RVG settimana 09
Radio-video-giornale del Villaggio
Settimana-09 del 2024
RVG-09 - da - Radio-Fornace
Settimana 09 2024-02-26 - Febbraio - Calendario - la settimana
26⁄02 - 09⁄057 - Lunedi
27⁄02 - 09⁄058 - Martedi
28⁄02 - 09⁄059 - Mercoledi
29⁄02 - 09⁄060 - Giovedi
01⁄03 - 09⁄061 - Venerdi
02⁄03 - 09⁄062 - Sabato
03⁄03 - 09⁄063 - Domenica
26 Febbraio 2024 - lunedi - sett. 09⁄057
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 - qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
LA CASA (4⁄6)
C: De gent cha l'ha faa i danee, e anche tanti, a Milano ce n'è sempre stata e per fortuna, dico io, ghe n'è ancamò; ma fa piacere vedere che anche molti che vengono da fuori hanno l'ambizione di abitare in case sempre più belle, a cominciare proprio dai grandi palazzi del centro, spesso con magnifici giardini che possono godere solo loro e nessuno, da fuori, immagina che ci siano. Ma gh'hoo l'impression che tanti de sti cà stiano diventando dei luoghi di rappresentanza, senza che qualcuno ci abiti.
M: Milano, da qualche decennio, è diventata una città attraente anche a livello internazionale, e inscì i cà pusse bei e important sono diventate un bene di investimento prima che di abitazione, compresi anche palazzi e grattacieli destinati ad uffici, che semm chi a domandass a chi servissen, visto che di uffici ne occorrono sempre di meno.
C: E inscì i prezzi di cà seguiten a cress ed è sempre più difficile trovare casa in città pagando cifre ragionevoli, anche se i negozi lasciati vuoti dai bottegai che non ci sono più sono stati in gran parte occupati da agenzie immobiliari.
M: Se te penset che in ona bottega de pocch meter quader, dove gh'era magari on droghee, per guadagnarsi da vivere bisognava vendere migliaia di prodotti e ora nello stesso locale basta vendere anche un solo appartamento al mese e ti sei guadagnato la pagnotta... E poi c'è anche tutto un fiorire di attività legate alla casa: architetti, designer, arredatori, che si fanno pagare profumatamente proprio da chi ha ambizioni e, naturalmente, disponibilità.
C: Mi vengono in mente anche gli appartamenti ricavati nelle vecchie fabbriche dismesse, i loft come hai detto tu, che sono diventati più ricercati, e cari, di tante case signorili, dove appunto tutti questi nuovi professionisti si sono sbizzarriti a inventare nuovi modi di abitare. Par quasi che anca la cà la sia diventada un ben destinaa a durà pocch, come un usa e getta qualsiasi.
M: Speremm de nò... Di questi tempi, poi, ci sono sempre nuovi problemi legati alla casa, per esempio il numero crescente di singoli, i cosiddetti single, che vivono la casa quasi come un pied-à-terre, sia in appartamenti propri sia nei residence, una ormai consolidata variante dell'albergo. E quello degli studenti, che le nostre università riescono ad attrarre, ed è cosa molto positiva, ma che sono molto poco attrezzate per ospitarli a prezzi ragionevoli, visto che i cà in affitt hinn semper de meno e costen semper pussee. E di nuovo torniamo alle case popolari, il problema più grosso, perché riguarda molte persone che non hanno abbastanza soldi, e ci deve pensare lo Stato o la Regione o il Comune, e sappiamo che è purtroppo cronica la scarsa capacità degli enti pubblici di gestire le cose.
C: Quando si parla di singoli si pensa sempre ai giovani, mai agli anziani, che sono poi quelli che hanno i problemi maggiori, anche se magari vivono in una casa di proprietà: i fioeu tenden a dismentegai, i portinar gh'hinn pu, i visin de cà quasi sann nanca chi hinn... Fin che restano in coppia va tutto bene, ma quando ne muore uno, e in genere il primo ad andarsene è il maschio, le cose si fanno difficili. E disi domà de gent che la sta on po ben, perché se pensiamo a chi non è proprietario della casa e vive magari nelle case popolari, rischia perfino di vedersi occupato l'appartamento da qualche delinquente.
Bombay, la regina dello Zoo (Giardini pubblici Indro Montanelli)
A passeggiare oggi tra gli alberi e i sentieri dei Giardini Indro Montanelli, a Porta Venezia, nel primo parco pubblico di Milano voluto dagli austriaci nel Settecento, si fatica a immaginare che una parte dei questo luogo sia stata abitata da leoni e leonesse, scimmie e giraffe, orsi bianchi e bruni e perfino foche ed elefanti. È la storia, un po' triste, dello Zoo di Milano, tappa domenicale delle famiglie con bambini e pena delle associazioni animaliste, che hanno combattuto per la sua chiusura fino al 1992. Tra le molte attrazioni, la più famosa è stata senz'altro l'elefantessa Bombay, ammaestrata per ogni tipo di gioco, capace di ballare, dondolarsi sulla trave e addirittura portare gli occhiali! Come abbia fatto a sopravvivere tanto a lungo in un parco milanese, contesa dalle grida dei bambini, non è dato saperlo. Il suo destino però era di rimanere legata a Milano in eterno, tanto che dopo la sua morte, avvenuta nel 1987, fu trasferita al vicino Museo di Storia Naturale, dove è ancora possibile ammirarla immersa nel diorama di un mondo senza dubbio più consono alle sue abitudini.
Ambiente e clima. - La distribuzione dei siti e il ruolo dell'idrografia
I siti archeologici dell'area culturale della Scamozzina- Monza e di Canegrate manifestano una speciale relazione con l'acqua, è dunque opportuno prestare attenzione allo sviluppo dell'idrografia nell'analisi della loro distribuzione. Si possono distinguere:
1. Siti montani. Si collocano nel Biellese e in Canton Ticino e sono caratterizzati dalla vicinanza a corsi d'acqua grandi e piccoli, sempre a regime perenne, sorgenti, laghi grandi e piccoli, torbiere.
2. Siti di pianura. Molti siti nella pianura novarese, nell'alta e media Brianza e nella bassa milanese sorsero presso piccoli corsi d'acqua, spesso in aree di risorgiva. Un caso è San Pietro Mosezzo, lungo il limite superiore delle risorgive nell'alto novarese (linea a pallini blu in figura).
3 -I fiumi maggiori (Ticino e Adda), avevano scavato valli profonde, invece i fiumi più piccoli (Olona, Lambro, Serio) e di risorgiva, non avendo questa forza erosiva, erano lenti e formavano paludi in aree depresse. Infine, in Lomellina si trovano diversi siti all'asciutto su terrazzi di risaie.
4. Siti pedemontani. Interessano gli anfiteatri dei ghiacciai del Ticino e dell'Adda, con corsi d'acqua e molte acque stagnanti, cioè laghi, paludi e torbiere e pianalti, alcuni dei quali oggi obliterati dall'impianto (aree in colore indaco in figura). Verso la fine del Bronzo Medio (XIV secolo a.C.) scompaiono gli insediamenti palafitticoli costruiti in precedenza nelle aree umide. Persiste tuttavia l'uso di abitare in prossimità di corsi d'acqua, ma in posizione dominante (come la necropoli di Canegrate sulla valle dell'Olona) o al margine di acque aperte o paludi, caratterizzate da ristagno temporaneo o permanente di acqua.
5 - bacini fluviali hanno sempre rivestito un ruolo fondamentale per i collegamenti. Nella tarda età del Bronzo, ha grande importanza il Ticino con i suoi affluenti alpini, che segnano la via verso i passi del S. Gottardo e del S. Bernardino e i territori d'oltralpe in cui abitavano altri gruppi che i reperti mostrano effettivamente in relazione con l'area Scamozzina-Monza e Canegrate.
L'amerikano
(17-18 agosto 1886) Il ladro che giorni or sono rubò una spilla di brillanti alla Stazione Centrale, non è Zanzi Romeo, abitante in corso Garibaldi n. 47, stuccatore, com'egli si era qualificato: ma bensì un tal Galli Ambrogio, tessitore in nastri pregiudicato. Egli aveva dato un nome falso all'autorità per scansare una pena maggiore, essendo recidivo. Lo Zanzi esiste, ma è in America e fa l'onesto negoziante.
Harakiri - (29-30 luglio 1888)
Nella sala San Paolo del nostro Ospedale Maggiore, fu ricoverato tre mesi or sono un vecchio parrucchiere, abitante in via S. Marco, malato gravemente. Ieri, durante la distribuzione della zuppa, il povero Figaro corse alla latrina. Un infermiere, avvedutosi quasi subito dell'assenza del malato, gli fu dietro, ma lo trovò con un rasoio in mano ed una enorme ferita, in forma di croce, al ventre. L'ex barbiere fu disarmato in tempo da impedirgli di consumare quel suicidio alla Giapponese. Il ferito fu quindi trasportato nel proprio letto, e tosto medicato e diligentemente cucito.
