RVG settimana 11
 
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Settimana-11 del 2024
 
 
RVG-11 - da  - Radio-Fornace
 
Settimana 11       2024-03-11 -  Marzo - Calendario - la settimana
11/03 - 11-071 - Lunedi
12/03 - 11-072 - Martedi
13/03 - 11-073 - Mercoledi
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16/03 - 11-076 - Sabato
17/03 - 11-077 - Domenica
 
11 Marzo 2024 - lunedi - sett. 11/071
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La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (6/10)
Pertanto Francesco, fatto trasportare in Francia Massimiliano con una scorta di cavalieri, entrò in Milano come in trionfo e fu ricevuto con ogni onore. Egli ebbe l'assoluto dominio della città, sebbene i Milanesi non tollerassero troppo a lungo quella dominazione per la soverchia lussuria dei Francesi e per le feroci uccisioni che erano fatte dei patrizi.
Inoltre le prestazioni, che il francese Lautrec comandava per mantenere l'esercito, erano così gravose e frequenti che molti si uccisero e moltissimi furono costretti a vendere ogni suppellettile. Di qui una miseria e una fame intollerabili che tolsero di vita moltissimi cittadini. Si arrivò a questo punto che moltissimi mangiavano le erbe crude a mo' di giumenti, e come sudici porci cercavano il cibo nel letame. Ho udito dire da alcuni, tra i quali mio padre allora decenne, che a Busto moltissimi, mentre tenevano ancora in bocca l'erba di cui si pascevano, esalarono lo spirito. Spesso poi i borghigiani al sopravvenire improvviso dei soldati furono costretti a fuggire, lasciando il pane non ancor cotto nel forno, e a ricoverarsi nei boschi ove si pascevano di rovi ancor verdi. Quelli che erano presi, se maschi, venivano appesi per i genitali, se femmine per i capelli finchè o avessero rivelato dove avevano nascosto il loro peculio o tra i tormenti morissero (1).
(1) La pittura, che il Crespi ci fa di quei tempi tristissimi, per essere raccapricciante non per questo è men vera. Il Cantù nella sua Storia di Milano Utet 1864, e prima di lui il Cusani o. c., il Verri, il Ripamonti, il Burigozzo e altri cronisti del tempo la confermano non solo nelle linee generali ma anche in molti particolari.
E non solo i Francesi, ma anche ogni sorta di predoni e le stesse bestie feroci infierivano contro i nostri, tanto che spesso, in questo borgo, i lupi entravano nelle case e rapivano i bambini dalle cune e dai lettucci e alle volte dal grembo stesso delle madri e miseramente li divoravano.
Perciò i Milanesi esasperati dalle troppe ingiurie e dai danni che loro recavano i Francesi, li cacciarono con l'aiuto di altri stati dalla città e, mentre quelli se ne andavano in fuga, accolsero con grandi dimostrazioni di gioia Francesco II Sforza che ricuperò il ducato. Questo avvenne nell'anno 1522.
Poco tempo dopo il re di Francia mandò in Italia l'ammiraglio Guglielmo Gonfier (1) Si tratta di Guglielmo Bonnivet. Il cronista ha errato il cognome, o almeno lo ha scritto come, probabilmente, lo pronunziava il popolo, famoso storpiatore di nomi. con un nuovo esercito per riprendere Milano, ma costui, vedendo che non si veniva a capo di nulla, lasciò l'impresa e sciolse la maggior parte dei suoi soldati dal giuramento di obbedienza. Gli altri, dopo aver invano assalita la rocca di Arona, si ritirarono nel seguente anno in Francia con Orsinio Rensio. Appunto in questo anno, poichè i Francesi facevano molte scorrerie, il borgo di Busto fu munito di nuove e più salde fortificazioni. Ma sul finire dell' inverno, trecento fanti e cento cavalieri francesi entrarono nel borgo per la porta Basilica e vi fecero preda e poichè tentavano di far anche peggio, gli abitanti, presi i carri, li disposero a mo' di bastione e, stando dietro di essi, si difesero, poi assalirono i predoni e alcuni ne uccisero, gli altri gettarono fuori del borgo.
In questa circostanza i Bustesi furono aiutati da Fioramonte Castiglione che, sebbene fosse il comandante di quelle milizie, tuttavia non permise che fosse commesso ciò che quella soldataglia aveva in animo di fare, e questo per la riverenza che aveva verso Galeazzo Visconti che egli sapeva essere stato dal re dei Francesi designato Conte del popolo bustese.
Ma come i cadaveri puzzolenti degli uccisi potevano corrompere l'aria, così il fetore fece scoppiare dei morbi violenti e una peste terribile. Dapprima essa apparve in Abbiategrasso, poi nel borgo di Busto e da ultimo invase tutto il territorio milanese e la stessa città di Milano dove fu tanto violenta che fece morire 140.000 persone (1).
(1) Il Grumello, cronista milanese del tempo, scrive: "Aphicata fu la peste crudelissima in epsa città per le robe amorbate d'epso castello (Abbiategrasso) portate in dicta cittade et si existima morissero de le anime octanta milia et più presto de più che mancho. -  il Burigozzo: "El povero Milano infettato de pestilentia comenzò a far de mal in pezzo... al giugno tanta mortalità e piccoli e grandi, che quaxi per Milano non era come nessuno perchè li sani fugivano, et li amalati non se potevano muovere.... el qual mese (luglio) fu tanto crudele che veramente non saria possibile poter narrare la crudelità e la mortalità grande che fu, donde era più sicuro a star in casa che andar in volta, et non vedeva se non gente con campanini in mano, se non carri de amalati; non li era officio, ne campana che sonasse non da corpo.... El mese de Augusto sino a mezzo lavorò anche lui, donde el dir saria troppo, ma al veder delli cimeterj delle giexe era una paura.... de sorte che non credo che mai fusse simile pestilentia et fu detto della morte de cento millia persone, et così credo,,.
Tiremm innanz... - Andiamo avanti
Era la sera del 2 agosto 1851 e fra le vie del centro città si snodava un corteo mesto, che accompagnava alla forca Amatore Sciesa, artigiano tappezziere di 37 anni. La storia racconta che Sciesa, come la maggioranza dei milanesi, non tollerava il dominio austriaco sul Regno Lombardo-Veneto ed era perciò entrato in contatto con alcuni gruppi repubblicani che combattevano per l'indipendenza, nonostante la feroce repressione dell'odiato feldmaresciallo Radetzky. La gendarmeria trovò il patriota in possesso di manifesti rivoluzionari e questo bastò per condannarlo a morte, dopo un processo sommario. Andando verso il patibolo, lo fecero passare sotto casa sua, in via Cesare Cantù, perché rivelasse i nomi dei compagni in cambio della libertà. Non lo convinsero: Amatore Sciesa rispose in dialetto: «tiremm innanz», cioè <<proseguiamo!»>. Da allora, queste due eroiche parole sono evocate con rispetto dagli individui più determinati, che non tornano indietro sulle scelte compiute.
