RVG settimana 08
 
Radio-video-giornale del Villaggio
Settimana-08 del 2024
 
 
RVG-08 - da  - Radio-Fornace
 
Settimana 08       2024-02-19 -  Febbraio - Calendario - la settimana
19⁄02 - 08-050 - Lunedi
20⁄02 - 08-051 - Martedi
21⁄02 - 08-052 - Mercoledi
22⁄02 - 08-053 - Giovedi
23⁄02 - 08-054 - Venerdi
24⁄02 - 08-055 - Sabato
25⁄02 - 08-056 - Domenica
 
19 Febbraio 2024 - lunedi - sett. 08⁄050
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-08-050.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2605⁄QGLO418-acqua-ardere.mp3 - Acqua da ardere - Gli antichi ottenevano la fermentazione, bevande debolmente alcoliche.. Ma solo nel medioevo si riuscira' a distillare alcol puro, subito considerato panacea di tutti i mali - #73 - rvg -
redigio.it⁄dati2602⁄QGLO162-mercato-rionale.mp3 - Il mercato rionale  il panettone stramilano - rvg
Milano-Galleria -Il parto - Una gestazione travagliata  (1⁄2)
Al compimento della prima fase dei lavori, cioè del completamento della Galleria vera e propria, con esclusione degli ingressi monumentali e di qualche particolare interno, la grandiosa opera nata dal progetto mengoniano fu con rapidità, senza esitazioni, adottata con grande affetto dal popolo ambrosiano. Da tutto il popolo ambrosiano, senza distinzione di condizione sociale o intellettuale.
A nessuno poteva sfuggire l'opportunità di disporre, in pieno centro, di un ampio spazio coperto entro il quale, al riparo dalle bizze del tempo, passeggiare, soffermarsi a chiacchierare, oltre, naturalmente, a sfuttarne il breve e comodo percorso per giungere con maggior rapidità da piazza del Duomo a piazza della Scala. I milanesi ne fecero prontamente il loro "salotto" definizione affettuosa rimasta nell'uso comune ancora oggi, il vero centro della vita sociale e mondana della città, fiore all'occhiello e simbolo, insieme con il Duomo e la Madonnina, della metropoli lombarda.
Ma poiché, come recita il proverbio, << non c'è rosa senza spine», anche il lungo iter progettuale e realizzativo di questo "fiore all'occhiello" non era stato privo di ostacoli, difficoltà, perplessità, giudizi negativi. Né di disavventure economiche.
Il primo atto dell'amministrazione presieduta da Antonio Beretta, non appena insediata, fu quello di far realizzare un rilievo in scala 1:1000 della piazza del Duomo e sue adiacenze, da esporre in pubblico affinché chiunque potesse esprimere idee e suggerimenti per la sistemazione della piazza e la costruzione della "via", o "bazar”, da intitolare a Sua Maestà il Padre della Patria.
Il 3 aprile 1860 tutto era pronto. L'iniziativa comunale era resa nota alla popolazione tramite un manifesto in cui si leggeva: « [...] A tale scopo la Giunta municipale fece appositamente rilevare una esatta pianta della parte centrale della città, e ne tiene disposto buon numero di copie litografate in iscala 1:1000. I cultori quindi dell'edilizia e dell'arte che intendessero interessarsi dell'argomento, sono invitati a presentarsi a questi uffici municipali, ove potranno ottenere queste copie per farne oggetto di studio. Quelli che intendessero presentare dei progetti, vorranno tracciare, anche solo in semplici linee iconografiche, il perimetro della nuova piazza del Duomo, e il piano di sistemazione delle corsie e delle piazze vicine, anche mediante nuove vie. I disegni dovranno essere corredati da scritti o memorie.
Dal 1945 al 1960 (1⁄13)
(milanoeuvcentquarantacinq - milanoeuvcentsessanta)
C: El fascismo finalment l'era finìi, ma me par ch'éren minga tucc d'accord a fà andà i ròbb a la stessa manéra; socialisti, comunisti, democristian, che staven insèmma quand faseven i partigian, adèss che gh'era pu el nemis fascista hann subit cominciàa a taccà lit e gh'hoo sentìi dì che sérom quasi adrée a fà on'altra guèrra civil tra quei che voreven stà cont i american e quei cont i russi. Se l'ha vorsu dì tutt sto gibilée per Milan?
M: Minga domà per Milan, ma per tutt el mond, che i paés che hann vinciuu s'eren miss d'accord per spartiss, soratutt America e Russia, e per fortuna, disi mi, l'Italia l'è toccada ai american....... Ma gh'è minga dubbi che la part pussée attiva de la Resistenza l'era fada de comunisti e de socialisti e 'sti chi tegniven per la Russia e se quai caporion i avariss minga tegnu a fren, eren pront a tirà foeura di cantinn e di sorée i armi che tegniven ancamò, sconduu per l'evenienza. Tra l'alter gh'è anca de dì che gh'era giamò on governo italian da pussée d'on ann che l'aveva in quai manera miss d'accord comunisti e democristian, e poeu bisogna minga desmentegass che quasi tutta l'amministrazion pubblica l'era ancamò quella fascista, e sarìa stàa praticament impossibil cambialla tutta senza fà andà tusscoss a gamb all'aria, anca se éren minga pocch quei che voréven ona bèlla epurazion. E inscì la gh'è stada ona amnistia general che l'ha vorsuu tiràgh sora ona riga decisa e fà desmentegà quell che gh'era success in di ultim vint'ann. La stessa ròbba l'è succeduda tra quei che in de la guèrra eren stàa i peggior nemis; per esempi, già dopo nanca 5 o 6 (cinq - ses) ann, in di vacanz al mar, i mei client di pension de Rimini éren i todesch, magari cont el visin de ombrellon inglés, e sa Dio se gh'era anca quaighedun de quei che aveven fa i guardian o pégg in di camp de stermini, o gh'aveven partecipàa a di terribil massacri, o che gh'aveven trà giò cont i sò bomb mèzza Italia. Difficil per tanta gent de mètt ona preia sura, ma la voeuia de tornà a viv l'è stada pussée forta, anca se bisogna mai desmentegass de tutt el mal che gh'è stàa fàa.
C: Adèss semm tucc europei, ona ròbba che per i nòster vèce la saria paruda de minga créd, ma la gh'ha portàa ormai pussée de 75 (settantacinq) ann de pas, anca se par che sien minga tuce inscì content, vist che seguita a crèss l'insofferenza de tanti Region che voeuren fà in de per lór e vèss indipendent, e nun chi a Milan ne savèmm quaicoss, cont la nostra Lega. Ma tornèmm a la nostra Milan e a quei ann lì del dopoguerra.
SUI BANCHI DI SCUOLA (2⁄2)
In terza, allevammo in classe i bachi da seta (i bugatt). Allora c'erano ancora molti gelsi (i muròn) nelle nostre campagne in lunghi filari. Chi componeva i pensierini più belli o risolveva per primo il problema di aritmetica, riceveva, come premio, l'incarico di fare il rifornimento delle foglie di gelso, nutrimento indispensabile di quegli insetti preziosi. Si chiamava, la mia maestra, Ida Comuni, milanese, ed era, qualche anno fa, ormai più che novantenne, ancora viva. Ci spiegava che differenza c'era tra cimitero (parola greca che vuol dire dormitorio) e camposanto, voleva che dicessimo rosolacci e non papaveri e che la corte era quella dei re, la nostra, invece, (la mè curt) luogo di abitazione di noi povera gente, era il cortile. L'ho rivista qualche anno fa nella sua abitazione milanese di via Mecenate, ancora di animo giovanile, di spirito vivace e di grande umanità. Non c'era negli anni trenta la quinta elementare a Verghera, così che si doveva andare, per il compimento del ciclo, a Samarate o in qualche altro comune vicino. Si andava a scuola tutto il giorno mattina e pomeriggio; il sabato: lezioni manuali la mattina, il pomeriggio esercitazioni premilitari. A dieci anni! Giorno di vacanza era il giovedì. La quinta l'ho frequentata a Gallarate nelle vecchie scuole di via Seprio, ora demolite. Il mio maestro si chiamava Colombo; era di Cedrate e per farci imparare come si componevano i temi, ci suggeriva prima di scrivere in dialetto e di farne poi la traduzione italiana. Quant'acqua e neve, vento e nebbia; quanto freddo ai piedi e alle mani. Avevo in dotazione una cartella di cuoio che fu prima del mio fratello maggiore e dopo, del mio fratello minore. Resistentissima e molto larga, tanto larga che oltre ai libri ci stava comodo lo Zingarelli che contava duemila pagine. Anche la bicicletta, detta "sbarcela", passò nelle mani di tutti e tre. Tanto la cartella che la bicicletta, la usarono poi nostri giovani parenti. Esse, cartella e bicicletta, si comportarono sempre con grande dignità, senza vergognarsi mai della loro veneranda età.
Cave canem⁄2 - (20-21 giugno 1878)
Sono dunque avvisati i padroni di cani: i cani senza museruola saranno accalappiati ed inesorabilmente uccisi. Non si potrà più riscattarli nelle quarantott'ore, come fu permesso finora. Tutti i cani che vengono cacciati nel carretto dell'accalappiacani sono de' condannati che vanno alla morte. I cani accalappiati vengono trasportati al canile annesso alla Scuola superiore di veterinaria. Ci capitano talora de' cani di gran prezzo, cagnolini microscopici, cani del San Bernardo, cani di Terranova, cani da caccia delle migliori razze. Quando non vengono riscattati dai propri padroni, nessuno può salvarli. Debbono essere annegati. D'ora innanzi non saranno più annegati dopo quarantott'ore, ma appena giunti al canile.
 
