla (camomilla). Il profumo era buono ma richiamava insonnia e atmosfera da infermeria. È i ragazzi ai quali era severamente proibito fumare, (ta spùza 'I fiad. Fa sentì. Balabiott, t'è fumàa. Ghal dìsi mi al tò pà) come si comportavano?
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La lista degli argomenti della settimana 14
  1. al bar e a tavola senza rimòrs se te scernisset on prodott  ripulito
  2. bonvesin de la riva
  3. busto arsizio - cap. 7 (2/5)
  4. busto arsizio - gli inizi del borgo cap. 2 (4/4)
  5. chi se troeuva semper in stat debitori el paga quand pissa el [cavall del missori.
  6. com'era il mio paese (1930 circa) - (2/3)
  7. com'era il mio paese (1930 circa) - (3/3)
  8. dal 1945 al 1960 (6/13)
  9. e' guarito il glicine dai sinuosi tentacoli
  10. el sanguinarj quand l'è bel cott e serviì denter on piatt te el manget per conilij anch se l'è gatt!
  11. el va, el va el barchett (1- )
  12. el va, el va el barchett (2- )
  13. gildo gamèla
  14. i barbis dul furmenton (1-2)
  15. l'antica piazza del mercato di varese (1-3 )
  16. la rotonda della besana (fondazione 1692) -  via besana 12
  17. la via dall'eden - (9-10 ottobre 1897)
  18. pappa buona  - (31 marzo-1 aprile 1897)
  19. quella guglia onora il mercante di schiave
  20. travedona-monate -
  21. travedona-monate -
Sommario
Le dirette
Pensiero della settimana