1926. - L'individuazione della necropoli
La scoperta delle prime tombe relative alla necropoli si deve all'Ing. Guido Sutermeister, che nel luglio 1926 recuperò alcuni materiali durante i lavori di una cava di ghiaia (cava Morganti) circa 100 m a nord della Chiesa di Santa Colomba a Canegrate (MI).
Il ritrovamento fu merito dell'intensa attività di monitoraggio del territorio condotta dal Sutermeister, poiché - ci dice egli stesso essendo a conoscenza di questi lavori, chiese preventivamente agli "sterratori" di avvisarlo se avessero rinvenuto qualcosa di anomalo. Venne così convocato a soli quindici giorni dall'inizio degli scavi, quando il piccone degli operai portò alla luce un'urna contenente ossa combuste.
Con riferimento al numero progressivo dato ai suoi ritrovamenti nel Legnanese, chiamò la prima tomba L146; seguì il recupero di altre quattro sepolture, venute alla luce sia durante i lavori di cava sia durante la costruzione della casa Rimoldi, denominate L164, 165, 166 e 199.
L'area dei ritrovamenti divenne quindi oggetto di attenzione da parte dell'ingegnere che, nel giugno 1927, durante gli scavi per la posa di nuove tubature dell'acqua in corrispondenza dell'attuale via Bramante, recuperò così altre due tombe, L204 e L205.
Egli comprese subito non solo l'importanza della scoperta, ma anche il fatto che si trattava di sepolture preistoriche. In particolare le associò subito, e in modo corretto, a quelle scoperte pochi anni prima ad Albairate (MI), in località Scamozzina.
Dal punto di vista cronologico, la necropoli di Canegrate si colloca nel momento pieno e finale dell'età del Bronzo Recente (XIII secolo a.C.), con l'eccezione proprio della tomba L146 del 1926, che risulta invece databile alla fase finale della cultura della Scamozzina, ovvero a un momento iniziale del Bronzo Recente (fine XIV-inizio XIII secolo a.C.).
Il desiderio di iniziare su tale terreno una sessione di scavi sistematici era diventato vivissimo...
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12 Marzo 2024 - martedi - sett. 11/072
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Và a Biegrass a fa i stecch - Vai ad Abbiategrasso a fare gli stuzzicadenti
Questo antico modo di dire milanese si usava per ammonire coloro che non avevano voglia di impegnarsi, di lavorare (un peccato mortale per chi vive sotto la Madonnina!) e che preferivano essere mantenuti vivendo alle spalle delle altre persone, familiari o amici. L'origine del motto va individuata nella fondazione, il 27 dicembre 1874, della Pia Casa degli incurabili di Abbiategrasso, a beneficio della città di Milano. Restò attiva sino al 1937 e vi venivano ricoverate persone poverissime o affette da difficoltà fisiche oppure psichiche, il cui compito era quello di ritagliare a mano degli stuzzicadenti da vari ciocchi di legno, un lavoro per il quale era richiesta una perizia molto modesta.
Questo proverbio non è sicuramente gentile né politically correct, ma bisogna rammentare che risale a un tempo in cui il rispetto per gli esseri umani era spesso carente.
La cà di me vecc
L'Eden della mia giovinezza, il giardino dove è cresciuto l'albero del bene e del male della mia vita. Vi sono nato, li ho imparato a muovere i primi passi, ho letto a sei anni i primi articoli della gazzetta dello sport, ho imparato a tracciare le prime aste con mano incerta, ho stentato a formare le lettere dell'alfabeto, il mio nome. Sul tavolo della cucina, aiutandomi colle dita delle mani, ho risolto le prime operazioni di aritmetica. Vegn chi patulott, cha ta proìi la tabelina. La tabelina era la tavola pitagorica. Tri par quatar. Ses par ott. Rispondevo con facilità e prontezza. Ero bravo nei conticini. Incò fa i pensierini cha l'e du dì che te i fè nò. E io paziente, nonostante la lunga malattia sofferta, con la cannuccia della penna in bocca per "esorcizzare" l'ispirazione, scrivevo con la mia scrittura un po' grossa ed irregolare due o tre paginette di pensierini niente male a non voler considerare le macchie d'inchiostro cadute tra pensierino e pensierino. Mi era maestra attenta e capace, nonostante non avesse frequentato che la terza elementate, mia madre. L'amore materno guidava e inventava con corretta approssimazione la sua sintassi e la sua grammatica. Poara dona. Per una grave broncopolmonite non ero in grado di frequentare la scuola e così il compito della mia istruzione era caduto nelle mani di mia madre. In di quatar mur du la cà ghe restàa seràa dentar la me us. La risenti ancamò cha la rispond ai dumand du la mama Cechina: dùdas quarantott, ventidù. Non erano, però, numeri da giocare al lotto.
LA SCHIRPA
La schirpa era la dote della sposa. Gli studiosi fanno derivare la parola dal termine longobardo SKERPFA e dal gotico SKAIRPA. La schirpa era regolata da norme ben precise, usanze tramandate di generazione in generazione, come il matrimonio. C'era la mediazione "dell'agente matrimoniale" al quale era d'obbligo regalare, a fidanzamento concluso ul maross che in genere consisteva in una camicia di seta, solo se la combinazione andata a buon fine. Marussè, sensale, intermediario. Ecco uno stralcio di schirpa (stralcio da stralciare, tagliare i tralci, tagliare, levar via un brano) che si trova all'Archivio di Stato di Milano e porta la data del 19 ottobre 1576 in prima uno cassono de asse de noxo e più un pard di lanzolli de tella di lino e più una coperta de letto de panno e più una sottana di panno rosso con sopra li suoi bandi di vilutto nero et li suoi manichi e più pezzi quatra di tella de lino, tre sottili, et una grossa e più suga colli de camara n. doi uno lavorato de seda nera et l'altro de reffo biancho et doi sachetti de pettene
e più para tre de fodrette de cosine de letto de tella di lino
e più scufie due una de oro et l'altra de argento
e più una corona de ambri gialdi con li suoi segnaculi di cristalli
e più due anelli de oro
e più un paro de calzeti de pano rosso cremixi
e più un paro de maniglie de panno morello
I panni della schirpa o corredo nuziale venivano acquistati e confezionati uno dopo l'altro di sera, dopo una lunga giornata di lavoro in fabbrica (10 ore) dalla promessa sposa, sotto il lume incerte sbarlugiant du la lumm, mentre la mamma rigovernava i piatti e la nonna "contava" le antichissime storie del paese. Una òlta quan che mi ghea des ann, ul me nonu
Parlando della schirpa ho ricordato ul marussè (sensale) o ul maross, compenso per la senseria prestata. Derivano dal longobardo. Precisamente da marh (cavallo) o da sloz (chiusura del contratto). Il significato originario era: sensale di cavalli. Una stretta di mano sanciva il patto tra compratore e venditore sotto l'auspicio del sensale.
TRAVEDONA-MONATE -
Travedona-Monate: m. 273; kmq 9.14; abitanti 3.340.
