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RVG settimanale
Radio-video-giornale del Villaggio (vers. 2023-12-31)
 
  1. Il giornale del giorno, scritto, puo' essere sentito in contemporanea. Azionare la sezione "te lo racconto io il giornale" e nel frattempo; leggere.
  2. Il "rvg-giornale-settimanale" esce ufficialmente il lunedi' , ma anche quando ho voglia.
  3. Il "rvg-giornale-settimanale" esce come prima pagina la settimana in corso, la seconda pagina la settimana prossima e dalla terza in poi, le settimane passate.
  4. l "rvg-giornale-settimanale"  ogni due mesi, uscira' in formato PDF, HTML, EPUB  per essere archiviato
  5. Fotografie, filmati, e voce, rimangono in rete per alimentare il sito www.redigio.it" gia' esistente da anni e per l'ascolto pubblico mondiale. (gli ascolti di ottobre e novembre: 35% nelle Americhe e 30% inj Asia)
  6. Il "rvg-giornale-settimanale" e' una sezione del "Radio-Fornace-Informa" che e' una sottosezione del www.redigio.it 
  7. "radio-Fornace-Informa" funzionera' in detto modo per la stagione fino a tutto dicembre 2024  e produrra' circa 1400 pagine in A5 di testo, 400 podcast in mp3 e 200 filmati in mp4 (pronti per youtube) (previsione)
  8. www.redigio.it e' un prodotto nato nel 2012, e' personale, non ha collaboratori, ha un costo irrisorio e non ha mai percepito nulla, non ha nessun obbligo con alcuno, la responsabilita' sui contenuti diffusi diversamente diversamente da quelli da me dichiarati, non sono di mia responsabilita'.
  9. Il "Radio-Fornace-Informa" e sottosezioni, hanno lo scopo di aggiungere valore culturale al Villaggio.
  10. Eventuali collaboratori, sono graditi.
 
 
RVG settimana 02
 
Radio-video-giornale del Villaggio
 
Settimana-02 del 2024
 
Settimana 02       2024-02-08  - Calendario - la settimana
08/02 - 02-008 - Lunedi
09/02 - 02-009 - Martedi
10/02 - 02-010 - Mercoledi
11/02 - 02-011 - Giovedi
12/02 - 02-012 - Venerdi
13/02 - 02-013 - Sabato
14/02 - 02-014 - Domenica
RVG-02 - da  - Radio-Fornace
 
 
 
08 Gennaio 2024 - lunedi - sett. 02-008
redigio.it/rvg100/rvg-02-008.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-008.mp3 - Una diretta a proposito della musica del bar in occasione del 31 dicembre.
Toponimi di Cadrezzate
18) Padolette: strada che continuava un tempo il Rossino. Entrambi i toponimi oggi non sono più conosciuti. Le voci sono tratte dalle carte del Catasto Regio del 1905.
19) Passeraccio: zona boschiva che si inserisce tra la strada che porta verso Ispra e la strada che gira verso il limitrofo comune di Capronno. Il nome sembra essere trasparente e potrebbe suggerire un antico luogo di caccia agli uccelli (v. Comabbio n. 30).
20) Pauretta: strada di incerta localizzazione, forse da individuare nella zona est del paese in un'area adiacente al lago. Il nome potrebbe risalire alla voce dialettale pau "palude" con la presenza del suffisso di diminutivo -èta in dialetto e -etta in italiano. Notiamo anche in questa voce il rotacismo della laterale. Un'altra difficile ipotesi etimologica fa risalire la voce al nome pauràt che in dialetto sembra designare "il conoscitore e frequentatore della palude"
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2608/QGLO813-Luisin-tassista-01.mp3 - Milano e il Luisin tassista -
A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (2/3)
Calate le tenebre, nelle strade pressochè deserte ed abbuiate, due donne infazzolettate di nero, come due penitenti che nascondono il volto agli umani sguardi, camminano a passo lesto scantonando furtive. Persona che le vedesse direbbe : vanno in cerca del prete per un moribondo oppure della levatrice per un nascituro; lasciamole in pace senza curiosare, chè starebbe male. La donna più giovane (la malefiziata) non osa volgere la testa indietro, tuttavia ha il tremore nelle ossa. Se fosse possibile penetrare lo sguardo oltre il fazzolettone che le copre il volto si potrebbero scorgere sulla fronte delle goccie di sudore. Sudor freddo della paura di esere spiata e scoperta, nel qual caso il giuoco » non potrebbe essere disfatto »>. Supplisce la vecchia (manutengola della strega) con delle sterzate di capo, quasi volesse scacciare delle mosche noiose, a scopo esplorativo. Accertatasi che nessun'anima viva le pedina, bisbiglia all'orecchio della giovane: «Nessuno ». Automaticamente l'andatura si accelera. Cuntrà di Ràti: ci siamo, appena due passi ancora. Il cuore batte in petto alla donna giovane e trema. Indugia ad alzare il piede per scavalcare il rialzo dello sportello che immette nel cortile. La vecchia la spinge con una manata, poi rinchiude lo sportello battendo i tre colpi di prescrizione, affinchè la strega sappia chi arriva e prepari il ricevimento con le dovute convenienze. Venti gradini sgangherati da salire e siamo sulla ringhiera tremolante. Si apre un uscio a mezzanta e le due donne (la giovane e la vecchia) precipitano da tre gradini nella camera buia, appena solcata da una striscia chiara prodotta da un lumino agonizzante nell'ultima goccia d'olio. L'aria è appestata dal lezzo dello stoppino insecchito. La strega si leva lo scialle dalle spalle incurvate un po' dagli anni, un po' dalla posa necessaria. Incomincia a lamentarsi : «Sono malandata e stanca. Sentite che tosse! Se non fosse per un riguardo a voi Marianna, cara amica mia, questa sera non avrei ricevuto nessuno. Il gatto in un angolo fa le fusa e non si disturba per i topi che gli saltellano attorno. Son di casa ormai ! C'è della brage di carbonella nella scaldina dal coperchio forato. La strega alza il coperchio della scaldina e lascia cadere sulla brage una polverina che, abbruciando, diffonde un odore indefinibile, ma serve a far girar la testa a chi non vi è assuefatto. La giovane donna impallidisce ed ha qual che strappo di vomito. Capito, le fa male l'incenso ! La scaldina vien tolta dalla camera e posta sul corridoio. Qua un goccio di scacciamali ». È forte a prendersi, ma fa passar subito. Giù, giù, ecco fatto! Un momentino solo e il malessere sarà passato. Ecco che già si rianima in volto. Guarita da questo male! Ora veniamo all'altro. << Disturbi, dolori di stomaco, mal di capo, vomito, insonnia, sogni paurosi tremendi, mi par sempre di dover morire da un momento all'altro. Ogni tanto mi manca il respiro, par che ci sia una mano che mi strozzi la gola. Che tremendo, che tremendo! I medici dicono che non ho nulla: nervoso, fissazioni... Non capiscono niente. Temo di essere stregata! > Ah, ah, ah!!
I segreti della chiesa della Purificazione - 2
Tra XIII e XIV secolo dovremmo immaginare la c ostruzione come una cappella campestre al di là dell’Olona, utilizzata dagli abitanti di quella contrada. Il nome, ad ogni modo, rimane inalterato tanto è vero che, qualche secolo più tardi, possiamo leggerlo in un Instrumento di Cambio factum tra R.P. Jacobum Rettorem S(anc)te Marie loci Legnarelli et Melchior et Ambrosium fratres de Crespis, rogato da Bartolomeo Formenzan anno 1597. In breve i fratelli Crespi e il canonico di Santa Maria, di comune accordo, fanno uno scambio di terreni. Una chiesa, dunque, con buona probabilità, esiste dalla seconda metà del 1500 ed è circondata da acque, pascoli, campi.
Difficile trovare in loco documenti antecedenti al 1584.
In quell’anno, infatti, il 7 di agosto San Carlo fa trasferire la prepositura da Parabiago a Legnano presso la chiesa dei Santi Salvatore e Magno. Poiché qui i canonicati sono due, entrambi posseduti dal Reverendo Padre Battista Crespi, li erige in due canonicati coadiutoriali: uno in San Magno, l’altro presso la chiesa di Santa Maria nella contrada di Legnarello.
Questo avviene per comodità, o meglio per necessità, dal momento che il fiume Olona, scorrendo tra le due parti del borgo, spesso con le sue inondazioni, impedisce il transito. Oltre la chiesa vengono assegnati casa, giardino e beni. La faccenda suscita mugugni e ricorsi se il papa Gregorio XIII si vede costretto a far intervenire il vescovo di Cremona Cardinal Sfrondati (in seguito sarà papa Gregorio XIV) per dirimere la questione.
(lettera del 18 luglio 1586).
Proviamo ora a domandarci come mai dedicare un luogo sacro alla purificazione e cosa mai debba purificare la Madonna. L’intitolazione vuole sottolineare l’importanza della maternità. Come leggiamo nelle sacre scritture risale alla tradizione ebraica la celebrazione di due riti che avvengono quaranta giorni dopo la nascita di un bambino.
Il primo è la presentazione al tempio. Ecco il passo dell’Antico Testamento (Pentateuco Esodo 13) “Il Signore disse a Mosè:
Consegnami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli israeliti: ogni primogenito di uomini o di animali appartiene a me”. In seguito il bambino sarà riscattato dai genitori con il pagamento di 5 sicli d’argento. (circa 50 grammi)
Il secondo è la purificazione della madre. Si basa, sempre, sull’Antico testamento (Pentateuco Levitico 12) “Il Signore parlò a Mosè e disse: Parla agli Israeliti dicendo:
Se una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà impura per sette giorni; sarà impura come nel tempo delle sue mestruazioni…Poi ella resterà ancora 33 giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma se partorisce una femmina sarà impura due settimane come durante le sue mestruazioni; resterà 66 giorni a purificarsi del suo sangue”.
Insomma non siamo in regime di parità: 40 giorni contro 80, le femmine sono sempre un problema!
Il ritorno alla comunità implica l’offerta al tempio di un agnello e di un colombo, o due tortore se la famiglia è povera.
L’usanza della festa passa al cristianesimo e, in origine, viene fissata nel giorno 15 febbraio. Secondo il calendario romano questo è l’ultimo mese dell’anno nel quale si svolgono le Februalia , cioè le feste di purificazione religiosa dei vivi, in onore di Iuno Februata (Giunone Purificata) perché fa uscire dopo il parto la placenta e quindi purifica la madre la quale, a suo tempo ha già invocato la dea Iuno Lucina (Giunone dea della luce) perché porti alla luce, appunto, il nascituro. Ma in questa data viene a coincidere con gli antichi riti romani e pagani dei Lupercalia.
 
 
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09 Gennaio 2024 - Martedi' - sett. 02-009
redigio.it/rvg100/rvg-02-009.mp3 - Te la racconto io la giornata
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Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2608/QGLO814-Luisin-tassista-02.mp3 - Milano e il Luisin tassista -
Toponimi di Cadrezzate
21) Persico: strada oggi non ben localizzabile e documentata in carte notarili di fine Ottocento, che si presuppone congiungesse il centro del paese al Lago di Monate. Il pesce persico, insieme alla tinca e al cosiddetto lavarello, è la risorsa principale per i pescatori della zona.
22) Peverascia: è il nome di un prato non molto esteso a sud-est del centro del paese che ospitava forse un tempo la peverascia, in italiano nota come "centonchio": erba infestante che fiorisce spontaneamente durante tutto l'anno per lo più accanto ai muri e nelle strade non selciate. (cfr. Peveranza frazione di Cairate -VA-).
23) Piaggiolo: area pianeggiante a ridosso del Lago di Monate. Il nome può essere ricondotto al latino plaga "pianura""" continuato in dialetto prima e in italiano poi con un diminutivo (cfr. Piaghedo, frazione di Gravedona -CO-)
Busto Grande - 170 anni fa  - capitolo sesto (1/4)
Aprile 1859: primavera in fiore e rumore di tempesta. Nel vicolo Crespi, da poco tempo ingoiato da un palazzone moderno tutto vetri luccicanti e biancore di marmi, addentrato nell'agglomerato di casupole che si addossano alla basilica di San Giovanni, il signor Giuseppe Lualdi ha impiantato da tempo, in un fabbricato di sua proprietà, ai numeri civici 173 e 174, una novità guardata con grande sospetto. Si tratta di una infernale << macchina a vapore », che deve servire a non si sa quale specifico lavoro, per quanto ci sembri facile indovinarlo; sarà stato, anche lui, come tanti, un preparatore di tessuti o un tintore di cotone. Fatto sta che la macchina funziona senza riposo.
Da una parte, il prevosto Piazza arriccia il naso e scuote la testa; dall'altra i canonici Ajroldi e Todeschini fanno brutti commenti. All'intorno, i proprietari di case (le abbiamo viste demolire in questi giorni e, oh Dio, non avevano tutti i torti!) sono preoccupati al vedere tutto quel fuoco e quel fumo che avvolge i loro fienili e le loro catapecchie.
Ma il signor Giuseppe Lualdi è un pioniere. Non si cura degli umori dei canonici, nè di quello dei vicini; come trascura le velate minaccie di buona parte del popolo che guarda di malocchio le macchine, questi arnesi costruiti per togliere il pane di bocca agli artigiani, o, come si diceva allora, agli artisti.
Fatto sta che un brutto giorno di questo aprile in fiore, la macchina a vapore, a furia di ingoiar carbone e vomitar fumo, saltò in aria con un tremendo boato che riempì di terrore tutto il borgo e fece tremare i vetri della chiesa, della casa del prevosto e dei canonici, e appiccò il fuoco alle case circostanti.
Arrivò la << Macchina Idraulica » coi brentatori, i facchini, il codazzo dei volontari faccendoni e, fra tanti, anche il Direttore e il Custode. Il fuoco venne spento, non senza gravi danni che, per quanto coperti dall'assicurazione, impressionarono notevolmente i bustocchi.
Ma passata la prima paura si tirarono dei gran respiri di sollievo, mentre nella offelleria del Magnaghi, che stava quasi in faccia al luogo della macchina, si riprendevano le discussioni politiche, con tutte le cau- tele che la dominazione austriaca imponeva. Della macchina a vapore, dopo il gran discorrere dei primi giorni << aveva fatta ormai la sua logica fine », dicevano i meglio informati del paese - nessuno se ne ricordò più, e i più accaniti nemici si fregavano le mani soddisfatti: - lo dicevamo, noi, che non durava! ; e perciò nes suno si curò di fare i conti col Lualdi.
Costui lasciò calmare le acque o, per essere più precisi, le lasciò intorbidare di tutto quel che bolliva in pentola in quei mesi. E, mentre gli animi erano rivolti alla guerra, a Magenta, al generale Urban, alla Guardia Nazionale, il Lualdi si dava da fare in gran silenzio e macchinava nuovi piani.
Quale non fu la costernazione dei vicini quando trapelò la notizia che il Lualdi, forte della legge che permetteva tali inaudite novità, stava di nuovo impiantando la « macchina a vapore ».
La Madonna accoltellata (1/2)
Chi ha mai giocato a zara? Qualche accanito giocatore o qualche esperto del settore sa di che cosa si tratta, ma per la maggior parte di noi è un mistero. Eppure nel Medioevo era un gioco d'azzardo assai di moda nonché un ottimo sistema per rovinarsi, come anche Dante conferma (Purgatorio, VI, I):
Quando si parte il gioco della zara, colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo impara.
<<Si giocava con tre dadi, e contavano negativamente le somme dei punti inferiori al sette e superiori al quattordici. (...) Dall'ara- bo zahr, dado» (Gabrielli). Si intendeva "zara" come "zero"; vien da lì anche il termine di azzardo. Nell'Ottocento milanese, decaduto il gioco, quella parola in milanese significava "rischio".
Tanta antiquata erudizione a che pro? Per ambientare un'altra leggenda che riguarda ancora una volta la Madonna, o meglio una delle sue immagini diffuse un tempo agli angoli di molte strade milanesi, prima dello sfratto in massa per opera di "illuminati" assortiti. Questa volta ci troviamo nel 1242 (il 25 marzo, preci sa qualcuno), quando un tabernacolo con l'immagine sacra della Madonna col Bambino ancora si trovava esposto nella contrada del Falcone, una delle strade più anguste del centro cittadino che prendeva nome da una rinomata locanda. Nel crocicchio di fianco a San Satiro c'era un po' di tutto e naturalmente negli angoli vi si giocava, senza badare agli editti cittadini che vietavano il gioco d'azzardo. Uno di questi giocatori di zara s'era intestardito, anche se la giornata non gli appariva in nulla favorevole, al punto da giocarsi se non la camicia almeno la casacca. Càpita ancora oggi. Imbestialito dalla sfortuna, non potendo prendersela con nessuno se non con sé stesso, estrasse il pugnale e con quello vibrò una tremenda coltellata all'immagine della Madonna dipinta sul muro, bestemmiando e gridando: «To', prendi!» come se Maria Santissima c'entrasse in qualcosa con le sue perdite ai dadi. Secondo altre fonti, le avrebbe tirato un sasso; secondo altre ancora, la pugnalata fu diretta al Bambino. La precisione, è questo il bello delle leggende.
Parole milanesi
Diàvul, diàul = diavolo. Catii 'mè 'l diàul = Lett. "cattivo come il diavolo", tuttavia il vero significato è "os- sesso, indemoniato" derivando dal latino "captivus diaboli", prigionie ro del diavolo, poi storpiato nella dizione dialettale. Cussè diàul süccéed? = che diavolo succede? La farina dul diàul la va tüta in crüsca = la farina del diavolo va tutta in crusca. L'è 'l diàul ca sa peccéna ra cùa (ul ciu) = lett. "è il diavolo che si pettina la coda (il deretano)", locuzione usata per indicare le ultime scariche.di tuoni dopo che il temporale è ormai cessato. Lè 'n bun diàul è un brav'uomo. Ul diàvul al fa i pignatt ma mia i cuèrc = il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Un póar diàul un poveraccio. Vegh 'doss ul diàul = essere agitato, in continuo movimento o, anche, essere cattivo, maligno. Diavuléri = diavolio, gran quantità di persone, gran trambusto. Diavulétt, diaulétt = diavoletto, usato anche come vezzeggiativo per un bimbo: che bell diaulétt! = che bel diavoletto!
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10 Gennaio - Mercoledi' - sett. 02-010
redigio.it/rvg100/rvg-02-010.mp3 - Te la racconto io la giornata
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ascoltate
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2608/QGLO815-Luisin-tassista-03.mp3 - Milano e il Luisin tassista -
A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (3/3)
Vediamo. Le carte diranno loro. Io non so nulla. Sono le carte che di cono. L'importante è di saperle leggere. Io ho imparato a leggerle dalla mia povera nonna, una santa donna e Dio l'ha certamente in gloria. Ve- diamo. Le carte vengono stese a quattro a quattro sul capace grembiule tenuto aperto dalle gambe triangolate. Un momento, ci siamo! Questa donna ha una brutta ghigna ed è seguìta da un ceffo di fante, il che è peggio. Però c'è un rimedio. Se dopo questo sette gira l'asse di... quadri...
ecco che è venuta ! Salva, ma ci vorrà del tempo... Veniamo al secondo esperimento, al controllo: Piripipiri, piripipò giò, giò, giooò! Le catene del focolare oscillano, saltellano e sbattono contro la cappa del camino. Da uno spioncino sbuca una tortorella gentile che, dopo aver svolazzato sul capo delle donne, va a posarsi su di un cuscino. La malefiziata sviene. Si provvede con una spruzzata di aceto forte a farla rinvenire.
Non è il caso di spaventarsi. Sono innocenti scherzi di spiriti beffardi. Anzi, la loro presenza è stata la sua fortuna, cara la mia donna ! Ha visto dove s'è posata la tortorella? Sul cuscino. Vada a casa, tolga la fodera del cuscino sul quale lei poggia il capo quando dorme, levi la piuma ed esamini bene. Se trova per caso un ago, una stringa, un ciuffo di capelli, un nastrino, lo tolga e lo porti a me. Ciò è indispensabile per << disfare il giuoco del malefizio..
A Stria dàa Cuntrà di Ràti conosceva bene il suo mestiere. Era molto riservata, sapeva mantenere il segreto e non dava confidenza ad alcuno. In chiesa teneva la sedia e si appostava misteriosa all'ombra incerta delle pareti del confessionale. Non si fermava mai per strada a chiaccherare, filava diritto, il volto seminascosto. Ogni tanto si inoltrava in Cuntrà di Rati qualche vettura padronale. La strega vi saliva frettolosa. La vettura partiva veloce. La gente spalancava gli occhi e rimaneva confusa. Pensava: cer- tamente c'è di mezzo qualche stregoneria di grande importanza !
La strega non si confessava mai a Busto. Si sapeva che andava a Verghera, almeno la strega lo lasciava credere. E tutti sanno che Verghera era molto rinomata per i convegni di stregozzi. Questo fatto contribuiva a circondare la strega di prestigio e di soggezione. Una donna che, inconsaputamente, aveva affittato dei locali nel cortile della strega, venutane a conoscenza, credette opportuno di chieder consiglio al suo confessore, al quale certamente doveva aver fatto scuola don Abbondio, se così rispose: Ai strji beugna credighi non, a bòn coentu l'è mèi lassài in dul sò breudu. Sa sà mai... Dèghi ul bòn giurnu e stè in sü àa vostra...
Più sopra abbiamo dato un'idea delle sedute della strega. Le malefiziate, prima di uscire dal loro tormento, dovevano far ritorno più volte dalla strega colle mani ingombre. Una volta una gallina, un'altra le uova, un'altra il coniglio. La strega non voleva essere pagata. Si degnava semplice- Madonna delle grazie ». Col mente di accettare delle offerte, come una suggerimento della complice della strega, le malefiziate arrivavano ad offrire orecchini, spille, anelli d'oro. Una bazza!
La polizia aveva già avuto sentore d'un qualche cosa di poco pulito e sorvegliava. A far scoppiare la bomba concorse una imperdonabile imprudenza della strega. Ad una malefiziata azzardò indicare la vecchia ma trigna come autrice del malefizio. Fu il finimondo. La malefiziata si confidò col marito, il quale se la prese con la matrigna della moglie e voleva <inforcarla » con un tridente. Sollevamento dei famigliari ed intervento dei carabinieri. La conclusione fu che la strega finì in gattabuia a meditare sulle sue < balossate ».
Dopo i carabinieri vennero i picconieri. Il fabbricato che ospitava la strega venne abbattuto. Sorsero le scuole comunali Giosuè Carducci, che attualmente ospitano il Liceo-Ginnasio. Quanto cammino in breve volger di anni!
Che cosa ne pensa la malefiziata ch'è sempre al mondo: sana, robusta e gioviale, ancorchè vecchiotta, circondata di figli e di nipoti?
A quante panzane si credeva una volta...
Busto Grande - 170 anni fa  - capitolo sesto (2/4)
Leggiamolo:
<< Inclita Deputazione Comunale di Busto Arsizio. << È giunta notizia, a noi sottoscritti, che nella casa Lualdi sig. Giuseppe al Comunale n. 173-74 si allestisca tuttavia quella macchina a vapore, la quale, tre mesi or sono, arrecandoci l'incendio nelle nostre case coloniche circonvicine, apportò tanto danno, a noi ed all'assicurazione degli incendi, e quel che è peggio ai poveri contadini ed artisti attigui i quali si dichiarano sin d'ora impotenti a riparare un altro danno futuro futuribile, dando il proprio obolo all'assicurazione medesima de gl'incendi.
<< Noi sottosegnati, non per far onta alla legge, la quale (ci si riferisce) sanziona tali macchinismi anche di mezzo all'abitato, bensì per esplicitamente il nostro sentimento manifestare all'autorità competente, in cui abbiamo riposto ogni nostra fiducia, sottoponiamo a quest'inclito Questore i nostri riflessi, pregandolo in pari tempo a prenderli in considerazione: 1° L'incendio è prossimo a temersi per la nuova costruzione della macchina a vapore, locata nel medesimo luogo, perchè parecchi fenili necessari ai contadini la circuiscono. 2° L'incendio è prossimo a temersi perchè tanta è la contrarietà a tali macchine nel rozzo popolo artista del Borgo, che sembra a noi, quasi sempre sulle mosse per clandestinamente arrecare danno alla macchina stessa. Le informazioni che quest'inclita Deputazione potrà desumere in paese, chiariranno il nostro timore. 3° L'incendio è prossimo... e già l'assicurazione degli incendi quasi prevedendolo, avvisa i suoi assicurati, che ne diano avviso, sotto comminatoria di non averli per assicurati, qualora venisse rimpiantata la macchina a vapore nel luogo della recente rovina.
<< Con tutto il rispetto, noi subordiniamo le presenti avvertenze a quest'inclito ufficio, fiduciosi di non essere al tutto posti in cale, giacchè se la Legge permette tali costruzioni di mezzo agli abitanti, con altrettanti disposizioni savvissime tutelerà al certo gli opponenti in base a dichiarati argomenti.
« Bartolomeo Piazza, Prevosto; C.te Luigi Ajroldi Can. Curato Anziano; Carlo Todeschini; Aquilino Crespi; Giuseppe Crespi detto Bonino; Maria Marcora ved. Pellegatta; Madalena Pellegatta.
<< Busto, 28 luglio 1859 ».
Parole milanesi
Di = dire. Digh adré a quaivun = parlar male di qualcuno. Disi bè mi... voglio ben dire... Di da si o dì da nò = dire di sì o dire di no. Di sul = racconta, dai! parla. Fagala di (a qual vün) spuntarla contro qualcuno (sia in una controversia, sia in una semplice discussione). Ga n'ha dij un sacch o ga n'ha dij da tücc i cultur= glie ne ha dette un sacco o di tutti i colori. Ch'è pocch da di= vi è poco da dire. I uraziun da di ul di di Mort = le orazioni prescritte per il giorno dei Morti. Mia par dì ma... = non per dire ma... Truvà da dì = trovar da ridire. Vegh un bel dì... = aver un bel dire... Vegh da dì = aver da dire. Usato anche nel senso di "se" = a dì ca 'l fasess bell sa pudaria lassà a cà l'umbrèll = se fosse bel tempo si potrebbe lasciare a casa l'ombrello.
Il rattin - (Galleria Vittorio Emanuele II)
Il 13 settembre 1877, quando venne inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele II, era già attivo un sistema di illuminazione a gas per quello che ben presto sarebbe stato ribatezzato il salotto di Milano»: lampade a candelabro con fiammelle venivano accese ogni sera dai lampeè, gli operai addetti all'accensione dei lampioni pubblici - l'elettricità, infatti, arriverà soltanto a partire dal 1885. L'unica parte della Galleria che non poteva essere raggiunta facilmente era la cupola, alta più di cinquanta metri dal suolo. Per ovviare al problema, l'architetto Giuseppe Mengoni, progettista del capolavoro in ferro, inventò un ingegnoso marchingegno caricato a molla, simile a un topolino, che correva su una rotaia posta sulla circonferenza della cupola, a pochi centimetri da un sistema di ugelli a gas per l'illuminazione. Il piccolo carrellino, detto appunto rattin, era munito di un tampone imbevuto di liquido infiammabile e, una volta acceso, propagava la fiamma lungo tutti i lumi della cupola, producendo anche uno spettacolo suggestivo per il pubblico che vi assisteva ogni sera. Oggi, il rattin è custodito a Palazzo Morandi.
 