ONA VITA SPENDUDA A BARCAMENASS TRA I TELECOMAND
Vorevi cambià canal e gh'è partii el condizionador. Inscì mì hoo cominciaa a pensà che in la cà ghe fuss on quai demòni elettromagnetich bon de invià ò de smorzà per el piasè sò de lù, elettrodomèstich e apparècc tv. Nient de tutt quèst. Mì avevi domà sbagliaa el telecomand: vorevi passà in sul Canal 5 e schisciavi 'me on matt el tast de fà invià el condizionador». Quest l'è inevitabil in di cà in doe i telecomand aumenten dì per dì, spars tra i tavole i divan, i mobilètt e i ciffon.
Fin'a on quèi ann fa el telecomand l'era vun e l'era l'unich, ver segnal de comand in de la famiglia: el scètter del capp, el baston del pòtere senza limit, var a dì come quèll che ona vòlta in di campagn del Vòttcent, eren staa i ciav de la dispensa.
In sul tavol ò in su l'ottomana el telecomand el vegniva miss arent al resgiô ch'el podeva dispònn com'el voreva. Amabil sciori dispòst a lassà in man di miee tutt l'andament de la cà e a subì i sò scèlt in materia de vestì, mangià e vacanz, faseven varè l'autorità che ghe competeva, pù ò men spòttica, in sui programma de la television. Ma quèst l'era domà la preistòria. A mètt prèst in crisi quèll modell ecco el moltiplicass di televisor. Giamò el vegnì a voltra el second apparècc (in cusina ò in stanza de lètt), l'ha creaa i primm rottur in quèll sistèma de pòtere”. E quand anca i fioeu hann conquistaa el diritto a on pròppi televisor, gh'è crollaa tusscòss. El potere tv del resgiô l'è sparii come anca l'union famigliar, sparsa tra i vari apparècc, in di divers stanz, a guardà programma different. E l'era minga finida. Ai duu ò trii telecomand tv hann cominciaa a giontass quèi del videoregistrador e del com- plèss hi-fi. E quand i videocassètt hann lassaa el pòst ai dvd, el videoregistrador, cont el sò telecomand, l'è restaa a bon cunt al sò pòst, come lettor di vègg cassètt e co me strument de registrazion di programma tv. Ma a fagh compagnia intrattant gh'era rivaa el decòder di ret satellitar (ò digital) cont el sò regolar comand a distanza. Poeu l'è stada la vòlta del condizionador, e el numer di comand a distanza l'è aumentaa anmò pussee: tanti, (se pòden telecomandà anca i tapparèll, i lampadari e i ventilador de soffitt) tutti che se somèjen de fa spavent e altertant inutil se pontaa contra l'apparècc sbagliaa. Ogni tentativ de mes'ciall l'è destinaa senz'al ter a fallì e anca la soa sostituzion l'è on'impresa minga de pòcch.
Quand on telecomand el se s'cèppa l'è praticament impossil trovà anmò el stèss mòdell: se dev ripiegà sui modèll universai. Pù ò men dotaa de fonzion, che salten on poo de chì e de là, fassaa sù in di sò tutinn de gòma, i universai vann taraa second la marca del televisor. Attenzion però el spiega el gentil commèss del negòzzi d'elettrodomestich, i còdes d'identificazion de la marca hinn riferii ai modell abbastanza recent. Se el televisor l'è molto vègg, gh'è'l ris'c che fonziònen nò .
Ma allora - gh'è de domandass - a cosa servèn?». Se'l televisor l'è de adèss l'è anca el telecomand, che se spera el fonziona anmò ben; e se pròppi el dovèss rompes cuntum de trovà anmò el modèll original. El ricambi universal el sèrv giust per sostituì i telecomand vègg e che ormai fabbrichen pù».
E l'è inscì, al de là di scrupol del commèss. E a l'elenco di telecomand domèstich se pò taccà anca l'ultim rivaa: el sostitutt.
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27 Febbraio 2024 - martedi - sett. 09⁄058
Notizie dal Villaggio
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Cosa ascoltare oggi
Andare a ufa - (L'esenzione dai dazi per la Veneranda Fabbrica del Duomo)
Quante volte abbiamo sentito dire «andare a ufo», oppure «a ufa»? Ma da dove arriva questa locuzione popolare che usiamo per indicare qualcuno che scrocca o non paga un conto? Per capirlo dobbiamo tornare al XIV secolo, e precisamente al 15 marzo 1386, quando venne posata la prima pietra del Duomo dando avvio ai lavori della Veneranda Fabbrica. Per il trasporto dei marmi di Candoglia, che Gian Galeazzo Visconti volle utilizzare per la costruzione della cattedrale, si stabilì che non fosse necessario pagare un dazio o una gabella per l'ingresso in città. I barconi che trasportavano i materiali per la costruzione del Duomo furono quindi contraddistinti con la sigla AUFA (acronimo per Ad Usum Fabricae Ambrosianae), generando così la nascita del detto popolare, forse anche sull'onda del sarcasmo dettato dal privilegio. Naturalmente, tanta generosità non fu gratuita: in cambio dell'esenzione dai dazi, la Veneranda Fabbrica del Duomo si incaricò delle spese di manutenzione del Naviglio Grande, la via di trasporto usata per tutti i materiali da costruzione.
Ambiente e clima. - Differenze ambientali e storia del clima: il rapporto con altri territori
Il territorio dell'area culturale Scamozzina-Canegrate si differenzia nettamente dal territorio della coeva cultura delle Terramare (villaggi caratterizzati da cinte difensive in terra e fossati perimetrali, con case su pali in legno e pertanto rialzate dal suolo), che si sviluppava a est dell'Oglio e soprattutto a sud del Po. L'areale terramaricolo è altimetricamente più basso (sotto i 50 m s.l.m.), costituito da depositi più fini, in prevalenza limosi e quasi saturi d'acqua. Perciò la costruzione delle Terramare nell'età del Bronzo Recente richiese specifiche opere di sistemazione idraulica, che non furono sperimentate tra Lombardia occidentale e Piemonte orientale.
Vi erano inoltre differenze climatiche che si percepiscono anche nel clima di oggi. Il settore piemontese e lombardo occidentale della pianura padana è più umido di quello mantovano-emiliano, soprattutto d'estate. Il regime dei fiumi alpini e delle acque sotterranee a nord del Po è perennemente ben alimentato da ghiacciai, nevai e grandi laghi, mentre i fiumi appenninici sono soggetti a un regime torrentizio e all'aridità estiva del clima mediterraneo. Queste differenze idrologiche, dovute al clima e alla conformazione delle montagne, influenzano la storia delle foreste e dell'agricoltura e del popolamento dell'età del Bronzo.
Negli ultimi due millenni a.C. - tra l'inizio dell'età del Bronzo e l'età Romana imperiale - il clima della regione alpina e dell'alta Pianura Padana subi variazioni che sono state concordemente registrate dalle oscillazioni di numerosi ghiacciai nelle Alpi, ad iniziare dal più grande dei ghiacciai alpini (Ghiacciaio dell'Aletsch nelle Alpi Bernesi). Le fasi culturali di Scamozzina e Canegrate caddero in un periodo climatico di ottimo termico, cioè in un massimo caldo, con ritiro dei ghiacciai, che perdurò un paio di secoli tra il 1410 e il 1170 a.C. circa. Più tardi, all'inizio dell'Età del Ferro, si verificò un'importante fase fredda, tra 890 e 600 a.C. circa.
Lametta - (6-7 settembre 1888)
Il legnaiolo Luigi Zimbelli, abitante al n. 127 su corso San Gottardo, ebbe ieri la disgrazia di andarsi a far radere la barba da un parrucchiere, che stava altercando col suo giovane. Questi pensavano più a scambiarsi delle insolenze che al malcapitato, che affidava all'opera loro, l'onor del mento..., tanto che inavvertitamente gli produssero col rasoio una grave ferita al naso. Il legnaiolo corse a farsi medicare, giurando in cuor suo di non tornare più in quel negozio.
Pollice verde - (4-5 luglio 1889)
Giorni sono le guardie sorpresero quattro individui che, armati di scure, stavano abbattendo alcune piante dei bastioni, chi sa mai per quale motivo. Furono arrestati. Erano muratori a spasso che non volevano rimanere oziosi. Si chia mano Re, De Molli, Rho e Puricelli e hanno tutti dai 22 ai 24 anni. Il pretore li condannò per citazione direttissima a qualche giorno di carcere.
I falò di Sant'Antonio Abate
Nel corso dei secoli gennaio si è affermato come il mese in cui la notte è più punteggiata di fuochi. Le convinzioni umane hanno vacillato vistosamente, ma i magici rituali di un tempo sono rimasti intatti. I nostalgici ardono le vecchie cose inutili o una fattucchiera d'aspetto laido per seppellire definitivamente i malanni dell'anno vecchio. Altri levano in cielo pire o roghi per propiziare i raccolti o, come si è soliti dire, la qualità della vita. Il fuoco ha sempre suscitato sentimenti contrastanti ma, ricordiamolo, dal fuoco nascono pascoli più verdi.