L'unità amministrativa, situata circa 16 Km ad ovest del capoluogo, unisce due centri abitati limitrofi. Travedona è sulla sponda nord-orientale del Lago di Monate, il paese di Monate invece si affaccia sul lago sul versante nord.
Il toponimo Travedona è riconducibile al composto trans o intra e *vedona. Sono possibili due interpretazioni per vedona. Da una parte si può riferire al nome dell'abete (cfr. avedo) fornendo così l'interpretazione di "luogo tra od oltre gli abeti"; dall'altra è possibile che il fiume noto oggi come Acquanegra (o Acquanera) un tempo fosse denominato Vedona, da qui la spiegazione del nome come "luogo oltre il fiume Vedona?159
Il toponimo Monate, in dialetto noto come Monàa, può derivare dal nome personale latino Mon(n)us o dal nome germanico Amone entrambi attestati. Più difficile far risalire il toponimo alla voce lama (*lamone con aferesi della prima sillaba) dal significato di "piano acquitrinoso" derivante dal latino lama "palude", stagno"
1) Acquanegra: è il fiume più significativo che scorre in quest'area. E' attestato in alcune carte anche come Acqua Nera. Nel comune di Travedona-Monate il fiume è denominato Runge "roggia" per la maggior parte del suo tratto, ma nella parte inziale è definito Rungiùn "roggione" perché più ampio e mosso. E' l'unico emissario del Lago di Monate e nel suo tragitto verso il Lago Maggiore bagna il comune di Travedona-Monate, costeggia Biandronno, Bregano e Malgeso, curva a nord verso Brebbia per poi scendere nuovamente nel comune di Cadrezzate. Termina il suo percorso tortuoso nei pressi del comune di Ispra in località Lavorascio. E' lungo circa 7 km. Il nome è un composto trasparente e richiama il carattere torbido delle sue acque.
2) Arbur düre lüne: traducibile come "albero o alberi della luna". Questo bosco naturale, ora non più esistente, si estendeva a sud del paese sul confine con il comune di Comabbio e comprendeva alberi vari tra cui spiccavano maestose querce. I parlanti locali spiegano il toponimo descrivendo come nelle notti di luna piena le querce venissero illuminate più degli altri alberi creando così una visione suggestiva e particolare.
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13 Marzo 2024 - mercoledi - sett. 11/073
redigio.it/rvg101/rvg-11-073.mp3 - Te la racconto io la giornata
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redigio.it/dati2212/QGLI1199b-diritti-pesca-02.mp3 - I diritti di pesca sul lago di Comabbio - Note e appunti - #32a - 8,33 - #36 - #73 - rvg
redigio.it/dati2111/QGLH1012-devozioni-popolari-pt03.mp3 - #7,10 -
La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (7/10)
A Busto la peste entrò con Giovanni de' Medici, condottiero delle milizie spagnuole. Egli, dopo aver saccheggiato, per ordine dello Sforza, Abbiategrasso, venne con mille soldati a Busto e, nei dieci giorni che vi dimorò, vendette all'asta il bottino che aveva portato da quel borgo. Ma non si era ancora allontanato con gli Spagnuoli da Busto che uno dei suoi soldati morì di peste. Poi a poco a poco il morbo si sparse e fece tali progressi fra gli abitanti del borgo che in cinque mesi ne morirono sette mila.
Davano forza al male la stagione e il calore estivo, poichè il morbo fece la sua apparizione il 1° Maggio del 1524 e durò fino al 1° Ottobre.
Il numero dei morti che abbiamo riferito pare esagerato, perchè la popolazione del borgo non contò una tale quantità d'anime neppure al nostro tempo nè si ha notizia sicura per l'addietro; tuttavia potè essere così grande allora il numero degli abitanti perchè dopo quei tempi moltissime case furono distrutte e al loro posto si aprirono piazze e si stesero orti dove una gran moltitudine di forestieri per qual che tempo si rifugiò come in luoghi assai protetti e fortificati, fuggendo gli incendi e le devastazioni delle guerre (1).
(1) Come è esagerata la cifra di 140.000 morti per la città di Milano, così lo è quella di 7.000 per Busto, nè vale a giustificarla l'osservazione che fa qui il nostro cronista, perchè bisognerebbe credere che il borgo al principio del 1500 avesse almeno dodicimila anime, mentre in realtà la sua popolazione doveva aggirarsi sulle quattro o cinque mila.
Nè questa fu l'ultima sciagura che colpì il borgo. Infatti nel 1526, Carlo V., austriaco, Imperatore Augusto, scacciato Francesco II Sforza, di cui fortemente sospettava, si impadroni del ducato milanese. In tale circostanza Bonifazio Visconti, che faceva scorrerie qua a là, entrò nel nostro borgo e cominciò a devastare ciò che potè, approfittando del fatto che in quel giorno i Bustesi erano usciti dal paese per raccogliere le messi.
Ma quando gli abitanti, a cagione di un furioso temporale, vi ritornarono, il Visconti fu costretto a fuggire. Circa il medesimo tempo, alle scorrerie dei soldati si aggiunse un'invasione di lupi affamati. Tanta era la voracità di queste bestie che osavano assalire perfino uomini armati e disseppellivano e rubavano i cadaveri dai sepolcri (1).
(1) Il già citato Burigozzo a proposito dei lupi scrive: "Fu tanta quantità de lovi su per lo paexe, che era una cosa granda, et fazevano tanto male in ammazzare persone zoè putini et donne, che quaxi si temeva a andar in volta se non erano 3 o 4 persone insema, tanto era el terror de questi lovi, et questa non era meraviglia, la causa perchè nelle ville erano mancade le persone, et per questo fu abondanzia de lovi come ho ditto
Forse fu questo il motivo che indusse poco tempo dopo i Bustesi a circondare di un muro i cimiteri e ad apporvi porte e battenti.
Quanto poi alle scorrerie e occupazioni militari, esse furono in quel tempo così numerose e così grande fu la quantità dei soldati sparsi sul territorio milanese che vennero a trovarsi contemporaneamente in questo borgo quattro condottieri con le loro milizie e per due anni vi si fermò il Tribuno dei soldati che chiamiamo Stratego (2).  (2) La guerra tra la lega italica e Carlo V. durò tre anni. Il re di Francia che parteggiava per la lega spedì in Italia due eserciti; gli Imperiali, dal canto loro, ricevettero numerosi soccorsi dalla Germania. Si combattè con accanimento e con alterni successi; le città del Ducato, ad eccezione di Milano e di Como, vennero prese e riprese; l'intera Lombardia, spopolata dalle pestilenze, oppressa da enormi estorsioni, rovinata dagli incendi, dai saccheggi e da tutti i mali d'una guerra implacabile, fu ridotta all'ultima miseria
Il mondo idilliaco nella pubblicità
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- Gli animali non fanno cacca.
- Tua nonna fa yoga, ginnastica artistica, ti porta ai concerti, ti dà il numero di telefono del cantante e corre a portarti i vestiti perché tu, povera nipotina, hai voluto fare il bagno nuda.