       **************** fine giornata ************************
 
 
 
20 Febbraio 2024 - martedi - sett. 08⁄051
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-08-051.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2605⁄QGLO475-caffe-espresso-SO081.mp3 - Il primo espresso di caffe a Milano - #73-  rvg
Milano-Galleria -Il parto - Una gestazione travagliata  (2⁄2)
Questi lavori dovranno essere consegnati entro il mese di giugno al Protocollo del Municipio di Milano, che ne rilascerà ricevuta; passato questo termine verranno esposti al pubblico, perché l'opinione e la stampa li possano discutere; il Consiglio comunale sarà poi chiamato a deliberare in proposito [...] ».
Il Consiglio comunale ne avrebbe discusso per i successivi sei anni. Benché non si trattasse di un vero e proprio concorso, l'<< argomento », come l'aveva definito la giunta Beretta, suscitò notevole interesse. Duecentoventi furono i progetti presentati da centoventi soggetti diversi (architetti, ingegneri, artisti e altri non meglio qualificati), per l'esame dei quali fu istituita un'apposita commissione che, come nella migliore tradizione italica, non conseguì alcun risultato effettivo. L'anno successivo, la lotteria organizzata allo scopo di raggranellare fondi per la costruenda piazza, nonostante l'interesse della popolazione per i destini del loro centro storico andasse aumentando, ebbe scarso successo.
Il Comune decise dunque di bandire un vero e proprio concorso, al quale parteciparono diciotto progetti che una nuova commissionegiuria, presieduta dal sindaco Beretta, poté esaminare dal giugno 1862. Nessuna delle proposte fu ritenuta meritevole di vittoria.
La commissione ritenne però che un progetto, firmato con lo pseudonimo "Dante" (sotto al quale si celava l'architetto bolognese Giuseppe Mengoni), fosse degno di approfondimento. Avviò dunque un nuovo complesso meccanismo di gara che prevedeva l'affidamento agli autori dei tre progetti più interessanti (quello, citato, del Mengoni, più quelli di Carlo Pestagalli e Nicola Matas) della stesura di un nuovo progetto collegiale per la Galleria e di tre distinti progetti per la piazza. Il risultato di questa gara fu che Matas si ritirò, a causa di precedenti impegni, e Mengoni e Pestagalli presentarono due nuove proposte. Per quanto riguarda la Galleria fu accettato il progetto Mengoni, mentre in relazione alla piazza fu indetta una ulteriore gara tra i due architetti. In una riunione del settembre 1863 il Consiglio comunale si rese però conto dell'assurdità di un simile concorso che, se portato a compimento, avrebbe potuto, in caso di vittoria del Pestagalli, minacciare l'unità del disegno del complesso piazza-Galleria e adiacenze. Si decise dunque di affidare a Giuseppe Mengoni la stesura di un progetto complessivo.
Dal 1945 al 1960 (2⁄13)
M: Del '45 (quarantacinq) t'hoo giamò di quell che gh'è success, de l'agonia del fascismo in di primm quatter més, ai disordin che gh'hinn seguitàa, a la cunta di dagn e finalment al principi de la ricostruzion de tusscoss, di fabbrich, palazzi, monument, ma anca di co di milanes, che domà Dio sa quanti de lór fina a ier se vesti ven cont la camisa e adèss vann in gir cont la bandera rossa. Gh'emm inscì de ricordass la storia bòna de quei che gh'hann subit cominciàa a risvoltass i mànigh e a tirà su Milan, e quella grama di opportunisti che in mezz al disordin gh'hann trovàa de fà i sò interess, magari profitand di disgrazi de tanta pòvera gent che viv l'ha dovuu svend quell pocch che 'l gh'aveva. I ann dopo hinn stàa come ona gran valanga, che però invece de portà alter dagn, per nostra fortuna l'ha miss in moviment i mei qualità di milanes e l'ha fàa vegnì foeura la voeuia de vèss ancamò el motor de l'Italia. Certo, éren minga tucc ròs e fior, ma in 'sti 5 (cinq) ann del primm sindich de la repubblica, gh'è de recordass tanti ròbb in positiv; giamò nel '46 (quarantases) s'hinn dervì la Féra e la Scala, dò di glori mondiai de Milan, on para d'ann dopo on'altra gloria, questa noeuva, gh'è nassuu el Piccolo Teatro, e poeu hinn stàa i ann di fabbrich giustàa, Pirelli, Breda. Falk, ma anca de quei noeuv, la Innocenti cont la Lambretta, la Ignis cont i frigorifer, la Candy, cont i lavatris che tanto hann cambiàa la vita a vialter donn, e poeu tanti fabbrich pussée piscinitt, ma che hann vorsuu di tanto per quell che la saria poeu stada Milan in di ann a seguì; e gh'è stàa anca el temp per mètt ona noeuva porta del Dòmm. E s'è tornada a dervì la Rinascente, che la s'era trasferida in del palazzi de la Reson, in piazza Mercanti. Comunque 'sti ann '40 gh'hann pocch de bon de fass ricordàa, prima cont la guèrra e poeu cont tanta miseria, e anca cont di disgrazi, come quella del Turin, la squadra de calcio, che anca se l'era nò de Milan l'era ben vorsuda anca chi, e che nel magg del '49 (quarantanoeuv) la s'è sfracellada cont l'aeroplano contra la Basilica de Superga.