Nuovi cultori si ritrovano ogni anno in Martesana: il 17 gennaio si cementa ancora un patto tra generazioni. A Vimercate e ad Omate [, a Truccazzano come a Vimodrone, passando attraverso Brugherio, Bellinzago, Pozzo d'Adda, Pessano con Bornago, Gorgonzola e Sant'Agata Martesana, i festeggiamenti si susseguono come i grani di un rosario.
Accorrono frotte di donne da marito a sfidare un destino improvvido e baro: "Sant Antoni miraculus - recitano a memoria - famm la (esse strascicata, se proprio a voi tocca salmodiarla) de truà el murus, famel truà grand e gross, damel minga senza l'oss!". E tempo di schermaglie e di giochi d'amore. Fatte le proprie scelte, tutti sciamano, chi sul ponte medioevale di San Rocco a Vimercate, il rivoluzionario in piazza, il "paulot" all'oratori, lo sportivo collaudato sul rettangolo di gioco. Alte si levano le pire, controllate dalla protezione civile e dall'ecologista di turno. Le varie Pro Loco hanno il compito di far funzionare la cucina da campo, escono da mani operose "frittelle di molte maniere", vin brulé e cioccolata.
Ecco cosa dovete riporre nel grumo di pasta lievitata secondo i dettami del vecchio "scalco":
"Uve passe o cotte, zibibbo, passarine rosse o nere del Levante, mele, figh, datteri di Barberia, mandorle, pinoli, straccaganasse, noci o nocciole del Piemont".
Dato il genere di consolazioni, non parrebbe molto appropriato allo stile di vita del santo anacoreta egiziano. Sant'Antonio si cibava di rare erbe e locuste nel deserto della Tebaide.
All'osservazione si oppone un però... chi partecipa a questo rito, sacro e pagano insieme, lo fa nel nome di quel "foco" che piacque anche al santo d'Assisi, Sant'Antonio andò fin all'Inferno per "torre un tizzone da recare agli omini"
Nelle pale d'altare, come nei quadri di devozione familiare, Sant'Antonio Abate è ritratto ritto in piedi con il lungo bastone a T, la campanella, il porcello e un focherello ai margini del quadro e della radura. È protettore umile di chi pene d'Inferno per il "fuoco di Sant'Antonio", degli animali domestici e dei contadini. Ma anche di alcune associazioni: i macellari e i canestrari.
Marzo (1⁄3)
Narra una leggenda che i pescatori di Carate Lario, comune del comasco dal 1927 unito ad Urio, dopo ore di inutile attesa in mezzo al lago promisero, in cambio di una pesca abbondante, di far celebrare una funzione religiosa di ringraziamento in onore del santo ricordato quel giorno dal calendario; era il primo di marzo e si festeggiava S. Albino monaco e poi Vescovo di Angers, invocato come protettore dei bambini ammalati e dai non vedenti, la cui effige era custodita nella parrocchiale del paese. Detto fatto le reti si riempirono di pesci che in poco tempo colmarono le barche. Ma, come dice la sapienza di noster vècc: La messa l'è longa se la divozion l'è corta! .
Nel tornare a riva, i pescatori, calcolarono che, con i soldi che avrebbero speso per mantenere la promessa, il guadagno si sarebbe dimezzato; smisero quindi di remare e con lo sguardo rivolto al cielo recitarono in coro: S. Albino abbi pazienza, tu di messe puoi far senza, mentre noi con questi pesci, ci saziamo e siam felici! . Ma il santo non si lasciò commuovere, anzi, diede ordine ai pesci di tornare nel loro elemento e questi ubbidirono all'istante! Unanime però, fu anche la decisione dei pescatori che giunti a riva si diressero verso la chiesa e essersi impadroniti della statua del santo la bruciarono sulla pubblica piazza. Per questa loro azione gli abitanti di Carate Urio sono tuttora chiamati dai paesi vicini: brusasant , ovvero: bruciasanti! I caratesi rispondono:
Ogni paes el gh'ha la soa usanza e quej che scherzen hinn senza creanza! .
Il primo giorno di marzo, in molte località lombarde, sopra un grande falò si bruciava l'omm de paia mentre tutt'attorno i giovani del paese si davano la voce cantando:
Marsa Marsia, caval sensa bria, bria sensa sella, gh'è ona bella pivella. Cosa ghe dema in dotta? 'Na pell de vacca e ona pigotta, ona roda da mulin e per cossin? On sacch de spin! .
Questa filastrocca faceva parte del repertorio della chiamata di marzo , evento che festeggiava la fine del periodo invernale e il tanto atteso ritorno della primavera. Ma la sapienza di noster vècc non è tanto convinta che marzo sia preludio alla bella stagione, soprattutto perché in questo periodo il terreno è ancora gelato e fangoso e di conseguenza lo si lavora a fatica, infatti: Ul fréce marsulin al fà diventà matt ul cuntadin! proverbio, però, mitigato da un altro più speranzoso: La nev marzolina la dura no fin a la mattina! . Auguriamocelo perché, in questo periodo, in tutta la Lombardia, si preparano i campi alla semina.
La bocca l'è minga stracca se no la sà de vacca! (ogni pasto andava terminato con un pezzo di formaggio per, come si usava dire, togliere l'unto , dei cibi troppo grassi).
II quattro di questo mese la chiesa festeggia San Lucio I Papa, santo che però non ha niente a che vedere con il patrono dei formaggiai del quale parla una leggenda lombarda. Il nostro Lucio, di cui non si trova traccia nei due volumi di Piero Bargellini dedicati ai santi, secondo quanto riferito dal Bagnoli nel suo libro sulle tradizioni popolari lombarde, sarebbe nato alla fine del secolo XIII in quel di Cavargna, località situata a 1071 metri d'altitudine, che dà il nome all'omonima valle in provincia di Como.
Lucio fin da ragazzo, divenne esperto nel condurre le mandrie al pascolo, imparando anche l'arte di lavorare il formaggio; non vi era povero che bussando alla sua baita, non ricevesse in dono un pezzo di caciotta e una ciotola di latte appena munto. Per la sua missione a favore degli indigenti e dei malati, lo fecero santo e, nel giorno della sua festa, numerosi fedeli si recavano nella chiesa milanese di S. Bernardino alle Ossa, sostando in preghiera davanti al dipinto che raffigura un uomo alto e barbuto nell'atto di di- stribuire latte e formaggio ai poveri; quell'uomo è San Lucio che, oltre ad essere il patrono dei ca- sari, lo era anche dei lattai, che poi gli preferirono S. Giorgio!
Ogni ann gh'è on carnevaa e ona quaresima! (Ogni anno ha il suo carnevale ma anche la sua quaresima). Lo si dice con rassegnazione alludendo al trascorrere lieto, ma anche triste, del tempo.
Passate le Sacre Ceneri, finito il carnevale am brosiano, che mantenendo l'antica tradizione dura quattro giorni di più, eccoci alla prima domenica di quaresima. In uno dei preziosi almanacchi, editi dalla Famiglia Meneghina, nella rubrica Fiere, feste tradizionali e pie consuetudini trovo scritto: Con l'inizio della quaresima, nelle chiese tacciono gli organi. In Duomo l'Arcivescovo canta i Vespri non con il Piviale ma con la Pianeta usata per la Messa .
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28 Febbraio 2024 - mercoledi - sett. 09⁄059
Notizie dal Villaggio
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Cosa ascoltare oggi
Basilica di Sant'Ambrogio (secolo IV-XII) - piazza Sant'Ambrogio
L'area su cui Ambrogio volle che venisse edificata la chiesa era allora una grande zona cimiteriale in aperta campagna, con alcune edicole dedicate ai martiri cristiani ivi sepolti (l'unica rimasta, chiamata oggi San Vittore in Ciel d'Oro per il colore del bellissimo mosaico, fu inglobata successivamente nella basilica). La chiesa venne pronta nel 387 e chiamata basilica Martyrum perché in essa Ambrogio collocò, dopo averli ritrovati, i resti dei martiri Protasio e Gervasio.
Ambrogio volle essere sepolto in questa chiesa, e con lui anche il fratello Satiro e la sorella Marcellina. Le forme attuali dell'edificio sono il risultato delle modifiche fatte nell'VIII e nell' XI secolo. L'altare d'oro , voluto dal vescovo Angilberto nell'835, è tra le opere di oreficeria più importanti al mondo. Vi officiavano insieme, tra aspre dispute anche a bastonate, monaci benedettini e canonici, entrambi con un proprio campanile (rispettivamente dell'VIII e XII secolo).
In questo luogo vennero incoronati re d'Italia Berengario (888), Lotario (931), Ottone I (961), Enrico III (1046), Enrico IV (1081), Enrico VII (1311), Ludovico il Bavaro (1327), Carlo IV di Boemia 1355), Sigismondo d'Ungheria (1431).
Qui il vescovo Ansperto, nell'875, diede sepoltura all'imperatore Gudovico II trafugando la salma da Brescia, per aumentare il pretigio della chiesa.
Qui Carlo Magno fece battezzare una delle nove figlie.
Qui, in una sfarzosa cornice tra migliaia di invitati, venne consacrato il primo duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti. Era il 5 settembre 1395: "spectaculo de tanta solemnità al quale vi concorse gente da tutte le nazioni de' cristiani, et anche infedeli".