- Giochi a basket e sei contento di stare a perdere tanto pensi alla tua macchina nuova. Che è una Fiat...
- Tu vai in giro e tutti ti ringraziano per aver fatto la spesa.
 
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14 Marzo 2024 - giovedi - sett. 11/074
redigio.it/rvg101/rvg-11-074.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
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redigio.it/dati2112/QGLH1100-dialetto-parole.mp3 - 10,09 -
redigio.it/dati2111/QGLH1013-Pusterla-Castiglioni.mp3 - #4,06 - dintorni di Mercallo dei Sassi - #36 - #32
CONFORT D'ALTRI TEMPI - Par scaldà i pè
Le nostre camere da letto (stànz) erano, come la cucina, immense. La mia conteneva tri cumudìtt, un cumò, un guardaròba, un baùl e quatar lecc da una piàza, e un tacapàgn e 'l portacadèn. D'invernu l'aqua la gelèa in du la bròca e sui vèdar sa fèan su i fiur da giàsch. Stando così le cose è facile capire che la stanza era quasi una piccola Siberia. Pell da bèra e trapuntìtt imbutìi da piumen d'oca e cuert pesant e dùpi. Il capitoletto mi è stato suggerito mentre stavo parlando delle varie prèe. Quela dul puzz, dul fogh, di legn, du l'usc e 'l mà du la prèa. Ma la prèa più antica e più utile specialmente quando di notte sa furmèan i candìi da giasch e gelèan i cann du l'aqua, era la prea dul lecc. Di due qualità ne ho avute: una costituita da un mattone di piccole proporzioni, l'altra da un sasso piatto di una quindicina di centimetri di diametro. Si facevano surriscaldare nel forno della stufa e poco prima di andare a coricarci, si mettevano in un sacchetto di tela e si spingevano in fondo al letto dove fungevano da scaldino per i piedi. Ul scalden da ramm pien da bras si faceva passare nel letto come si trattasse di un ferro da stiro per scaldare tutto il lenzuolo, si manovrava per mezzo di un manico di ferro ricoperto di legno all'impugnatura, manico lungo quasi un metro. Ul frà, invece, era una specie di arca di legno compensato con scheletro di ferro lungo un metro e mezzo e alta mezzo sulla cui base veniva posto uno scaldino con la brace. Ul frà (frate) teneva sollevate le lenzuola permettendo al calore di circolare per tutta la superficie interna del letto.
Guido Sutermeister. - Una vita per la storia
Guido Sutermeister (1883-1964) maturò la sua passione per l'archeologia, la storia e l'arte fin da giovane, quando si recò in Egitto e Medio Oriente per lavoro.
Il rinnovamento edilizio del Legnanese nei primi anni del '900 lo spinse a raccogliere e documentare le testimonianze antiche che affioravano dal terreno.
Lavorando sistematicamente, con l'approvazione della Soprintendenza alle Antichità della Lombardia, esplorò il territorio, tanto che i numerosi reperti da lui raccolti resero necessaria la costruzione del Museo Civico (1928).
Si trattò di recuperi di notevole importanza, in qualche caso di rilevanza internazionale. È il caso della necropoli di Canegrate e della patera di Parabiago, grande piatto in argento, lavorato a sbalzo e dorato, raffigurante il trionfo della dea Cibele e del pastore Attis.
La sua opera riguardò anche la conservazione delle memorie storiche e artistiche del territorio che, diversamente, sarebbero andate perdute: la Torre Colombera, un edificio utilizzato tra XV e XVI secolo come casa di caccia; il Castello di San Giorgio e i Palazzi Vescovili del XIII secolo (Palazzo Leone da Perego e Palazzo di Ottone Visconti).
Tra i suoi numerosi meriti vi fu anche quello di documentare con un disegno o un semplice abbozzo qualsiasi oggetto ritenesse degno di essere ricordato. Molti studiosi hanno potuto usufruire di questi lavori.
Attorno a lui si riunì un gruppo di sostenitori che formarono la «Società Arte e Storia», il cui patrimonio archivistico e librario comprende antiche pergamene, libri preziosi, documenti storici e un ricco archivio fotografico che illustra l'aspetto della città di Legnano nel periodo delle grandi trasformazioni. La Società provvide a pubblicare una collana di Memorie che raccolsero i contributi di vari studiosi e quelli di Sutermeister stesso.
Capire la crisi finanziaria
Se hai difficoltà a capire l'attuale situazione finanziaria mondiale la storia che segue potrebbe aiutarti:
Una volta, in un villaggio in India, un uomo annunciò ai contadini che voleva comprare delle scimmie per 10€. I contadini, vedendo che c'erano molte scimmie in giro, uscirono nella foresta ed iniziarono a catturarle. L'uomo ne comprò migliaia a 10€  ma, quando la disponibilità di scimmie cominciò a diminuire i contadini cessarono i loro sforzi.
L'uomo annunciò che ora le avrebbe comprate a 20€. Ciò rinnovò gli sforzi dei contadini che ripresero a catturare scimmie. Presto il rifornimento diminuì progressivamente e gli abitanti del villaggio cominciarono a tornare alle loro fattorie. L'offerta salì a 25€ ma la disponibilità di scimmie divenne così piccola che era una fatica vedere una scimmia, per non parlare di prenderla.
L'uomo annunciò che ora voleva comprare le scimmie a 50€ tuttavia, dovendo andare in città per alcuni affari, il suo assistente avrebbe fatto da compratore a suo beneficio. In assenza dell'uomo, l'assistente disse ai contadini: "Guardate tutte queste scimmie in questa grande gabbia dove l'uomo le ha radunate; ora voglio vendervele a 35€ e, quando tornerà dalla città gliele rivenderete a 50€".
I contadini misero insieme tutti i loro risparmi e comprarono le scimmie.
Poi non videro più né l'uomo né il suo assistente, solo scimmie dappertutto. Benvenuti a WALL STREET!
Per esclusione - (3-4 giugno 1890)
Per sentimento di delicatezza non abbiamo fatto il nome della farmacia che spedì la ricetta dello strofanto, che si vorrebbe fosse stato la causa della morte dell'Elmira Ravizza, volendo attendere il giudicato dell'autorità giudiziaria. Siccome però abbiamo accennato alla località, e siccome si trovano nei pressi altre farmacie, dobbiamo dichiarare che non si tratta né della farmacia Polli, né di quelle De Ponti, Miragoli, Castellini, Fraccari.
Disobbediente - (8-9 aprile 1891)
Tal Carlo Mauri è un misero saltimbanco che gira con una scimmia addomesticata per guadagnarsi il pane. Ieri verso sera egli stava dando una delle solite rappresentazioni nel sobborgo di Porta Tenaglia. Stanco di obbedire, l'animale si avventò d'un salto contro il saltimbanco e lo morse replicatamene al viso e ad un braccio. Il poveretto dovette recarsi all'ospedale.
Mestieri
On mestee l'è on granee. - Un mestiere è un granaio.