C: Me ricordi, l'è stada debon ona ròbba che l'ha fàa piang on po tutta l'Italia. Ma in mezz ai disgrazi, gh'emm de considerass fortunàa che sia i todesch che scappaven, sia i american e i partigian che rivàven, hann minga trà giò anca quell che l'era restàa in pée, anzi me par che i famigerati palazzi simbol del ventennio hinn stàa dopràa dai noeuv governant. Meno mal che el bon sens el gh'ha avuu el sopravvent sora la voeuia de fa sparì tutt quell ch'el ricordava la dittatura.
VITA E MORTE DI ANIMALI (1⁄4)
Mi ha invogliato a scrivere sugli animali la domanda che mi ha rivolto una signora, mentre in biblioteca, pochi giorni prima del Natale, si parlava del più e del meno. Come si fa ad uccidere un bue? ('1 manzò). Come si fa adesso, non lo so. Quando ero un ragazzino si uccidevano sparando loro nella testa un colpo di pistola (soprattutto per i tori); oppure conficcando con forza un martello a forma di cono nel cervello della bestia che veniva preventivamente bendata. In tutti e due i casi la morte era istantanea.
Il maiale, la pecora e la capra si sgozzavano. Al coniglio preso per i piedi posteriori veniva inferto un fortissimo fendente col bordo della mano tra capo e collo, dietro le orecchie. Alla gallina si ficcava la punta della forbice nell'occhio o le si tirava, con forza, il collo. Le oche erano dure a morire. Mia mamma stendeva il loro collo sotto il manico della scopa su cui poggiava i piedi e tirava per le gambe la malcapitata che qualche volta, se il collo non era stato tirato a dovere, vagava, ma per poco, come una sonnambula intorno al cortile, stramazzando dopo una decina di passi percorsi barcollando.
Il sangue delle vittime veniva raccolto in recipienti e si usava per farne speciali frittelle o si utilizzava per confezionare, soprattutto col sangue dei maiali, squisiti sanguinacci.
Le galline erano la nostra carne della domenica. I manzi uccisi dai macellai del paese venivano per lo più allevati nelle nostre stalle, erano quindi eccellenti come carne. Che brodi e che risotti! E che bistecche: niente acqua misteriosa e niente gonfiature dovute agli estrogeni; risultavano tenere e saporite da leccarsi le dita. Poiché molte famiglie allevavano animali, quando arrivava per loro il momento buono, venivano condotti per essere fecondati dal Coppe che stava di "stalla" nelle campagne tra Verghera e Busto, dopo la cascina del Prete. Questo accadeva per le pecore e le capre, allevate soprattutto per il latte, la riproduzione e le pelli che, conciate, si stendevano sui letti per scaldare d'inverno i piedi infreddoliti. Le mucche, invece, le portavano alla stazione di monta taurina regolarmente autorizzata e famosa nella zona per il vigore e la infallibilità dei "tori di servizio". Noi ragazzini venivamo spesso colti in flagrante come guardoni, mentre, attaccati alle inferriate della finestra, adocchiavamo un po' ignari e molto stupiti il fenomenale, inspiegabile evento. Il sacro mistero (e poi dicono che allora non c'era niente di bello da vedere!) si recitava in via Eusebio Pastori sul lato destro della strada appena dopo il prestino del Pietro Macchi. Ho ancora nelle orecchie i muggiti lamentosi e prolungati di quelle povere bestie.
LA PIA
Non "ricordati di me che son la Pia", del purgatorio dantesco ma la Pia natalizia che era con frequenza suonata durante le feste della natività dall'organo della vecchia chiesa. Chi ricorda i pastori d'Abruzzo che passavano di casa in casa, per i cortili e le strade del paese, poco dopo la metà di dicembre e che come le rondini tornavano tutti gli anni? Due uomini anziani e un ragazzo di non più di dieci anni. Uno suonava la zampogna, il secondo dava voce acuta a un piffero di legno e nello stesso tempo, azionando col piede una mazza legata a un filo batteva ritmicamente su di una specie di grancassa che portava sulle spalle. Il ragazzino, con un piattino di metallo in mano e sull'altra un pappagallo e i foglietti colorati della buona ventura, passava di uscio in uscio a raccogliere l'obolo della gente. Restavano in paese una mezza giornata e per tutte quelle ore si sentiva, proveniente dalle parti della chiesa, dalla via san Bernardo da via Indipendenza o dalla via Eusebio Pastori l'ansimare roco e stanco della zampogna e gli striduli piagnistei del piffero. Mia mamma, che non mancava mai di trarre insegnamenti dagli eventi e dai fatti che tutti i giorni ci capitano sotto gli occhi, metteva in rilievo la fatica del vagabondare quotidiano del povero ragazzo vestito di stracci e forse affamato, con la nostra vita di perdigiorno. Viòltar - ci diceva si nasùu cun la camìsa. Noi che eravamo nati secondo mia madre cun la camisa vivevamo di minestrone e di patate. Come si vede 'na camisa un po' tropp strència. Ma alla sera, rimbeccava mia mamma, non avevano un letto in cui dormire e un po' di fuoco con cui scaldarsi. Suonavano, gli zampognari, canzoni e filastrocche delle loro regioni e, di quando in quando, il brano della Piva che mi restava nelle orecchie, anche quando nel dormiveglia che precedeva il sonno, stavo volando, con ali fatate, verso il mondo dorato dei sogni.
 