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11 Gennaio Giovedi' - sett. 02-011
redigio.it/rvg100/rvg-02-011.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2608/QGLO816-Luisin-tassista-04.mp3 - Milano e il Luisin tassista -
  2. La Befana
Viene, viene la befana
Viene, viene la Befana
vien dai monti, è notte fonda;
com'è stanca e la circonda
neve, gelo e tramontana, viene, viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce e la neve è il suo fardello, il gelo il suo mantello ed il vento la sua voce;
ha le mani al petto in croce.
Lei si accosta piano piano alla villa e al casolare,
a guardare e ad osservare, or più presso,
or più lontano,
piano, piano, piano, piano.
Che c'è dentro questa villa?
Guarda, guarda,
tre lettini
con tre bimbi a nanna buoni.
Guarda, guarda,
ai capitoni c'è tre calze lunghe e fini,
oh tre calze e tre lettini.
Un lumino brilla e sale
e ne scricchiolan le scale, il lumino brilla e scende
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale e chi mai scende?
Coi suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso
e il lumino le arde in viso
come lampada da chiesa.
Coi suoi doni mamma è scesa.
Ma che c'è nel casolare?
Guarda, guarda
tre strapunti
con tre bimbi a nanna buoni
tra la cenere e i carboni,
c'è tre zoccoli consunti;
oh, tre scarpe e tre strapunti!
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  1. Busto Grande - 170 anni fa  - capitolo sesto (3/4)
La protesta è un capolavoro: lusinghe e minaccie vi ricorrono con abilità, contro la legge « che sanziona tali macchinismi anche di mezzo all'abitato ». Ma è un capolavoro inutile.
La Deputazione è visibilmente preoccupata e il 6 settembre chiama il Lualdi, « per cose che lo riguardano >>. Il Lualdi si presenta subito, << dichiara di non potere per alcuni giorni comparire ad intrattenersi sul- l'argomento della istanza 27 agosto p.p. e prega perchè gli sia comunicato copia della istanza stessa onde potere dare quelle risposte che valgano ad evadere la istanza stessa e dar base al giudizio da pronunciarsi dalla Deputazione »><.
La risposta del Lualdi e la difesa della « macchina a vapore » non si sono trovate. È un peccato. Sembra però che non siano state molto pronte, se il 14 settembre la Deputazione lo diffida a voler dare notizia:
prima di intraprendere le operazioni necessarie per riattivare quella macchina a vapore che vi esisteva anteced.te all'incendio avvenuto il giorno 11 p.p. aprile, vorrà compiacersi il sig. Lualdi di darne notizia alla scrivente Deputazione ond'ella possa preventivamente esaurire quelle pratiche che in proposito le incumberebbero a sensi dei veglianti regolamenti »>.
Cosa se ne sarà fatto? Oggi, dopo cento anni, i macchinismi a vapore non impressionano più: ormai siamo all'atomica.
Che ne sarà di noi, fra cento altri anni, quando i nostri nipoti leggeranno le nostre vicende?
Mentre il Lualdi dunque rimetteva la macchina in funzione, ben altre preoccupazioni assillavano i bustocchi e facevano ormai la spesa dei discorsi.
Il 30 aprile del 1859, avvicinandosi all'orizzonte grossi nuvoloni di tempesta che si scaricarono, un mese dopo, con quelle conseguenze che tutti sanno, a Magenta, l'Imperial Regio Commissario Distrettuale di Busto Arsizio, Crivelli, «< in esecuzione di ordini superiori e per norma di chiunque avesse interesse » avvisò, con lettera 2267 di protocollo, la Deputazione Comunale del luogo, che il Comandante della II Armata sospendeva immediatamente tutte le corse della strada ferrata per Magenta e « in generale il confine verso il Piemonte » che doveva in ogni caso << essere chiuso e segregato da ogni comunicazione, essendo questa misura già stata adottata nel limitrofo stato Piemontese da quel Governo ».
San Bernardino 11 - I miracoli
Data la grande fama del Santo, numerosissimi sono gli eventi straordinari a lui attribuiti. Qui ci limiteremo a citarne alcuni di quelli suffragati dall'opera di artisti antichi o di quelli più vicini a noi, ben consapevoli di dimenticarne, strada facendo, una miriade. Alle leggende scaturite e diffuse dalla intensa fede popolare dobbiamo aggiungere le numerose testimonianze capaci, lungo tutta la penisola, di fermare questo o quell’attimo straordinario, che ha avuto come protagonista frate Bernardino. In questa sede non possiamo certo citarle tutte, quasi ogni paese, chiesa, oratorio, edicola, come vedremo, ha un riferimento al passaggio o alla vita del santo Intanto iniziamo dalla credenza popolare che aleggia nel Mantovano. Ecco il fatto storico:
nel 1421 Bernardino è chiamato a Mantova da Paola Malatesta, moglie di Gianfrancesco Gonzaga, per predicare in occasione della quaresima.
E fin qui nulla di strano, ma arriva a Mantova via lago con un discepolo, galleggiando sulle acque del Mincio sopra il suo mantello a mo’ di tappeto volante.
La vicenda è illustrata, tra le altre, nell'attuale chiesa di San Bernardino a Salò su una delle quattro tele di Giovanni Andrea Bertanza, ciclo databile tra 1616 e 1619 circa .A Scurcola Marsicana, 1438, dopo aver predicato come suo solito per alcuni giorni, vuole ringraziare la popolazione, ma da povero francescano quale è, non possedendo nulla, lascia il bastone di ferro sul quale si appoggia per camminare. Ancora oggi "la bastoncella” oggetto di devozione non è custodita in un luogo sacro ma, poiché è stata donata alla gente, è conservata dalla confraternita di San Bernardino da Siena.
Sempre nel 1438, sul piazzale della basilica di Collemaggio Bernardino predica per dodici giorni che precedono la festa dell’Assunta. Il popolo al termine di una predica sulla Madonna, paragonata ad una stella, a mezzogiorno vede una stella luminosissima, che si posa sulla testa del santo.
Lungo l’itinerario da Massa Marittima all’Aquila "… ad Aquilam missus sum” durante le soste predica e a Spoleto guarisce molti malati con il segno della croce 8, 9, 10 maggio. Il 16 maggio arrivano in vista di Sella di Corno fa un caldo torrido. Bernardino arso da febbre alta chiede acqua.
Nessuno sa che fare, Bernardino indica a fatica con la mano un punto. Fra’ Bartolomeo corre in quel luogo e vi trova una sorgente miracolosamente scaturita. Ancora oggi è chiamata fontana di San Bernardino.
Ma l'ultimo miracolo avviene quando il santo è ormai scomparso. Nemmeno la morte pone fine ai miracoli. Bernardino come apostolo della pace, capace di riconciliare i cuori della gente, è chiamato dal vescovo per mediare l’amicizia tra due famiglie rivali dell’Aquila. Parte da Massa marittima con quattro compagni ed attraversa l’Umbria alla volta del Molise.
Siamo alla fine di aprile del 1444. Di lì a non molto però le sue condizioni di salute si aggravano e i frati sono costretti a trasportarlo in barella fino all’Aquila. Quando finalmente vi giunge, tra il 17 e 18 di maggio non è in grado di predicare e, ospitato nel convento di San Franceso, muore nel pomeriggio del giorno 20. Gli aquilani espongono in chiesa il suo corpo che attira innumerevoli persone.
Intanto le lotte tra famiglie nemiche proseguono. I testimoni narrano che da morto, dentro la bara il suo corpo versa sangue. La notizia si sparge per la città e tutti accorrono meravigliati per vedere e si riappacificano.
Solo in questo momento, quando le opposte fazioni cittadine smettono di lottare, il flusso si arresta. Questa è considerata la sua ultima predica la cosiddetta predica del sangue.
Gennaio
La suddivisione del tempo racchiusa in mesi e anni subì nei secoli periodiche modifiche, al fine di ovviare alle imprecisioni che di volta in volta venivano riscontrate.
Il calendario romano comprendeva inizialmente 10 mesi, da marzo a dicembre, per un totale di 304 giorni; successivamente passò a 355 giorni, divisi in 12 mesi, con l'aggiunta di gennaio e febbraio.
Gennaio, in latino "ianuarius", era sacro a Giano, il dio che proteggeva tutto ciò che si andava a iniziare.
Sotto Giulio Cesare, nel 46 a.C., si adottò l'anno solare di 365 giorni e si introdusse l'anno bisestile ogni quattro.
Oggi il calendario ufficiale, nella maggior parte del mondo, viene chiamato Gregoriano e prende il nome da papa Gregorio XIII, che lo introdusse nel 1582. Si basa sul ciclo delle stagioni, è sempre composto da 12 mesi, ma con durate diverse (da 28 a 31 giorni) per un totale di 365 o 366 giorni. L'anno di 366 giorni è detto bisestile e ricorre ogni quattro anni, con alcune eccezioni.
Molti proverbi contadini per il mese di gennaio prendono spunto dai campi, dalla volta celeste e dalle ricorrenze religiose. Il gelido mese viene ricordato con "Il freddo di gennaio riempie il granaio e povertà in pollaio" oppure, se c'è scarsità di precipitazioni, "Con gennaio asciutto, grano dappertutto". A ricordo di quando le condizioni igieniche erano precarie, ecco il meno conosciuto: "Chi uccide le pulci a gennaio, ne uccide un centinaio"; infine, il più famoso (almeno la prima parte): "A gennaio l'Epifania tutte le feste le porta via, poi arriva San Benedetto che ne riporta un bel sacchetto!".
 
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12 Gennaio 2024 - Venerdi' - sett. 02-012
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  2. Busto Grande - 170 anni fa  - capitolo sesto (4/4)
Sta di fatto che in quel Busto, questa, ed altre misure del genere, lasciavano il tempo che trovavano. Chiudere il confine ai bustocchi detti << trapananti >> per la loro abilità di trapanare tutti i confini, in particolare quello svizzero con le bricolle di tabacco, voleva dire continuare esattamente come prima. Tutti sapevano che la Imperial II Armata stava schierandosi, fronte a nord, lungo la riva sinistra del Ticino, pronta a ricacciare i Franco-Sardi nel fiume; e uno dei punti principali, quello più atteso, era il passaggio di Lonate Pozzolo, passaggio, questo, ormai famoso. Qui infatti, il giovane Angelo Travelli, studente a Pavia, unico figlio maschio del notaio Gio. Donato, condannato al domicilio coatto per aver partecipato alla manifestazione milanese per Felice Orsini, aveva preso il volo per Torino, ove si era arruolato nei bersaglieri; qui avevano trovato la strada per il Piemonte non uno ma cento patrioti aiutati, consigliati, e guidati dai nostri popolani. Lo racconta anche il Visconti-Venosta, con una prosa gustosissima, nelle sue memorie.
Il 30 maggio, il « Sargente » dell'Imperial Regio Reggimento Ajroldi, « quondam Magni Giovanni »>, si  presenta alla Deputazione Comunale accompagnato da due gendarmi e chiede l'assistenza della sopradetta per rintracciare tre bustesi fuggiaschi. Si tratta di tre carrettieri: Giuseppe Tosi, Giovanni Crespi e Luigi Pozzi. Costoro, mobilitati al servizio logistico dell'Armata, con carro e cavallo, ed assegnati al magazzeno distrettuale di Binasco preferiscono abbandonare il posto e darsi alla macchia.
(Dice il Comandini che il 28 aprile tutti i cavalli mobilitati vennero radunati in Piazza d'Armi a Milano per essere assegnati alle varie residenze. Fin da allora i ragazzi avvicinavano i conducenti incitandoli a disertare o, quanto meno, dicevano loro: << va adasi! ». I tre bustocchi preferirono non andare del tutto!).
« La loro ricerca, capitanata dal << Sargente » coi due Gendarmi di rinforzo, venne effettuata dai cursori (guardie comunali) Pietro Crespi e Angelo Lualdi, con una perquisizione a domicilio, che rimase infruttuosa. A Busto si raccontò poi che in tutte e tre le case si trovarono i letti caldi. (Quanti ricorsi...! Pochi anni fa gli sbirri repubblichini non sapevano capacitarsi di trovare il letto caldo al posto di un filosofo che, in camicia e mutande attraversava al volo la Piazza Santa Maria!). Il << Sargente » non rimase contento: voleva altri carri ed altri cavalli e la Deputazione « procedette alla ricerca di altri individui che si prestassero al servizio, ma questo tornò impossibile ». Si stese allora un verbale che giustificasse Deputazione e << Sargente » davanti al le « Superiorità »; ma si vede che il verbale non venne tenuto in grande considerazione se, il 1° maggio, il borgo fu sottoposto ad una prequisizione generale... sempre con lo stesso risultato. E pensare che un mese prima il Maresciallo Gyülai aveva minacciato di mettere a ferro e a fuoco «< con centomila baionette », i paesi ribelli; e i bustocchi cantavano << Guarda Gyulai ch'al vegn da primavera ta mettom in capponera a canta chichirichì»; chichirichì che i bustocchi per non so qual riposto motivo, hanno sempre trasformato in << cu- carechü » che vuol dire tutt'altra cosa che il canto del galletto.
I segreti della chiesa della Purificazione - 3 (1/2)
Il dies festus a Roma ricorda Faunus o Lupercus protettore dei pastori, divinità essenziale per un’economia di agricoltori e allevatori di bestiame. Il nome di derivazione complessa è legato al termine latino Lupus ( greco lukoV ) per ricordare i gemelli Romolo e Remo allattati dalla lupa, ma anche al Mons Lycaeus, cima dell’Arcadia dove secondo il mito sarebbero nati sia Giove sia Pan, dio delle montagne e della vita agreste, a cui sono intitolati un santuario ed un bosco sacro.
L’inno omerico, a lui dedicato, narra di uno strano bambino con corna, barba e piedi di capra, abile nel suonare la siringa, amante della danza e della musica, motivo di divertimento per gli dei. Insomma, che il culto sia greco o latino, Luperco o Fauno sta per distruttore dei lupi e quindi difensore delle greggi, e contemporaneamente lupo lui stesso in una insanabile ambivalenza. Il dato certo è che ai Romani i Lupercali (Lupercalia)piacciono molto, sarà per le corse dei giovani intorno al Palatino e forse anche per quel pizzico di follia o licenziosità che portano con sé dopo le abbondanti libagioni. Se poi aggiungiamo che la festa inizia all’ombra del fico dove, secondo la leggenda, sono stati trovati i gemelli sani e salvi si capisce come mai sia una tradizione fra le più dure da estirpare. Un bel problema in epoca cristiana avere un dio capretta con gli attributi del diavolo e tutto ciò che ne consegue! sta di fatto che dopo aver stabilito la Natività il 25 dicembre la purificazione viene fissata per il 2 di febbraio. Anche se secondo il calendario astronomico questo è il giorno in cui termina l’inverno buio ed inizia la primavera luce (latino lux; greco lukh notare come sono simili le pronunce e il suono di lùcos lupo e lùcheluce) e dove si svolgono comunque feste in occasione delle ricorrenze legate alla natura solstizi, equinozi, cambio stagioni… Il passaggio alla bella stagione, il sole che ritorna, la natura e la vita che si risvegliano, sono celebrate dalle donne mentre girano per le strade con ceri e fiaccole accese.
La Madonna accoltellata (2/2)
Uno sfogo di rabbia come tanti e del tutto inutile: ma questa volta qualcosa accadde: dall'immagine sacra sgorgò il sangue. Il crocicchio era frequentato e molti furono testimoni del miracolo. L'accoltellatore era rimasto paralizzato, pallido, e sembra ci sia voluto un bel po' prima di riaversi dallo stupore. Dopo corse a confessarsi e cambiò vita da un istante all'altro, profondamente pentito del suo gesto. Si dice che, come il fra Cristoforo manzoniano, si sia dato a una vita di penitenza morendo a tempo debito non soltanto in grazia di Dio ma addirittura in fama di sant'uomo: si chiamava Massanzio da Vigonzone.
Dopo la metà del Quattrocento la venerata immagine fu staccata e trasferita all'interno della nuova Santa Maria presso San Satiro dove ancora si trova presso l'altar maggiore, al centro della sorprendente prospettiva del finto presbiterio ideata dal Bramante. Le due figure ai lati dovrebbero essere quelle dei signori che hanno voluto lo spostamento della sacra immagine dalla strada alla chiesa: Gian Galeazzo Sforza e Bona di Savoia. Nel 1817 il pittore Agostino Comerio dipinse sulla vicina lunetta la storia del miracolo: leggenda, realtà? Soltanto la Fede può dare una risposta. Una leggenda assai simile - con un sasso al posto del pugnale - si racconta per l'oratorio di Santa Maria del Sasso in via Magolfa, al Ticinese: ma oggi la chiesetta è uno spazio privato e non visitabile, quindi bisogna tenersi ogni curiosità o soddisfarla coi vecchi libri.
CADREZZATE   e i suoi toponimi
Cadrezzate: m. 281; kmq 5.00; abitanti 1570.
Comune della provincia di Varese, situato 18 km a sud-ovest di Varese sulla sponda occidentale del Lago di Monate.
Il nome è attestato per la prima volta in alcuni documenti nell'anno 999 come Cadregiate. L'origine del toponimo è dubbia e si potrebbe far risalire ad un antroponimo del tipo *Catricius o Catrinius. Un'ipotesi più datata riconosce in Cadrezzate l'antroponimo Quadratius attestato in vari documenti.
1) Baraggiola: in dialetto Barigiöre. È una piccola area nei pressi del centro del paese, un tempo adibita a rimessa per gli attrezzi dei campi, ma anche utilizzata come piccolo spazio di terra per coltivare verdure ad uso domestico. Il nome è diffuso in più luoghi lombardi anche in varie altre forme (cfr. Baraggia nel comune di Vimercate -MI-, Barazzina nei pressi di Lodi). Il toponimo deriva dal'appellativo dialettale lombardo e piemontese baragia che significa "landa", "luogo incolto". E' possibile una connessione con la voce friulana baràzz "rovo". Alcuni vi scorgono una radice gallica *barros "roveto, sterpeto">
2) Barnée: toponimo di difficile localizzazione odierna e registrato nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860. Il nome potrebbe derivare dalla forma lunga e stretta del terreno che richiama la forma del bernàsc, paletta di ferro utilizzata per raccogliere la cenere nel camino o focolare. Bernàsc deriva dal latino pruna "carbone ardente" più il suffisso -aceu(m) (cfr. località Bernàs a Cernobbio -CO-) 37. Ha maggior pertinenza fonetica, però, l'etimologia che porta alle voce latina prunetum "insieme di prugni".
3) Belvedere: località che un tempo presentava una cascina, mentre oggi l'area è occupata da una grande casa famigliare. Il Belvedere è situato sul Mööt e divide la Motta dalla Cascina Castello. Dal Belvedere si può avere la visione completa della zona che da Cadrezzate porta ad Ispra, sul Lago Maggiore: da qui il suo nome.
 