On poo per la gesa e on poo per el Santissem, - se tira-là benissem. - Lavorando un po' per la chiesa e un po' per il Santissimo, si tira avanti benissimo.
A fà l'ost e a cercà-sù se comenza, no se desmett pù. A fare l'oste e l'accattone, se si comincia non si smette più.
Chi gh'ha on mestee in man no ghe manca on tocch de pan. - Chi ha un mestiere ha sempre da mangiare.
Dal faree no tocca, dal speziee no mett in bocca. Dal fabbro non toccare nulla, dal farmacista non mettere in bocca nessuna cosa.
Per conoss l'inferna, bisogna fà el cœugh d'estaa e 'l carozzee d'inverna. - Per conoscere l'inferno bisogna fare il cuoco d'estate e il vetturino d'inverno.
Se te vœu conoss on tò nemis, cerchel in l'arte toa. Se vuoi conoscere un tuo nemico, cercalo fra quelli del tuo mestiere.
Lavorà con legria, l'è el mej mestee che ghe sia. Lavorare di buona voglia è il miglior mestiere.
On mestee ben cominciaa l'è mezz faa. Un lavoro ben cominciato è mezzo fatto.
 
 
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15 Marzo 2024 - venerdi - sett. 11/075
redigio.it/rvg101/rvg-11-075.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
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La bùla du l'aqua colda
Era invece una specie di busta di gomma a spigoli arrotondati con chiusura ermetica avvitata. Veniva riempita di acqua quasi bollente e serviva per molti usi. Par scaldà i pè, par scaldà 'I stomigh in caso di cattiva digestione. Non poche volte si teneva ferma per un po' di tempo nei posti colpiti dai dulur reumatich (acqua calda), dai distursiòn (acqua fredda). Si metteva in su la zuca se si era presa qualche capocciata (aqua fregia). Quando invece, giocando al pallone, si rimediavano pedate sugli stinchi, non usavamo la bula cun l'aqua gelàa per gli impacchi ma, una pezza imbevuta in continuazione di acqua borica gelata. Quando la mia cucina disponeva ancora del camino, ci sedevamo davanti al fuoco, facevamo una bella riserva di calore, soprattutto esponendo ad esso mani, piedi, e schiena. Scaldati a dovere (cold me i furnej) via di corsa a letto. Naturalmente senza: prea, scalden, bula, frà. Facendo non tanto tempo fa, una visita reclamata a gran voce da invincibile nostalgia al vecchio solaio (sulè) della mia vecchia casa, tra le tante cose accatastate e abbandonate, sommerse dalla polvere e dalle ragnatele, ho visto il frà e 'l scalden da ramm insema a padej e padelott. Mi è venuto nello stesso tempo frecc e famm. E una infinita tristezza.
Dal 1945 al 1960 (4/13)
C: Se véd che gh'era ancamò tanta gent che ghe n'aveva minga assée de guèrr. Ma forse gh'aveven minga tutt i tort quei che gh'aveven subìi i disgrazzi del fascismo e del nazismo e magari In quai manera cercaven forse de vendicass, anca se quei che voréven el comunismo gh'aveven minga ciàr che sarien passàa da ona dittatura a voeuna rossa minga meno grama. Se acorgeven nò che se gh'era de sperà de vegnì focura de 'sto disaster, bisognava ciappà i aiutt di american? Se anca avarissen poduu vèss minga del tutt disinteressàa, per nun éren tanta manna che la vegniva giò del ciel. E poeu gh'era nissun d'alter ch'el gh'aveva la possibilità de fall.
M: Allora l'era minga nancamò inscì ciar, anca perché de quell che succedeva in Russia se saveva nagott e forse propri per quell, ghe n'era tanti che se illudeven, che credeven che l'era el paradis in terra. Comunque la prima decision l'è stada quella de cascià via el re e la monarchia, cont el referendum del 2 (duu) de giugn 46 (quarantases) che l'ha portàa la Repubblica; 15 (quindes) dì dopo gh'è stada l'amnistia, vorsuda anca dal Togliatti, ma cont tanti di sò compagn che éren minga d'accord, che l'ha cercà de mètt ona preia sura i colp de chi l'era stàa fascista, anca se i pussée important éren giamò stàa giustiziàa o éren riessìi a scappà via. D'alter canton, quasi tuce i pubblich dipendent, chi pussée e chi meno, eren stàa fascisti, e el sarìa stàa praticament impossibil casciai via tucc, e poeu el saveven tucc che in del ventennio s'te gh'avevet minga la tessera del fascio te podevet minga lavorà in di uffizi pubblich. Inscì fà poca meraviglia che hann strasciàa la tessera vèggia cont su el fascio, per sostituilla cont quella noeuva cont su la cros democristiana o la falce e martell comunista; ecco come hann fàa i fascisti a sparì inscì a la svelta. Quanto a la vita de tucc i dì, el mangià l'era ancamò razionàa, anca se el se podeva trovà a la borsa nera che la gh'era ancamò, ma ghe n'éren tanti che gh'aveven pròpri nagott e bisogna daggh onor al Comun che l'ha istituì i mens popolar; nel '46 (quarantases) ghe n'era ona vintèna, che distribuiven centmila past al dì. Ma intant che gh'era ancamò de soffrì, per fortuna semper meno, intorna l'era tutt on ferment de attività, da la montagnètta de San Sir che la cresséva a vista d'oeucc, ai primm grattaciei in piazza de la Repubblica (che la gh'aveva appèna ciappà 'sto nom), che faseven cambià i connotati a Milano, anca se camminava in Galleria cont l'ombrell avèrt e tanti eren ancamò i macéri che restaven a l'aria, senza tècc né ripar...
massi erratici
Nelle colline attorno Mercallo, se uno ricerca puoi rimanere giorni a contare i massi erratici, ci sono tantissimi di varie forme di dare, specie oggi ha solo alcuni portano ancora le tracce degli antichi scalpellini che ci hanno lavorato. Eccolo qua. Il masso erratico. E adesso bisogna camminare per andarlo a cercare. Questo sasso, così come tanti altri suoi confratelli, benché lì nella loro natura di pietre dei buccioni. Hanno deciso di essere viaggiatori e di partire di andare seguendo, che ne so io. Le acque di smottamenti, i grandi movimenti della terra o comunque del ministero sono andati chissà da dove vengono, ma adesso riposano.
E tu viandante? Devi. Andarli a cercare glice graniti servizi che picassi di mercallo gli scalpellini hanno cavato per produrci, gradini, stipiti, architravi nella loro Sapienza antica. Oggi queste rocce portano ancora le tracce di quello antico mestiere. Altro masso, altre tracce. Si tratta di Coppelle, Incisioni, semisferiche realizzate da popoli antichi. Secondo alcuni per svolgere dei culti propiziatori. Secondo altri delle informazioni per gli antichi viaggiatori, cioè fondamentalmente una mappa che diceva dov'era una sorgente dove era un luogo.