La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (1⁄10)
Quali vicende disgraziate abbia incontrato il borgo e quali cose meravigliose vi siano accadute
È impossibile narrare quante volte questo borgo abbia esperimentato l'avversa fortuna; tuttavia tenterò di riferire i fatti che ho appresi o dalle relazioni anteriori o dai monumenti antichi o che le vicende dei tempi mi inducono a credere siano realmente avvenuti. Tralascerò i danni e quegli antichissimi eccidi che il borgo subì o dal senone Brenno o sotto i Romani, perchè già ne ho fatto menzione quando ho narrato gli inizi del borgo, là dove dissi che esso fu ridotto all'estrema rovina e per tanto tempo rimase così devastato che ne venne un grandissimo bosco, ricovero dei ladroni e dei briganti di strada.
(1) Il nome, storpiato come al solito dal popolo, è ricondotto dal Crespi alla sua esatta lezione. Esso viene da pruna che in latino vuol dire bracie, carboni accesi.
Tralascio quel grandissimo incendio che finalmente fu appiccato a questo bosco per istanarne i predoni e far cessare le loro inumane e sanguinose aggressioni. Questo incendio fu così terribile che ne andarono bruciate quelle sette solidissime torri che avevano dei muri larghi quasi dodici cubiti, i quali per il soverchio calore del fuoco quasi si disseccarono e caddero, cosicchè a stento una ne giunse fino all'anno 1578.
Qual che sia stata la sorte del borgo sotto i Goti e sotto i Longobardi o sotto i Visconti prima dell'Arcivescovo Ottone e del grande Matteo Visconti, è certo che nelle lotte tra i Torriani e i Visconti questo borgo dovette subire grandissimi danni e devastazioni e quasi la rovina, come già abbiamo detto. Ma, cacciati i Torriani, la fortuna favorì i Visconti e non si ebbe quasi più nulla a soffrire nel borgo fino al tempo di Giovanni Maria Visconti che ebbe il governo dopo Gian Galeazzo, suo padre, e primo duca di Milano, sotto la tutela della madre e di Francesco e Manfredo Barbiani.
Sebbene infatti agli inizi del suo governo, cioè nell'anno 1403, i delegati di 64 popoli e città soggette avessero prestato il giuramento di obbedienza e fedeltà, tuttavia dopo poco, dapprima nella città di Milano, cominciarono a sollevarsi dei tumulti per opera di Antonio Visconti che mal sopportava che, per il testamento paterno, il duca non fosse affidato alla tutela e alla fede della famiglia Visconti. In seguito avvenne una grande ribellione delle città esterne, moltissime delle quali furono tolte al duca.
Facino Cane, per non parlare delle altre vicende, adi rato perchè i Bustesi si conservavano fedeli alla parte del duca, tentò di rovinare e di demolire dalle fondamenta anche questo borgo; ma i Bustesi, costruito un terra- pieno e cinto il borgo di mura più forti, lo respinsero. Facino, visto fallito il suo intento, se ne partì (1).
(1) Su questo episodio vedi Ferrario o. c. e B. Grampa in Pagine di Storia e di Vita Bustese - Busto Arsizio 1927 - che riproduce dal Ferrario la nobile lettera scritta da Benedetto da Marano, Vicario del Seprio, sotto la cui giurisdizione era allora Busto, e controfirmata dai magistrati della Comunità, al duca di Milano, per invocare soccorsi contro il terribile condottiero; e dà una colorita narrazione di quegli angosciosi momenti.
Amicizia
I mosch se ciappen col mel e se spaventen con l'asee. - Le mosche si acchiappano con il miele e si spaventano con l'aceto (cioè con la cortesia si attrae il prossimo).
A l'amis pelegh el figh, al nemis pelegh el persegh. All'amico pela il fico, al nemico la pesca.
Bisogna stà pussee amis del diavol che di sant. Bisogna restare più amici del diavolo che dei santi.
I amis hin quij che se gh'ha in saccoccia. Gli amici sono quelli che si hanno in tasca (cioè i denari).
L'amis vecc l'è on gran bell specc. - Un vecchio amico è come un gran bello specchio.
L'è mej on amis che cent parent. - È meglio un amico che cento parenti.
Prima de fatt on amis, mangia insema on carr de ris. Prima di conoscere un amico bisogna mangiare insieme a lui un carro di riso.
Se te vœu fatt on nemis, impresta danee a on amis. Se vuoi farti un nemico, presta denaro ad un amico.
I fals amis hinn come i mosch, che da la sira - a la matina, fin che gh'è de mangià, stann in cusinna. I falsi amici sono come le mosche, che dalla sera alla mattina, finché c'è da mangiare, stanno in cucina.
Amicizia rinovada, l'è minestra riscaldada, che no var ona bolgirada. - L'amicizia rinnovata è una minestra riscaldata che non vale nulla.
Borgo Camuzzago e San Mauro
All'epoca in cui il territorio tra Bellusco, Ornago e dintorni era una landa boschiva e inospitale (frequentata anche dai lupi), nel 1152 ai canonici del Santo Sepolcro parve cosa buona e giusta mettere in piedi un ospizio e una chiesetta a uso dei pellegrini.
Nel 1478 i monaci benedettini presero il posto dei canonici e vi rimasero sino al 1773 e fu con la loro partenza che il convento si trasformò in una vivace cascina rurale, destinata a spopolarsi lentamente fino a essere completamente abbandonata e in rovina alla fine del Novecento. Una visita alla chiesa del San Sepolcro, ora Santa Maria Maddalena, compensa chiunque dei disagi per essersi avventurato, in piena campagna. La terra dell'antico ducato non finisce mai di stupire per la munificenza dei Signori e la devozione degli abitanti.
Qui venne Bernardino Butinone da Treviglio ad affrescare l'abside e le pareti dell'unica navata con la sua arte meravigliosa: la Cena di Gesù in casa del Fariseo vi lascerà stupiti e sgomenti.
Camuzzago, frazione di Bellusco, festeggia San Mauro in modo originale e contagioso e la riuscita della manifestazione è misurata dall'aumento continuo dei partecipanti. In due decenni, gli ex abitanti della cascina abbandonata, che si ritrovano insieme ogni anno, sono passati da 60 a oltre 150 persone. Un esempio beneaugurato di longevità.
Le indagini all'anagrafe continuano per ricostruire il quadro dei pigionanti dell'antica cascina prima del grande esodo. I promotori di questa "rimpatriata", che persegue anche fini benefici, non lesinano gli sforzi. È stata creata un'Associazione denominata "Amici di Camuzzago" nata nell'intento di mantenere vivo il ricordo non solo di un luogo ma anche di un modo di vivere e di essere. Nel giorno che si festeggia il loro patrono, organizzano visite guidate presso la chiesa che non è più luogo di culto ma di incontri e attività culturali.
Oggi il borgo e la chiesa sono di proprietà della società San Mauro Srl, che ha provveduto al piano di recupero e alla ristrutturazione dell'intero complesso.
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29 Febbraio 2024 - giovedi - sett. 09⁄060
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Cosa ascoltare oggi
LA CASA (5⁄6)
M: Te tocchet on tasto molto doloros, che però l'è minga domà milanes, ma è una realtà di quasi tutto il mondo, che vede la popolazione aumentare a dismisura, che poi si riversa in massima parte nelle città. Nun semm ancamò fortunaa col nostro milione e mezzo scarso di abitanti, che diventano magari due o tre durante la settimana, ma pensa agli agglomerati di 15-20 milioni di persone. In effetti, sono come degli Stati interi, che hanno bisogno di tutti i servizi e la strutture di uno Stato, che però magari sta lontano, come è il caso nostro, e così tante decisioni non si riescono a prendere oppure vengono prese male. A Milano, la maggioranza delle persone abita in casa di proprietà, ma per chi ghe l ha nò i problemi possono essere particolarmente difficili. E pure per chi ce l'ha, come gli anziani soli, che però gh'hann forse bisogn de quaicoss d'alter.
C: Certo che così, anche con le nostre dimensioni contenute, senza i grandi sobborghi milionari (di gente, non di soldi...) trovare dei nuovi milanesi è più difficile, visto che i nostri tanto decantati esempi di efficienza e modernità, inscì ris'cen de diventà quaicoss de negativ, quando leggi sul giornale i fatti causati da questi problemi, mentre su un'altra pagina si parla della smagliante modernità.
M: Eh già, dopo quello che abbiamo detto all'inizio su come ci vedono da fuori, ogni tanto torna di moda raccontare chi sono i milanesi, ma ancor più le milanesi, sempre però prendendo come esempio quel mondo che l'è minga certament quell di cà popolar... Sono, in genere, donne che parlano di voi donne e non so se fanno un favore o meno alle donne milanesi, perché regolarmente si parla soltanto di quelle che tanti chiamano radical chic, ricche, belle, colte e naturalmente intelligenti e sempre giovani ed immancabilmente anche di sinistra. E naturalment dove stann de cà? Il loro ideale sembra essere il salotto della Contessa Maffei in via Bigli, ma va ben tusscoss, purché nelle zone "in" di Milano, firmato dagli architetti e arredatori di tendenza e magari anche fotografato per qualche rivista patinata.