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13 Gennaio 2024 - sabato - sett. 02-013
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Notizia dal Villaggio
Toponimi di Ternate
7) Campi Grandi: vasta area a nord del paese che lambiva il comune di Biandronno. Un tempo adibita a grandi coltivazioni, agli inizi degli anni '30 del Novecento è stata completamente riqualificata ed edificata per la costruzione della grande industria Ignis poi diventata stabilimento Whirlpool.
8) Colombera: nota anche come Colombara. Piccola località a sud-est del paese caratterizzata oggi da fitte case a schiera. Il toponimo è frequentissimo in tutta la Lombardia con vari suffissi finali (es. Colombarola, Colombaro, Colombirola, Colombarolo, etc...) e probabilmente si riferisce ad antichi allevamenti di colombi e piccioni o comunque alla loro presenza
9) Deserto: voce registrata in un atto notarile dell' XI secolo per una località oggi non più nota agli abitanti di Ternate . Il toponimo è molto frequente in Lombardia e indica un terreno non ospitale alla coltivazione (cfr. Deserto frazione di Paderno -CR- e Deserto frazione di Cuasso al Monte -VA-)146.
10) Fenegrò: voce registrata in un atto notarile dell'XI secolo, è oggi non più localizzabile all'interno del comune. Con buona certezza riflette una forma latina classica fenuculum poi passata nel latino tardo come feniculum/*feniculatum che indica il "finocchio" (attestato nel 998 un loco fenegrao vicino a Como). La pianta cresce anche selvaticamente nei campi e produce fiori gialli usati un tempo per calmare disturbi di stomaco
Cosa ascoltare oggi
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GIOEUBIA
T'àn fé brüta o t'àn féi bela... ta se' lì.
Cul sedazu ch'al pendi'n foeua! Ul gerletu pien da barlafüsi e lüganeghitipai giuan, vigi, grandi e pisciniti... Cont'ul nasu ca pisa in buca. Ul panétu ch'al tegn coldu'l co. Ul scusà e a scua sempar pronti pai faci da cà.
L'é un pò curiusa, l'é un pò lapéta... L'é 'na gioeubia... l'é 'na gran lauadua... Ma la gh'à indossu di mal qualità: Malmustusa e disèm anca... "marucheta".
Noeugn da Büsti, sti rosti chi, àn voeuam mia. Noeugn ma piasi ridi e magai scherzà... Cadreghen da boeugiu e tüci i ma' Féman un fagot e brüsèmai via.
A sto mondu bei robi gh'à voeui e legria! Le par chèl che a Bustoca la và spécia pa'l risotu e lüganiga. Poeu, a fa quatar salti in cumpagnia cui viuliti, a ghitara, ul tambui, ul piano e a cantà cont'a müsica noeua e müsica végia, da brai parson e non lüganeghiti.
Eccoci, dunque, ad un'altra tradizione bustocca: il Festival del Sabato grasso. Anche un tempo si sapeva ridere e scherzare, proprio come oggi se non più di oggi ed in questa occasione così rara e pertanto preziosa ci si poteva concedere qualche... licenza, fare qualche strappo alla regola nell'austero clima del tempo.
Il "Festival" veniva costruito nei giorni di Carnevale in piazza Santa Maria e la sua prima apparizione rimonta al 1884.
L'idea di questa bizzarra costruzione, sorta forse nelle serate invernali, attorno a qualche tavolino del caffè Cordini o Verani, aveva trovato in Luigi Crespi, disegnatore abilissimo e vero animo di artista, chi la seppe davvero realizzare. Egli ne tracciò i disegni e ne seguì la costruzione.
Ogni anno il Festival variava di forma. Se ne crearono a foggia di pagoda cinese, di tempio, di giardino. La illuminazione serale, poi, era ottenuta con fiammelline a gas, accese con maestria lungo tubi di ferro, forati a brevi intervalli, che rincorrevano il disegno della costruzione, almeno finché non intervenne la luce elettrica a dare le più fantasiose attrazioni a questo pubblico ballo, tanto caro ai bustocchi, cessato dopo il 1905.
In effetti, il Festival costituiva il massimo dei divertimenti.
Per la povera gente il carnevale era contenuto nello spazio di poche ore in un anno, per cui era atteso con la massima aspettativa.
Come il panettone si mangiava una sola volta all'anno, così quattro salti si facevano solamente il sabato grasso.
Allora non avevano ancora inventato la "permanente": le ragazze si pettinavano l'una con l'altra senza alcuna spesa, chi con le trecce, chi col "scignon". Non mancava un nastrino nei capelli e un pezzo di pizzo sul collo del "corsetto".
Nella loro semplicità, le ragazze di allora erano molto belle.
Al Festival venivano accompagnate dalla mamma o dalla sorella maggiore: non erano mai sole.
Nel Festival si dava sfogo all'entusiasmo. I giovanotti, la sera del sabato grasso, mangiavano fuori casa e ballavano a suon di fisarmonica. Tutti gli altri sedevano al desco familiare con qualche piatto casalingo di circostanza.
Generalmente, prima di dar vita al Festival, si incolonnava una fitta schiera di carri allegorici mascherati, con lancio di fiori e di dolci. Ciò era immensa gioia dei bambini.
Oggi è Carnevale tutto l'anno e forse per questo, perduto il piacere di qualcosa di diverso, ci si abbandona ad eccessi di cattivo gusto.
I segreti della chiesa della Purificazione - 3 (2/2)
Questa è un’antica usanza che si sposa bene con la fede. Così papa Gelasio I, episcopato tra 492-496, ottiene dal senato l’abolizione della festa pagana. La devozione popolare, conservando usi e costumi stratificati ab antiquo, sostituisce il fuoco con le candele. Nel VI secolo Giustiniano ne fissa la data attuale. Il festum candelarumdiventa la Candelora. Fin dal VII-VIII secolo a Roma si svolge una processione con candele e benedizione di ceri a significare “la luce” che ciascuno di noi deve portare nella propria vita.
Anche oggi sono utilizzate a San Biagio per benedire la gola. Ecco in maniera un po’ rocambolesca come Giunone, Pan, Fauno e le candele sono legate tra di loro e soprattutto, a torto o a ragione, cosa si è stratificato nel corso dei secoli.
Ma torniamo alla nostra chiesa della Purificazione. Intanto il luogo non è cambiato: prati, vigne, vignoli, bocche d’acqua come si legge nella raccolta di carte del 1600.
Nella Storia delle chiese di Legnano il Prevosto Agostino Pozzo nel 1650 scrive: «…questo luogo di Legnano è diviso in due parti dal fiume Olona e la parte minore si chiama Lignarello, una contrada lunga un’archibugiata. Nel medesimo luogo vi è una chiesa sotto il titolo della Purificatione della Beata Vergine, già cappellania a beneficio semplice, ora unito ad un canonicato coadiutoriale, nella quale si celebra ogni festa dal canonico che abita nella casa della medesima chiesa e vi conserva il SS. Sacramento…».
Il primo prevosto di Legnano Padre Giovanni Battista Specio, attivo dal 1584 per ben 43 anni, lascia nel 1627. Gli subentra nella prepositura legnanese, nel 1628, Agostino Pozzo il quale fa collocare i reliquiari di Legnanello nelle casse costruite dall’artigiano Giovanni Paolo Rossetti.
Toponimi  di Cadrezzate
4) Bösch di Ströligh: piccola zona boschiva che si incontra a est del paese in direzione Brebbia. Questo bosco è detto Ströligh, letteralmente "astrologo", che era il termine utilizzato dai locali per designare gli zingari (l'astrologia messa in relazione con la cartomanzia praticata in alcuni casi dalle donne zingare). Gli abitanti del luogo più anziani ricordano che già da inizio Novecento gruppi di nomadi si insediavano per brevi periodi in questo bosco ed erano un elemento di forte disturbo e di timore per la comunità, poiché additati come rapitori e mangiatori di bambini.
5) Canèe: zona detta anche Canét. Nel toponimo scorgiamo la presenza del suffisso -etum di collettivo frequente nei toponimi che hanno come base il nome di una pianta o vegetale . Questo sito costeggia il Lago di Monate ed è limitrofo al Piaggiolo. Il nome si rifà inequivocabilmente alle canne, ancora oggi abbondanti e rigogliose, che spuntano dalle rive del lago. La località è rinomata, perché è un importante sito archeologico ove sono ubicati resti di palafitte che testimoniano antichissimi insediamenti preistorici.
6) Casa dei Ladri: toponimo non più riconosciuto oggi. È attestato nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860.
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14 Gennaio 2024 - Domenica - sett. 02-014
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Notizia dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO515-Milano-SanGottardo-06.mp3 - Milano San Gottardo e oltre - ancora Corso Gottardo e altre linghere - dove venne girata una scena della priovra
Toponimi di Cadrezzate
24) Porà: toponimo registrato sia nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860 sia nelle carte del Catasto Regio del 1905. Oggi se ne ignora la localizzazione. L'etimologia del termine è incerta: potrebbe valere o "poroso", come riferimento al terreno, o "piantato a porri" (cfr. Porè -LC-)51 per il tipo di coltivazione in esso praticata
25) Prada: toponimo frequente che continua il plurale del latino pratum. La voce è presente in molti luoghi della Lombardia con suffissi differenti (cfr. Pradazzo -CR-, Pradella -CR- Pradera -SO-).
26) Prati Grassi: il toponimo riferisce delle qualità ottimali per la coltivazione di quel  terreno. L'aggettivo "grassi" infatti è riconducibile al termine "grasso" apposto a molti toponimi in Lombardia (cfr. Abbiategrasso -MI-, Bulgarograsso -CO-
27) Preda del Vassallo: toponimo che designava con molta probabilità una grande masso (préda "pietra" dal latino petra attraverso la forma metatetica *preta) presente in un terreno dato in custodia ad un vassallo. Non è da escludere la possibilità che "vassallo" si riferisca ad un cognome o soprannome di un antico proprietario.
Cosa preparo oggi
ALTRE VERSIONI DELLA GIOEUBIA
Da quale paese venga la Gioeubia, proprio non si sa. Si parla della Turchia, del lontanto Oriente, dell'India addirittura, ma non si è sicuri. Ha gusti troppo casalinghi, per venire da tanto lontano: così, qualcuno ha azzardato l'ipotesi che, al congiungersi degli astri di gennaio, la Gioeubia nasca dall'aria. Un soffio, un piccolo vortice, una nuvola ed è fatta. Nasce in quota, come si dice, e si abbassa sui paesi, sulle case, sui camini. Che abbia una scopa, lo diciamo e lo immaginiamo noi. Dicono, quelli che hanno avuto la sfortuna di vederla, che d'improvviso scende una gamba dal camino, una gamba rossa che si allunga sempre più (la Gioeubia non è tale se non porta una gonna corta e le calze rosse); una folata di vento caldo e una "sguriàa" di caligine nera, che finisce nella padella: è il ghigno della Gioeubia.
"Dònn, dònn 'ndé à durmi
ch'a l'é ura de muri
e sa credì che Diu lu manda
guardé in l'aria ch'a vegn giù 'na gamba..."
Un lampo, un tuono, la donna cade a terra tramortita, i figli piangono, la "mama granda" sgrana rapidamente il rosario; il "regiù", se comanda, si attacca alla grappa. In verità, è successo solo rarissime volte, forse anche una volta sola da noi, ma tutti ci credono e tramandano la storia. Il modo di salvarsi c'è: il risotto.
Col risotto, la Gioeubia assaggia, controlla, si calma e passa via; ma, se il camino non fuma e il profumo non si sente, sono guai.
Per gli uomini ormai provati dall'inverno, il fuoco e il banchetto hanno il potere di far apparire l'avvenire sereno e gioioso.
Parole milanesi
Tóma (pl.tómm) = caduta, capitombolo. L'ha fai 'na brüta tóma = ha fatto una brutta caduta. Ciapà Roma par tólett. prender Roma per toma, ovvero prender lucciole per lanterne.
Tòni = pagliaccio del circo. Nel nostro dialetto significa inoltre stupidotto, babbeo. Tòni mòll = dicesi di persona impacciata, timorosa. È così chiamata anche la tuta da lavoro che, in bello, rassomiglia all'abito del pagliaccio.
Tòniga = tonaca, abito talare. Tòpia pergolato, specialmente a viti. Rent a la cà dul Bianchi farée, in via Cimarosa a Varés, gh'è anmò 'na tòpia da 'mericàna ca la créss fö du l'asfalt sulla facciata della casa del Bianchi fabbro ferraio, in via Cimarosa a Varese, vi è ancora oggi un pergolato d'uva americana che nasce dall'asfalto.
Tòpoli (giügà a) = giocare a nascondino. Toor toro. Menà ra vàca al toor condurre la vacca alla monta. Tajàgh ra testa ar tòor = tagliar la testa al toro, prendere una decisione drastica. Tòrc torchio, frantoio.
Torototèla - antichissimo rozzo strumento musicale monocorde con cassa armonica costituita da una ve- scica gonfia d'aria. Un tempo usato anche dagli arabi (da loro chiamato Arabebbàh) per intonare canti erotici. Andò in disuso agli inizi del secolo quando ancora lo impiegavano certi cantastorie ambulanti che, nei mercati e specialmente sui barconi che facevano servizio passeggeri sui navigli milanesi (da Milano a Gaggiano, Boffalora e Abbiategrasso), improvvisavano rime strampalate, spesso a scherno del volgo uditore, terminando queste rime sempre col ritornello "torotèla, torototà". Il bosino usa questo termine per indicare un tipo d'uomo senza carattere e voltagabbana.
Il primo caffè espresso
Angelo Moriondo, Luigi Bezzera, Desiderio Pavoni, Pier Teresio Arduino, Giovanni Achille Gaggia, sono i nomi che hanno fatto la storia del caffè espresso.
Nel 1884, all'Esposizione Generale di Torino, a quel tempo capitale d'Italia, Moriondo, padrone dell'American Bar situato nel centro della città, presentò una macchina per produrre il caffè istantaneo. in più tazze contemporaneamente. Nella "caffettiera" l'acqua veniva portata a ebollizione e, attraverso un sistema di serpentine, fatta passare fino a raggiungere il contenitore del caffè torrefatto. L'invenzione fu poi brevettata a Parigi il 23 ottobre 1885. Tuttavia, la macchina per il caffè istantaneo preparava un caffè poco consistente, non cremoso, molto amaro e soprattutto caratterizzato dal sapore di bruciato.
Nel 1901 Bezzera, nella sua officina di via Volta, nel centro di Milano, brevettò una macchina che adottava per prima la maniglia portafiltro singola, cioè per una sola tazza, soluzione da allora mai abbandonata.
Nel 1902 il brevetto venne poi acquistato da Pavoni, che intuì la grande potenzialità del prodotto, e ne sviluppò la commercializzazione nei locali pubblici.
Nel 1910 il torinese Arduino costruì una macchina che assicurava facilità di esercizio, velocità di mescita e dimensioni contenute, che chiamò "La Victoria". Iniziò una battaglia tecnica e commerciale tra Pavoni e Arduino, a colpi di brevetti, che nel 1913 arrivarono a ventidue! Finita la guerra, la competizione tra i diversi marchi ripartì. -
 
El caffettee del "caffe del Genæucc" in piazza del Duomo, in una fotografia d'epoca. Non è chiaro perché venisse chiamato così: forse perché si beveva alla buona, all'aperto, seduti sul marciapiede appoggiando la tazza sulle ginocchia, soprattutto la mattina presto, oppure, più probabilmente, perché per servirsi dal rubinetto della piccola caldaia montata su un carrettino bisognava abbassarsi, piegando un ginocchio, poiché era quasi raso-terra. Era il "caffè dei poveri", che resistette fino all'inizio della Prima guerra mondiale: una bevanda acida, bruciata (nella caldaia ribollivano i fondi raccolti nei ristoranti vicini), ma calda.
 
Nel 1938 Gaggia, barista milanese, rivoluzionò completamente la preparazione del caffe, superando l'utilizzo del vapore, tecnologia propria delle macchine prodotte fino a quell'epoca, introducendo un sistema di pistoni che spingevano acqua ad alta temperatura attraverso la polvere di caffè. Lavorando nell'azienda di famiglia, il caffe Achille in viale Premuda, si accorse che i gusti dei clienti stavano diventando sempre più esigenti, e cercò di cambiare quel troppo amaro che egli definì simile a «camminare in una Milano nebbiosa». La ricerca venne portata avanti in parallelo a quella di Antonio Cremonese, titolare di un bar in via Torino. Entrambi consapevoli del potenziale del caffè, per loro non sufficientemente sfruttato fino a quel momento, erano alla ricerca, appunto, di una tecnica produttiva in grado di trasferire nella bevanda le caratteristiche organolettiche della materia prima. Cremonese depositò nel 1936 il brevetto no 343 230 con la certificazione del metodo detto "rubinetto a stantuffo per macchina da caffè espresso". Fu questo il primo brevetto in assoluto di una macchina per fare il caffè che chiamò "espresso" il suo prodotto. Nello stesso anno Cremonese morì maturamente. Achille Gaggia acquistò il brevetto, e, nel 1938, depositò il n° 365 726, per la nascita di una macchina che chiamò "Lampo", che produceva un morbido strato di "crema naturale", presentato alla Fiera Campionaria. Tuttavia, il nuovo sistema non ebbe molto successo commerciale, perché doveva sostituirsi alle macchine già in uso nei locali. Nel 1947 Gaggia registrò un secondo brevetto con l'introduzione del pistone e la sostituzione del sistema a torchio con una leva che spingeva a 9/10 atmosfere l'acqua nel caffe macinato. L'acqua a quel livello di pressione riuscì a estrarre quegli aromi che finalmente regalarono la tipica pienezza al gusto e le componenti che diedero origine alla crema. Era così nato il caffè che si assapora oggi, denso, cremoso, consistente, persistente nel gusto e con aroma intenso, unico in ogni sua caratteristica e che non aveva precedenti.
Nel 1948, la sua ditta, a Robecco sul Naviglio, iniziò la produzione in serie e la prima macchina, denominata "Tipo Classico", venne istallata al bar Motta & Biffi in Galleria. Questa macchina assommava contemporaneamente una rivoluzione tecnologica ed estetica: sviluppata orizzontalmente, slogan e logo inconfondibili, con bellissime leve, faceva sembrare il barista un vero artista sul palco. Fu subito coda, decretando il velocissimo successo della "crema caffe espresso", che diventerà uno dei simboli più famosi del made in Italy. A Binasco si trova il Mumac, Museo della Macchina per Caffe, che ha da poco compiuto dieci anni. All'interno di un palazzo rosso, dalle forme sinuose, un'esposizione di oltre cento macchine, che  cambiano a rotazione.
 