Per proteggersi dove era un guado? Oggi, nell'era del GPS del Navigatore, purtroppo abbiamo perso le chiavi di lettura di queste antiche mappe scritte nella pietra. In effetti. Gli antichi avranno scritto qualche volta. Ho lasciato tracce. Nella. Avranno inciso qualcosa su di un albero, su di un lato? Ma si rendevano conto che quelli rimanevano. In balia poi dell'atmosfera del vento, dell'acqua di un fulmine. Con la pietra, il segno e permanente rimane nei secoli e noi? Con anche un po di emozione, siamo qui in questo momento a leggere dei segni enigmatici finché si vuole, ma assolutamente presenti.
Corgeno, capitale del canottaggio.
Quando ritorna capitale della Rimo Tricolore con i campionati italiani di canottaggio che prenderanno il via sabato 11 e domenica 12 giugno sulle acque del lago di Comabbio. L'evento, organizzato dalla Canottieri Corgeno in collaborazione con Federazione italiana canottaggio, comitato Fic Lombardia, Comune di Vergiate, provincia di Varese, Regione Lombardia e Camera di Commercio.
Vedrai i blocchi di partenza. 1051 atleti provenienti da 105 società in arrivo da tutta la penisola, 53 e i tricolori in palio nelle varie categorie, 15 titoli, junior, 14 pararowing, 10 pesi leggeri, 14 senior, insieme alle 159 medaglie dei 3 °.
Corgeno si conferma dunque il luogo perfetto per manifestazioni sportive di tale portata. Ricordiamo che nel 2021 lo stesso campo di regata fu teatro dei campionati italiani master. Perché indicare il molto intenso EE molto partecipato direi anche perché quest'anno abbiamo anche superato il migliaio di atleti, per questo tipo di manifestazione, quindi i campionati.
Di eccellenza, perché sono quelli più importanti, avendo i senior, quindi anche con gli olimpionici EE anche gli junior. Diciamo che Varese è diventata veramente la terra dei laghi e quindi il la terra della voga, perché con i suoi campi di gara, tra cui Genova, ha virato e Varese, eccetera, è diventato veramente il centro del canottaggio italiano e mondiale.
 
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16 Marzo 2024 - sabato - sett. 11/076
redigio.it/rvg101/rvg-11-076.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
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Urinari
Di ceramica o di smalto. Si mettevano ai piedi del letto per usarli di notte, perché, allora, pochissimi avevano i gabinetti in casa. Erano in fondo ai cortili dalla parte opposta rispetto alle abitazioni. Alzarsi nelle notti invernali e in mutande attraversare il cortile per fare pipì, era inconcepibile. Di prima sera ci si fermava davanti ai letamai che erano in mezzo ai cortili, soprattutto se pioveva e i cortili erano già allagati. Non c'era fognatura in paese e l'acqua stagnava un po' dappertutto. Qualche volta, essendo nella maggior parte delle case le camere da letto poste al primo piano (il pianterreno era riservato alla cucina e al salotto o alla sala di poco più bella della cucina) ci si affacciava sul ballatoio e si aggiungeva alla pioggia del cielo i nostri dorati liquidi organici. Come si vede non eravamo complicati e facevamo tutto con sublime filosofia. O tempora! o mores! che tempi, che costumi!
Prima di Canegrate.
La necropoli di Albairate e la cultura della Scamozzina-Monza
Sutermeister non si sorprese per il ritrovamento di Canegrate, perché, da profondo conoscitore dell'archeologia del territorio, era al corrente delle scoperte effettuate ad Albairate (MI), in località Cascina Scamozzina, da Alberto Pisani Dossi, pubblicate poi nel 1910 da Pompeo Castelfranco.
In terreni di sua proprietà Pisani Dossi rinvenne infatti, fra gennaio 1900 e aprile 1901, circa 30 urne, integre o in frammenti, e numerosi oggetti di corredo in bronzo: bracciali (armille), anelli, pendagli, pugnali, spilloni. Questi ritrovamenti, insieme a quelli di fine Ottocento di Monza, diedero il nome a una fase culturale caratteristica della fine dell'età del Bronzo Medio (XIV secolo a.C.) e dell'inizio del Bronzo Recente (prima metà del XIII secolo a.C.) diffusa nel territorio tra Sesia a ovest e Serio a est, con maggior concentrazione nella bassa pianura tra Ticino e Terdoppio.
Questa cultura si caratterizza per la diffusione del rito funerario della cremazione, con deposizione delle ossa combuste in urna, in genere biconica, chiusa da una scodella capovolta e deposta in un pozzetto riempito di terra di rogo. L'urna poteva essere accompagnata da un vaso più piccolo e contenere altri oggetti in bronzo, sia deformati dal calore perché esposti sulla pira funeraria, sia integri perché deposti come offerta.
Le scoperte più significative riferibili a questa cultura sono, oltre ai siti già citati, le necropoli di Gambolò, Cilavegna e Garlasco (PV), della Cattabrega di Crescenzago (oggi in comune di Milano) e di Premeno (VB), lungo il lato piemontese del Lago Maggiore.
Di particolare interesse è la necropoli di Gambolò, perché comprende sia tombe databili alla più antica cultura della Scamozzina-Monza sia elementi della cultura di Canegrate.
TRAVEDONA-MONATE -
3) Baragigodore: in dialetto attestato come Baragiòr o Baragiö. Il toponimo ricorre in due differenti località di Monate: la prima, a nord del paese, collega il Runchìt al Barasc, la seconda, più a sud al confine con Cadrezzate, unisce il Bosch di Fós con la località Valserene. Entrambe le aree localizzano una zona scoscesa che collega due punti con una piccola differenza altimetrica (v. Cadrezzate n. 1).
4) Barné: il toponimo non è localizzato nel comune e non è noto oggi ma è registrato solamente nelle carte del Catasto Regio del 1905 (v. Cadrezzate n. 2).
5) Barona: in dialetto la voce è Barüne. La località prende il nome dal torrentello noto appunto come Barüne. Il corso d'acqua nasce nella zona del Val a nord delle Casniére e della strada Provinciale e si immette nel fiume Acquanera, meglio noto in queste zone come Runge "roggia". Barüne è riconducibile forse alla radice celtica bar dal significato di "sterpeto"
6) Baróte: zona pianeggiante a sud ovest del centro di Travedona al confine con Monate. È incerta l'intepretazione del nome: forse vi si può trovare qualche attinenza con ii Barüne sopracitato
Nella tradizione di Travedona le persone non sposate e avanti con gli anni venivano appellate Barotun perché si raccontava che un uomo e una donna, una volta rimasti gli unici abitanti della zona, non avessero mai fatto conoscenza e fossero rimasti ognuno nella propria abitazione.
7) Belvedere: zona oggi non ben localizzata, ci sono moltissimi luoghi a Travedona e Monate a cui la gente associa questo nome (v. Cadrezzate n. 3).