C: Ho letto che uno di questi archistar ha parlato di una Milano fatta più che di quartieri di tanti luoghi chiamati unità di vicinato, più di 70 ne ha individuate, che, ripensando al passato, potrebbero assomigliare alle vecchie contrade, ma fo fadiga a pensà che le milanesi moderne che hai descritto si adatterebbero a questo modo di vivere la città.
M: L'ho leggiuda anca mi, insieme ai dati di una ricerca fatta nel 2022 da un istituto specializzato su milanesi di tutte le età, nei nove Municipi della città, dove risulterebbe che oltre l'80% di loro è soddisfatto del quartiere in cui vive e ben il 90%, se proprio dovesse cambiare casa, non vorrebbe uscire da Milano.
La Scala con i suoi caffè - (Piazza della Scala)
Il 13 agosto 1778, quando il Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala venne inaugurato con la messa in scena dell'Europa riconosciuta di Salieri, la piazza antistante il teatro non esisteva. Al suo posto vi era un dedalo di viuzze animate che prendeva il nome dalla chiesa demolita di Santa Maria alla Scala, o delle Case Rotte, e ospitava una miriade di caffè, vivace luogo di ritrovo di artisti, letterati e impresari. C'era il Caffè Martini, anche noto come Caffè Dujardin - dal nome del fondatore Vincenzo Dujardin - dove si trovavano i librettisti scapigliati (forse per la fama della sua gastronomia), il noto Caffè della Peppina, ritrovo dei pensatori mazziniani, e il Caffè Cambiasi, dove un giovane garzone napoletano, Domenico Barbaja, inventò la barbajada, una miscela di caffè, cioccolato e panna che divenne famosa in tutta la città. Per la cronaca, garzone, divenuto un noto impresario teatrale, aprì non lontano il Caffè dei Virtuosi. Infine, tra la Corsia del Giardino e quella di san Giuseppe (oggi via Manzoni, angolo via Verdi) si aprivano le vetrine del Caffè Cova, ritrovo del bel mondo e sede del Circolo dell'Unione.
Febbraio
Nel calendario romano arcaico, febbraio era l'ultimo mese dell'anno e terminava ufficialmente nei giorni 23 e 24, corrispondenti alla festa di "Terminitalia" e al "Regifugium". I giorni successivi per arrivare a marzo servivano per fare coincidere l'anno solare ai canonici 365 giorni, un po' come facciamo ancora oggi con l'aggiunta del 29 febbraio ogni quattro anni.
Il nome deriva dal latino "februarius" o "februarium", vale a dire il mese delle purificazioni dai riti che avvenivano durante questo mese, mentre i romani lo consacrarono a Nettuno, il dio del mare, che era invocato dai marinai dell'antica Roma per propiziarselo in vista della bella stagione e quindi con la ripresa delle navigazioni.
È il mese più povero sotto l'aspetto agricolo, richiama la gente al raccoglimento e alla meditazione e ci si augura che sia umido e nevoso come ci ricordano due proverbi: "Febbraio umido, buona annata" e "Febbraio nevoso, estate gioioso" ma non dimentichiamo il più famoso "Febbraio febbraietto, corto e maledetto".
Rivolta d'Adda: la Fiera di Merci e Bestiame
Il 9 febbraio ricorre il martirio di Sant'Apollonia, avvenuto ad Alessandria d'Egitto verso il 249 d.C. sotto la persecuzione dell'imperatore Gaio Messio Quinto Traiano Decio.
Poco sappiamo della vita della santa, mentre sono bene conosciuti gli avvenimenti del martirio, cominciato con una sommossa popolare che produsse il massacro di moltissimi cristiani. I persecutori della vergine Apollonia cominciarono a estrarle tutti i denti, quindi accesero un rogo con la minaccia di bruciarla viva se non avesse rivolto loro parole blasfeme. Dopo aver riflettuto e riuscendo nel frattempo a liberarsi momentaneamente dei suoi aguzzini, senza alcun indugio si gettò nel fuoco fu consumata.
La santa fu prescelta quale patrona dai dentisti e invocata spesso come protettrice contro il mal di denti e delle mascelle e più genericamente da tutti coloro che ne temono il dolore.
A Rivolta d'Adda in questi giorni si tiene la "Fiera di Sant'Apollonia"; è la prima fiera dell'anno per gli operatori del settore agricolo, infatti, nell'ambito della manifestazione si tiene anche la "Fiera Regionale di Merci e Bestiame" giunta nel 2016 alla 188.ma edizione.
Una kermesse che comprende manifestazioni musicali, folkloristiche e sportive, convegni sull'agricoltura, una rassegna di macchinari agricoli, esposizione di bestiame da latte e da allevamento. La fiera si svolge tradizionalmente il secondo lunedì del mese di febbraio e la domenica che lo precede: nel giorno festivo si ha una grande affluenza di pubblico mentre il lunedì è dedicato agli "esperti" del settore.
Lungo le vie Battisti e Cereda, piazza Ferri e lungo i portici del palazzo comunale, sono esposti animali quali bovini, cavalli, conigli e perfino gli struzzi. Molti i premi che vengono consegnati ai migliori animali esposti, ma il più ambito è quello destinato alla vacca da latte, seguono altri premi per manze e giovenche, alle vacche primipare e alle mammelle più prolifiche, non manca quello al miglior allevatore ed espositore. Come si può intuire, la fiera è un grande appuntamento agricolo, con presenze provenienti da tutta la regione e mantiene viva la tradizione secolare di un mestiere, oggi secondario, del contadino, ma tuttora indispensabile a tutti noi per i prodotti genuini che ci fornisce quotidianamente.
Il clou della fiera avviene la domenica mattina quando la Pro Loco distribuisce ai visitatori la tipica trippa, sotto il portico del Comune.
Spostandoci verso le vie Giulio Cesare e Giuseppe Garibaldi e incro ciando piazza Vittorio Emanuele ci troviamo nella miriade di bancarelle e venditori ambulanti, dove si trova di tutto, ma soprattutto i prodotti enogastronomici. Interessanti mostre sono allestite, di volta in volta, nel cortile di palazzo Celesia dove spesso sono esposti oggetti tipici della Rivolta di un tempo, che nel Medioevo era chiamata "Ripalta Sicca", e che recentemente è stata nominata "Riolta Vegia" per una mostra che fornisce ai visitatori l'immagine di ciò che è stato il mondo contadino locale fino a pochi decenni fa.
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01 Marzo 2024 - venerdi - sett. 09⁄061
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Ambrogio (secolo IV) - >> Basilica di San Nazaro Maggiore, largo Richini
Dopo l'Editto di Costantino del 313, che consentì la libertà di culto, si venne a creare uno scontro fra la dottrina cristiana sancita dal Concilio di Nicea (325) e quella di Ario, che negava l'identica natura di Dio Figlio con Dio Padre.
In questo contesto, a Milano, nacque nel 374 una contesa per la successione del vescovo Aussenzio di fede ariana. In quel periodo anche le corti imperiali erano divise, nicena a Costantinopoli con Teodosio e ariana a Milano con Valentiniano. Per calmare il tumulto venne chiamato il governatore della provincia, Aurelius Ambrosius (nato a Treviri da nobile famiglia romana), laico e istituzionalmente neutrale. Il suo intervento piacque a tutti, tanto che lo convinsero ad abbandonare la carriera civile, a ricevere i sacramenti e dopo pochi giorni a diventare vescovo.
Era il 7 dicembre, ancora oggi festa del Santo Patrono. Ambrogio per vent'anni si distinse per forte personalità, capacità oratoria, erudizione, intransigenza con i potenti, predicazione appassionata, lotta acerrima contro i credi non cattolici, abilità politica e amministrativa, carità verso i poveri. Promosse il monachesimo soprattutto femminile, convertì il filosofo Agostino che divenne il più grande dei Padri della Chiesa, introdusse il canto antifonato e compose inni, rinnovò la liturgia (rito ambrosiano), ritrovò e provvide alla traslazione dei corpi di martiri favorendone la diffusione del culto. La basilica Apostolorum (oggi San Nazaro) è una delle quattro da lui volute fuori dalla cinta muraria, ai poli della città. La chiamò così perché conteneva reliquie
La metallurgia tra Bronzo Medio e Recente
Tra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente (XVI-XIII secolo a.C.) si assiste all'affermarsi su ampia scala dell'artigianato legato alla produzione di manufatti in bronzo. Le attività metallurgiche comportano l'alligazione del rame con lo stagno e la fusione in matrici chiuse o aperte per la realizzazione di un'ampia gamma di utensili, armi e oggetti d'ornamento.
La metallurgia rappresenta uno degli aspetti più caratteristici delle culture della Scamozzina-Monza e di Canegrate e testimonia l'esistenza di un sistema di scambi di idee e oggetti tra popolazioni di territori anche molto distanti tra di loro.