 
       **************** fine giornata ************************
21 Febbraio 2024 - mercol edi - sett. 08⁄052
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-08-052.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2604⁄QGLO315-Sesto-calende-15.mp3 - Sesto Calende:Arriva l'energia elettrica - #73 - rvg
Milano Galleria - Demolire per ricostruire
Nell'evolversi delle vicende succintamente narrate, l'opinione pubblica, intanto, a mano a mano che le proposte si rendevano note, non mancò di prendere posizioni. Che erano in gran parte avverse ai faraonici disegni del Mengoni che la Giunta aveva fatto propri.
Erano molti i milanesi che non vedevano di buon occhio sventramenti e demolizioni che l'amministrazione andava progettando e attuando (non soltanto in merito alla costruenda nuova piazza del Duomo) in nome di un allineamento di Milano con le altre grandi capitali europee, affinché «< in un avvenire più sollecito e vicino, abbiano a sorgere tra di noi quegli istituti di utile pubblico, che in mezzo a' suoi agi ancora invoca la nostra città », come aveva precisato il manifesto comunale del 3 aprile 1860.
Così si esprimeva Cesare Correnti (1815 - 1888), milanese DOC, patriota, politico e scrittore, poi senatore e ministro del Regno, in una famosa lettera alla contessa Clara Maffei: << Quest'Italia nuova Dio la benedica! ma fin qui è un corpo che non ha ancora trovato un'anima. E intanto l'anima della nostra vecchia Milano se ne va. Forse mi farà cieco il dolore, forse, avendo finito io, mi par che molte cose, le quali mi furono sante e dilette, minaccino di finire! ». E così la pensava una buona percentuale della gente milanese. La stampa, ovvero gli intellettuali, era divisa tra chi sosteneva a gran voce le istanze di rinnovamento invocate dagli amministratori e coloro che, al contrario, profondamente abbarbicati alle loro radici, respingevano a priori qualsiasi progetto di ammodernamento di un tessuto cittadino che, a onor del vero, necessitava, in molti suoi settori, di una operazione di "ripulitura" dal secolare sovrapporsi di brutture edilizie e storture urbanistiche.
Il buonsenso avrebbe potuto consigliare di trovare una ragionevole via di mezzo tra la conservazione totale e la demolizione radicale. Purtroppo l'ansia di fare presto qualche volta in buona nel cercare di fede; troppo spesso imposta dalla speculazione dare a Milano un volto nuovo, più consono al nuovo status di metropoli (risultato poi vieppiù ottenuto con l'annessione dei Corpi Santi al territorio del Comune di Milano, nel 1873), provocò, nei fatti, la distruzione di una grande parte della Milano storica, con la conseguente perdita di un ingente patrimonio artistico e architettonico.
Una tendenza all'incontrollata ri forma dell'ordito urbano che, peraltro, diverrà una costante di tutte le amministrazioni ambrosiane che si avvicenderanno, dall'indomani dell'annessione alla corona sabauda, per oltre un secolo.
Per rimanere nel solo àmbito delle proposte per un nuovo complesso piazza del Duomo via (o galleria) da dedicarsi a S. M. il re Vittorio Emanuele II-e adiacenze, numerose e di rilievo erano le demolizioni prospettate; tra le più deprecate dai tradizionalisti, vanno segnalate quelle del cosiddetto "coperto dei Figini", rinascimentale, e dell'isolato del Rebecchino, di poco posteriore al precedente, entrambi antistanti la cattedrale, e la eliminazione del reticolo di antiche vie e viuzze a settentrione della cattedrale stessa, non senza la distruzione di edifici di pregio.
Non ultimo in ordine di importanza era anche il problema della disponibilità economica. Il popolo non era così sprovveduto da non rendersi conto che opere di tale mole avrebbero finito con il pesare in misura notevole, forse insostenibile, sulle sue già povere tasche.
VITA E MORTE DI ANIMALI (2⁄4)
Il tenutario della casa a luci rosse per animali con licenza di procreare, era un gigante che aveva moglie figli e figlie giganti come lui, di nome Carlèn dul Piciott, mutilato per una inguaribile ferita rimediata in una gamba durante la prima guerra mondiale. Col cuore in mano, allegro, sempre festoso, scanzonato, amante (con troppo vigore, direbbe Dante) del dio Bacco, cordialissimo con chicchessia, era dicitore finissimo di filastrocche che erano la delizia di noi bambini che ascoltavamo rapiti e a bocca aperta: "O Dio, c'è tanta polvere perché non piove più, io ho tanti debiti perché non pago più: vado dal fornaio e incontro il macellaio, vado dal salumaio e incontro il calzolaio... oppure:
"che cosa importa a me se non son bella, mi g'ho l'amante mio che fa il pittore, se mi dipingerà come una stella, che cosa importa a me se non son bella, e ancora, alzando sempre di più la voce che diventava roca: che cosa importa a me se il pan l'è caro, mi g'ho l'amante mio che fa il fornaro ecc.,
finché, seccatagli la gola per il gran declamare, non sentiva l'urgentissimo bisogno di un rinfrescante bicchiere di squinzano. Se ne andava alla chetichella lasciando di stucco l'uditorio che ignorava il motivo della repentina partenza.
Chi non aveva per casa un gatto, aveva certamente un cane. Non c'era casa che non avesse la gabbia col canarino e non fosse allietata dai trilli e dai gorgheggi dei piccoli cantori.
D'inverno ci si divertiva (divertimento crudele) a nascondere sotto la neve, le trappole con infisse sull'asticciola dello scatto, un granello di mais per catturare passeri e fringuelli.
Per le festività natalizie, le baldorie di fine anno, i banchetti propiziatori dell'anno nuovo, le massaie usavano per le bestie (ruspanti garantite) predestinate alle "paciate", un trattamento speciale, un sistema di "ingrassaggio" davvero doc. Dovevano arrivare al traguardo finale grasse a puntino per onorare degnamente la tavola sulla quale si riservava loro l'onore di comparire.
L'altro giorno passando in via Adriatico sull'angolo che fa con via Monte Bianco ho rivisto, come del resto tutte le volte quando ci passo a piedi o in bicicletta, la vecchia casa del Locarno Galdèn e, oltre che di lui (piccolo e magro, un quinto rispetto alla sua compagna, dall'aria furba, che a fischiare era più bravo di un merlo) mi sono ricordato di sua moglie senza riuscire, dopo tanto pensare, a tirare in mente il suo nome. Ho chiesto ad amici della mia stessa età, ma nessuno se ne ricordava più. Così, poiché ero deciso di venirne a capo, la mattina di Natale, ho girato e rigirato nel cimitero in cerca della tomba della famiglia di Galdino Locarno e dopo una mezz'ora buona l'ho finalmente trovata. Quante volte sono andato da lei coi galletti legati per le zampe, come Renzo Tramaglino quando va dal Dottor Azzeccagarbugli, per farli "capunàa"?
COM'ERA IL MIO PAESE (1930 CIRCA) - (1⁄3)
Sono confusi i ricordi di com'era il mio paese quand'ero fanciullo. Case demolite, alberi spariti, a volte basta un tetto rifatto, le imposte e una porta nuova per farci sembrare diversa una abitazione. In mezzo alla piazza c'era un pozzo: vi si andava ad attingere acqua, quando la rete per la distribuzione dell'acqua a domicilio era di là da venire. Dalla piazza iniziava la via Palazzo: via che finiva in un cortile dove era stata costruita la casa più alta del paese: tre piani! Sul lato sud della piazza c'era e c'è il monumento alla Beata Giuliana, benedicente, unica gloria della modesta storia paesana. La statua, alta tre metri circa, era stata voluta dalla popolazione (i tardi nepoti, come dice l'iscrizione) i primi anni del nostro secolo.
Sul principio della via Mazzini, a destra, c'era il forno pubblico, dove, ogni giorno e a turno, si cuoceva il pane: "i roo da pangiàld". Il forno era riscaldato con fuoco di fascine ed era attivo tutti i giorni feriali. Le ruote, così croccanti il primo giorno, diventavano sempre più rafferme col passare dei giorni. La provvista doveva durare una settimana intera per una famiglia che in media contava da quattro a sei persone. La piazza e le vie che vi immettevano erano acciottolate: mi tornano alla mente i selciatori intenti al lavoro con zappettine, seduti su seggiolini rotondi di legno dotati di una corta gamba per l'appoggio sul terreno. Venivano continuamente riforniti di selci e di sabbia; erano molto veloci nel lavoro, attenti e precisi.
Nelle giornate di temporale, soprattutto quand'erano violenti, tutte le vie che sboccavano nella piazza, vi portavano torrenti d'acqua piovana riempiendola nel giro di cinque minuti. Noi ragazzi, a piedi scalzi, vi scorrazzavamo in lungo e in largo, spruzzando getti d'acqua da tutte le parti e ci divertivamo un mondo.
Divertirci non era complicato come oggi e costava molto poco, a volte niente, come fare salti e giravolte in un qualsiasi posto della piazza nell'acqua alta che la allagava.
L'acqua che si raccoglieva in piazza durante il temporale, andava poi a riversarsi nel buzòn, nel "burrone", il cavo di via S. Bernardo che si trovava, a sinistra andando verso il cimitero, poco prima di arrivare alla chiesetta di S. Bernardo e che è stato colmato di terra su cui sono state costruite alcune case. Un altro cavo, ma di dimensioni più piccole, era stato aperto sull'angolo di via Mazzini con via della Vittoria che prima della seconda Guerra Mondiale era strada regolare per i primi cinquanta metri. Per il resto, fino allo stradone era una carreggiata stretta ed erbosa. Anche questo cavo, che fronteggiava sul lato della via Mazzini l'oratorio maschile, fu ricoperto di terra e vi si costruì sopra un condominio (via Mazzini, numeri 36-42).
       **************** fine giornata ************************
 