8) Bosch di Fós: "bosco dei fossi". Piccolo bosco ad ovest del Saresée e limitrofo all'odierno campo da golf di Monate che è stato costruito su un'ampia area al centro del territorio comunale. Il nome del bosco è da ricondurre all'azione dell'uomo che spesso creava fossi e fossati per drenare il terreno del bosco così da renderlo meno paludoso
9) Bozzone: in dialetto Bužùn. Ci sono due possibili interpretazioni del nome. Il toponimo può rifarsi alla voce d'italiano antico bozza che denominava una "sorgente stagnante e spesso paludosa" o più semplicemente una "pozzanghera". È possibile comunque ipotizzare una derivazione dal termine dialettale bónze che era il luogo di raccolta del letame
I GALLI CISALPINI (1-5 )
La serie legata a italica pro Enea, dove analizzeremo tutte le fazioni che hanno popolato l'Italia, prima dell'espansionismo romano.
Quest'oggi parliamo dei Galli cisalpini. I Galli, o meglio celti, sono un'insieme di popolazioni provenienti per la stragrande maggioranza dalla Francia, ma erano presenti anche nella penisola iberica. In Gran Bretagna il loro espansionismo fu talmente grande che si espansero persino nel nord e centro Nord Italia, fondando nuove tribù o fazioni dall'insieme delle note storiche a disposizione. L'invasione gallica in Italia sfociava in queste varianti, l'assimilazione totale della cultura celtica da parte dei locali, oppure tramite intervento militare e quindi epurazione o sottomissione degli autoctoni. Socialmente parlando, di cisalpini erano insediati in villaggi soggetti al controllo di una città egemone, detta oppidum, di solito arroccata su un'altura che forniva protezione da un. di vista militare e per quanto riguarda l'economia, i Galli erano ottimi agricoltori, ma erano famosi per i saccheggi e per la lavorazione dei metalli, dai quali creavano non solo molti oggetti, ma anche spade, corazza di qualità.
Non mancavano anche l'allevamento e il commercio tra tribù e popoli di un Mediterraneo. Secondo gli scritti di Diodoro Siculo e Ammiano Marcellino, i celti erano rappresentati come persone di enorme stazza, si parla di uomini robusti che arrivano fino al metro e 70, carnagione chiara o arrossata, per la maggior parte biondi e in mancanza di questa tonalità si tingevano i capelli nell'acqua e calce nel loro adorabile visino spiccavano folti baffi.
Parlando di equipaggiamento, il Guerriero celtico era rappresentato dall'elmo Gallico, il quale poteva differenziarsi in diverse tipologie, l'armatura poteva essere di cuoio oppure dalla lorica amata di, ovvero la famosa cotta di maglia di loro invenzione e brandivano la lancia la lunga spada gallica e lo scudo, il tutto accompagnato molto spesso da pantaloni variopinti. La forza d'elite era rappresentata da una cavalleria dir poco distruttiva. In più, un'usanza particolare dei soldati era di appendere le teste dei nemici sui cavalli per sfoggiare la propria forza e incutere timore nel cuore degli avversari. Inoltre, portavano lo stesso equipaggiamento della fanteria, tranne lo scudo, il quale era più piccolo e leggero dato che era costruito in vimini e poi rivestito in cuoio. La tecnica di combattimento celtica era nota per il fatto che non eseguivano formazioni, molto probabilmente perché i Galli consideravano la guerra una battuta di caccia. In più erano anche noti i maestri nelle imboscate, la fama della loro tenacia in battaglia era leggendaria, più i guerrieri combattevano e più erano agguerriti e invasati. Forse è anche dovuto al consumo del cervogia che una birra lucida. In questo episodio è doveroso parlare anche dei druidi
I druidi erano considerati come figure cardinali nella società celtica, poiché rappresentavano non solo l'interpretazione divina, la quale era rappresentata dalle forze della natura, ma fungevano anche da insegnanti e giudici. Parlando più in specifico dei Galli italici di furono numerose fazioni, ma oggi parleremo di alcune tra le più influenti che analizzeremo in base alla suddivisione regionale e a tal proposito. Mi sono avvalso dell'aiuto di Mattia, dall'asta, leonida e arbor ponte di Atene.
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17 Marzo 2024 - domenica - sett. 11/077
redigio.it/rvg101/rvg-11-077.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2112/QGLH1103-baco-seta-03.mp3 - 5,34 -
redigio.it/dati2111/QGLH1016-sesto sempione.mp3 - #8,40 -  dintorni di Mercallo dei Sassi - #36 - #32a
La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (8/10)
Finalmente, quando Carlo V fu incoronato a Bologna imperatore da Clemente VII, il duca Francesco Sforza, liberato per intercessione dello stesso Papa da tutte le accuse che gli erano state fatte, tra la gioia di tutto il popolo Milanese, fu reintegrato nel possesso del ducato e per di più insignito di tutti i gradi delle dignità e della gloria, nell'anno 1530.
Ma l'imperatore non solo gli restituì il suo favore e lo chiamò duca di Milano, confermandogli il possesso paterno con decreto imperiale, ma, per legarlo a sè con un vincolo più stretto, gli diede in moglie Cristina che il re della Dania aveva avuto da Elisabetta, sorella dell'imperatore. Le nozze furono celebrate in Milano con lusso regale l'anno 1534 (1).
(1) Il Burigozzo fa una minuta descrizione del magnifico corteggio che da Sant' Eustorgio accompagnò la sposa fino al Duomo. Per staffieri de sue excellentia gli era dodici conti de primi della città nostra vestiti de veluto foderato da brocato con le sue barette con le penne dentro, che ciascheduno de loro parevano uno Imperatore, e questi tali staveno appresso alla persona de sua Excellentia tal che parea che sua Excellentia fusse in un bosco in mezzo di quelli Baroni per quelli personaggi bianchi.... Della bellezza de sua Excellentia veramente e più, gera divina che umana; ma de poca etate (15 anni), andò in Duomo poi al castello el al castello tirò gran artellaria.
Ma poco prima apparve nel cielo un portento annunziatore di cose tristi e infauste: poichè una stella crinita o una crudele cometa comparve per quindici giorni nel cielo d'Italia e coi suoi raggi preannunciò che sarebbe avvenuta qualche calamità. In questo borgo, nello stesso anno in cui furono celebrate le nozze dei due Principi, nel mese di Giugno, scoppiò un terribile uragano e, mentre il cielo era coperto da una nerissima nube e l'aria rimbombava di tuoni spaventosi, il fulmine, uscito dalle nubi aperte e spezzate, colpì così fortemente quella insigne e famosissima torre che fu costruita quasi tutta in mattone presso la chiesa di San Giovanni ad uso di campanile, che, forato da ogni parte la cuspide piramidale e smosse dal loro posto le colonne, poco mancò non la facesse rovinare completamente. Ancor oggi la torre mostra i segni di quella rovina nell'obelisco riparato e sull'epistilio della colonna meridionale dove l'avvenimento è ricordato. A questo fatto seguì, il 31 Ottobre del 1535, la morte di Francesco Sforza che tutti i Milanesi piansero con grande mestizia anche perchè prevedevano che, non avendo egli lasciato figli, sarebbero andati incontro a delle nuove calamità.