La diffusione delle tecniche di lavorazione dei metalli vede come protagonisti artigiani che si spostavano tra aree più o meno contigue, non necessariamente appartenenti agli stessi gruppi culturali. In questo modo facevano circolare oggetti finiti e modelli, riprodotti poi localmente (anche con variazioni morfologiche) ma riconducibili a un'idea comune. L'area di nostro interesse rientra in questo schema di diffusione e testimonia legami molto vivaci tra il nord e il sud delle Alpi: le influenze stilistiche viaggiavano indistintamente da nord a sud e viceversa. Prove di questi contatti sono rappresentati da asce, pugnali, spilloni, spade ed elementi di ornamento che oggi ritroviamo non solo nelle aree di riferimento della cultura di Canegrate ma anche in tutti quei territori partecipi degli scambi, come la Svizzera, la Germania meridionale e la Francia orientale. Testimonianza indiretta di produzioni realizzate localmente è costituita dal ritrovamento di matrici di fusione ricavate da pietra del luogo ma destinate alla creazione di oggetti diffusi a nord delle Alpi. Vi sono esempi già dalla media età del Bronzo, tra cui una matrice da Viverone (BI) da cui si realizzava un tipo di spada documentato poi in Germania.
Pessano con Bornago e la Sagra del Firùn
Rimanendo nell'ambito di Sant'Apollonia, è singolare il caso del di Pessano con Bornago, che, dopo oltre cinquant'anni, ha riproposto dal 2003 una festa che solo gli anziani possono ricordare, risvegliando le tradizioni di una volta, i ricordi di un mondo rurale di cui restano poche tracce.
I paesi di Pessano e Bornago sono stati uniti il 1° settembre 1870, ma ancora oggi gli abitanti si sentono indipendenti l'uno dall'altro, tanto è vero che due sono le chiese e due sono anche i cimiteri; Sant'Apollonia è la santa protettrice di Pessano, mentre Bornago ha Sant'Anna. Difficile quindi fare una festa che siglasse l'unificazione dei due paesi, ma nel caso specifico di Sant'Apollonia, l'Amministrazione comunale è riuscita a fare un passo molto importante per una festa comune.
Nella chiesa parrocchiale di Pessano, dedicata ai Santi Vitale e Valeria ci sono molte testimonianze del legame con Sant'Apollonia quali una vetrata e una statua con gli emblemi della palma del martirio e la tenaglia con la quale le sarebbero stati strappati i denti, collocati sulla parete a sinistra entrando dall'ingresso principale: inoltre sono presenti un'ovale raffigurante la santa con un fazzoletto sulla guancia, due reliquiari d'argento con frammenti d'osso e un busto d'argento, conservati nella sacrestia. Come possa, la parrocchia di Pessano, aver ottenuto due frammenti di ossa, ancora oggi, rimane un mistero.
Con la nuova "Fiera di San- t'Apollonia" si è riscoperta anche quella che era chiamata la "Sagra del Firùn", che prende il nome dalle castagne infilate nello spago e poi intrecciate, come una spina dorsale, da cui deriva il termine lombardo.
Una ricerca storica, effettuata da Monica Meroni, ci riporta alla luce la preparazione del "firùn", nelle vecchie edizioni della sagra, tra la fine dell'800 e la seconda guerra mondiale.
Acquistate le castagne, forse nella zona di Lecco, erano messe a bagno nell'acqua per ammorbidirle, quindi erano disposte in secchi, si prendeva dello spago, un ago da calzolaio molto lungo e si infilavano quattro volte. Se ne facevano delle file, da due a otto, e quindi venivano intrecciate. Una volta completato il "firùn", era cotto nei forni del pane e appena sfornato era coperto con teli di juta per far sì che il vapore non fuoriuscisse, infine era decorato con strisce di carta crespa colorata. La fiera offriva ai giovani l'occasione per l'aggiustamento, vale a dire la presentazione ufficiale del fidanzamento, essendo una delle poche occasioni in cui il pranzo di casa era particolarmente solenne. I ragazzi cercavano tra le bancarelle il "firùn" da regalare alla fidanzata, sceliendo quello meglio decorato e più costoso perché si doveva fare bella figura e quindi non si badava solo alla qualità.
Ogni anno l'Amministrazione sceglie un tema. Nel 2016 è stato proposto "Comunicare per conoscersi". La comunicazione, in tutte le sue declinazioni, è stata interpretata come strumento di conoscenza reciproco e quindi come filo conduttore che ha legato le opere del palio, le mostre e le iniziative presenti nel ricco programma.
San Sebastiano, il santo che sconfisse la peste
San Sebastiano è ricordato nella terza festività del mese, ma il giorno a lui intitolato cade il 20 gennaio. Secondo il parere autorevole di Sant'Ambrogio trattasi di un santo milanesissimo, vissuto nel terzo secolo e soldato romano di mestiere.
Nell'autunno del 1576, Milano era imperversata dalla peste, e all'arcivescovo Carlo Borromeo venne in mente di chiamare in aiuto San Sebastiano anziché il patrono di Milano Sant'Ambrogio e San Sebastiano in qualità di vice, fece discretamente la sua parte: nel gennaio 1578 la peste cessò ufficialmente.
In suo onore fu costruito a spese del Comune, in via Torino nel centro di Milano, il tempio di San Sebastiano a pianta circolare su progetto di Pellegrino Tibaldi detto il Pellegrini, dove ogni anno si celebra una solenne cerimonia per commemorare la fine della peste, sempre nella giornata del 20 gennaio.
L'iconografia ufficiale lo rappresenta legato a un albero e trafitto da frecce. Dagli altari San Sebastiano è passato disinvoltamente nel calendario civile. In qualità di soldato, congedatosi per motivi di forza maggiore, è stato eletto patrono delle forze dell'ordine italiane, in particolare il Corpo di Polizia Locale.
A Cernusco sul Naviglio gli è dedicata una giornata intensa di celebrazioni. Al bilancio annuale del Corpo di Polizia, fatto dal suo comandante, seguono la sfilata della banda musicale, la promozione degli agenti per merito distinto, la benedizione della bandiera del Corpo da parte del prevosto di Santa Maria Assunta e la messa. La cerimonia si conclude solitamente con l'intervento del sindaco, seguito da un momento conviviale a cui possono prendere parte tutti i presenti.
Comune di Affori (Affor⁄ Affer)
Nome abitanti: Afforesi
Oggi fa parte del Municipio 9 e il suo centro si trova in piazza Santa Giustina, con l'omonima chiesa. Il toponimo è incerto: qualcuno lo riconduce a Sancta Justina ad foras, per distinguere la chiesa dalla preesistente Sancta Justina ad intus, all'interno delle mura della città; oppure Ad forum (per la presenza di un antico mercato); o Ad fontem (per l'abbonante presenza di fontanili). Dell'antico abitato si fa menzione negli Statuti delle acque e delle strade del contado di Milano fatti nel 1346. La sua vocazione è stata a lungo prevalentemente agricola. Nel 1858 contava 2.243 abitanti; prima di venire aggregato a Milano, nel 1923, il Comune superava le 20.000 unità. Di Affori ricordiamo:
*la seicentesca Villa Litta Modignani, utilizzata in passato come residenza estiva e luogo di ritrovo della nobiltà milanese, che nell'800 fu sede anche di uno dei più importanti salotti intellettuali milanesi;
*la chiesa di Santa Giustina, che custodisce una piccola copia della Vergine delle Rocce, che gli studiosi convergono oggi nell'attribuire a Bernardino Luini;
*il Corpo Musicale Gaetano Donizetti, noto come la Banda d'Affori, fondato nel 1853, che si ricorda soprattutto per la canzone dialettale Il tamburo della banda d'Affori (1942);
*lo stabilimento tipografico dove si stamparono per molti anni i prodotti periodici del Corriere della Sera;
*uno splendido esemplare centenario di Platanus Acerifoli, tra via Astesani e viale Affori. Affori era anche il luogo da dove provenivano i rizzarditt, esperti nella pavimentazione a Iciottoli delle vie (rizzada), attività che occupava i contadini afforesi nei mesi in cui languiva il lavoro nei campi.
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02 Marzo 2024 - sabato - sett. 09⁄062
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Cosa ascoltare oggi
LA CASA (6⁄6)
C: Dati che fanno pensare bene, ma come semper succed, on cunt l'è la teoria, un altro la pratica, la vita reale, che continua ad avere a che fare coi problemi di parcheggi, trasporti pubblici, verde, mancanza di attività commerciali... per non parlare dei numerosi spazi ed edifici lasciati in abbandono.
M: Certo è lodevole offrire opportunità di aprire negozi e luoghi di socializzazione all'interno di questi quartieri e cercare di ricreare una cultura di vicinato, ma se poi gli abitanti preferiscono far la spesa nei centri commerciali e ritrovarsi solo per svago a Brera o sui Navigli, ecco che un operatore privato rinuncia all'impresa. Inscì se dev sperà in quaicoss ch'el daga vita ai vari luoghi abitativi, e quando questo avviene, come per fortuna continua ad accadere, se derven di prospettiv debon interessant. È il caso di Porta Nuova e CityLife, che abbiamo già ricordato, ma anche dei luoghi legati al Salone del Mobile, quelli appunto chiamati Fuori Salone, come via Tortona e dintorni, e Lambrate e il più recente NoLo, come l'è stada appenna ciamada all'americana la zona a nord di piazzale Loreto, senza dimenticare la vecchia Isola... Ma ormai queste zone gh'hann pu nient de la periferia. Adesso c'è anche chi parla di città orizzontale, che forse significa che è finita (per il momento) la stagione dei grattacieli e si tende ad andare verso l'esterno...