 
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RVG settimana 01
 
Radio-video-giornale del Villaggio
 
Settimana-01 del 2024
 
Settimana 01       2024-01-01 -  Calendario - la settimana
01/01 - 01-001 - Lunedi
02/01 - 01-002 - Martedi
03/01 - 01-003 - Mercoledi
04/01 - 01-004 - Giovedi
05/01 - 01-005 - Venerdi
06/01 - 01-006 - Sabato
07/01 - 01-007 - Domenica
RVG-01 - da  - Radio-Fornace
 
 
01 Gennaio 2024 - lunedi - sett. 01-001
redigio.it/rvg100/rvg-01-001.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
previsione spese per il 2024
01/02/2024 - rata 1 - 400 + elettricita'
01/03/2024 - rata 2 - 500
01/05/2024 - rata 3 - 500
01/07/2024 - rata 4 - 500
01/09/2024 - rata 5 - 500
02/11/2024 - rata 6 - 300
       totale                  2700
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO576-milanesi-sidiventa-01.mp3 - Milanesi di nasce ... e si diventa - Un dialogo in dialetto - per essere milanesi non occorre lo ius soli l'e' assee l'aria de Milan 
Notizie di RVG (Radio-Video-Giornale)
Toponimi di Cadrezzate
13) Monteggia: noto come Muntége, è una piccola altura che si incontra a nord-ovest del paese sulla strada che porta verso Brebbia. Olivieri segnala in alcune carte del XIII secolo un loco Montegia (de Brebia3). Oggi il nome è legato a quello di un ponte: è infatti noto a tutti i locali il Ponte di Monteggia. Il nome si rifà al latino monticulus per indicare una piccola altura. Il toponimo è largamente presente in tutta la Lombardia con altre forme e diverse desinenze suffissali (cfr. Montecchio -CO-, Montecchie -LO-)
14) Montelungo: in dialetto Munteslüngh, è un poggio che si estende più in lunghezza che in altezza localizzabile tra l'area del Rondegallo e quella della Baraggiola.
Il lavoro dei milanesi 3)
M: Ora si viaggia molto per il mondo ed è facile trovare italiani un po' dappertutto, e in tutte le stagioni; e i milanesi sono naturalmente tra i più numerosi, un po' per la "smania" di uscire dalla città di cui abbiamo detto, e un po' perché hanno qualche soldo in più da spendere, ma l'è vera che quand semm a l'ester gli stranier ghe sconfonden con gli altri italiani, anche se tra di noi riusciamo quasi sempre a dstinguerci, perché non parliamo più in dialetto, anche se i nostri accenti sono inconfondibili.
C: Finora abbiamo parlato di tempo libero tradizionale, ma, durante la giornata, sono diventate tante le ore che non sono impegnate dal sonno o dal lavoro o dallo studio... Me piasaria parlà de quell che fann i milanes quand stann a Milan, nella vita di tutti i giorni, durante la settimana.
M: Prima di tutto i milanesi a Milano del di lavoren, o anca de nott se hinn de turno; e chi non lavora è perché studia oppure è pensionato oppure è impegnato con la famiglia, ma ci sono anche i disoccupati - qualcuno anche per scelta... Quando non lavorano, e non sono a casa a riposare, perché anca i milanes dormen...
C:...Par però che ai grand personagg sien assee tri o quatter or de sògn, ma anche in questo caso si dice solo degli uomini, mai delle donne...
M: ...Ma lascia stare i padreterni alla Napoleone, qui parliamo di persone comuni, che di notte si fanno le loro belle dormite e che, appunto, quando non dormono... hanno la fortuna di avere a disposizione molti diversivi: cinema, teatri, musei, locali di spettacolo, impianti sportivi, luoghi vari di ritrovo, ma anche, più semplicemente, di passeggiare per la città, che è davvero un ottimo diversivo, perché ogni canton l'offriss motiv de interess: ges, cà, cort, bottegh...gh'è semper quaicoss da scoprire, anche per i milanesi con tanti anni sulle spalle, come noi due...
C: Sì, ma quando non lavoriamo stemm anca volentera a cà, soprattutto se meno giovani. Anzi, sono tanti quelli che si muovono solo per fare la spesa o per portare a spasso il cane; e la domenica, adesso, si va anche poco a messa. Ormai la TV occupa molto del nostro tempo libero; e poi il Covid ci ha anche messo del suo a cambiarci le abitudini
M: Un tempo c'erano i circoli e i salotti per persone di rango e i cortili o la via per la gente del popolo,; e per tutti c'erano i bar, le osterie, le bocciofile; e spettacolo voleva dire teatro e, diciamo dal dopoguerra, soprattutto cinema. Ma la voeuia de incontrass e de stà insemma l'è mai passada, incoeu la se ciama movida, e non è certo cosa solo milanese, anche se quando se ne parla si mostrano sempre i nostri Navigli, che sembrano diventati il simbolo stesso di questo modo di trascorrere il tempo libero, di giovani e meno giovani, nel buono e nel gramo.
C: Te m'et minga parlà di giardin: a Milano mi sembra che di verde ce ne sia tanto, ci sono dei bei parchi famosi, ma anche tanti pussee piscinitt, quasi sconduu tra una via ed un'altra o all'interno di palazzi del centro, e anche tanti viali alberati, e si approfitta di ogni spazio disponibile per piantare qualche pianta o aiola. Un tempo si passeggiava molto in ogni stagione, e ai Giardini Pubblici c'era anche lo zoo, che alle generazioni di un tempo piaceva tanto, ma che quelle nuove hanno fatto di tutto per fall sparì e ghhinn riessii.
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (1/2)
Il 21 dicembre è San Tommaso e: "Comenza l'inverno, brutt, longh, malinconich per i vècc,che ai bagaj no 'l ghe fa ne cald né frecc, perchè hinn pien de sugh e de calor interno". Fra quattro giorni è Natale, festività attesa da tutti.
Alla vigilia fervono i preparativi per il cenone o, come dicono i cremonesi "per mett all'orden el disnà" senza però dimenticare che "l'è la regola che la ten in pee el convent" cioè: "bisogna fà el pass second la gamba" anche se il medico-poeta Giovanni Rajberti la pensava diversamente: "El dì de la vigilia vann tucc a fà ona visita al verzee che 'l deventa l'ottava meraviglia per virtù di pessee, cervellee, fruttiroeu o polliroeu... E cappon a monton e pollin senza fin, e on sterminni de occh, trifol, légor, salvadegh e fasan: gh'è la grazia di Dio proppi a balocch che la naspa la vista e la consola: bell fondament per i peccaa de gola!".
Per la messa di mezzanotte la chiesa è gremita di gente; nel magentino, la notte di Natale, si spruzza acqua benedetta ai quattro angoli della cucina, in camera da letto e nella stalla, dove qualcuno sosteneva che in quella notte gli animali parlassero.
Quando l'albero di Natale non era ancora di moda, i ragazzi andavano nei boschi o nei campi a cercare la tèppa (muschio) che doveva servire per il presepe. Qualcuno più intraprendente ne raccoglieva di più, lo metteva in cassette che caricava sul portapacchi della bicicletta e pedalando arrivava in città dove lo vendeva agli angoli delle strade.
La tèppa, ovvero quel particolare tipo di muschio morbido che raccolto in piccole zolle serviva per riprodurre l'erba del presepio, dalla liggéra (teppisti) era intesa in altro modo! Infatti la frase: "Voo a mett el bambin in la tèppa!" che a persone non abituate al loro linguaggio convenzionale poteva voler dire: "Alla mezzanotte della vigilia metto la statuina del Bambinello nel muschio del presepio!". Per i nostri locch (balordi), significava invece "accoppiarsi con una donna la notte della vigilia di Natale!".
Ma torniamo al pranzo di Natale, cercando almeno in questo giorno di dimenticare il proverbio pavese che dice:
"Pansa piina, pensa no par quàla voda!" ovvero: chi è sazio non pensa a chi ha fame. A Sondrio, "gran paciada de pizòcher"; a Brescia "bòse frite, pulintina, formaj vècc e vì de spina" (agnello fritto, po lentina, formaggio stagionato e vino novello), mentre in Valsassina si gustano gli scapinasc che sono ravioli giganti con ripieno di carne, uvetta e amaretti; poi come secondo piatto, cappone ripieno e frutta secca. A Casalpusterlengo stanghéti, specie di agnolotti asciutti, capòn e biancustà cun la mostarda de Cremona!
Argomenti del giorno
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Cadrezzate
Il lavoro dei milanesi 3)
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (1/2)
 
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02 Gennaio 2024 - Martedi' - sett. 01-002
redigio.it/rvg100/rvg-01-002.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
Il taglio del bar
Il bar è sempre stato diviso in due, la parte del bar la quale i gestori pagano l'affitto ed è una parte loro solo loro possono gestire, mentre la parte quella verso la piazza è quella comune. si intende che se un giorno i gestori del bar non aprono per giusti motivi, alla parte comune l'accesso comunque deve essere sempre garantito per quei villeggianti che vogliono ritrovarsi al caldo e tranquillamente.
Quindi come si può chiudere il bar? C'è già un certo tipo di divisione, si tratterebbe forse di fare qualche divisione mobile apribile e chiudibile in qualsiasi momento? così per avere le due parti separate e per avere anche la parte tutta in comune quando e' giustamente necessario?  Può darsi. Dividiamo in due bar
Radio-Fornace
  1. Radio fornace richiede ai villeggianti e non, se possibile avere disponibilita' di televisori vecchi da portare in discarica.
  2. Servono per il Ludico 2024?. Indispensabile la porta USB e telecomando
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO549-Milano-celtica-03.mp3 - Milano celtica e la dracma padana -
Toponimi di Cadrezzate
28) Quadro del Morone: il toponimo è composto da due nomi. Il primo probabilmente fa riferimento o alla forma del campo o ad una unità di misura di estensione (cfr. Quadro località di Casteggio -PV)Il secondo è riconducibile alla voce dialettale morón "gelso" (cfr. Morona e Morone località presso Casteggio-PV-).
29) Rondegato: piccola area che si estende per pochi metri a ridosso della Baraggiola. Possiamo abbozzare soltanto delle ipotesi per questo nome. I locali infatti conoscono questa zona come Rundégal, di etimologia dubbia. E' ipotizzabile una derivazione dal termine dialettale rónden "rondine" 'per la presenza del volatile nella bella stagione.
30) Rossino: (v. Cadrezzate n. 18).
31) Sabbione: in dialetto Sabiùn. È, con molta probabilità, una piccola zona creatasi passaggio del fiume Acquanegra o con lo scorrere di altri rigagnoli minori che al fiume confluiscono. Queste zone erano caratterizzate da un terreno sabbioso e ciotoloso non adatto alla coltivazione.
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B1
Ma Gallarate non paga!
Passa un altro anno e siamo al 10 marzo del '56. Busto pare che abbia pazienza da vendere ma, a quanto pare, non intende cedere e... condonare.
<< Indarno la scrivente ha fatto istanza per ottenere dalla Deputaz.e Com.le di Gallarate il rimborso delle spese sostenute fin dal 1854 per invio in quel Borgo della Macchina Idraulica Comunale onde spegnervi un incendio, invio fatto dietro richiesta dell'I. R. Tenente di Gendarm.a residente in Gallarate stesso.
<< Indarno la scrivente si è rivolta a questo I. R. Commiss.to pregando perchè volesse interessarsi onde fosse definita tale pendenza, perocchè i rapporti Deputatizi 9 marzo 1855 e 3 maggio d.o anno N. 274 ima- sero inevasi.
<< Non potendo la scrivente lasciare inesatto questo credito del Comune, prega l'I. R. Commiss.to D.le a volergli ottenere dall'Autorità Prov.le il permesso di spiegare contro la Comunità di Gallarate gli atti con- tenziosi pel titolo di cui sopra, ritornando alla scrivente gli atti trasmessi col succitato foglio 9 marzo 1855 ».
Ma Gallarate non paga!
Informata la I. R. Delegazione Provinciale di Milano, questa finalmente acconsente che la Deputazione di Busto chiami in giudizio quella di Gallarate << visto risultare infruttuose le pratiche onde ottenere il rimborso del credito pel soccorso prestatogli colla propria macchina idraulica, ecc. ».
Noi speriamo che la questione sia risolta e che Gallarate abbia finalmente pagato e possegga le relative ricevute in regola: che se non fosse, questa volta provvederemo noi, allo scadere del centenario.
Ma perchè dunque questo cattivo animo dei gallaratesi contro i bustocchi?
Bisogna convenire -se leggiamo il Crespi Castoldi che si tratta di una ruggine di vecchia data, da quando cioè e siamo al 1400 il borgo di Busto e la pieve di Olgiate Olona vengono sottratti alla giurisdizione dei magistrati del Seprio, che erano in Gallarate.
Lasciamo stare quello che dice il nostro canonico, storico provveduto di molta fantasia, sulle lotte fra guel- fi-gallaratesi e ghibellini-bustocchi: ma quell'affronto bustese e quelle suppliche ripetute per scuotere l'insof feribile giogo del borgo vicino, avevano finito col dare tremendamente ai nervi a tutti i gallaratesi, che si reputavano uomini di lettere e di legge, di certo superiori a questi rozzi battitori e fabbricatori di panni. Si arrivò anche alle mani e peggio, perfino alla guerra dichiarata e alla costruzione di due terrapieni che servivano a sorvegliare il nemico e a difenderci dai sassi e dalle saette; terrapieni che i buoni uffici del pretore Ambrogio Bossi riuscirono a far demolire, verso la fine del '500.
Ma il malanimo rimase e si accentuò. Quelli di Gallarate continuarono a credersi i tutori della dignità e del prestigio della zona; quelli di Busto, che crescevano ogni anno e lavoravano e trafficavano e giravano il mondo, a ritenersi umiliati da tanta soggezione. E così, tutte le volte che un avvenimento qualunque ne dava l'occasione, i bustocchi si impuntavano.
In questi anni, fra il '54 e il '55, per la progettata definitiva sistemazione dell'Ufficio di commisurazione delle Tasse e Rendite, che, vuoi caso, siede proprio in Busto ed opera per i distretti di Busto con Cuggiono e di Gallarate con Somma, si minaccia un trasferimento, e, orribile a dirsi, questo avverrebbe proprio a favore di Gallarate.
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (2/2)
La mostarda lombarda ha origini antichissime, è una delle tante in- che utilizvenzioni casuali scaturite dall'estro della gente campagna zava la frutta in eccedenza o quella caduta acerba dagli alberi per presapore stuzzicante. parare un contorno dal
Il pranzo di Natale si può terminare secondo la tradizione più semplice con mele, arance e torta casalinga, oppure con torrone, spumante e panettone; di panettone poi qualche fetta bisogna metterla da parte in osservanza al proverbio che recita: "Panetton de Natal el ven mai poss, a mangial a San Bias el benediss la gola e el nas!".
Tante sono le versioni sulla nascita del famoso dolce milanese; io vi propongo quella che mi sembra la più poetica:
On prestinee di nome Togn o Toni, volle preparare un dolce diverso dal solito per il compleanno della sua innamorata che cadeva il 25 dicembre; lo fece talmente buono che, da allora, ogni anno, lo dovette preparare per tutti i suoi clienti dando vita al pan del Togn o pan Toni, che col passare del tempo è diventato il moderno panettone che, sia Motta che Alemagna, hanno industrializzato e fatto conoscere in tutto il mondo.
Ecco alcuni proverbi dedicati al giorno della nascita di Gesù: "L'oeuv del dì de Nadaa el fà guari el venter a chi ghe l'ha malaa!" (L'uovo fatto il giorno di Natale guarisce dal mal di pancia); "A Nadal el sbagg d'on gall!" (lo sbadiglio di un gallo), per dire che le giornate si allungano di poco; "Quell'li l'è nassuu el dì de Natal!", lo si dice di una persona fortunata ...e se qualche lettore è nato proprio in questo giorno, deve crederci perché: "I proverbi fallen mai, vist che gh'hann miss pussee de cent'ann a fai!".
Trascorse le feste natalizie, eccoci all'ultimo giorno dell'anno: San Silvestro ogni lavoro, d'ago o di uncinetto, doveva essere ultimato altrimenti non si sarebbe più potuto finirlo. Un tempo in quella notte, ogni bergamasco preparava il pane in casa propria e tutta la famiglia doveva partecipare alla panificazione traendone previsioni di prosperità o miseria a seconda della buona o cattiva riuscita della cottura.
Nel comasco, nel varesotto e nel lecchese era considerato di buon auspicio mangiare polenta prima della mezzanotte perché avrebbe fatto aumentare la futura produzione dei bozzoli.
Per le ragazze della bassa milanese invece niente veglione; prima della mezzanotte andavano in chiesa a cantare il Te Deum di ringraziamento, per tutti i benefici ricevuti durante l'anno, poi dovevano correre subito a casa altrimenti rischiavano di essere colpite da la stanga de San Sil vester che, a detta delle nonne, si aggirava per le strade del paese a bastonare le fanciulle che non si erano ancora coricate!
Argomenti del giorno
Notizia dal Villaggio
Radio-Fornace
Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Cadrezzate
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B1
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (2/2)
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03 Gennaio 2024 - Mercoledi' - sett. 01-003
redigio.it/rvg100/rvg-01-003 .mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
E' certo che dovremmo risparmiare denaro comune nel villaggio. Dovremmo intervenire in qualche modo e da qualche parte, c'è chi propone di chiudere il ludico quindi non si fa più niente. Benissimo ma nessuno impedisce che si possa anche chiudere anche, e nel frattempo anche la piscina che non è poco.
Una cosa però è possibile ed è doverosa e sta anche nei miei progetti.
cominciamo dalle piccole cose.  esempio sarebbe:  il ludico per la sua attività ha bisogno di ore e ore della dell'aiuto delle segretarie sia per fare i volantini, per fare le brochure, per stamparle e portano via un bel po di ore. Sse ludico si organizza bene nella sua pubblicità o informazione potrebbe evitare tutte queste ore di lavoro alle segreterie le quali possono dedicarsi a fare dell'altro a fare il loro lavoro. Che ognuno faccia il suo e completamente., non che abbia sempre bisogno di altri, perché il lavoro degli altri sembra che sia gratis e non valga nulla. Risparmiamo il lavoro anche degli altri
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO575-peppone-DonCamillo.mp3 - Peppone e Don Camillo alla crociata di Stroppiana -  Aboliti nelle scuole i simboli della religione cattolica -
Toponimi di Cadrezzate
15) Motta Pianca: il toponimo ricorre in dialetto come Mööt Pianch, ma qualche parlante locale è solito citarlo anche come Bianch, termine più noto e trasparente. L'altura si trova a ridosso della più alta zona detta Motte e si colloca all'intersezione delle strade che da Cadrezzate portano a Ispra, Capronno e Travedona. Motta è nome di vari luoghi lombardi con il significato di "mucchio di terra". L'origine è sicuramente da ricercarsi nel latino volgare mutta, forse originato da una base celtica muts. Una possibile interpretazione per Pianca può essere cercata nel termine tardo latino planca (o palanca) con il significato di "superficie liscia anche in pendio" (cfr. Pianca, località sopra a Mandello -LC-, Pianca frazione di San Giovanni Bianco -BG-).
16) Motte: in dialetto Mööt, è la maggior altura di Cadrezzate e sulla sua cima si ergono la Cascina Castello e la Cascina Belvedere. Il Mööt (in dialetto la voce è maschile) è raggiungibile tramite la vecchia strada che da Cadrezzate portava a Ispra, oggi sostituita dalla Strada Provinciale. Un tempo ospitava le numerose vigne presenti in zona che venivano coltivate attraverso ampi terrazzamenti che hanno plasmato la forma del Mööt con i caratteristici gradoni, ancora oggi scorgibili nonostante l'abbandono delle vigne.
17) Novelle: strada oggi non localizzabile registrata sulle carte del Catasto Regio del 1905.
Giuan Gabèla sfrusadùi (1/2)
Ho trovato Giuàn Gabela: è qui in brughiera intento a raccoglier muschio (tèp- pa) e a sfrondar pini per fare il Presepio.
Sapete: ho i miei nipotini, che se non preparo loro il presepio mi fanno il muso lungo un metro. È meglio prender tempo, perchè se dovesse nevicare a cercar la tèppa sarebbe un bel fastidio! Mi fate ridere, Giuàn Gabèla, al pensiero che voi siate qui a cercar teppa invece che a sfrusà bricòl!
Oh, vi ricordate ancora! Quasi non mi ricordo più io. Son passati, ormai, tanti anni! E, poi, la mia, come quella di molti altri, è una fama scroccata... Noi veramente, non eravamo dei veri sfrusadùi, ma degli addetti ai trasporti. Noi non andavamo in Svizzera a contrabbandare, noi non attraversavamo la frontiera. Noi trasportavamo i bricòl già contrabbandate, da sottofrontiera a Busto. Non abbiamo mai attraversato l'Olona. I bricòl venivano fatte passare dai ponti dell'Olona di giorno, mascherate in carri di fieno o di letame, depositate poi in capanne deserte in mezzo ai boschi, dove andavamo noi di notte a prelevarle. Ecco a che cosa si riduceva la nostra funzione di contrabbandieri, dei tempi in cui il contrabbando si esercitava su larga scala. Certo che correvamo anche noi i nostri rischi. Se le guardie ci pescavano, si finiva in galera e non era un bel gusto. Accadeva, però, di rado; perchè preferivamo abbandonare la bricòla nelle mani degli inseguitori che lasciarci prendere. In questo caso perdevamo il prezzo del trasporto. Perchè non ci pagavano se non consegnavamo labricòla...
Dunque, era vostro interesse non lasciarvi prendere...
Oh, quante corse ho mai fatto! E, poi, bisognava star attenti ai ladri! Non erano tanto le guardie che ci impensierivano; ma i ladri. Sicuro, i ladri! Ci spiavano di nascosto, ci lasciavan depositare la bricòla nel nascondiglio e poi ce la rubavano! Ed in questo caso noi dovevamo rispondere, se no si era accusati di far comunella coi malandrini.
Non era un allegro mestiere, in fin dei conti !
Tutt'altro che allegro ! Tanto che son quasi quarant'anni che l'ho abbandonato. Figuratevi che io stavo di casa alla Porta Capuana, quell'immenso cascinale che hanno buttato giù da qualche anno ed i cui ruderi sono ancora lì a recare testimonianza della sua famigerata esistenza. Sapete benissimo che, ai mei tempi, alla Porta Capuana, abitavano da una parte le Guardie di Finanza e dall'altra i contrabbandieri. Guardie e contrabbandieri si spiavano e si sorvegliavano a vicenda. Le guardie si servivano delle ragazzotte, colle quali fingevano di fare all'amore, per conoscere i nostri itinerari; noi incaricavamo le lavandaie e i fornitori di viveri di darci informazioni sugli ordini di servizio. Immaginate che io quando dovevo andare per bricòl dovevo fingermi ubriaco, sentirne di tutti i colori da mia moglie, farmi portare a letto in ispalla, mettermi a russare forte e poi saltare dalla finestra che dava sull'orto e via di corsa! E la mattina presto rientrare dalla finestra nella mia camera e poi farmi svegliare ad ora tarda e fingere di alzarmi con ancora negli occhi i fumi del vino. Invece, quanti chilometri a piedi per i nascosti sentieri della brughiera! E tutto per la misera moneta di cinque lire! Roba da non dire. Quando poi ho saputo che le guardie avevan ricevuto l'ordine di sparare sui trasportatori, addio mio bello, mi sono ritirato... a vita privata! In fine, quando sono andato, dopo tanti anni, a confessarmi per Natale, ed ho sentito dalla bocca del confessore che a fare il contrabbandiere era peccato, non ne volli sapere più del tutto.
Argomenti del giorno
Notizia dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Cadrezzate
Giuan Gabèla sfrusadùi (1/2)
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04 Gennaio 2024 - Giovedi' - sett. 01-004
redigio.it/rvg100/rvg-01-004.mp3 - Te la racconto io la giornata
Nessuna notizia dal Villaggio
Proverbio del giorno
Nel bus che i donn gh'han sotta el venter, l'è on bel vizzi metteghel denter; dopo el gioeugh, quand el fond s'è toccàa, l'è a tirall foeura che l'è on peccàa!
Nel buco che le donne hanno sotto il ventre, è un bel vizio metterglielo dentro; dopo il gioco, quando il fondo s'è toccato, è a tirarlo fuori che è uso è costituito dalla dizione più che dal fatto in sè, dal momento che mondo è mondo ed in tutti i cinqu n peccato!
Indubbiamente il problema più grose continenti ciò avviene senza tante turbe, con buona pace per coloro che ne fanno motivo di puritaneria; da qui siamo d'accordo che ogni aggiunta è senz'altro inutile.
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2608/QGLO810-cereali-olioRicino-01.mp3 - Ma che gustosi questi cereali all'olio di ricino -
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B2
I bustocchi si rivolgono alla Sua Eccellenza il Ministro delle Finanze:
« Cugionno, Somma, Saronno sono a due leghe da Busto, mentre se l'Ufficio fosse posto a Gallarate quei Capo-Distretti disterebbero da quell'Ufficio da oltre tre leghe.
<< La popolazione di Busto Arsizio ascendente a dodici mila abitanti (12.000) ed il suo esteso commercio ne fanno indubbiamente il punto più importante, mentre il vicino Gallarate non raggiunge la metà della detta popolazione.
«Se mai entra nelle attuali mire di Vostra Eccellenza la sistemazione degli Uffici Tasse, ed immediata esazione, questa rispettosa Deputazione Comunale ardisce presentarvi questo voto, questo desiderio, questo bisogno, acciò si degni prescegliere Busto Arsizio, e così questo Comune dovrà pure a Vostra Eccellenza parte di sua floridezza, mentre che la vostra determinazione avrà ben anche provveduto al maggior comodo degli altri Distretti >>.
E non basta! In una successiva supplica all'I. R. Ministero delle Finanze in Vienna, si aumenta la dose:
« A tacere della maggior centralità si osserverà che l'estimo di Busto Arsizio con Cuggiono ascende a scudi 1,905,352; mentre quello di Gallarate con Somma ascende a soli scudi 1,287,602. La diversità di quasi 700,000 scudi deve naturalmente importare maggiori operazioni, molto più attesa la maggior popolazione, la quale nel Distretto di Busto con Cuggiono presenta la cifra di 63,167 abitanti, mentre quello di Gallarate con Somma non presenta che la cifra di 44,594 abitanti.
«Se è lecito misurare il numero dei contratti dal numero di notai si osserva che nel Distretto di Busto con Cuggiono furono determinati 4 notai, mentre per quello di Gallarate con Somma non ne sono determinati che due soli.
<< Se dal numero di mercati settimanali e delle fiere annuali vuolsi vedere il movimento degli affari, nel Di- stretto di Busto con Cuggiono tengonsi tre mercati settimanali e cioè a Busto, a Castano ed a Legnano, mentre nel Distretto di Gallarate con Somma se ne tengono due; nel Distretto di Busto con Cuggiono tengonsi tre fiere annuali, cioè in Castano, Inveruno e Legnano, mentre nell'altro distretto non se ne tiene alcuna.
<< Se vuolsi giudicare della maggior floridezza dalle spese comunali compresi i carichi, il Distretto di Busto con Cuggiono presentò nel 1853 un'uscita di L. 881,764,62; mentre il Distretto di Gallarate con Somma presentò quella di L. 688,346,91.
<< In ogni ramo che comparar si voglia si presenterà sempre che Busto, sia da solo che coll'unito distretto di Cuggiono, supera di rilevante ammontare Gallarate col suo distretto.
<< Sotto il lato d'importanza commerciale non si esita a dire quasi nullo il commercio del Distretto di Gal- larate con Somma a petto di quello di Busto con Cuggiono. Nel Distretto di Busto con Cuggiono il setificio conta n. 18 filande a vapore principali, mentre quello di Gallarate con Somma non ne conta che 3. Nel solo Distretto di Busto lavorano 11 filature di cotone con oltre 50.000 fusi, mentre nessuna in quello di Gallarate con Somma.
<< Dopo tutto ciò non si può per vero che fare una domanda, come mai ritenuta anche un'eguale centralità, dati questi estremi e quelli già esposti, possa dubitarsi della preferenza. L'unico motivo sta nella consuetudine di tempi andati, nei quali Gallarate come sede della giurisdizione feudale teneva una superiorità d'importanza.
Giuan Gabèla sfrusadùi (2/3)
Vi hanno spaventato di più le fucilate delle guardie o gli ammonimenti del confessore, dite un po' sù, Giuàn Gabèla?
Lasciamola li! Volete vedere dove andavamo noi a nascondere i bricòl, per metterle al sicuro dai ladri? In quel rovaio. Punti di riferimento quella pianta di rovere e quella pianta di castano. Dall'una all'altra pianta in linea retta, cento passi. Rovi e sterpi. Sotto, c'è ancora il buco, il ricovero posticcio di bricòl. Altri venivano, senza che noi li conoscessimo, a ritirarle. Ogni servizio era fatto in segreto. In tanti anni che ho fatto il trasportatore di tabacco non ho mai conosciuto le persone degli impresari. Il Crapa soltanto noi conoscevamo, ch'era quello che ci pagava il servizio. Ad ogni modo, tempi lontani. Che Dio mi lasci vedere anche questo Natale! E poi, se mi vuol chiudere gli occhi, sia fatta la volontà sua...
Giuàn Gabèla se ne va, col suo fascio di teppa sulla groppa e con alcune ramaglie di pino sulle spalle. Procede lentamente, con molta tranquillità, da uomo che sa d'essere alla consunzione della sua giornata. Non si direbbe che quell'uo mo, ormai curvo dagli anni, ai suoi tempi abbia trottato come una gazzella, abbia scavalcato a piè pari delle siepi, saltato burroni e tenuto a bada pattuglie di Guardie di Finanza e di Carabinieri !
La caduta della neve è sempre un fatto spettacoloso, sia per i piccoli che per i grandi ed anche un pochino misterioso. La gente riesce a darsi conto della pioggia e della grandine senza grande sforzo, ma quello della neve è tal fenomeno che sempre richiede un giuoco di fantasia per immaginarlo. Infatti pioggia e grandine non hanno offerto gran che di materiale alla poesia, mentre la neve ha riempito tutte le biblioteche. Anche i grandi alla caduta della prima neve della prima neve della stagione si commuovono, ridiventano un pò bambini e rigiuocano, almeno col pensiero, a colpi di bianche pallottole compresse, come ai bei tempi lontani. La neve è tutto un nostalgico richiamo ai bei giorni di giovinezza. Ed ecco che anche il nostro anziano poeta riprende il verso per cantare << il bianco monte ed il bianco piano ».
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Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B2
Giuan Gabèla sfrusadùi (2/3)
 