Da questo anno fino al 1542 non accadde nulla nel borgo che sia degno di particolare memoria.
Ma nell'anno 1547 densissimi nuvoli di grandi locuste, provenienti dalle spiagge del mare, invasero i nostri campi e devastarono le biade e le erbe dei prati divorandole fino alla radice e spogliarono in un baleno gli alberi di foglie non altrimenti che se fossero stati flagellati da una furiosissima grandine.
Anche durante la mia vita avvennero nel borgo alcuni fatti straordinari. E innanzi tutto nell' anno 1568, il 17 Maggio, l'anno prima dell' incendio della rocca navale veneta e due anni prima che il Sultano Soli- mano togliesse ai Veneziani l'isola di Cipro, essendo state rifabbricate la lanterna e la cupola della chiesa di S. Maria, si narra che avvenne questo fatto. Di mattina, mentre il cielo era sereno, d'improvviso una nera nube lo oscurò e non molto tempo dopo si udì un fragoroso tuono che parve scuotere la terra e lampeggiò tra i nembi un fuoco fuligginoso a cui tenne dietro un fulmine così veloce e così potente che fece traballare,come strappata dalle fondamenta, la bellissima chiesa della Vergine Genitrice che sorge nel mezzo del borgo.
Dal 1945 al 1960 (5/13)
C: E ghe n'è de quei che se poden vedé ancamò incoeu, in di ann 2000 (dòmila)...
M: ... Già, ma se cercava insomma de dismentegà el fascismo e i sò disgrazi, anca se podeven nò desmentegà i pover fioeu e i sò maester mort in de la scola de Gorla, ricordàa in del monument tiràa su nel '47 (quarantasett). Nel '48 (quarantott) poeu, el centenari di Cinq Giornàa l'era diventàa tutt vun cont i anniversari de la resistenza e di tanti partigian che éren mort.
C: Ma me par che el quarantott el gh'è stàa anca allora, nonostant la repubblica e l'amnistia.
M: In effett, la contrapposizion tra democristian e comunisti la se faseva semper pussée forta, fina ai elezion de l'avril '48 (quarantott), ch'hinn stàa vinciuu dai democristian. E poeu l'attentàa a Togliatti, cont la paura che la s'ciopass on'altra guèrra civil, che per fortuna la gh'è minga stada, on po perché el Togliatti l'è guarì in svelt, on po, disen, perché Bartali l'ha vinciuu el Tour de France e l'ha miss tucc in pas, ma sora tutt, disi mi, perché i american l'avarien minga permiss, Vist come s'éren spartì el mond cont i sovietich. Ma la base di comunisti l'ha fàa fadiga a digerì quella che ghe pareva ona sconfitta e in lui s'hinn fàa sentì conti occupazion de tanti fabbrich, e a Milan gh'éren tucc quei pussée grand, Breda, Falk, Pirelli, Borletti, Motta, eccetera. Ma poeu el bon sens l'è vegnuu foeura, anca se la gent de città, appena finida la guèrra, la viveva certo minga bén, gh'era pocch de mangià, tanti gh'aveven nanca la cà, el lavorà bisognava cercàssel in dove el gh'era, ma tutt l'era adrée a mèttess a post in svelt, tant che in di primm ann '50 (cinquanta) gh'eren 400.000 (quattercentmila) personn che lavoraven in de l'industria. I cà che éren minga stàa trà giò, éren in gran part ancamò quei de ringhera, cont i famili che viveven spèss domà in ona stanza, magari senza lavandin, cont i cèss in comun, ma dove se cognosséven tucc, nel ben e nel mal, come in di cort di paés. La gent la se moveva in tranvai, quaighedun in bicicletta, i pussée fortunàa in Vespa o Lambretta, appèna nassuu; l'automobil ghe l'aveven domà i sciori, inscì i fioeu, se giugaven minga in di cortil, el faseven in strada, i mas'c cont i tollitt, a tì ghe l'et, a tombinèlla, a la lippa, i tosann cont la corda, i serc, a campana, cont i numer pitturàa per terra cont el gèss, e stagh attent se passava on'automobil per minga fass trà sotta. Ma quai fioeu el giugava anca in mèzz ai maceri, e tanti hinn stàa quei che gh'hann lassàa quai did, man o anca pégg per via di bomb che eren minga s'cioppàa. I scoll s'hinn subit miss in funzion, anca se éren ancamò pocch quei che faseven i scoll medi. Ma giamò in di primm ann '50 (cinquanta) se podeva pensà a quaicoss de mei, come i scoll professionai e i istitutt tecnich, menter liceo e università eren ancamò per pocch.
Una storia in scarp de' tenis
Il dialetto mi ha sempre accompagnato nella vita. Nella mia famiglia era la lingua ufficiale.
Dialetto di Gorgonzola, che per i milanesi puri era un dialetto meno elegante. Ricordo che da bambino, e più ancora da adolescente, quando cercavo di ribattere col ragionamento al modo comune di pensare, mio papà Augusto mi diceva: «Te se' propri un disparin...». Indimenticabile il teatro dialettale all'Oratorio, con le canzoni cantate sul palco del Teatro Argentia. In uno spettacolo Don Francesco mi assegnò Lassa pur ch'el mond el disa. La ricordo ancora. E la canticchio quando sono solo. Il destino mi ha porta to a dirigere uno dei pochi giornali, forse l'unico, ad avere la testata in dialetto milanese: Scarp de tenis. Come quelle del barbun cantato da Enzo Jannacci. È questa la mia storia. Una storia milanese. E di un dialetto che vorrei non si perdesse mai.
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Radio Fornace Informa
 
La lista degli argomenti della settimana 11
 
  1. 1926. - L'individuazione della necropoli
  2. Capire la crisi finanziaria
  3. CONFORT D'ALTRI TEMPI - Par scaldà i pè
  4. Corgeno, capitale del canottaggio.
  5. Cosa ascoltare oggi
  6. Dal 1945 al 1960 (4/13)
  7. Dal 1945 al 1960 (5/13)
  8. Disobbediente - (8-9 aprile 1891)
  9. Guido Sutermeister. - Una vita per la storia
  10. I GALLI CISALPINI (1-5 )
  11. Il mondo idilliaco nella pubblicità
  12. La bùla du l'aqua colda
  13. La cà di me vecc
  14. LA SCHIRPA
  15. La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (6/10)
  16. La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (7/10)
  17. La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (8/10)
  18. Massi erratici,
  19. Mestieri
  20. Notizie dal Villaggio
  21. Per esclusione - (3-4 giugno 1890)
  22. Prima di Canegrate.
  23. Tiremm innanz... - Andiamo avanti
  24. TRAVEDONA-MONATE -
  25. Una storia in scarp de' tenis
  26. Urinari
  27. Và a Biegrass a fa i stecch - Vai ad Abbiategrasso a fare gli stuzzicadenti
 
Sommario
 
Le dirette
 
Pensiero della settimana
Casa mia per piccina che tu sia, mi costi una cifra in tasse
Chi tardi arriva è già a metà dell'opera