22 Febbraio 2024 - giovedi - sett. 08⁄053
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-08-053.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2605⁄QGLO487-Sesto-calende-02.mp3 - Sesto Calende: il porto mercato di "Scozola"- #73 - rvg
ALL'OMBRA DEL CAMPANILE - Le campane   (2⁄2)
Il 6 ottobre Don Guerrino Arnelli, fondatore della scuola S.Cecilia di Milano, provati i toni, dichiarò il concerto eccellentemente riuscito. Nel frattempo si completò il cupolino si sovrappose il parafulmine, mettendo anche in opera parte del castello.
Sabato 18 ottobre 1884: le cinque campane arrivarono a Gallarate e per la domenica seguente, si programmò di portarle a Verghera. All'occasione partecipò anche la "novella" società filarmonica del paese composta da venticinque giovani operai tessitori. Si addobbarono a festa anche i carri per il trasporto. Ne arrivarono quattordici. Si formò un lungo corteo: precedevano alcuni a cavallo, poi la commissione, poi la banda, indi i carri preceduti, fiancheggiati, e seguiti dalla popolazione plaudente, commossa di quella commozione che fa ridere e piangere nello stesso tempo, soprattutto sorpresa di vedere campane così grosse.
Giunti sul sagrato della Chiesa, le campane furono sospese sotto un elegante padiglione, pronte per la benedizione che ebbe luogo nel pomeriggio della stessa domenica 19 ottobre, impartita dal prevosto Gallarate don Federico Velloresi, delegato dall'Arcivescovo. campane secondo la consuetudine ebbero i loro padrini:
la prima campana dedicata a Maria Nascente, del peso di Kg. 1014 con tonalità "mi-bemolle", ebbe come padrino il sig. Locarno Giovanni negoziante;
la seconda, dedicata a S. Carlo, in memoria nel 3° centenario della morte, del peso di Kg. 691, con tonalità "fa", ebbe come padrino il Sig. Bianchi Angelo di Milano, generoso benefattore;
la terza, dedicata a S. Bernardo, del peso di Kg. 470, con tonalità "sol" ebbe per padrino il Sig. Puricelli Carlo fu Pietro, quale rappresentante della commissione;
- la quarta, dedicata a S. Anna, del peso di Kg. 373, di tonalità "la- bemolle", padrino il sig. Provasoli Francesco, esercente;
- la quinta, dedicata alla Beata Giuliana, del peso di Kg. 276, di tonalità "si bemolle", ebbe per padrino il Sig. Puricelli Giuseppe quale rappresentante la fabbriceria che scelse questa, nutrendo la speranza essere tra i discendenti della Beata.
Il peso complessivo delle campane è di Kg. 2825, e il prezzo oltre che delle campane, anche del cupolino, della riparazione dell'orologio, dell'imbiancatura del campanile e delle spese della festa, fu di circa Lire 9.000.
VITA E MORTE DI ANIMALI (4⁄4)
Ho avuto anche una gattina nera che combatteva alla pari con i topi di chiavica (i ratt da curmegna) così grossi che parevano essi stessi altrettanti gatti. Quando doveva entrare in casa, si aggrappava alla maniglia della porta, facendola, scattare e aprendo così il battente. Dormiva sempre accoccolata sui miei piedi e considerando il gelo che stazionava di continuo nella nostra camera, fungeva da graditissimo scaldino. Aveva il debole di essere spietata cacciatrice di uccelli, ma questo faceva piacere a mia madre che dagli uccelli si vedeva sempre sconvolte le aiuole appena seminate.
Per chiudere il capitoletto degli animali ricorderò come mio fratello Gianfranco allevò una covata di usignoli composta di cinque fratellini. Si sa che è molto difficile tenere in vita i piccoli appena nati. Non bisogna assolutamente dimenticarsi di loro neppure una volta sola, potrebbe essere la loro fine. Gli usignoli sono carnivori ed era necessario quindi, tagliuzzare il fegato, i lombrichi e la carne in genere, in minutissime particole adatte al becco, alla gola e allo stomaco degli uccellini che erano sempre lì con la gola spalancata in attesa del cibo. Sembrava sempre che fossero morti di fame, che non mangiassero chissà da quanto tempo. Mio fratello lavorava a turno alla manifattura di Rivoli, in via Matteotti, a Gallarate. Una settimana cominciava alle sei del mattino, una settimana alle due del pomeriggio. Ne conseguiva che distribuiva il primo pasto alle cinque del mattino e l'ultimo alle undici di sera, a seconda dei turni. Era una meraviglia e una grande soddisfazione vederli crescere tutti e cinque insieme. E crebbero e crebbero fino a che divennero grandi, capaci di volare. Mio fratello tenne il più bello e intelligente per sé, gli altri li regalò ad amici.
L'usignolo che allietò per vari anni col suo canto spiegato e brillante la cucina della nostra casa era un maestro cantore. L'Alfredo Milani - l'operaio maratoneta che ogni santo giorno, a piedi, andava fino a Crenna a lavorare - restava incantato sotto la gabbia a sentirlo modulare, in un crescendo travolgente, note dopo note, senza stancarsi mai. Lo paragonava a Tamagno, grande tenore morto a Varese, e degno antagonista di Caruso. Quando la sera tornava dal lavoro stanco per il tanto camminare e per la lunga giornata di fatiche, non andava direttamente a casa sua, ma si fermava davanti alla gabbia dell'usignolo. E l'usignolo, consapevole dell'onore che gli si tributava, apriva subito il becco per lasciare uscire una cascata irrefrenabile di gorgheggi. E come dice D'Annunzio "il cantore si inebriava del suo canto". L'è propi Tamagno, affermava l'Alfredo Milani che il canto aveva come riposato dalle fatiche della lunga giornata. Ma una volta - maledetta quella volta - mio fratello, mentre apriva lo sportelletto della gabbia per cambiargli l'acqua, lo lasciò scappare. Volò subito via l'usignolo con un volo basso e incerto fino a dove stava pensierosa la gattina nera che, appena lo vide, con un balzo degno del più bravo portiere del mondo, lo abbrancò a volo con stupefacente precisione e prontezza. Mio fratello pianse e la cucina restò muta fino a quando comprammo un canarino arz rosso e giallo, lui pure un maestro cantore. Anche lui chiamammo Tamagno. Si dimostrò degno della successione e del nome.
Ul paschè
E' il sagrato della chiesa. Questa parola la pronuncia sempre mia moglie bustocca. Qualche volta la parola l'ho sentita pronunciare anche dai nostri vecchi.
Era luogo sacro perché nei secoli scorsi vi si seppellivano i morti. PASCHE' è la contrazione e la pronuncia popolare delle parole latine PAX EIS, pace a loro. Che i fedeli pronunciavano come invocazione e preghiera, nell'atto di attraversare il territorio prima di entrare in chiesa, REQUIEM AETERNAM DONA EIS, DOMINE: a loro, dona o Signore, la pace eterna. Sul PASCHE' DU LA GESA, da bambini, giocavamo ai quattro cantoni. Senza saperlo, le nostre esclamazioni di gioia, tenevano compagnia alle anime dei morti che erano stati sepolti, tanti anni fa sotto i nostri piedi.
Qualcuno di loro era stato il nonno del nonno, del nonno di mio padre e quindi un mio antenato.
PASCHE', cioè, PAX TIBI, nonnino.
Il Pudore nascosto (8-9 ottobre 1877)
Erano dieci ore e mezzo d'ieri sera e in via del Pesce, vicino a una casa, dove la statua del Pudore è coperta con tanto di lenzuolo, successe un diavolio spaventoso. Che note acute! Che bassi profondi! Che accompagnamento di calci e pugni. Un tal M... Carlo, che non ostante sia macellaio, ha un cuor tenero tenero, e non può veder di cattivo umore neanche una mosca, voleva ristabilire i buoni accordi tra quelle furie, ma una di quelle lo percosse con un bastone, lo contuse, e un'altra gli rubò l'orologio!
Cenci in questura - (22-23 ottobre 1877)
L'autorità ha disposto che gli ubbriachi raccolti come cenci per istrada dai vigili urbani e dalle guardie di Pubblica Sicu rezza, in luogo di essere condotti tutti all'Ospedale Maggiore come si fece finora, sieno portati alla questura, mandan do all'ospedale solamente quelli che presentassero urgente bisogno di cura medica o chirurgica. Il vedersi condotti come ladri alla questura, potrà frenare i fervidi continuari di Noè dalle loro eccessive libazioni?
 