C: Me par d'avella giamò sentida 'sta storia, quando si parlava male del Pirellone o della Torre Velasca e poi si costruivano i casermoni alla sovietica in periferia... Certo che, verticale o orizzontale che sia, non basta abitare a Milano per definirsi milanesi, bisogna avegh voeuia di entrare nello spirito meneghino, fatto di concretezza ed apertura, anche se, come abbiamo ripetuto, vivere qui diventa sempre più costoso e le disuguaglianze tendono a crescere. Ma sono convinta che gh'è in de l'aria de Milan quaicoss ch'el riess semper a superare tante difficoltà ed a farci stare tutti (anche quelli che arrivano da fuori, vicini o lontani che siano) sempre un po' più avanti.
M: A proposito di concretezza, a Milano la casa non è solo contenitore di persone, ma anche di cose: l'arreda mento, il design, come già ricordato, sono ricercati quanto e forse più degli edifici stessi, e di tutto questo Milano è diventata la capitale. E poi "casa" sono anche i luoghi dove si lavora - uffici, fabbriche, botteghe... - dove se viv spess pussee temp che in cà propria.
C: Comunque, me pias el noeuv profil che Milano l'ha ciap paa in di ultim vint'ann, lo skyline, come si chiama col solito inglese. Con una rapidità che, per le nostre abitudini, ap pare incredibile. Speremm che tutta 'sta robba la dura, e che non sia qualcosa di effimero, destinato a diventare come tutti quegli edifici abbandonati che ancora sono lì a vosà vendetta, anche se, a suo tempo, hanno dato lavoro a tanta gente.
M: Ancamò el Bonvesin de la Riva, forse il più milanese dei nostri letterati, che qualcosa come 750 anni fa diceva: «Il segreto di Milano non sta nella sua immutabilità, ma nella sua capacità di cambiare>>.
C: Quella che invece me par che la sia mai cambiada è la nostra fama di essere grandi lavoratori, anzi direi addirittura amici del lavoro. Cosa dici, passiamo a questo nuovo argomento?
La storia di Busto e le sue relazioni - capitolo 7 (2⁄10)
Non mancano di quelli che scrissero che in tale congiuntura i Bustesi furono aiutati dai Santi Re orientali, ossia dai tre Santi Re Magi, già prima invocati con pubblica preghiera. Essi apparvero in atto di combattere contro Facino Cane come il divo Ambrogio aveva assistito Azone contro Visconti presso Parabiago.
Così infatti scrive Alberto Bossi nel suo Elogio al popolo bustese :
Affrettati a venerare i tuoi dei (i Re Magi), fuggi i peccati, e così essi concederanno ricchezza e i loro doni al borgo. - Ti diedero la salvezza e nessun nemico armato finora ti spogliò.
L'atroce guerra o per le piogge o per altro aiuto si allontanò. L'ira del duce Facino credette di poter tutto distruggere, - là dove, a somiglianza dei castelli, sta ancora oggi il bastione.
Quei re che tu, supplice, coi voti e con le preghiere avevi invocati apparvero e porsero il loro aiuto.
Fuggi: quando vide che non coi mortali - ma con i celesti egli combatteva (1).
Comunque si pensi di questa apparizione dei Magi è certo che Facino assalì il borgo e che i Bustesi in quella circostanza, implorarono l'aiuto di quei Santi e fecero un voto (2).
Ciò risulta da monumenti pubblici, e noi ne tratteremo più diffusamente là dove mostreremo che quel voto fu fatto dai borghigiani in seguito al timore e al terrore delle devastazioni che erano fatte nel ducato milanese da Ottobono dei Terzii, sebbene di poi, per l'assalto di Facino, quel voto sia stato rinnovato o almeno si cominciò a porlo in esecuzione. Facino Cane dovette metter fine alle devastazioni nel contado milanese per l'intervento generoso del duca Giovanni Maria.
Quando, infatti, egli vide che Facino gli devastava il territorio, Giovanni Maria gli affidò il comando di tutto l'esercito ghibellino e lo nominò capitano delle sue milizie; e Facino Cane tenne questa carica con tanta fedeltà che, quando, poco dopo, Giovanni Maria fu ucciso in mezzo all'atrio del palazzo ducale, mentre usciva dalla chiesa di S. Gottardo, da alcuni della famiglia dei Triulzi che avevano congiurato contro di lui, coll' aiuto suo, Filippo Maria, fratello del duca defunto, fu eletto duca in luogo di Giovanni Maria. Non solo, ma l'aiuto di Facino fu assai utile a Filippo Maria, perchè per opera sua a lui si ricongiunsero quelli che a Giovanni Maria si erano ribellati.
(1) Per testimonianza del Ferrario o. c. questi versi stavano scritti su l'arco della porta detta dei Re Magi che s'apriva a settentrione nella località che ha conservato a lungo il nome di Ponte dei Re Magi per il ponte levatoio che vi dovette essere allorchè esistevano ancora le vecchie fortificazioni.
(2) Il voto che i Bustesi fecero in ringraziamento della grazia ottenuta fu di celebrare con particolare solennità la festa dell' Epifania, dedicata, come ognuno sa, ai SS. Re Magi. Si facevano a questo scopo nei secoli scorsi solenni processioni nei tre giorni precedenti la festa; poi, invece delle processioni, si usò, sempre in quei giorni, suonare le campane a distesa. Anche oggi la popolazione del quartiere Savigo celebra la festa dei Re Magi con luminaria e concerti e albero di cuccagna.
Le Gioconde (I tram funebri)
A partire dal 1500, Milano si misurò con il problema della sepoltura dei suoi morti che, in una città in espansione, crescevano di numero. Con l'inaugurazione del cimitero Maggiore, nel 1895, si cercò di colmare il sovraffollamento dei piccoli cimiteri di quartiere, ormai totalmente inglobati nell'abitato. Tuttavia, sorse fin da subito il problema dei cortei funebri, che dovevano raggiungere una zona troppo periferica. Per questo il Comune, insieme a Edison, la società che gestiva i tram elettrici, fece realizzare delle vetture per il trasporto dei feretri e degli accompagnatori, con sedili di velluto, vetri smerigliati e locali ventilati. I tram funebri, di colore scuro, vennero subito ribattezzati «Gioconde», per la triste funzione svolta. La prima stazione di servizio fu quella di via Bramante, dove giungevano le salme provenienti dalle diverse parrocchie per essere trasferite sul tram e accompagnate nell'ultimo viaggio verso il cimitero. Ben presto fu necessario aggiungere una seconda stazione, per la zona Sud della città, in Porta Romana, nell'edificio che oggi ospita le Terme di Milano.
La fiera di Gessate dedicata a San Mauro
Da più di un secolo Gessate, l'ameno paese che, in passato, ha visto don Lisander (Alessandro Manzoni) recarsi in visita ai suoi cugini Beccaria, anima una fiera di buone tradizioni, che sa proporre iniziative sempre nuove. Da queste parti sta sugli scudi un monaco famoso per l'osservanza alla regola benedettina.
Dopo essere stato tra i primi seguaci di San Benedetto, gli successe come priore nell'abbazia di Montecassino. Nell'agiografia San Mauro è ricordato per un prodigio, che valse a salvare San Placido, suo inseparabile amico e confratello, da acque insidiose.
Gessate si è legata, da tempo immemore, alla storia dell'ordine benedettino di Sant'Ambrogio per via di alcuni ubertosi terreni. A partire dal X secolo l'abate milanese delegò un suo monaco all'opera di con- duzione di un fondo agricolo, ricevuto per lascito a Gessate. È scritto sulle carte d'archivio. Furono proprio i monaci, nel 1679, a donare alla comunità gessatese una reliquia di San Mauro abate, divenendo così il patrono del paese.