       **************** fine giornata ************************
05 Gennaio 2024 - Venerdi' - sett. 01-005
redigio.it/rvg100/rvg-01-005.mp3 - Te la racconto io la giornata
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Proverbi
Di volt a s'è pussée fortunàa cont on bel cuu che on bon ragionà.
Delle volte si è più fortunati con un bel culo che un buon ragionamento.
Detto popolare significante che anche la fortuna è spesso direzionata da componenti estranee; ad esempio nell'assunzione di personale  femminile la bella presenza prevaleva sulla buona cultura e ciò poteva determinare scelte ... di parte.
Ovviamente il detto tiene debito conto anche della popolaresca attribuzione di chi è veramente fortunato per cui si dice che ha «un bel culo>>.
Il lavoro dei milanesi 4)
M: Sul verde di Milano la penso come te: i dati ufficiali dicono che ce n'è poco, ma se si sommano tutti gli spazi verdi credo che ghemm nient de invidià a città che hanno la fama di esserne particolarmente ricche. E poeu adess gh'emm anca i grattacieli con le piante, il Bosco Verticale, che stanno facendo scuola nel mondo. Quanto allo zoo, l'è dispiasuda tanto anca a mi la sua scomparsa... Se gli animalisti qualche ragione l'avevano, soprattutto per certi animali davvero sacrificati e fuori dal loro habitat, meno credo ne avessero per tanti altri, che avrebbero potuto essere lasciati in uno spazio che andava certo un po' rinnovato, per el piasè e l'interess de tanti grand e fiolitt. Ma parlando di parchi, non si può fare a meno di parlare di sicurezza, che rende sempre più difficile frequentarli, soprattutto in orari e stagioni dove c'è poca gente.
C: Ecco: la sicurezza, gran bel problema, peraltro non solo nostro, ma a Milano se gh'ha l'impression ch'el sia permiss tusscoss, soprattutto di questi ultimi tempi. Le leggi ci sono, ma non c'è nessuno che le faccia rispettare, e oggi sembrano spariti persino i vigili.
M: Un tempo non lontano, anca i noster Ghisa facevano parte della milanesità. Ma sono cresciuti enormemente i diritti, di tutti noi, senza che venisse data la giusta importanza anche ai doveri, e così sembra che ognidun el poda fa quell ch'el voeur, anche se sbagliato, con buone probabilità di non venire punito.
C: Lasciando da parte i reati più gravi, penso alle infrazioni stradali, alla "piccola" evasione fiscale, alle tante scorrettezze, cose tipiche di quella che abbiamo sempre chiamato la cultura del furbo, che emm semper criticaa in di alter, ma che gh'hoo paura la tocca anca nun.
M: Il nostro proverbio Chi vosa pussee, la vacca l'è soa ci ricorda che i furbi e i prepotenti non sono mai mancati, neppure qui, anche se, almeno per questo, non siamo famosi...
In compens, semm cognossuu per el traffic e l'inquinament. Purtroppo, infatti, escono regolarmente i dati che ci ricordano che siamo ben al di sopra della soglia dei valori consentiti e ci raccontano quanti sono morti a Milano per lo smog.
C: Anca se se dismentighen de di quanto è scesa la mortalità e, di consequenza, quanto è salita la nostra età media. Adesso sembra che gli anziani siano quasi più numerosi dei giovani, smog o non smog. E poeu, par che la nebbia la sia sparida...
M: L'è vera anca quest! La nostra Pianura Padana soffre effettivamente di un clima non particolarmente salubre, forse soprattutto per la poca ventilazione, tanto che c'è stato qualcuno che ha proposto di tagliare il colle del Turchino per fa corr l'aria del mar... E, forse, è anche per questo che ci piace andare così spesso fuori. Ora, però, le modernità della tecnologia ci permettono di stare più agevolmente in città, cont i cà ben riscaldaa d'inverno e rinfrescaa d'estaa, e con tanti servizi che distraggono giovani e anziani, palestre, piscine, aree attrezzate nei parchi, così il clima passa in secondo piano, anche se dovremmo tutti impegnarci per cercare di migliorarlo.
C: Piscine, palestre... consumano però molta energia, in sieme a quella che serve per i trasporti, alle auto in particolare, che è poi quella che contribuisce in modo decisivo sull'inquinamento... E poeu, l'energia la costa semper pussee, per cui mi pare giusto pensare di ridurre tutti questi consumi: vale per la salute ed anche per il portafoglio!
M: Ecologia, la par effettivament la "parola d'ordin" delle città moderne, a partire appunto dai consumi di energia, ma anche dalla gestione dei rifiuti, dalla mobilità di persone e cose, ma tutto questo presuppone una buona dose di senso civico e questo non so fino a che punto anca nun milanes ghe l'emm...
Giuan Gabèla sfrusadùi (3/3)
lo ho presente la scenetta graziosa di una piccola bimbetta che per la prima volta in vita sua vedeva la neve. Vieni, dicevan le sorelline più alte, a vedere la neve. La piccola appena alzata dal letto, al sentire lo strano vocabolo di << neve », sgranò gli occhi come dinnanzi ad un suono di mistero. Come vide la terra coperta di bianco ed il folleggiare dei batuffoli, indietreggiò come impaurita e fece verso di scappare. Mamma la neve!? Le sorelline ridenti e giulive, la ripresero per mano: vègn chi, preuva, l'è 'l zücar! La pupattola allungò la mano e subito la contrasse : l'è frègia! Tutti risero. Preuva a mètala in buca, l'è dulzi! Provò ad assaggiarla: l'è vèa non cha l'è dulzi, cussa l'è? Dopo qualche minuto era tutta una festa: pallottole, capitomboli, trilli, risate, paradiso di bimbi e di grandi; la neve!
Ma io non rubo il mestiere ai poeti e vi parlo per un istante della neve dal punto di vista utilitario. All'ultima nevicata, conversando con alcune giovinette mi sentii dire: Vedete quanta neve ! La si potesse conservare per quest'estate! - lo sono subito scattato: Come? La neve si è sempre conservata per l'estate! Non vi ricordate quando i macellai ed i salumieri si rubavan la neve per metterla in ghiacciaia? Le giovinette si son guardate stupefatte, come se cascassero da un mondo al disopra delle nubi: Quando mai? Aspettate: forse una trentina di anni fa! Sono scoppiate in una risata sonora e, se non si fosse trattato di giovinette gentili, dovrei dire insolente.
Trent'anni fa noi attendavamo alcuni lustri per venire al mondo! - Mi son dato un schiaffetto sulla guancia destra a punizione della mia smemorataggine: il tempo passa e tu dimentichi d'essere invecchiato!
Allora, state a sentire che vi racconto. Prima che ci fosse il ghiaccio artificiale, prima che impiantassero i frigoriferi, con che cosa si conservavano in estate gli alimenti ed in special modo le carni? Col ghiaccio naturale e con la neve agghiacciata. Il ghiaccio si raccoglieva nelle « bozze > di scarico delle acque, perchè ai tempi di cui parlo la fognatura non c'era e le piovane scaricavano in fossi e in pozze ai margini delle strade. Ma la vera cuccagna per i macellai era la neve. Quando nevicava erano a posto. Andavano a gara a segnare la neve più vicina alla loro ghiacciaia. Il Puzèn cercava di accaparrarsi la neve di piazza S. Giovanni, il Badòn quella di Prà Esili, la Ciàma quella di Prà S. Michè, il Pineta quella di Prà di Remàgi e via dicendo... Bastava mettere un palo in mezzo alla neve col nome del primo arrivato per fissare il suo diritto di prelazione. Ciò faceva piacere anche al Comune, il quale risparmiava i soldi dello sgombero. La neve, trasportata con dei carretti veniva rovesciata in speciali botole larghe, all'interno, come cantine e veniva accompagnata nella lenta caduta in botola con abbondanti secchi d'acqua, cosicchè si formava un pastone ghiacciato, che serviva per tutta l'estate a tener fresche le carni che vi si deponevan sopra. C'era poi il ghiaccio per gli ammalati, che veniva raccolto d'inverno in derivazione di acque correnti e tenuto da parte per questo speciale uso. Il servizio di fornire il ghiaccio per gli ammalati, era pure disimpegnato dai macellai. Vedete, care le mie donzelle, che non c'è nulla di mira coloso nella conservazione della neve e del ghiaccio invernali per l'estate? Passan gli anni, tutto muta o si trasforma, tu sola o poesia sei sempre viva e sempre fresca... come la neve!
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Proverbi
Il lavoro dei milanesi 4)
Giuan Gabèla sfrusadùi (3/3)
       **************** fine giornata ************************
 
 
06 Gennaio 2024 - sabato - sett. 01-006
redigio.it/rvg100/rvg-01-006.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
Il bar e' aperto il 08 09 10 dicembre
Il bar e'aperto il 30/31 dicembre
il bar e' aperto il 06 07 gennaio
Il bar e' aperto il 27 28 gennaio
il bar e' aperto il 10 11 febbraio
Il bar e' aperto il 24 25 febbraio
Proverbi
Tant int el lusso quant int i miserii, l'ultem domicilii l'è el cimiterii.
Tanto nel lusso quanto nelle miserie, l'ultimo domicilio è il cimitero.
È difficile stabilire come, dove e quando sia nato questo detto; era indubbiamente una sorta di consolatoria dei più poveri, un aspetto della filosofia di chi è conscio che l'unica reale risoluzione di una vita, da povero o da ricco è il cimitero.
È poco conosciuto nella forma originale, sostituito da altri detti consimili.
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO536-Milano-Gottardo.mp3 - Milano Gottardo - La quieta via Custodi - Le placide atmosfere di fine Ottocento - il Gentilino
Toponimi di TERNATE (29)
Ternate: m. 281; kmq 5.05; abitanti 2.250.
Comune della provincia di Varese situato 15 Km a sud-ovest del capoluogo sulla sponda nord del Lago di Comabbio.
Il toponimo Ternate, in dialetto Ternà, è attestato per la prima volta in documenti del XII secolo come Ladernatee un secolo dopo lo troviamo come Trinate. L'oscillazione del nome già nelle prime attestazioni ci lascia molti dubbi circa l'etimologia del toponimo. Varie sono le ipotesi a riguardo. È molto difficile far risalire il nome alla voce latina trinus in riferimento alla posizione del paese tra i tre laghi. Più probabile, ma non certo, un riferimento più concreto al "terreno" etimologia supportata da altri toponimi in Lombardia (cfr. Trecella frazione di Pozzuolo Martesana -MI-). È possibile anche un'origine dal nome proprio latino Latterninus (o Latterna) se si considera plausibile la prima attestazione Ladernate a nostra disposizione.
1) Anade: su alcune carte individuato anche come Anadé. È una piccola cascina pochi metri a nord della Cascina degli Ori. Il nome è di difficile interpretazione: due sono le voci dialettali che possono essere messe in evidenza, da una parte Anàde che designa il guadagno annuo di un lavoratore, dall'altra la voce Anadè che indica il "pollaio per anatre">. Non è da escludere infine che il toponimo possa richiamare l'anatra, in dialetto Aneda, in riferimento ad un soprannome di un antico proprietario.
2) Baranchina: ampia area situata pochi chilometri a est del poggio di Santa Maria e a sud della Cascina Motte a nord del centro abitato del paese. Di dubbia origine
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B3
<< Ma questo Eccelso Ministero saprà ben provvedere alle condizioni ed ai bisogni attuali dei proprii sudditi, fra i quali a nessuno inferiore in devozione e fedeltà si vanta » ...il borgo di Busto.
Ma è mai possibile che tutto questo passi senza vendetta, e che si possa impunemente lasciar dire di Gallarate che tutti i suoi meriti sono solo << nella consuetudine dei tempi andati? ».
È forse per questo che la Onorevole Deputazione di Gallarate disdegnò anche l'aiuto della « Macchina Idraulica >> chiamata a spegnere l'incendio: meglio bruciar tutto che chiedere aiuto ai bustocchi!
Se poi pensiamo che tutto questo accanimento aveva lo scopo di tenersi o di tirarsi in casa l'ufficio delle tasse, non c'è che da scrollare miseramente la testa. Oggi, forse, non succederebbe più.
Per chi volesse conoscere lo sviluppo delle vicende possiamo aggiungere che, trascinate le decisioni, fra suppliche e controsuppliche, fino al 1858, per decreto della << Inclita I. R. Prefettura delle Finanze 14 giugno n. 14442/2287, ed in relazione all'ossequiato Dispaccio di S. E. il Signor Barone Luogotenente de Bürger in temporaria rappresentanza di S. A. il Serenissimo Arciduca Governatore Generale », l'ufficio delle tasse rimase a Busto, con notevole sacrificio della Deputazione Comunale che, per un affitto annuo di Austriache Lire Duecento, aggiunse ai quattro locali già in uso, anche un quinto locale, e cioè « l'ampia sala che serviva d'ufficio alla Deputazione medesima », e ciò per conservare < l'opportunità che l'ufficio stesso venisse a trovarsi collocato nel medesimo caseggiato nel quale sono riunite I'I. R. Pretura, l'I. R. Commissario Distrettuale ed il Corpo di Gendarmeria, stazionato nel paese ».
Busto felice era dunque riuscito a tirarsi in casa quella delle tasse... per farla a Gallarate.
Mentre si rinnovano questi uffici, e anche gli I. R. Gendarmi volevano stare un po' comodi, lo spirito di iniziativa dei bustocchi non veniva meno e già si pubblicavano gli appalti per il nuovo carcere, allora ridotto praticamente ad una sola stanza, rimasta tal quale dal 1837, quando era stata affittata, per austriache lire 55 annue, alla Autorità di Polizia. A questa stanza carceraria si arrivava passando per la cucina della I. R. Gendarmeria, ed era uno stanzone buio, con due finestrelle munite di ferriate doppie e con un tavolaccio che correva lungo i muri, salvo una necessaria interruzione per far luogo ad un aggeggio che, sulle carte, è definito << col suo foro rotondo »>.
Ma si provvedeva anche ad altre novità. Si progettava la fondazione di un Asilo, costruito poi sul terreno della Scuola dei Poveri con una spesa di 40.000 lire, si sistemavano le strade, si rinnovava il piazzale fuori Porta Milano, si restaurava la Cap pella della Madonna in Veroncora, e, non ultimo, si sorvegliavano anche le donne pubbliche, le silfidi bustesi di cent'anni fa, la Rossina, la Balina, la Sgorazza, la Rosa; e vi faccio venia dei loro veri nomi, povere donne.
A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (1/3)
L'attuale Via G. B. Bossi era una volta Cuntrà di Ràti. Case ch'eran » ratere ». Circolavano infatti i topi a frotte e a loro agio, poichè trovavan con facilità la loro pastura. In assenza di fognatura lo scarico delle piovane e delle acque di lavanderia avveniva in pozzi a fondo perdente installati nei cortili. Facili gli ingorghi e i rigurgiti poltigliati. I topi avevan di che diguazzare fra il fango e i rifiuti di cucina impolpettati di stercura. A breve distanza la < rateria» trovava il parco di passeggio e di svago. Dove c'è ora Via Antonio Pozzi con i fabbricati delle Associazioni Cattoliche c'era campagna. Solo una stradella nullaffatto sistemata, allancata e ammontagnata di sassi scaricati alla rinfusa, congiungeva Via dell'Ospedale (Via Umberto I) con Piazza del Conte (Piazza Vittorio Emanuele). In questa stradella nelle ore serali si muovevano ombre spasimanti dei due sessi, intenti ad ammazzare il chiaro di luna. Scherzosamente, fino a una trentina di anni fa, questo sganghero di strada azzoppata e guercia (non c'era illuminazione, infatti) venne chiamata Via Giardini. Parco di fantasmi infoiati e di topi giubilanti.
In una delle case di Cuntrà di Ràti aveva la sua abitazione una strega, di quelle che fanno il giuoco delle carte ed altri giuochi men puliti, per << malefiziato » della < disfare » le diavolerie di altre streghe che avevan gente. Le persone malefiziate appartenevano generalmente al sesso femminile. Si sa che quello femminile è il sesso debole per definizione, epperò meno resistente alle « malefiziazioni ». In quel tempo la strega era asse diata dalle malefiziate che ricorrevano a lei per << disfare il giuoco maligno Tanto era pressata dal lavoro da fissare un numero d'ordine alle ressanti. Giova avvertire che l'orario utile di lavoro era molto ridotto. Le ore buone strologare per < eran quelle che correvano fra le dieci di sera e mezzanotte.
Argomenti del giorno
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Proverbi
Toponimi di TERNATE (29)
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B3
A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (1/3)
 