       **************** fine giornata ************************
 
23 Febbraio 2024 - venerdi - sett. 08⁄054
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-08-054.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2605⁄QGLO488-Sesto-Calende-03.mp3 - Sesto Calende: Le prime peschiere - i "Cogoòli" -- #73 - rvg
La chiesetta
Piccina era, modesta, immersa sempre, anche nelle vivide giornate estive, in una penombra crepuscolare che era garanzia di pace e un invito costante alla preghiera.
Il coro dietro l'altare, l'organo a mantice sopra la porta d'entrata, il battistero nella cappella a sinistra dell'ingresso, il pulpito, le cappelle dei santi rivedo, come se stessi ancora in piedi nel bel mezzo della sua navata, a guardare felice e sereno, intorno a me, le ombre suscitate dal ricordo della mia fanciullezza.
Piccola chiesa dove era facile il raccoglimento e la meditazione, così simile, anche se più vasta, alla cameretta dove Gesù raccomandava di rinchiudersi a pregare.
Sul sagrato, dove secoli prima venivano sepolti i defunti, c'erano, disposti a quadrato, quattro paracarri, che servivano ai ragazzi che attendevano di entrare in chiesa per assistere alle funzioni, per giocare ai quattro cantoni.
Sulle pareti laterali dell'altare erano raffigurati a fresco il sacrificio di Isacco e la nascita di Maria Vergine, sopra la porta della sacristia, a sinistra, pendeva la campanella che annunziava con allegria argentina l'inizio delle funzioni, mentre a destra una porticina immetteva nella cella riservata alle corde delle campane, e da dove si saliva per mezzo di una scala a pioli, nella cella campanaria da cui si godeva una vista stupenda: le alpi dominate dal Monte Rosa, le Prealpi Varesine col Sacro Monte e il Campo dei Fiori, le Prealpi comasche con le Grigne e il Resegone, e le piane di Busto e di Gallarate coi boschi della cascina del Prete.
Quante ore della mia infanzia e della mia giovinezza sono trascorse sui banchi della chiesa, quante figure di parroci, di coadiutori, di suore, di gente ho visto genuflessa a pregare o a meditare ai piedi della bella balaustra di marmo rosso.
Vivissimo è il ricordo della morte, avvenuta sull'altare maggiore, mentre esponeva il Santissimo all'adorazione dei fedeli, del coadiutore don Francesco Rebuzzini, sessantacinque anni fa, quando avevo sei o sette anni.
Sugli otto nove anni sono stato chierichetto; ma la sottanina nera o rossa che fosse mi andava sempre stretta. Allora mi dava già fastidio, ma non come adesso, il fumo delle candele.
Il più vivo dei ricordi legati alla chiesa è quello che mi riporta alla memoria la figura di Idelfonso Schuster, arcivescovo di Milano, dal quale sono stato cresimato.
Noi bambini lo guardavamo, attoniti e felici, mentre segnava con l'olio santo le nostre fronti ancora innocenti del segno della croce. Ci stupiva, che il santo Cardinale, vivesse con due uova al giorno. Domenica 12 maggio 1996 ho assistito, in piazza S. Pietro, alla sua beatificazione. Il colonnato era stupendo a vedersi nella sua geometrica perfezione, e la cupola grandiosa dorata dal sole e percorsa dalle ombre che il movimento delle nuvole rinnovava continuamente, mi richiamavano alla memoria il volto esangue e dolce, quasi trasfigurato, del piccolo fragile Cardinale che aveva illuminato di splendida luce uno dei giorni più puri della mia giovane esistenza.
Dal 1945 al 1960 (3⁄13)
M: In effett, se se esclud el fatto che hinn stàa trà giò tutt i simbol del fascismo, come appunto i fasci e i fras del duce che gh'eren scrivuu in de per tutt i canton, tucc i "casa del fascio" hinn diventàa séd de quai istituzion pubblica, sindacàa, carabinier, polizia, menter i alter hann continuàa a fà quell che faséven,
come el tribunal, la borsa, l'ospedal de Niguarda, anca se éren stàa bombardàa anca lór e magari gh'aveven bisogn de vèss giustàa. Subit poeu, hinn stàa cambiàa i nomm ai strad, on po cont quei che gh'aveven Prima del fascismo, on po cont quei di partigian e alter personagg che hann fàa on po la storia de l'antifascismo, semper però cont la bònna abitudin de mètt la soa bèlla targa de marmo a ogni in- cros di strad.
C: Gh'hoo sentì dì che i fascisti in di ultim dì aveven cambiàa i cartèi di strad per sconfond i inglés e american e fagh sbaglià strada. L'è vera?
M: On po l'è vera, soratutt foeura de Milan, ma i alleàa gh'aveven giamò pensàa in de per lor, cont di sò cartei scrivuu in inglés. Ma i american hinn stàa chi pocch, anca se gh'hann lassàa per quai temp di commissari che ghe ricordaven chi l'era che aveva vinciuu la guèrra e che el comandava.
C: Fidàss l'è ben... ma gh'aveven minga tutt i tort, vist che l'Italia la pareva giamò vorè divìdess ancamò: quei che voreven stà cont i american e quelli che ghe piaseva la Russia.
M: L'emm giamò dì, meno mal che semm restàa de la part giusta, e inscì la vita a Milan l'ha comincià a riprend cont el sò bon e el SÒ gramm. Per la cronaca bisogna però ricordass di ròbb che gh'hann fàa pussée rumor; nel '46 (quarantases), on ann dopo che l'hann taccàa su, hann trafugà la salma del duce che la stava a Musocch, trovada poeu on més dopo a la Certosa de Pavia; semper nel '46 (quarantases) la gh'è stada la rivolta a San Vittor organizzada su istigazion del bandito Barbieri, che l'era appèna stàa miss in galera dopo che per on ann l'aveva terrorizzàa mezza Milan cont la soa banda de l'isola; e poeu a la fin de november, el delitt de Rina Fort, definida la "belva de via San Gregori", che l'ha mazzà la mié del sò moros e i sò tri fioeu. Ma de fioeu ghe n'è poeu mort 45 (quarantacinq), negàa a Albenga nel lui '47 (quaranta- sett); éren quasi tucc orfanei de guèrra che éren lì in ona colonia estiva del Comun. Semper nel '47 (quarantasett) hinn poeu con tinuàa i delitt politic, e anca la voeuia di comunisti de fà la rivoluzion, tanto che ciàppen el pretest del cambi del prefett per occupà la prefettura de cors Monfort cont di squader armàa tra i quai gh'era anca la famigerada Volante Rossa, ona compagnia de esaltàa che la se scondeva dedrée ona casa del popolo e che l'è stada smontada dopo on para d'ann. Hinn stàa però duu dì che pareva che comunisti e militar se sarien poduu sparà addoss. Ma par che quando el Pajetta, che el comandava 'sti rivoluzionari, l'ha annunciàa trionfant al capo di comunisti Togliatti: «Semm padron de la Prefettura de Milan», la risposta l'è stada: «E adèss, s'te 'te n fee?». E inscì s'è subit smontàa tusscoss.
LA PESTE DEL 1576-77 E DEL 1630-31
E' sempre don Luigi Brambilla che scrive: "Pure dai registri parrocchiali rilevò che anche qui fuvvi la peste detta del cardinale Federico nell'anno 1631, poiché nel registro dei nati trovo nell'agosto e nel Settembre di quell'anno che non si portavano i bambini alla chiesa ma si battezzavano in casa per paura del contagio.
Se tale contagio abbia fatto qui (cioè a Verghera) numerose vittime o meno non lo si può sapere, mancando il registro dei morti di quel tempo, e se dobbiamo indurre per analogia, dobbiamo dire che ci deve essere stato un discreto numero di morti, poiché ad Arnate (paesino posto tra Verghera e Gallarate) dove furono conservati i registri, oltre che un buon numero di parrocchiani, morirono "de peste" anche due parroci.
Nell'epidemia del 1637 o in quella anteriore di San Carlo (1576-77) è certo che di peste ne morirono non pochi e ne fa fede il Lazzaretto, tuttora esistente, dove dura la tradizione che là furono seppelliti i morti della peste".
Cave canem⁄3 - (20-21 giugno 1878)
leri furono accalappiati cinquantun cani. Vennero tutti uccisi.
Cave canem⁄4 (27-28 luglio 1878) Se i lettori credono che i cani abbiano fatto giudizio, s'ingannano. I cani mordono sempre rabbiosamente. Anche ieri ci furono nuovi morsi e nuovi morsicati. Un abbonato ci domanda quante furono le persone cauterizzate all'Ospedale Maggiore dal primo gennaio al primo luglio. Ecco: furono centoundici persone. Nel mese corrente, il numero delle morsicature è più grande di quello dei mesi scorsi, e perciò molti i cauterizzati. Ora è difatti penetrata in tutti la persua sione che quando si è morsi, bisogna farsi cauterizzare, alfine di preservarsi dall'idrofobia. A Milano, tre furono quest'anno gl'infelici morti di idrofobia!
 