Agli esordi la fiera di Gessate contava tre banchetti sparsi tra gli olmi secolari, giusto a lato della chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Nel tentativo di evocare lontane atmosfere, si è pensato di intervistare Luigi Bagnaschi, venditore di marroni D.O.P. di Cuneo e decano. Ecco la risposta: "più di 50 anni fa, mio padre ed io venivamo da Sant'Angelo Lodigiano (dove vivo ancora), vendevamo castagne, cosa che faccio tuttora". La signora Quadri, a sua volta, gli fa eco: "mio padre ha cominciato a venire qui dal 1911 vendere dolciumi, veniva su di un carretto tirato da un cavallo macilento. Ha tirato avanti fin che ha potuto, poi gli è subentrato mio fratello". Alle bancarelle si è affiancato da alcuni anni lo stand del commercio equo e solidale, "cerchiamo di fare del bene", informa Lino Guarnieri, uno tra i promotori dell'iniziativa, "ci siamo ripromessi di concorrere a finanziare l'accoglimento di un gruppo di minori, reduci dall'esperiaenza di Cernobyl”. Nel novero delle iniziative fisse della fiera rientra una riunione conviviale, che si svolge alla domenica o nel sagrato della chiesa cornice elegante di villa Daccò: è la trippa con gli Alpini, curata dal oppure nella Gruppo Alpini di Gessate. Si degusta il piatto della tradizione: la trippa di maiale. Il lampredotto, così è chiamato il piatto in lingua, faceva la sua apparizione sulla tavola dopo che il maiale stato macellato e lavorato. Se ne faceva consumo compatibilmente con il calendario liturgico. Consultando un libro di cucina di Carnacina- Veronelli, solo in Italia centrale sono state rinvenute ben sette versioni di questo monumento alla cucina povera.
L'evento è molto sentito dagli abitanti dei paesi limitrofi, richiamati sia dalla mostra mercato che si tiene sempre in via Badia sia dalle numerose messe che vengono celebrate nella chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo dove, per l'occasione, viene esposta alla venerazione dei fedeli, la reliquia del santo.
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03 Marzo 2024 - domenica - sett. 09⁄063
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Cosa ascoltare oggi
CI SI VEDE PER IL... "CAFFÈ"? (3⁄3)
"Allora... Sentite me, che ne dite se si fa una uscita ogni dieci giorni?": "Aggiudicato!".
E ora viene il problema: come lo si chiama codesto giornale? Non stiamo lì a iniziare una ridda infinita di ipotesi, come quando marito e moglie devono accingersi a scegliere il nome al nascituro, che poi ti fa arrivare al litigio.
"Dove si finisce immancabilmente per trovarsi la sera se non... al solito caffe?"
"Via, aggiudicato! Lo si chiamerà Il Caffè!"
Probabilmente la genesi della rivista non è stata esattamente così, ma è un dato di fatto che dal giugno 1764 al maggio 1766 questo foglio raccoglierà tutta una serie di interventi dei redattori che non solo nella storia dell'illuminismo lombardo e italiano ma anche nella storia politica ed economica di Lombardia avranno un gran peso nei decenni a venire e ne promuoveranno la rinascita in vari campi.
Attenzione però: stamparlo a Milano, o comunque in Lombardia, comporterebbe la possibilità di incorrere nelle maglie della rigida censura austriaca; meglio quindi varcare l'Adda, come il Renzo dei Promessi Sposi, e mettersi al riparo nella ben più tollerante Serenissima Repubblica. Lo si stamperà a Brescia.
Il foglio raggiunge un'eco così vasta che comincia una serie di fitti scambi, almeno per quanto lo consentono i mezzi dell'epoca, quindi non certo in tempo reale, con un certo Diderot, con un certo Voltaire e, addirittura, un certo d'Alembert si scomoderà da Parigi per venire a conoscere di persona i famosi membri di questo circolo.
Il prestigio acquisito da Pietro verri lo fa assurgere addirittura al ruolo di membro del Supremo Consiglio dell'Economia su invito di Rinaldo Carli, uno dei fondatori della prima ora, che, nel frattempo, per le sue idee, è stato scelto dall'amministrazione austriaca a presiederlo.
Ma parecchi di quei quattro amici al... caffè ne faranno, di strada. A Cesare Beccaria, dopo aver scritto quel dirompente Dei delitti e delle pene che alla corte di Maria Teresa non è certo passato inosservato, viene assegnata la cattedra di Economia Pubblica e ad Alfonso Longo quella di Diritto Pubblico Ecclesiastico presso le Scuole Palatine.
Col suo stile diretto ed essenziale, senza la minima concessione alla piacevolezza espositiva, Pietro Verri non si considera certo "un arrivato" e non smette di far uscire tutta una serie di pubblicazioni nei campi più disparati che in effetti lasceranno il segno: dalle Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano alle Meditazioni sull'economia, dalle Meditazioni sulla felicità al Discorso sull'indole del piacere e del dolore e a Le osservazioni sulla tortura.
Con l'avvento di Giuseppe II in veste di unico regnante a seguito della morte della madre, le fortune del Verri paiono offuscarsi, per poi tornare, quando ormai è anziano, agli antichi splendori con l'arrivo a Milano di quel "piccolo Còrso": e allora entra, insieme ad alcuni dei compagni della prima ora e a un pretino che di nome fa Giuseppe Parini, nella municipalità Milanese della re pubblica Cisalpina, dove, durante una delle solite discussioni notturne, muore poco meno che settantenne.
Il conte Pietro Verri viene sepolto a Ornago.
Un suo fratello minore, di ben più modesto livello culturale, che di nome fa Giovanni, passerà invece alle cronache (rosa) per la liaison con una certa Giulia Beccaria, una liaison che darà letteralmente la vita a colui che diverrà l'autore di un tal feuilleton che (ma guarda un po'!) parla di due sposi promessi.
Quand el còrp el se frusta, l'anima la se giusta - Quando il corpo invecchia, l'anima si ravvede
Questo motto, a una prima lettura può sembrare un po' cinico, ma si limita a registrare la realtà della natura umana. La gioventù, momento della vita spesso complicato ma sicuramente molto felice e altrettanto rimpianto durante l'intera esistenza, non si appaia con la penitenza ma con l'entusiasmo, la sperimentazione, e anche con gli eccessi. Quando gli anni aumentano, grazie all'ingresso in scena dell'e sperienza le persone preferiscono affidarsi alla saggezza, si tranquillizzano e può persino accadere che qualche giovane scavezzacollo diventi con la maturità un esempio di eccellente virtù.
E il motto con cui il popolo meneghino delinea le stagioni degli esseri umani, nella sua arguzia, riesce a sintetizzare un dato di fatto: se il corpo si mortifica, invecchia, non «pecca» più (o almeno pecca poco), lo spirito si eleva.
Treviglio, un miracolo prodigioso
All'alba del 28 febbraio 1522, la città di Treviglio era in preda alla disperazione, non sapeva più cosa fare per salvarsi dall'attacco nemico francesi comandate dal generale Visconte di Lautrec, delle truppe pronte al saccheggio e alla distruzione della città. Anche l'ultimo tentativo di offrire le chiavi del borgo, da parte I quattro consoli, rimase senza esito e ognuno si preparo al peggio.
Le donne trovarono rifugio presso le chiese per pregare. Anche nel monastero delle agostiniane si pregava assiduamente ma qualcosa di inverosimile stava per accadere. Sulla del campanile del monastero, era collocato un affresco con l'icona della Vergine seduta, con le mani giunte e con in grembo il Bambino. Verso le otto del mattino, il dipinto cominciò a versare copiose lacrime, tanto che le monache e le fedeli presenti gridarono al "Miracol, miracol" e prese da un'eccitazione crescente corsero verso il centro del paese. In poco tempo il clamore della folla giunse fino al generale Lautrec che era molto cattolico, il quale accorse prontamente nel monastero e costatando che le lacrime scorrevano sul volto della Madonna, tra lo stupore generale, depose la propria spada e l'elmo ai piedi dell'affresco miracoloso e, radunate le sue truppe tolse l'assedio. La città era salva.
A seguito dell'avvenimento, il Consiglio comunale proclamò l'ultimo giorno di febbraio, festa della città, e decise di edificare una chiesa dedicata alla Vergine. Fu così che tra il 1594 e il 1619, sorse il santuario, nei pressi del luogo miracoloso, che prese il nome di "Beata Vergine delle Lacrime" e proprio nel 1619, alla presenza del cardinale Federico Borromeo, fu traslata l'immagine miracolosa della Vergine nel nuovo edificio. Ancora oggi la troviamo sull'altare, mentre, nella prima cap pella della navata sinistra, sono collocati la spada e l'elmo del generale Lautrec. Non meno importante è la decorazione della volta a botte che, appena entrati, troviamo sopra le nostre teste. Si tratta di un'enorme affresco eseguito da Gianluca e Carlo Molinari, tra il 1719 e il 1722, che rappresenta l'episodio del 1522 con attorno l'immagine della città di Treviglio, ancora circondata dalle mura merlate.
Dal 2001 la Pro Loco trevigliese organizza un'attenta ricostruzione storica del giorno del miracolo, con tutti i suoi momenti e personaggi principali, lungo un percorso che, partendo dalle quattro porte di Tre- viglio, culmina nel centro storico in piazza Insurrezione e nel santuario. Sono circa duecentocinquanta le persone impegnate, in sontuosi vestiti d'epoca, che sfilano per le vie cittadine, precedute dagli sbandieratori e seguite dai cavalieri, guidati dal generale Lautrec con il suo esercito. La manifestazione è chiamata "Miracol, si grida" e tocca il culmine quando le pie donne, consapevoli di quanto sta accadendo, corrono verso la chiesa di San Martino invocando al miracolo e, informato il parroco, tornano sulle scale del santuario e insieme a un gruppo di figuranti vestiti da suore Agostiniane, invocano il "Te Deum" di ringraziamento.
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