       **************** fine giornata ************************
  
07 Gennaio 2024 - Domenica - sett. 01-007
redigio.it/rvg100/rvg-01-007.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
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  1. redigio.it/dati2606/QGLO592-dialoghi-milanesi-01.mp3  - Dialogo fra due milanesi su argomenti dal 1945 al 1960 - in dialetto -
Toponimi di Ternate
3) Barass: area pianeggiante al di sotto del Roncàas a sud del paese sul confine con il comune di Comabbio (cfr. Barasso frazione di Comerio -CO-, Baradello -CO-). (v. Cadrezzate n. 1).
4) Bronzina: antica e grande cascina situata pochi metri a sud-est della località Pacit a ridosso dell'attuale linea ferroviaria che porta alla stazione di Travedona-Biandronno. La cascina è nota anche come località Bàier, come attestato dalla carta IGM di inizio '900. Entrambe le denominazioni sono oscure: forse il nome Bronzina può essere ricondotto ad un nome famigliare per la presenza accertata del casato Bronzi nella zona della basca comasca (cfr. Bronza in località Mairano -BS-),
5) Brughiera: in dialetto Brüghéra, è la zona sotto al poggio Santa Maria che collega l'altura con la località San Sepolcro più a sud (v. Cazzago Brabbia n. 2).
6) Buscior: o Bosciùr è una zona pianeggiante un tempo pratosa che si estende a nord della stazione ferroviaria in direzione del comune di Varano. Il nome è con molta probabilità da far risalire alla voce dialettale bösciol o böscior che il ha significato di "cespuglio spinoso o spina">
Fidanzati a tempo perso
Le ragazze di New York che faticano a trovare l'anima gemella o che, semplicemente, non hanno né il tempo né la voglia di imbarcarsi in una relazione seria, hanno scoperto i <<sometimes boyfriends», vale a dire i «<fidanzati qualche volta>>. Compagni part-time, qualcosa meno dei fidanzati veri, qualcosa più dei partner di sesso. Ci si esce a cena, si chiacchiera, si fa un giro in libreria e naturalmente si fa l'amore. Non è necessario vederli spesso, sentirli al telefono tutti i giorni, spedire e-mail o sms né trascorrere insieme i fine settimana. Le ragazze li chiamano quando hanno voglia di sentirsi fidanzate, il resto del tempo si possono tranquillamente considerare single. Un <<sometimes boyfriend» può essere il frutto di un incontro occasionale avvenuto in vacanza: ci si conosce, ci si piace, ma si scopre che si abita in due città molto distanti tra loro. Se non si vuole perdere di vista una persona con cui c'è un buon feeling, ma allo stesso tempo non si vuole instaurare un'impegnativa storia a distanza, non resta che fidanzarsi a tempo perso. Meglio che stare sole...
Il lavoro dei milanesi 5)
C: Ecco, appunto, a proposito di senso civico penso agli animali in città: ce ne sono moltissimi, ma si vedono soprattutto i cani in giro, che sono spesso molto belli ed espressivi e indubbiamente fanno ormai parte di tante famiglie e tengono compagnia anche alle persone sole, ma... minga semper i sò padroni se comporten come se dev...
M: Ma l'è minga necessari avegh i animai per mettere in mostra lo scarso senso civico: l'è assee vede se se troeva per terra, dai mocc a ogni tipo di spazzatura lasciata in de per tutt i canton. È la solita storia che riguarda un po' tutti noi italiani, che appena fuori di casa consideriamo tutto quello che ci circonda come qualcosa di estraneo, da trattare senza alcun riguardo, tanto... non è roba nostra. Invece, l'è propi robba nostra. Anca nun milanes gh'emm tanto de imparà al riguard.
C: Ma la città è forse più "vissuta" da chi non di Milano, dai turisti, da chi del dì el ven chi lavorà e de nott a per divertiss... e chi pensi che ghe sia tanto de di.
M: Le grandi città hanno più o meno tutte gli stessi problemi ed effettivamente chi ghe viv spess el cognoss pocch o nient de quell che succed foeura di sò ambient, soprattutto di notte. Ma qui credo che la milanesità c'entri poco, se non il grado di tolleranza che le nostre autorità sono disposte a concedere, e forse concedono troppo.
C: Questo el var però per la città che se ved, ma gh'è anca quella che se ved nò, nei quartieri più problematici, dove si mescola gente di ogni tipo, e anche da qui può uscire una forma di milanesità.
M: Certo, a chi vede Milano solo come un luogo per trasgredire non interessa parlare di appartenenza o meno alla città, ma i trasgressivi sono sempre una minoranza, anca se l'è quella che la se fa sentì e la fa pussee fracass, mentre la maggioranza vuole a tutti gli effetti sentirsi milanese. E sempre più spesso vengono proprio da quei quartieri più problematici, come li hai chiamati tu, esempi di nuove espressioni di milanesità.
C: Già, non c'è solo il mondo della moda, della finanza, del design... ci sono gli influencer, i rapper, gli sportivi... e anca se se ciamen in ingles vegnen quasi semper da la periferia e sono di origini spesso molto lontane.
M: "Milano, a place to be": anca quest l'è minga milanes, ma l'è ona bella reclam! Come abbiamo già detto, negli ultimi anni Milano è diventata una città apprezzata, un luogo meritevole di essere visitato anche per scoprire i suoi tesori culturali e per stare bene. Sono davvero tanti i turisti che troviamo in giro tutti i giorni, ormai in ogni stagione: ma lo sai che oggi hanno persino già superato in numero quelli di prima del Covid?
C: Ciombia! Ma forse veden minga i tanti magagn che gh'hinn ancamò. Finora abbiamo detto forse anche troppo delle CO se belle e buone di Milano, ma gh'è ancamò tanto de fa per migliorare la qualità della vita, le periferie, le aree dismesse, il verde, la mobilità, la capacità di attrarre investimenti e cervelli, oltre che braccia.
M: Gh'è minga dubbi... Ma per quanto riguarda il verde, oltre a quello che abbiamo già ricordato, vorrei aggiungere che sono poche le grandi città europee che possono vanta re un parco così vasto e vivo come il nostro Parco Agricolo Sud, e nessuno o quasi ne tiene mai conto, salvo i tanti ciclisti che, sempre più numerosi, lo percorrono in lungo e in largo.
C: Le statistiche ancora lo ignorano, ma guarda che il paesaggio dei nostri campi, con le sue cascine e i Navigli sono in tanti ad apprezzarlo, non solo i ciclisti... Le nostre risaie, per esempio: se ti capita di arrivare con l'aereo a Linate in del mes de magg, quando sono allagate, all'imbrunire, è un spettacolo straordinario. E da lì in mezz'ora sei in centro!
Proverbi
Inutel vantass d'on bon usell quand che se sa che l'è tutta pell!
Inutile vantarsi di un buon uccello quando si sa che è tutta pelle!
Detto alquanto corrosivo ed allusivo, usato nei confronti di coloro che vantano virilità, ma in realtà sono frolli e nel caso specifico ricorrono ad una vera e propria millanteria.
Argomenti del giorno
Cosa ascoltare oggi
Proverbi
Toponimi di TERNATE (29)
Fidanzati a tempo perso
Il lavoro dei milanesi 5)
 
 
 
 
       **************** fine giornata ************************
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RVG settimana 52
 
Radio-video-giornale del Villaggio
 
Settimana-52 del 2023
 
RVG-52 - da  - Radio-Fornace
 
Settimana 52       2023-25-12 -  Dicembre - Calendario - la settimana
lunedi        25/12       settimana 12        359 giorno
marrtedi        26/01       settimana 12        360 giorno
mercoledi        27/01        settimana 12       361 giorno
giovedi        28/01        settimana 12        362 giorno
venerdi        29/01        settimana 12        363 giorno
sabato        30/01        settimana 12 364 giorno
domenica       31/01       settimana 12        365 giorno
 
25 Dicembre 2023 - lunedi - sett. 52/359
redigio.it/rvg100/rvg-52-359.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO526-nebbia-superga.mp3 - Nella nebbia di Superga, la tragedia del Torino -
Toponimi di Biandronno
17) Roncato: o Runcàar è la zona che porta dal Gesiolo fino al comune di Travedona tramite una leggera salita. Il toponimo è dei più frequenti in tutta la Lombardia ed è un derivato dal latino runcare "sarchiare, dissodare". La voce dialettale ha un suffisso diverso dalla forma ufficiale, forse da far risalire all'aggettivo latino runcalem "relativo al ronco"
18) Rööch: monticello a sud-est del paese che ospita l'attuale acquedotto di Biandronno. Il nome con tutta probabilità è da far derivare dal termine "roca" o "rocca" con il significato di "promontorio" 3.
19) Sötcà: piccola area al di sotto della Baserga verso il Lago di Varese un tempo zona di campi coltivati, ora area residenziale. Il nome è con tutta probabilità un composto di "sotto" e "casa" con riferimento appunto al nucleo abitativo in zona Baserga.
Cosa preparo oggi
El pollin de Natal - Mamma l'è chi el Natal e mi ancamò 'me 'l fuss incoeu, te vedi a fagh el pien al pollin: quel to pien faa tanto ben... - Me regordi che te fasevet giò tutt el sò fidegh ben a tocchelitt con del lard, anca quella a quadretitt, e che peu te i mettevet in bielletta con di brugn secch, gross, tòcch de pomella, castegn giamò ben còtt in la padella, luganega a boccon, ona branchetta de nos ròtt a fesinn e on quai cugiaa de formace de quel bon e pan grattaa. - Peu, messedaa tuscòss a man ligera, dent, dent in del pollin, dent in del gòss, in la panscia a tirall rotond e gròss strengendel poeu in d'ona tal manera, cusii e ligaa in gir, ma tanto fòrt 'mè se 'l dovess scappà anca dopo mòrt. - E tutt quest la vigilia. Poeu a Natal te'l mettevet a foeugh in padelòtt con denter lard, butter e, fina còtt,  
Il porto di Milano
viale Gorizia ang. ripa di Porta Ticinese - È il "porto" di Milano. Vi convergono 3 canali: il Naviglio Grande, il Naviglio Pavese e il Naviglio Interno. Essi furono costruiti allo scopo di portare acqua alla città per migliorare la difesa militare, le attività commerciali e artigianali, la salute pubblica. Il Naviglio Grande fu il primo a essere costruito. Pochi anni dopo la distruzione della città da parte dell'imperatore Federico I detto il Barbarossa, nel 1179 i Milanesi iniziarono i lavori per portare fin qui le acque del lago Maggiore e del Ticino, con un percorso di 50 km. Il Naviglio Interno, costruito nel '400, attraversava la città con un sistema di conche, ma è stato coperto negli anni Trenta per facilitare i trasporti su terra. Esso portava qui, attraverso il canale della Martesana, le acque provenienti dal lago di Como e dall'Adda. Il Naviglio Pavese fu completato nel 1819 e, in deflusso, si riallaccia al Ticino nella sua parte navigabile e quindi al Po e al mare. La Darsena fu costruita ai primi del '600 sotto il governatore spagnolo Pedro de Acevedo conte di Fuentes. In Darsena arrivavano chiatte trainate controcorrente da cavalli (poi motorizzate), cariche soprattutto di sabbia e ghiaia, ma anche di legname e persone. Attraverso il Naviglio Grande fu trasportato il marmo per il Duomo, che arrivava dalla cava di Candoglia lungo il fiume Toce e poi il lago Maggiore.
Villaggio turistico 1/4 - Animatori di sesso maschile
Il bonazzo - Tipico esempio di bonazzo. - Il bonazzo è in genere aitante, ma non palestrato, e se lo è con misura. Cura il suo corpo con attenzione ma senza eccedere per non apparire effeminato e gaio e per questo gira sempre a torso nudo. È possibile riconoscerlo perché porta quasi sempre una bandana a motivi floreali o geometrici e occhiali da sole riflettenti stile ciclista/sciatore estremo quando gira per la spiaggia di ombrellone in ombrellone a reclutare vittime. La sua utilità nello staff intrattenimento del villaggio è pari a zero: serve solo per attirare sciami di stupide adolescenti accompagnate dalle loro madri a partecipare alle attività organizzate, come ad esempio la beach volley. Di solito è l'animatore capo oppure il coordinatore delle attività organizzate nel villaggio, un eufemismo per dire che non conta un cazzo perché non ha alcuna competenza. Condivide con il piacione la capacità di sedurre le donne, ma al contrario di quest'ultimo non lo fa con malizia o comunque lo fa con una certa discrezione. È tuttavia stupido come una barbabietola.
Il piacione - Il piacione è una delle tipologie di Animatori più pericolose. Il suo aspetto varia molto ma in genere è un ragazzo dai capelli lunghi fino alle spalle, raccolti in un codino se lisci, lasciati liberi al vento se ricci o mossi. Viso volitivo e abbronzato dal sole, occhi verdi o castano chiaro, fisico asciutto e slanciato, si presenta come un giovincello di vent'anni o poco più, sprezzante e disinvolto. Spesso ha la passione del ballo o della recitazione ma ancor più spesso quella della figa. Non si riuscirà mai a vederlo fermo durante la permanenza, nemmeno quando mangia, difatti è la dimostrazione vivente della validità generale del Principio di indeterminazione di Heisemberg. Spesso è lui che organizza ed esegue balletti e/o scenette comiche ed è lui che ancora più spesso si occupa di far divertire le giovani adolescenti. Data la sua disinvoltura abborda impunemente qualsiasi ragazza o ragazzina gli capiti a tiro con frasi standard, come ad esempio:
« Facciamo quattro tiri a pallone, dai! »
« Se vieni con me ti faccio vedere una cosa stupenda! »
« Sono sicuro che sei curiosa di sapere cosa c'è dietro il promontorio laggiù... »
« Dai, vieni a fare una passeggiata con me in quel frutteto! »
Di solito queste ragazzine di sedici e diciassette anni portano con sé una loro amica, per cui il piacione riesce a farsene due e quando è fortunato tre alla volta. Ovviamente lo s---------o di queste giovini pulzelle causa nei loro genitori, se riescono a venirne a conoscenza, esplosioni di ira tali da trasformare vacanze tranquille in una azione vendicativa alla Punitore. Le reazioni dei padri sono le più terribili. Ad esempio:
« Tu bottana! U disunuri n'ta nostra famigghia facisti cadiri! Ti facisti N'tuppare i buca! N'tuppare i buca! Ma su pigghiu ddu figghi'e bottana ci strappu i paddi... » - (Padre siculo visibilmente alterato)
Il giocherellone - Tipico esempio di giocherellone. - Il giocherellone è quel soggetto strambo che organizza di continuo scherzi di una cattiveria incredibile verso chiunque gli appaia come una vittima anche minimamente appetibile, facendo poi ricadere la colpa sugli altri animatori del suo gruppo. Di solito non è tra i più carini del gruppo intrattenimenti, ma ha fascino, umorismo e intraprendenza, caratteristiche che lo rendono agile sul palco quando deve recitare parti comiche che lo fanno apparire agli occhi delle adolescenti prive di volontà e rispetto di sé una splendida creatura. Di solito indossa un paio di mutande o un canottiera avvolte in testa come fosse una bandana, qualche maglietta insulsa che inneggia al casino e il costume, che non cambierà mai durante l'intero periodo di durata del suo contratto. Tromba quasi quanto il piacione, ma preferisce donne un po' più mature, almeno sopra i diciotto anni e di solito una volta scelta una ragazza cerca di esserle fedele. Ovviamente senza successo dato che di solito i villaggi turistici in località marittime sono dei veri e propri ficai e si sa che un giovane lasciato libero in un ambiente così non sa regolarsi. Di solito a tale categoria appartengono gli animatori provenienti da luoghi come Napoli e tendono a prodursi in frasi alquanto volgari.
NATAL
Finalmente giungeva il mattino. In un attimo erano tutti vestiti; poi si creava una gran confusione, mentre ognuno, cercava i propri doni. Solo il nonno interveniva a rimettere un po' di ordine.
Per mano, a due a due, si andava in chiesa, a sentire le prime tre messe, con il suono della piva, con i "bascantadùi" e con il Bambino sul presepe. Finita la triplice messa, il nonno rimetteva tutti in fila e li conduceva dai "Ciavanàschi" a bere la grappa, che usciva ancora calda dal "lambicu". Ne beveva un bicchierino da solo, mentre i ragazzi ne avevano uno ogni tre e i più piccoli una sola goccia. Poi, tutti a casa.
Si prendeva una prima zuppa condita col cucchiaio di "gratòn", poi ce n'era una seconda e una terza. A mezzogiorno, si faceva una spanciata di risotto, di carne e oca, di formaggio, di uva del "roscio" e di caffè. Era un vero "mangia da sciùi".
Nel pomeriggio (mèzabasùa), col nonno si faceva il giro dei Presepi di tutte le chiese; i commenti erano molto animati. Alla sera, si stava tutti attorno al camino. Il fuoco era avviato con della paglia o dei tutoli di granoturco. Fatta la brace, ci si metteva il "sciòcu" (ciocco) e si protendevano le mani, per ricevere calore.
Dal ceppo ardente, si sprigionavano fiammelle rosse, verdi, violette. Quelle rosse erano di Lucifero; quelle verdi di Brindinello, quelle violette di Sbarbatello, i più famosi diavoli dell'Inferno.
Seguiva un ultimo rosario e poi si andava tutti a letto.
Nella vita di allora, c'era molto più spazio per la fantasia, per il sentimento e per le piccole come per le grandi cose. Bastava un camino per riunire una famiglia; era sufficiente una lunga storia per affascinare tutti, senza che nessuno chiedesse quale fosse la verità e quale l'immaginazione. In ogni casa c'era una figura che faceva da perno e non avveniva no lotte per avere il sopravvento l'uno su l'altro. Non sarebbe giusto dire che quei tempi erano mi gliori degli attuali o viceversa; semmai, si potrebbe cercare di recuperare qualcosa che di buono esisteva una volta ed ora non c'è più. Che cosa succederebbe, ad esempio, se l'austerità ci riportasse il caminetto?
"Ma 'n bel foeugu tradiziunal che l'é gioia e l'é puesia,
a l'é l foeugu dul di natal. E in chèl dì, cun nustalgia, chi g'ha non un tèciu e un pan, chi cha viv da ca luntàn i suspiran 'me 'n gran bén anc'ul foeugu d'un camén...
(Il fuoco natalizio è un fuoco, tradizionale, che è gioia e poesia.
In questo giorno, con nostalgia, quelli che non hanno tetto e cibo, quelli che sono lontani da casa darebbero chissà che cosa per avere il fuoco di un camino, quasi fosse un gran bene. Questo amico buono e saggio, che con noi sempre divide gioie, dolori e piange e ride mi parla nel suo linguaggio. Quando la fiamma viene in avanti, arrivano i credi- tori; quando la fiamma corre indietro, sta arrivando del denaro).
E st'amisi bon e sàgiu, che cun neun sempr'al dividi gioi, dului, e al piangi e al ridi, al ma parla ul so lenguagiu, Cand'al bufa ul foeugu dananzi creditui cha vegn inanzi; candu poeu al bufa da dré in dané cha vegn in pé!
       **************** fine giornata ************************
 