       **************** fine giornata ************************
 
24 Febbraio 2024 - sabato - sett. 08⁄055
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-08-055.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2605⁄QGLO489-Sesto-Calende-04.mp3 - Sesto Calende: I barcaioli e i "Paroni" - Le prime fornaci di calce - - #73 - rvg
Aquasantèn e segn du la crus (1⁄2)
Acquasantiere in marmo rosa di Verona, dello stesso materiale della balaustra dell'altare della vecchia chiesa parroccchiale ora demolita. Distrutte o vendute? Alte di stelo e con la conca ampia e capace, erano poste a destra e a sinistra del corridoio centrale appena dopo l'entrata. Ne ho viste due uguali per forma ed altezza nella chiesa di Olgia (Valle Vigezzo) ma scolpite nel sarizzo.
A Pasqua era uso abituale delle nostre donne di andare in chiesa e di fare "provvista" di acqua santa che doveva bastare fino alla settimana della passione dell'anno successivo.
Venivano sistemati, ai piedi delle pile, due mastelli colmi di acqua benedetta, dai quali veniva attinta la quantità necessaria da portare per chi ne aveva necessità o piacere alla propria abitazione.
Appena varcata la soglia la massaia, per prima cosa, provvedeva ad aspergere con l'acqua benedetta i quattro angoli di ogni locale per purificarlo dagli spiriti del male. Simile benedizione era riservata anche alla stalla e al fienile. Si teneva sempre in casa una certa quantità di acqua benedetta come antidoto al malvolere del demonio, come salvaguardia dal malocchio, dalla superstizione, dagli intrighi delle fattucchiere.
Nella camera da letto, appena varcata la soglia, appesa al muro, c'era la pilèta du l'aqua Santa o aquasantèn nel cui cavo si poteva trovare, in ogni giorno dell'anno, l'acqua benedetta per segnarsi.
Tutte le sere, difatti, prima di coricarsi, dopo di aver recitato le orazioni di ringraziamento per la giornata felicemente trascorsa, si sostava davanti a l'aquasantèn per recitare in fretta, in fretta, mezz indurmentàa, cul cò pesant da sogn e stracch da dì nò, un requiem aeternam par tucc i nòstar poar mort par tègnat la man sul cò. Di maiolica o di ceramica, bianca con fregi in oro e la figura in azzurro dell'Angelo custode o in bruno del Battista battezzante, l'aquasanten era una specie di reliquia da considerare sacra per la pace, la serenità e la protezione della casa immersa nel meritato riposo serale. Per usare l'aquasantiera non mancava mai l'occasione. Ste ori ghe sempar chi ma or mà e po' a druåla né la custa né la fa dagn ul puse l'e avegh fed. Nessuno ufficialmente credeva alle assurdità della superstizione, ma, sotto sotto, non si sa mai.
VITA E MORTE DI ANIMALI (3⁄4)
I galletti altezzosi e ignari che la moglie del Galdèn Giuseppina Uslenghi, madre di suor Gertrude e di un emigrato morto in America, la cui figura maestosa e solenne (un quintale e mezzo?) ho viva davanti agli occhi e che stava seduta con molta fatica su una seggiolina che la reggeva appena appena - aveva operato, tagliando con una forbice comune, ricucendo con un ago e del refe, e disinfettato con cenere prelevata dal focolare spento, per renderli "capponi", formavano l'orgoglio dei contadini grossi e grassi com'erano, da sembrare perfino "pompati" ed "estrogeneizzati". La chirurga riuniva poi in un pacchetto tutti i testicoli asportati, che io portavo a casa e che la mia mamma utilizzava (che bontà!) per impreziosire e insaporire il risotto della domenica. Dei galletti resi eunuchi ne sopravviveva la maggior parte. Gli sfortunati finivano, con l'acqua, il condimento e le verdure adatte, nel "padelòtt" riservato al brodo e al risotto insieme ai "requisiti" asportati della loro mascolinità.
Pilon era il protagonista del romanzo "Pian della Tortilla" di John Steinbeck (se ne ricavò il film Gente Allegra, attore principale Spencer Tracy). Mi aveva da poco entusiasmato la lettura del racconto dove si narrano le gesta di un gruppo di paisanos di Monterrey, quando venni in possesso, non ricordo come, di un piccolo cane bastardo di stirpe volpina bianco e nocciola, con una coda fioccosa e bellissima. Gli occhi erano parlanti. Gli mettemmo nome Pilon, e il cane, di rara intelligenza, fu per noi fratelli il fratello più piccolo, il più coccolato, il più amato.
Custodiva la nostra casa come un carabiniere, con vigile e instancabile attenzione, proteggeva le nostre galline, le oche, i tacchini, le anitre, con la solerzia interessata di un padrone. Si usava ancora, allora, rubare nei pollai, affumicando i volatili, per non farli schiamazzare. Ma al Pilon nessuno era in grado di farla. Capiva tutto questo la chioccia americana (la mericanela) che andava a porsi sotto la sua protezione con tutta la covata, a ridosso della sua cuccia. Memorabile fu quando ci diede la possibilità di catturare una sera, il porcospino maschio e, la sera dopo, il porcospino femmina, voraci divoratori di pulcini appena nati. Riuscì a rompere la catena e a porsi tra la chioccia e l'assalitore tenendolo a bada e abbaiando in maniera forsennata per richiamare la nostra attenzione.
Ci fu rubato da un invalido che passava, di casa in casa, a cercare l'elemosina su una carrozzella trainata da cani. Da quel giorno, nonostante le nostre appassionate ricerche, non lo vedemmo più. La sua cuccia vuota mi faceva venire il magone ancora un anno dopo la sua scomparsa.
AL PONTE DI OLEGGIO
Andà al Tisèn a tò l'aqua Quando da bambini vedevamo le nuvole grigie e nere correre inquiete nel cielo che minacciava tempesta e volevamo conoscere il perché di tanta fretta, i nostri genitori ci spiegavano che le nuvole stavano correndo verso il Ticino a caricarsi d'acqua da rovesciare sulle nostre campagne e sulle nostre case. I vann giò al Tisen a caregàss d'aqua. E se il cielo era proprio nero, di piombo, con nuvolette leggere e grigie impazienti, nuvolette che presagivano grandine e bufera di vento, aggiungevano facendosi il segno della croce, sperèm ch'ai pèrdan la stràa. Qualche volta perdevano la strada, qualche volta invece ritornavano sicure per la stessa strada seminando torrenti d'acqua misti a grandine, sospinti da forte vento di tramontana.
Nonostante l'ulivo benedetto della domenica delle Palme acceso nel bel mezzo del cortile per permettere al fumo di salire in alto nel cielo ad esorcizzare le nuvole incombenti, nere e minacciose, e le campane avessero suonato a rumm per un quar  to d'ora di fila e il prete con la stola viola della penitenza in piedi sul cimitòri avesse imperterrito, benedìi '1 temp. Mi è sempre piaciuta l'immagine delle nuvole che vanno verso il Ticino a riempire d'acqua i secchi da rovesciare sui tetti delle nostre case e sulle vie polverose del nostro paese. E qualche volta mi vedevo, piccolo cavaliere dell'apocalisse, a cavalcioni su una di esse. Mia mamma capiva benissimo il mio stato d'animo e, scrollandomi un poco mi diceva all'orecchio: vegn in cà. S'al cumència a piòo sé bagni tutt. E il sogno finiva risvegliato da un'assordante bordata di tuoni. Anche ora quando il mio cuore ha bisogno d'acqua per annaffiare i fiori che la mia fantasia coltiva nel suo camp di cent pertigh, vado anch'io a tò l'aqua al pont da Uleg. E i fiori, di cento colori diversi hanno vita lunghissima. Alcuni sono sbocciati quando avevo quindici anni e mi recano ancora il profumo ineffabile della perduta giovinezza.
Curiosità storiche sulla Beata Giuliana
In margine a quanto detto sopra rileviamo che non è stato ancora stabilito con sicurezza e forse non lo sarà mai, se il luogo di nascita della Beata Giuliana sia appartenuto al territorio di Busto Arsizio o di Verghera. Nei primi anni del secolo ci furono contestazioni e screzi tra le due comunità che volevano attribuirsi la concittadinanza della Beata.
La venerabile Biumi precisa che il padre della "romita" staera (cioè stava) a una certa abitazione tra Busto e Gallarate, dicta Verghera (località Cascina de li poveri).
Fu beatificata da Lorenzo Ganganelli, papa Clemente XIV, il cui pontificato durò dal 1769 al 1774. Il corpo della beata sepolto in un primo tempo dentro il monastero venne in seguito, dopo circa un quarantennio, collocato nel coro delle monache. Nel 1612 per decreto del Cardinale Federico Borromeo fu dapprima traslato vicino al Capitolo; nel 1650 deposto nell'Oratorio delle Sante Reliquie per essere poi riportato nel Comunicatorio delle Suore. Finalmente nella prima metà del 18° secolo il corpo della Beata Giuliana e quello della Beata Caterina furono collocati definitivamente nell'oratorio delle Reliquie a fianco del Santuario, ove ancor oggi si possono venerare. Nel 1903 fu tolto alla Beata Giuliana l'avambraccio sinistro, per esaudire la preghiera espressa dal parroco di Verghera don Luigi Brambilla il quale voleva avere, per i suoi fedeli, una reliquia della concittadina da venerare.
 