26 Dicembre 2023 - Martedi' - sett. 52/360
redigio.it/rvg100/rvg-52-360.mp3 - Te la racconto io la giornata
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Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO586-alberi-Milano-01.mp3 - Alberi a Milano
Radio-Fornace
Cosa preparo oggi
La carne cruda - Gh'è a chi ghe mett disgust al vedè a mangia de gust carne cruda, e gh'è anca quel che golos ne fà ona pell.
Ecco per chi gusta carne cruda, come condirla. Mettem on dò porzion. Carne de manz de primma, magra, nuda de pell, de nerv, de grass. Part scamon. Masnada dò volt, mèttela in piatt, giuntagh do inciod mondaa e spappolaa, dò erborinn verd, fresch tridaa giò a l'att, el sugh de mezz limon e poca saa, pever, on ross d'oeuv crud, e bell e ben d'oli d'oliva. Si, con la forchetta impastà su tuscoss mè 'l fuss on pien. Mèttela in tavola e insemma a la diletta sposa, fagh la festa in santa paas, bevendigh dree 'na tazza de brodin.
Gustela. Se la pias, diree: l'è on bonbonin. Avvertenza. Preparala quand l'è vora de mangiala. Prontada da dò or la ciappa brutt color.
Se taija peu la fesa a bei fetitt, la se impiatta e se salza e, soravia ghe se somena sù di capperitt. Ma però 'sta manera la saria moderna. Ona voltà in realtà se fava inscì: Mett el vitell a coeus ben in ristrett, come quell là e bagnaa giust a mezz con dent on bell biccer de vin bianch magher, tri cugiaa d'asee, cinq d'òli e denter el sò ton i inciod, on bell micchin ben ben scrostaa, per ligà la bagnetta, peu on boccon de scigola el saa, laur, pever fin. Quand l'è ben cott e l'è sfregiaa ben, ben, in la soa bagna, col sedazz de crin passagh la bagna per do volt almen.
In ultim la se rangia col limon. Poeu, come l'alter, anca quest, tajaa suttil, el se comeda su on piatton, quataa de bagna e coi capper somenaa.
Viaggio nel tempo
Blitz antivagabondi (17 gennaio 1929) Allo scopo di spiegare la ragione di esistenza di numerosi sfaccendati e vagabondi che ancora si trovano numerosi a Milano, il Questore ha ordinato alcune sorprese nei pubblici locali, particolarmente indicati come luoghi di convegno di tali persone indesiderabili.
Cose di Milano
Il "ponte dei Morti" - via Francesco Sforza ang. via San Barnaba - Da un portale secondario dell'Ospedale (Cà Granda) che si affacciava sull'omonimo Naviglio (rimasto scoperto fino agli anni Trenta), per secoli, uscirono i morti poveri trasportati nudi su un carro, oltre il "ponte dei Morti", in casse apribili sul davanti per agevolarne lo scivolamento nella foppa del cimitero del nosocomio, la Rotonda della Besana. I ricchi venivano invece sepolti nelle chiese.
La Cà Granda è stato il primo ospedale laico del mondo occidentale. All'inizio, venne gestito da un "governatore de li granari", disponeva di due "primari", di quattro "fisici" (medici), di quattro "ciroici" (chirurghi), di un farmacista e di quattro specialisti, rispettivamente per il morbo gallico (la sifilide, portata in Italia dalle truppe di Carlo VIII), per la tigna, per i calcoli renali e per l'ernia. I criteri per la salvaguardia dell'igiene erano innovativi per i tempi, ma non prevedevano una separazione per tipo di malattia e due malati potevano giacere nello stesso letto. Nelle corsie becchettavano le galline e giravano i venditori ambulanti. Un visitatore straniero dell'epoca annotò: "Esso spedale nutre giornalmente 1600 persone oltre gli ammalati, giacché stanno ivi contabili, scrivani, barbieri, sarti, calzolai, dimodocché il contabile novera ogni anno allo spedaliere 30000 ducati milanesi".
Busto Grande - 170 anni fa
Capitolo quinto
La contrada della Macchina, ora via Solferino, prendeva nome, dal 1836 o '37, da quell'ordigno per spegnere gli incendi, frequenti nel borgo di Busto e nei dintorni, che la Deputazione Comunale aveva provveduto ad acquistare e alloggiare, con grande giubilo dei paesani, in un apposito fabbricato.
La « Macchina Idraulica » era forse una diretta discendente di quella « Tromba Napoleone » che l'inventore professor Carlo Castelli, canonico della metropolitana di Milano, aveva descritto e dedicato nel 1808 al vicerè Eugenio. Consisteva, questa macchina per « innalzare l'acqua » in una grossa specie di botte montata su quattro supporti e provvista, ad una delle estremità, di una lunga doppia stanga alla quale si attaccavano quattro facchini. Il movimento ad altalena impresso alla stanga metteva in azione la pompa e, dalla botte, che succhiava acqua con un lungo tubo nei pozzi o nelle rogge sprizzava un discreto getto che, quando c'era, poteva essere diretto contro il divampare del fuoco.
Figuriamoci dunque l'arrivo a Busto Grande di un simile ordigno, unico in tutta la zona da Saronno al Ticino e da Legnano a chissà dove, forse anche alla vicina Svizzera.
La Deputazione, dopo aver provveduto al confacente alloggio e aver dato il nome alla strada che la ospitava, nominò un custode e un assistente al custode, un « Direttore della Pompa », cinque addetti alla macchina, due facchini, un garzone, e un carrettiere addetto al trasporto: dodici persone in tutto. Nel 1837 poi, con rispettata ordinanza dell'Imperial Regio Governo, << di cui al dispaccio del 31 luglio n. 13201-2088 »>, si provvide anche all'approvazione di una Tariffa per il noleggio della detta Macchina, dal momento che le chiamate urgenti si facevano sempre più numerose e... lontane.
E così avvenne che, nella notte del 5 al 6 febbraio del 1854, il Tenente Comandante dell'I. R. Pelottone di Gendarmeria in Gallarate, visto che un grande fuoco divampava nella casa dei macellai fratelli Buffoni, distaccò il pro-Caporale a Cavallo della Brigata e lo spedì, pancia a terra, lungo lo stradone per Busto a invocare soccorso. Arrivò costui col cavallo sfiancato al Ponte dei Re Magi o di Savico; riempì le strade del rumore degli zoccoli sull'acciottolato e svegliò il Cursore Pietro Crespi, guardia municipale e direttore della macchina, che diede mano alle campane.
Suonare a fuoco allora voleva dire mettere in allarme e in eccitazione tutto il borgo. Gente alle finestre e per la strada, trambusto, grida, domande e battimani al giungere dei brentatori, o addetti alla macchina, svegliati nel più bello del sonno e che si presentavano trafelati, con le brache slacciate e a « pentèra ». Intanto arrivava il Fighetta carrettiere, alias Giuseppe Colombo, con carro e cavalli, e il Feré Giovanni detto Torella, direttore della pompa, e il garzone Augusto Brumino. Si accendevano i moccolotti nei fanali del carro, si issava a braccia la macchina, si agguantavano gli arnesi, le scuri e gli elmi e, frusta ai cavalli e fiato alla tromba, e sbatacchiare a distesa della campanella di bronzo che sovrastava la macchina, il carro si lanciava per la Corsìa di Ticino, usciva dalla Porta Piscina, passava a fianco della Madonna di Prato, e via, via per la strada Gallarasca col pro-Caporale dei Gendarmi a fare da avan- guardia, via a rotto di collo per i campi, oltre << ul Gesioeu », oltre le Cascine Selvascia e Malavita, oltre la Cascina dei Poveri, oltre la Madonna in Campagna, guidato ormai dal balenare dell'incendio e dal gridare della gente che aspettava, lungo lo stradone, la << macchina idraulica di Busto », per il brivido di vederla passare luccicante di ottoni, fra il fracasso della campana e della ferraglia e delle ruote, e le grida di incitamento e di contentezza dei curiosi.
L'incendio della casa Buffoni venne spento; ci si bevve su qualche bottiglione di vino e si ritornò passo passo in quel di Busto a rendere edotta la Deputazione del dovere compiuto. La quale Deputazione provvide, secondo tariffa, ad emettere, il 17 febbraio, una distinta della spesa, risultante in lire trenta, e ad inviarla, per la prevista via gerarchica, tramite l'Imperial Regio Commissario Distrettuale, al Comune di Gallarate, capoluogo del distretto III, chiedendone il rimborso.
<< La scrivente dietro invito spedito dalla Deputazione Comunale di Gallarate la notte del 5 al 6 corrente, onde le venisse spedita questa macchina idraulica per estinguere un incendio scoppiato in quel Comune, la stessa ordinò immediatamente che fosse spedito un tale soccorso, per il quale si è incontrata la spesa risultante dall'unita distinta.
« Si prega pertanto la compiacenza di questo I. R. Commissario a voler rimettere alla Deputazione di Gal- larate la specifica sud.a redata in base alla Tariffa approvata dell'I. R. Governo con dispaccio 31 luglio 1837 n. 13201-2088, invitandola a voler emettere il mandato di rimborso a favore di questo Comune ».
Delle trenta lire, 4 erano dovute al carrettiere, 6 al custode e direttore, 2 ad ognuno dei sei addetti alla pompa e 8 al Comune « per guasti eventuali alla Macchina e suoi attrezzi ».
Ma la Deputazione di Gallarate non pagò!
Passarono giorni, settimane, mesi: le sollecitazioni e i buoni uffici del Commissario non approdarono a nulla.
Gallarate non pagava!
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27 Dicembre 2023 - Mercoledi' - sett. 52/361
redigio.it/rvg100/rvg-52-361.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO587-alberi-Milano-02.mp3 - Alberi a Milano
Nessuna notizia dal Villaggio
Il lavoro dei milanesi
Il lavoro è certamente nelle nostre corde e spesso veniamo criticati perché a Milano si corre invece di camminare. Ma dove credete di andare ci dicono ma noi sappiamo anche andare piano quando è opportuno
Ma se ci si pensa bene, il fatto di correre quando si è impegnati, è la premessa per avere più libertà per gestire il nostro tempo. Tanto per fare un esempio, se ho un appuntamento a una certa ora, preferisco arrivare qualche minuto prima e ottienici due risultati uno fa bella figura e avere più tempo per fare quello che devi fare e questo è il principio che sta a capo Del nostro tempo libero
Dopo aver lavorato anche duramente, cerchiamo di compensare con qualcosa di gratificante che può essere una gita della domenica una vacanza più lunga magari una seconda casa, a questo proposito tieni presente che da secoli i milanesi, naturalmente quelli più signori, sono conosciuti per le più belle ville di Lombardia in Brianza e ai laghi e andando ancora più indietro nel tempo per i castelli che i Visconti hanno sparpagliato qua e là fino alla attuale Svizzera con i loro begli stemmi col Biscione. peraltro questa non è un'esclusiva del milanesi perché ovunque i ricchi hanno fatto e fanno le stesse,cose ma qui da noi in Italia voglio dire i milanesi hanno continuato fino a oggi e si può dire che non c'è luogo di vacanza dove non siano ben accolti
Cose di Milano
El vicol di lavandee -  vicolo dei Lavandai ang. alzaia Naviglio Grande
Del tipico lavatoio ne è rimasto solo qualche esempio. La lavandaia (lavandera) appoggiava sulla pietra inclinata (preja) un asse di legno a tre sponde con impugnatura (brellin), su cui fregava i panni utilizzando come solvente el palton. Esisteva la lavandera de color, de bianch, de gròss, de fin.
A inizio '800 ci si ingegnava con mestieri per strada: el magnan stagnava le pentole, el strascee ritirava panni usati, el rottamatt ritirava ferri vecchi, el ciaparatt cacciava topi, el moletta era l'arrotino, el cadreghee l'impagliatore di sedie, el trombee l'idraulico. Quando non esisteva il sostantivo specifico si usava il pronome quèll e l'oggetto: quèll del zuccher filaa, de la riffa (venditore di dolciumi a scommessa), de la scimbietta (scimmietta) e de l'orghenin, del lott, di rann (delle rane), di cuni che vendeva le castagne di Cuneo infilate a collana, di pericotti (pere cotte), de la gnaccia (castagnaccio) che veniva dalla Toscana.
Per strada era facile incontrare le piscinine (apprendiste) che consegnavano a domicilio grandi scatoloni coi vestiti delle signore, ma in troppe poi avviate alla prostituzione. A fine '800 in migliaia trovarono lavoro nelle fabbriche. Le condizioni erano dure, fino a 14 ore di lavoro al giorno, senza ferie, senza mutua per le malattie né pensione per la vecchiaia. Per donne e bambini tre e sei ore di lavoro per un chilo di pane, rispettivamente.
La riapertura dei Navigli
A Milano non si sta mica con le mani in mano, piuttosto si passa il tempo a scavare buche e poi a coprirle, e se ancora non è abbastanza si usano le buche per farci passare l'acqua dalla Svizzera a Venezia, ed ecco che abbiamo i Navigli: degli azzurri ruscelli dove saltano le trote e cadono le biciclette.
E non è abbastanza: adesso è il periodo della riapertura delle buche, e il sindaco annuncia festante: "Si andrà in nave da Locarno a Venezia via Milano!"; salvo poi ripensarci e rettificare: "in effetti non saranno delle normali navi, ma delle imbarcazioni più piccole, tipo transatlantico o superpetroliera; inoltre, così anche la Svizzera potrà avere la sua flotta di sottomarini nucleari, che risalendo sotto piazza del Duomo - dando la precedenza alla metro gialla - attraccheranno alla loro base svizzera, formata da cioccolato svizzero con latte munto da mucche svizzere, che mangiano erba svizzera che cresce su suolo svizzero calpestato da piedi svizzeri che indossano scarpe svizzere prodotte da mani svizzere che agiscono mosse da pensie..." (non è riuscito a terminare la frase, svenuto per carenza di ossigeno nel sangue - causa ipoventilazione). Alcuni sospettano un atteggiamento eccessivamente filosvizzero da parte del sindaco, ma solo perché non sono svizzeri; per tutti gli altri è un vero italiano, che in quanto tale pensa alla Svizzera per distrarsi dallo Stato italiano.
Ul mangià dul di Natal
A Natale mangiano tutti, a Busto come in ogni altra località sia d'Italia che del mondo. E mangiano differente del solito e più del solito. È tradizione di festeggiare il Natale con una buona mangiata. La tradizione non l'ho inventata io, c'era già quando son nato. Mi limito quindi a registrare, quale cuoco brevettato della squisita ed impareggiabile cucina nostrana, quello che nel pranzo di Natale i bustocchi solevano mangiare nei tempi andati, quando, cioè, il Natale (in fatto di pacciatoria) si verificava solo una volta l'anno. Debbo rettificar questa affermazione e toglierle l'assoluto. Si mangiava come a Natale anche quando si faceva qualche sposalizio: e bot lì.
Dunque, a Natale si mangiava differente e più del solito. Fermiamoci per il momento al più del solito, il che richiede una certa preparazione. C'era (parlo sempre dei tempi passati) chi prendeva il purgante due giorni prima per vuotare la sacca e poterla riempire a tutto agio e c'era anche chi si massaggiava le mascelle una settimana prima per allenarle allo sforzo continuato del masticare per alcune ore. Avverto che questa ultima abitudine non è scomparsa del tutto, ad evitare che lo stomaco abbia ancora capienza per contenere il cibo e le mascelle non rispondano più alla funzione masticatoria, per difetto di allenamento. Sarebbe una grande delusione!
Un bustoccu tradizionalista non mangerà mai la mattina di Natale il latte. Perchè? il latte generalmente, si mangia tutti i giorni del calendario. A Natale bisogna fare diverso. C'è il brodo di carne e cappone, il che impone di mangiare di buonora un'ottima zuppa o quanto meno un buon brêud'e vén, per preparare lo stomaco al gran pasto di sostanza. Tutti i giorni si mangia a mésdi; il di Natale si mangia alla una (alle tredici). E si continua per alcune ore fin che ul stòmagu al refüda ul mangià. Crèpa panscia che ùa roba la vânza!
Veniamo alla lista del gran pranzo, atteso da mesi e da mesi, con grande ansia nelle settimane di vigilia.
Capo primo: quàttar fraschi da salàm mistu e un par da sardin, tanto per iniziare.
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28 Dicembre 2023 - Giovedi' - sett. 52/362
redigio.it/rvg100/rvg-52-362.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO531-Sacro-Monte-02.mp3 - Il nostro Sacro Monte
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Toponimi di Cadrezzate
CADREZZATE  - Cadrezzate: m. 281; kmq 5.00; abitanti 1570. - Comune della provincia di Varese, situato 18 km a sud-ovest di Varese sulla sponda occidentale del Lago di Monate. - Il nome è attestato per la prima volta in alcuni documenti nell'anno 999 come Cadregiate. L'origine del toponimo è dubbia e si potrebbe far risalire ad un antroponimo del tipo *Catricius o Catrinius. Un'ipotesi più datata riconosce in Cadrezzate l'antroponimo Quadratius attestato in vari documenti.
1) Baraggiola: in dialetto Barigiöre. È una piccola area nei pressi del centro del paese, un tempo adibita a rimessa per gli attrezzi dei campi, ma anche utilizzata come piccolo spazio di terra per coltivare verdure ad uso domestico. Il nome è diffuso in più luoghi lombardi anche in varie altre forme (cfr. Baraggia nel comune di Vimercate -MI-, Barazzina nei pressi di Lodi). Il toponimo deriva dal'appellativo dialettale lombardo e piemontese baragia che significa "landa", "luogo incolto". E' possibile una connessione con la voce friulana baràzz "rovo". Alcuni vi scorgono una radice gallica *barros "roveto, sterpeto"
Cosi' di raccontava
La miee carogna - El ven a cà, on poo invers, prima di vott: el mangia, el bev, servii come on grand omm e poeu, television, puttann mezz biott, l'è lì, biccer in man, che 'l pesa i pomm.
Mì voeuri nient de ti, cara Madonna; però, se capitass che a ona quaj ora appenna stravaccaa su la poltronna, ghe ciappa on colpettin, ona malora...
L'è no che mi ghe voeuri minga ben: mi parli con amor, senza velen. E propi per salvà el mè sentiment
te preghi che ghe vegna on accident. L'è l'unica : passaa el temp di benis l'amor bisogna mettell in cornis.
Miti milanesi
Essendo i vigili urbani molto amati dai milanesi, vige la tradizione natalizia di regalare loro panettoni, dolci arricchiti con veleno per topi, o guttalax. La polizia locale è molto selezionata; pare che gli unici accoppiamenti consentiti siano quelli tra agente maschio e agente femmina, al fine di garantire la continuità della razza.[7] Il pensiero che più domina il vigile urbano medio (specie se automunito o motomunito) alla vista del misero cittadino all'interno della sua autovettura è: "Io sono il tuo Dio e la cintura di sicurezza il tuo credo, indossala anche a traffico fermo, in quanto potresti costare alla collettività e non garantirci più il pane". Da non sottovalutare anche l'uso comune di piazzarsi a 20 km/h in mezzo alla strada creando code infinite in attesa che qualcuno osi effettuare un sorpasso per multarlo. L'ausiliario della sosta altro non è che il fratello povero del poliziotto locale; anch'egli ha funzioni inibitorie sui milanesi che parcheggiano dove possono, in quanto tutti i parcheggi sono saturi dei catorci degli extracomunitari lasciati ovunque.
Busto Grande - 170 anni fa  Capitolo quinto
Gallarate non pagava!
E argomentava: chi ha mai chiesto la vostra macchina? E perchè mai, avendo spento il fuoco senza un invito della Deputazione venite proprio oggi a chiedere a noi il saldo di un debito che non possiamo riconoscere? Avete documenti, biglietti o altro firmati dalla Deputazione?
Ma Busto non si arrende << alle frivole ragioni di Gallarate ». Dopo un anno, l'8 marzo 1855, la Deputazione di Busto risponde:
< È incontrastabile che il Corpo della I. R. Gendarmeria è preposto all'ordine pubblico; è del pari in- contrastabile che l'adottare le opportune misure perchè un incendio non abbia a propagarsi è pretta mansione di ordine pubblico.
<< Ciò posto, se nella notte del 5 febbraio 1854 si apprese il fuoco alla casa dei fratelli Buffoni di Gallarate, e se l'I. R. Tenente di Gend.a residente in quel Borgo spedì a Busto un pro-Caporale per chiedervi il soccorso di questa Macchina Idraulica onde spegnere il minaccioso incendio, non sa comprendere la scrivente come la Deputazione di quel Comune si rifiuti al pagamento della spesa per questo servigio occorsa, allegando che la medesima non fece alcuna dimanda nè verbale, nè scritta per l'invio della sudd.a Macchina.Gallarate non pagava!
<< Quanto sia frivola la ragione addotta dalla Amm.ne C.le di Gallarate per esimersi dal soddisfacimento del debito che le incombe, apparirà di leggieri a questo I. R. Comm.o D.le poichè l'invito emesso dal Comando di Gendarmeria come autorità preposta all'ordine pubblico regolare ed operativo nei rapporti dei tutelati Comuni, interviene nel caso concreto a costituire la obbligazione in sua vece.
<< Per siffatte considerazioni, la scrivente Deputazione nell'interesse del proprio Comune, insta presso questo I. R. Commiss.o perchè si compiaccia interporre i propri uffici onde sia dato favorevole fine a questa pendenza ».
Ma Gallarate non paga e non risponde!
 