 
       **************** fine giornata ************************
 
25 Febbraio 2024 - domenica - sett. 08⁄56
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-08-056.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2605⁄QGLO490-Sesto-Calende-05.mp3 - Sesto Calende: Terra di artisti - Il porto e le merci dal XVI al XVIII secolo - - #73 - rvg
Aquasantèn e segn du la crus (2⁄2)
Tanto cosa costa spargere un po' di acqua santa? Nella pila di marmo rosa che sembrava un fungo gigante con la "cappella" capovolta, lucente, levigata e fredda, era sempre possibile trovare, gratuitamente, acqua benedetta. Mi piacevano le pile immobili che nella penombra odorosa d'incenso sembravano due sentinelle, ma disarmate, che montavano instancabili la guardia perenne alla porta della chiesa per impedire al genio del male di avere libero accesso nella casa del Signore, rifugio dei poveri peccatori. Richiama fatalmente '1 segn du la crus. Si l'Acqua santa richiama fatalmente 'I segn du la crus. Si faceva un po' dappertutto. Entrando, uscendo, passando davanti alla chiesa o al camposanto, quando per strada si incontrava il sacerdote che recava il viatico o l'estrema unzione a qualche moribondo o quando iniziava o finiva la giornata, all'inizio del pranzo o della cena. Una veneranda vecchia del mio cortile si segnava sulla bocca ogni qualvolta sbadigliava e sulla fronte quando, così confessava con candore e innocenza, l'assaliva qualche cattivo pensiero o desiderio peccaminoso. Ma segnea da noce ricordava spesso, nei percorsi oscuri delle strade del paese non ancora illuminate dalla luce elettrica. Era - 'I segn du la crus l'arma segreta che vinceva paure, timori, indecisioni.
Una specie di medicina salutare per scacciare o disperdere le ombre inquietanti del nostro misterioso e incomprensibile subcosciente. Segnas: gesto abituale, compiuto a volte con scarsa se non senza partecipazione, ma sempre gesto liberatorio e propiziatorio.
Te fai ul segn du la crus? Te di i urazion? Le stesse domande ripetute per tanti anni, per una infinità di giorni, tutte le mattine, da mia madre ai suoi tre bambini. Si mama era la bugia immancabile di quasi tutte le risposte.
O'perché, addormentati ancora, non si aveva avuto il momento di pensarci o perché l'ansia di correre subito a giocare, non ci lasciava né il tempo né la voglia di recitarle, le preghiere, o di accennare al benché minimo segno di croce. Segnàs, i urazion, te fai ul segn du la crus? Tempi lontanissimi.
Altro mondo, tempi e mondo trapassatoremoti.
SUNÀ RUMM
Si è persa l'usanza, al sorgere dell'alba del giorno di San Marco, di andare in processione fino alla seconda croce, sulla strada che alla cascina del Prete, per impetrare la grazia della pioggia, così necessaria per i campi ridestati alla vita dal ritorno della primavera. E nemmeno si usa più, quando il cielo si oscura di neri e minacciosi nuvoloni, carichi di grandine, attaccarsi al campanone (tonalità mi- bemolle) a "sunà rumm" per scongiurare il furore della tempesta in arrivo.
Minaccia grave per il povero contadino che intuiva il pericolo di vedersi distruggere il paziente e duro lavoro di una annata di sacrifici. Mi pare di vedere come se fosse ieri, uscire dalla chiesa e fermarsi sul sagrato, il parroco, in cotta bianca e stola viola, affiancato dal chierichetto, che tiene in mano il secchiello e l'aspersorio già intinto nell'acqua benedetta per la benedizione propiziatoria.
Il campanone continua a suonare con rintocchi gravi, solenni, come per un mortorio.
Il parroco con l'aspersorio nella mano traccia segni di croce verso i quattro punti cardinali. L'operazione viene ripetuta più volte. Bisogna vincere la caparbia volontà di male del maligno.
Trepidanti e timorose le donne bruciano, nei cortili, ramoscelli di ulivo benedetto. I contadini hanno abbandonato il lavoro nei campi e tornano alle loro case con le zappe in spalla. E' evidente che il temporale viene dal Monferrato e può essere pericoloso non essere protetti da un riparo.
Quando nelle notti fredde d'inverno stavamo seduti intorno al focolare dell'immensa cucina a scaldarci, i vecchi raccontavano come don Luigi Brambilla, in un fosco pomeriggio da tregenda, avesse piegato il malvolere del tempo, costringendolo a scaricare tutta la grandine di cui era portatore in un piccolo campo non coltivato, fuori del paese. Se le nuvole cariche di distruzione passavano sopra le nostre case e campagne senza recare alcun danno, il merito era tutto da attribuire alla benedizione del parroco e al grido delle campane. La fede popolare era ancora grande e tutti erano soddisfatti di sentire sul loro capo e sul loro paese, la protezione della mano di Dio. Ed erano appagati dalla protezione che sopra di loro esercitava il loro parroco, uomo di Dio e àncora sicura nelle tribolazioni e nelle traversie giornaliere della vita a volte ingrata e ingiusta capace di combattere, ad armi pari, con le forze della natura. Era per loro un sant'uomo. E come tale lo piansero alla sua morte
LA CASA (3⁄6)
C: Par che ghe sia l'ambizione di avere i 15 minuti come tempo massimo per raggiungere il centro da tutte le periferie: lodevole e forse anche fattibile, viste le dimensioni della nostra città, ma poeu a dormi se va semper in periferia...
M: Certo, l'importante però è che la città sia disponibile in misura più equilibrata e, soprattutto, messa in condizioni di vivibilità migliori, in termini di sicurezza e servizi di vicinato; e forse podarien vess i abitant medesim a dagh valor ai sò sitt. Penso ai piccoli centri della provincia, ma anche a quelli che ora fanno parte di Milano, dove ancora si è conservato un tessuto abitativo che nelle periferie inventate non c'è, e si riesce anche ad avvertire un senso della milanesità ancora genuino.
C: Ma ormai tutti questi rioni e paesi sono abitati in buona parte da stranieri: tanti si sono integrati, ma tanti altri non so quando mai si potranno definire milanesi, e par che i pussee giovin, anca se nassuu chi, preferissan sentiss stranier de proposit, quasi in senso di sfida con il luogo che li sta ospitando.
M: L'è on bell problema, compagn del rest a tucc i grand città, che tendono sempre di più ad allargarsi e ad ospitare gente proveniente da tutti i continenti e talvolta, com'è inevitabile, anche poco raccomandabile. Ma chi vegn foeura quella che è una specie di caratteristica di Milano, difficile da definire, che riesce a far diventare tutti, o quasi, milanesi e in tempi neanche tanto lunghi. A Milan anca i moron fann l'uga, dice un vecchio proverbio, ed è sperabile che anche coloro che d'aspetto ci assomigliano di meno fra non molto si sentiranno milanesi, inscì come l'è semper success a tucc quei rivaa chi d'ogni part.
C: M'hinn semper piasuu quei noster amis "terroni" (detto con grande simpatia) che si sforzavano di parlare in dialetto, anca se per lor el milanes l'è difficil cont i sò "o" e "u"... e ormai lo sento sempre più spesso fare anche da cinesi, africani, sudamericani, che d'altra parte sono ormai una bella fetta degli abitanti di Milano. Certo, l'è minga assee el dialett, anche perché sono i milanesi i primi ad averlo dimenticato, ma qui c'è da sperare che i piccoli centri della provincia dove ancora lo si parla, seppur "arioso", riescano meglio allo scopo, poiché vi abitano genti che, oltre al dialetto, conservano ancora molte delle tradizioni che l'è propi on peccaa perd.
M: A proposito di tradizioni, mi piace ritornare ai palazzi del centro, quelli dove abitano i grandi signori, o forse meglio, i grandi ricchi (in dialetto, fra l'altro, sono chiamati allo stesso modo: sciori), magari non più intestati alle persone ma alle società (a volte con sede in Paesi dove si pagano meno tasse...). Quei palazzi vecchi anche di 3-400 anni, con i bellissimi cortili che un tempo ospitavano le scuderie dei cavalli e delle carrozze e oggi garage e palestre, e che sono ancora il massimo dell'ambizione di chi vive a Milano e vuole sentirsi un vero milanese.
 
 
       **************** fine giornata ************************