 
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29 Dicembre  2023 - Venerdi' - sett. 52/363
redigio.it/rvg100/rvg-52-363.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO512-Milano-SanGottardo-03.mp3 - Milano San Gottardo e oltre - molte sorprese e un po' di mistero -
Nessuna notizia dal Villaggio
Sport Milanese
La "Scala del calcio" -  via Dessiè / via Achille
Lo stadio, dedicato a San Siro, aveva una capienza di 35.000 spettatori e fu inaugurato con un derby (Internazionale-Milan 6-3) il 19 settembre 1926. Nel 1955 fu costruito il secondo anello e nel 1990, in occasione dei campionati mondiali, il terzo anello che ne aumentava la capienza a 83.000 spettatori seduti. Nel 1979 lo stadio venne intitolato a Giuseppe Meazza, Peppin, campione del mondo nel 1934 e nel '38. Il Milan venne fondato il 18 dicembre 1899, colori sociali il rosso e il nero. Tra i presidenti più vincenti Andrea Rizzoli e Silvio Berlusconi, e tra gli allenatori Rocco, Sacchi e Capello. I campioni più noti? Nordhal, Liedholm, Schiaffino, Altafini, Rivera, Maldini, Baresi, Van Basten, Gullit, Kakà. Il Milan ha conquistato 18 scudetti, 7 coppe dei Campioni, 4 coppe Intercontinentali, 2 coppe delle Coppe. L'Internazionale, o Inter, venne fondata il 9 marzo 1908 da soci dissidenti del Milan perché favorevoli all'ingresso di giocatori stranieri, colori sociali il nero e l'azzurro. Nel 1928, du rante il fascismo, la società fu obbligata a cambiare il nome in Ambrosiana fino al 1945. II momento di maggior successo fu negli anni Sessanta con presidente Angelo Moratti e alle natore Herrera e poi con Massimo Moratti grazie al "triplete" con Mourinho allenatore. I campioni? Meazza, Campatelli, Ghezzi, Skoglund, Angelillo, Corso, Mazzola, Facchetti, Suárez, Ronaldo, Ibrahimovic. L'Inter ha con quistato 18 scudetti, 3 coppe dei Campioni, 2 coppe Intercontinentali, 3 coppe Uefa. Il derby è uno spettacolo da non perdere!
Cosa preparo per oggi
El vitell tonné - L'è facil, l'è subit imparaa. Se ciappa de la fesa de vitell e, in d'on cazzirolin strenc, misuraa, pussee l'è strenc, mei l'è e a bon fornell la se fà coeus per tant come on oretta, pena quattada d'acqua e con dent pever in grana, saal, 'na bella scigoletta, del laur e on gambin bell bianch de zeller.
Passà intant per dò volt al sedazz fin, quatter inciòd e on etto e mezz de ton a l'òli, fasend foeura on purerin. A spart fà con de l'òli de quell bon 'na majonnesa de duu oeuv, duretta, densa, peu tralla insemma a la passada d'inciòd e ton, fasend ona bagnetta ben petittosa e insemma delicada.
Finila cont asee quell bianch e fin, peu del sugh de limon e on quai cugiaa se per caas l'occorres, de quel brodin doe l'è còtt el vitell e peu sfregiaa.
tiraa bell luster, bell doraa, speciaal, no te'l perdevet d'oeuce per on tre or faseden foeura on vero capolavor.
Car pollin de Natal, 'me t'ho present! E ti, mamma, sudada, tutta intenta a fa la toa famiglia in ti contenta!...
Oh temp! Ma incoeu el pollin el m'è pù nient... El me fa gola pròpi pu el pollin...
Mah!... L'è che allora s'era piscinin...
E adess son 't gris e muff e stracch sul seri dal gran sgobbà ch'o faa ai me temp do' s'eri a guadagnam el pan a guida d'on mestee estros e insemm cruzios assee assee.
Sposinn, mamm, ve regali la ricetta, ma no stee a famm - a la minee - se sont in bolletta.
Cosi' di raccontava
El cugnaa con rott i ball - El dì che me sposavi, poer bagaj, hoo dii de sì per minga dì de no. Ma adess, Gesù, domandi come mai invece d'ona miee, mì ghe n'hoo do.
La prima l'è legittima, sposada, e se la romp i ball, tocca tasè. Ma l'altra, voeuri dì la mia cugnada, la gh'entra minga cont i affari mè.
L'è minga in del contratt, sto sacrament che tutt la voeur savè, e la sa mai nient: la va e la ven, la fa imbiancà la cà cont el color che pias al sò papà. Mì el soo che on dì la mazzaroo, ma tì prima ancamò, Gesù, falla morì!
La leggenda di Sant'Ambrogio e la mucca
Da ragazzo, quando uscivo alla sera con gli amici per una pizza o altro, mia madre mi diceva sempre: ricordess che "Sant'Ambroeus per la compagnia l'ha mangiàa ona vacca!". Poiché la frase me la ripeteva ogni volta che cenavo fuori, un giorno le chiesi di spiegarmi il perché; lei mi raccontò la seguente leggenda.
A Marcellina, sorella di Ambrogio, Madre Superiora di un convento di suore, nei pressi di Brugherio, proprio l'ultimo giorno di carnevale era morta la mucca che dava il latte per loro e per gli orfanelli. Lei e le con- sorelle decisero di cucinarla ma siccome il giorno dopo sarebbe iniziata la Quaresima e in Quaresima non si poteva mangiare carne, si rivolse al fratello per sapere cosa avrebbero potuto fare per non disperdere tutto quel ben di Dio. Ambrogio impietosito dalla disperazione della sorella, nella sua qualità di Vescovo di Milano, decise di prolungare di altri quattro giorni il carnevale, permettendo così alle monache di potersi cibare della carne. Ringraziando Ambrogio, Marcellina, che poi diverrà santa anche lei come il fratello, insieme alle consorelle organizzarono un grande pranzo al convento e naturalmente il primo invitato fu Ambrogio, che non seppe rifiutare. Sollecitato dalle suorine mangiò così tanto che alla fine stette male. Per questo episodio i milanesi coniarono il detto, rivolto a chi è solito consuare lauti pasti: "S. Ambroeus per la compagnia l'ha mangiàa ona vacca... el s'è ingossaa inscì tant che a la fin l'è sta mal!".
La metafora non mi riguardava perché quando uscivo con gli amici, dopo il film, andavamo a mangiare una pizza o un panino con una fetta di zampone e un calice di passito di Pantelleria, da Scoffone, in via Vit- tor Hugo. Allora le nostre finanze non ci permettevano altro!
Uno po' di dialetto milanese
Tira-s'giaff = tiraschiaffi, persona odiosa. Na facia da tira-s'giaff = un muso da schiaffi
Tirass = tirarsi. Tirass adoss un mücc da fastidi = tirarsi addosso un mucchio di problemi. Tirass adré = man- tenersi e/o migliorare in salute. Tirass aprèss al fögh = accostarsi al camino. Par fa quel mistée li bögn tirass aprèss in tri o quatar = per fare quel lavoro bisogna radunarsi in tre o quattro. Tirass dent = ritirarsi all'intemo. Tirass fo= togliersi (da una società, da una compagnia, da un affare, da un fastidio). Tirass fo ul giché = togliersi la giacca. Tirass indré-tirarsi indietro (per evitare un pericolo, ritirarsi da un affare). Tirass in 12 = allontanarsi, farsi in la. Tirass in ment=rammentarsi, fare uno sforzo per ricordare. Tirass ra pell in co - affannarsi, ammazzarsi di lavoro, ridursi all'estremo, sacrificarsi. Passan la malatia re dre a tirass s = dopo la malattia si sta riprendendo. Tirass su in setin sul lécc = sollevarsi a sedere sul letto, Tiras (firat) sti da dose!-to- gliti di dosso! Tirass via = farsi da parte,
Tirett, firetin = cassetto, cassetino, Tirlindana = lenza a più ami che viene trainata in acqua dalla barca in movimento,
Tidigh = ammalato di fisi. Vedi an che Begh
Titul = titolo,
To = two, tuos, tua, tue, Ul to pa, la to mama, i to fio, i to tusann = il tuo papa, la tua mamma, i tuoi figli, le
brela nova = comperare un ombrello nuovo. To adré = prendere con se. Tö cunt í bónn = prendere qualcuno con le buone maniere. To dent = prendere in cambio, ritirare in permuta. Tö gió 'n'aspirina = prendere un'aspirina. Tö miée (mari) = prender moglie (marito). To sú 'l düü da copp = lett. prende re il due di coppe, ovvero andarsene, svignarsela. To sú í danée dul cassett = prelevare i soldi dal cassetto. Fass to st = farsi prendere per il naso, farsi gabbare. To il fiaa = insistere in modo importuno, assillare, seccare. Toss via i penséer = togliersi il pensiero. Mia fass to via = non farsi sorpren dere, non lasciar trasparire le proprie intenzioni. Togan a chi piang e dazan a chi riid = lett. toglierne a chi piange e dare a chi ride, ovvero spesso chi si piange stå molto meglio di ride. L'e da to e mette da togliere e mettere, è una cosa mobile. Save mia indue'na a tola = lett. non sapere dove andarla a prendere, ovvero non sapere a chi (o a che cosa) rivolzersi. Tossala cunt un quaivin = pren dersela con qualcuno.
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30 Dicembre 2023 - sabato - sett. 52/364
redigio.it/rvg100/rvg-52-364.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO518-Milano-1922-01.mp3 - Storia di Milano dal 1922 al 1940 -
Notizia dal Villaggio
Il bar e' aperto il 08 09 10 dicembre
Il bar e'aperto il 30/31 dicembre
il bar e' aperto il 06 07 gennaio
Il bar e' aperto il 27 28 gennaio
il bar e' aperto il 10 11 febbraio 
Il bar e' aperto il 24 25 febbraio
Storielle
RICONCILIAZIONI - Non correre dietro a un uomo né dietro a un tram, perché via quello ce n'è un  altro.(Proverbio inglese)
Ci inchiniamo al progresso: però c'è da ammettere che le macchine ci raggelan, ci agghiacciano, fan da barriera, impediscon, uccidono i contatti umani. Così la macchina obliteratrice. Ora sugii autobus e sui tranvai non c'è più il bigliettaio, ragion per la quale più non vedremo la sua innamorata che, qualche giorno dopo una lite, capitava sulla piattaforma posteriore, per cercare di riconciliarsi con lui.
Il bigliettaio faceva il sostenuto. Le diceva, guardandola severamente negli occhi: "Signori, biglietti!", neanche lei fosse un passeggero qualunque. Acquistato regolarmente il biglietto, lei come al solito se l'infilava nell'anellino.
Secondo Ramon Gomez de la Serna: Coloro che si infilano il biglietto nell'anello sembra che si siano sposati col tram.
(La riconciliazione manco male avveniva al capolinea).
Proverbi Milanesi
L'è inutel serà su el stabiell dopo che l'è scappàa el porscell.
È inutile chiudere il porcile dopo che è scappato il porco.
Antico proverbio milanese che si diversifica in molteplici forme anche in italiano; molto noto quello parallelo come significato: «E inutile piangere sul latte versato». Si può definire un richiamo al buon senso sulle inutilità delle reazioni umane dopo un avvenimento irreparabile.
Villaggio turistico 1/5 -  Animatori di sesso femminile
Il femminone - Il femminone è un esemplare di femmina di Homo Sapiens facente parte della categoria Svalbard meglio nota come Grazie di esistere. Occhi verdi, capelli biondi o anche rossi, pelle morbida e liscia di un colore tendente all'ambra dorata, tutte le curve al posto giusto, ABS, sensori di prossimità per parcheggi difficili e controllo ESP integrato. Una figa paurosa insomma. Oltre alla bellezza smisurata, cerca di apparire in qualche modo utile al gruppo di animatori provando a recitare, ma quando sale sul palco la sua voce ricorda i peti di un ippopotamo. Con lei ci proveranno ovviamente tutti indistintamente, dai mariti ai figli dei mariti agli animatori stessi. Lei la darà solo ed esclusivamente alle seguenti tre categorie di uomini:
Giovani ricchi ed aitanti;
Vecchi ricchi ed in procinto di schiattare;
Il Direttore del villaggio in cambio di alloggi confortevoli e dotati di aria condizionata.
La ballerina - Ballerina stressata dal troppo lavoro. - La ballerina è di solito una ragazza minuta e aggraziata, dal portamento dolce e soave come un plenilunio. Capelli lisci e biondi raccolti dietro la nuca, occhi castano chiaro o azzurri, visino pulito e passo agile, nel gruppo non fa altro che organizzare coreografie e balletti per le sigle insulse propinategli dal proprietario del villaggio. Invidiosa del femminone, a cui inevitabilmente vanno le attenzioni di tutti i maschi e dei loro peni, si ritiene l'unica capace di muoversi decentemente sul palco; cerca di dissimulare la sua esuberanza sessuale ma fallisce inesorabilmente, perché finirà per trombarsi almeno uno dei tanti animatori maschi; in tal caso predilige il giocherellone. Spesso durante la durata del contratto lavorativo fa amicizia con la mandrilla; tale rapporto si basa ovviamente sulla necessità comune delle due donne di osteggiare il femminone, in pieno accordo con l'istinto di competizione femminile. Con la mandrilla al suo fianco riesce a sbloccarsi e a sciogliersi un po', cosa che spesso accade nelle eventuali serate-disco organizzate dalla direzione; a volte la Ballerina sa anche recitare discretamente, organizza eventuali mini-club per i bimbi e fa l'acquagym per i trichechi pelosi che tentano di dimagrire inutilmente ospitati dal villaggio. Al termine del contratto la sua massa corporea sarà calata drasticamente ed entrerà in cura da uno psichiatra.
La mandrilla - Mandrilla su sfondo verde. - La mandrilla è l'equivalente femminile del piacione. Si presenta come una ragazza piuttosto disinibita, con capelli mossi di un colore che varia dal rosso scuro al biondo, fisico piuttosto asciutto e nella media minuto, agile e sodo, un culo da sogno ed un volto[5] ammiccante che finisce per causare infarti negli uomini di una certa età, scompensi ormonali in quelli troppo piccoli ed imbarazzanti erezioni colossali per gli adolescenti. Di solito è simpatica e di mente aperta, sempre gentile con tutti. Come il piacione sarà sempre di corsa qua e là, giocando a calcio o a pallavolo sulla spiaggia, ballando e recitando e nuotando. Possiede discrete abilità recitative e sa muoversi bene sul palco; di solito nei ridicoli spettacoli che la direzione artistica organizza interpreta sempre la cafona o la vasciaiola. Ha rapporti occasionali con tutti quelli che le piacciono, il cui numero di solito staziona intorno alla ventina di uomini presenti nel villaggio, e non disdegna avventure lesbo con la ballerina, stile Natalie Portman in Black Swan.
Quanta sapienza i noster vècc
Un tempo a Milano, di chi scappava impaurito di fronte ad un pericolo, si diceva: "El va come on arian!". Il detto pare abbia origine dalla lotta sostenuta dal vescovo Ambrogio contro i seguaci di Ario, messi in fuga dal suo staffile. Una leggenda narra che la consuetudine di ritrarre Ambrogio con lo staffile è legata alla battaglia dei milanesi, capitanati dal Signore di Milano, Luchino Visconti, contro il cugino Lodrisio il 21 febbraio 1339 e vinta dagli ambrosiani.
La lotta che si combatté sulla neve fu sanguinosa; Luchino era stato catturato e le sue truppe disperse, quando nel cielo apparve la figura di S. Ambrogio a cavallo, armato di uno scudiscio nella destra, col quale colpiva i mercenari di Lodrisio sul viso, volgendoli in fuga! Come dire: "Scherza coi fant, ma lassa sta i sant!".
È tempo di ammazzare il maiale e anche questa è un'occasione in più per ritrovarsi; ai bimbi si poneva questo indovinello:
"Qual'è quell'animal che l'è bon de mort e minga de viv?" (il maiale).
Un proverbio comasco riscatta il simpatico animale accomunandolo al padrone: "Omen e purscej, anca se i è brott, i è bon e bej!" (Uomini e porcelli, anche se son brutti, sono buoni e belli).
Nella città di Teodolinda la luganega de Munscia viene ancora preparata su ordinazione del cliente in diversa quantità e misura.
In questo peana al maiale non poteva mancare la cassoeula, cucinata da mani esperte con "costin, pescitt, salamin de verza e ona quaj codega"... e se qualcuno avesse da obiettare circa l'utilizzo della cotica, ecco pronto un proverbio: "La cassoeula senza codegh e l'insalada senza aj, hinn istess d'ona sposa senza bagaj!"
A Torre de' Picenardi (CR) il salumificio Santini conserva le traizioni: culatello, culaccia, salame con e senza aglio, cotiche con fagiolini, cassoeula, costine, piedini e tutto il quinto quarto del maiale. Una delizia per gli occhi ed un invito "a mett i gamb sotta el tavol".
Ma adesso passiamo ad un altro argomento per rispetto verso coloro che sono a dieta e certe leccornie non possono permettersele... Dicembre è il mese della pioggia, del freddo, della neve ma anche della luce perché con S. Lucia (13 dicembre) le giornate cominciano ad allungarsi: "A Santa Lusia el pass d'ona stria!".
Aldo Milanesi scrive che per Santa Lucia i bambini andavano nella stalla a prendere un po' di fieno da mettere sul davanzale della finestra, per dar da mangiare all'asinello che arrivava carico di doni. In casa, invece, si apparecchiava la tavola con la tovaglia più bella e la cocuma del caffè era pronta da offrire alla santa perché almeno, col freddo che faceva, poteva scaldarsi un po' lo stomaco; al mattino seguente, guai se i bambini non trovavano la tazzina sporca di caffè!
Molto amata dai bambini Lucia, protettrice di Siracusa, in molte località lombarde sostituisce Babbo Natale nel portare regali ai più piccini: "Santa Lussia, mamma mia, cun la borsa del papà, Santa Lussia la vegnarà!".
A Cremona, in piazza Cavour, la sera del 12 dicembre, i venditori ambulanti fanno buoni affari vendendo gli ultimi giocattoli ai papà che non hanno avuto il tempo di acquistarli prima.
Offrono anche i famosi giardinèt, un misto di: nisoole, galéte, ciucarooi, zacaréle (nocciole, arachidi, castagne secche e mandorle) unite a noci, prugne e fichi secchi.
Sempre nel cremonese una leggenda racconta che la santa tirerebbe una manciata di sabbia del Po negli occhi di tutti i bambini che trova ancora svegli quando passa con l'asinello a distribuire doni; per paura di incontrarla, i più grandicelli prima di mezzanotte, girano a gruppi per le vie cittadine dando fiato ai loro zufoli per avvertire i più piccini che è tempo di dormire.
Quando entra qualche corpuscolo in un occhio è consigliabile rivolgere alla santa questa supplica: "Santa Luzia fim 'na fora 'sta purcheria!" poiché Lucia oltre che essere la protettrice degli agricoltori è anche invocata nelle malattie degli occhi, come ci fa sapere il detto milanese: "Che Santa Lusia te conserva la vista!" (per la verità riferito a chi mangia con ingordigia, in modo che possa vedere cosa sta divorando).
A Milano Santa Lucia è la patrona dei marmorin (lapicidi) che un tempo avevano la loro sede nella Cascina Camposanto posta dietro il Duomo dove, secondo una leggenda, nacque il famoso risotto alla milanese, gloria e vanto di ogni meneghino.
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     31 Dicembre 2023 - Domenica - sett. 52/365  
redigio.it/rvg100/rvg-52-365.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO514-Milano-SanGottardo-05.mp3 - Milano San Gottardo e oltre - un moderno intervento di recupero - l'ultima casera e la giardinetta archeologica -
Notizia dal Villaggio
Il bar e' aperto il 08 09 10 dicembre
Il bar e' aperto il 26 dicembre per il pranzo di Santo Stefano
Il bar e'aperto il 30/31 dicembre
il bar e' aperto il 06 07 gennaio
Il bar e' aperto il 27 28 gennaio
il bar e' aperto il 10 11 febbraio
Il bar e' aperto il 24 25 febbraio
Tradizioni culinarie di Crema
I "TURTEI" CREMASCHI - Crema è uno scrigno colmo di tesori gastronomici: talmente colmo da poter vantare almeno una specialità per ciascua delle rituali portate, dal primo piatto al dolce. È obbligo iniziare rendendo omaggio ai superbi tortelli cremaschi, delizia fra le delizie in una terra che al tortello, fra Cremonese e Mantovano, dedica un vero e proprio culto. Delizia fra le delizie, inoltre, perché i "turtei" cremaschi rappresentano l'apoteosi di quell'encomiabile indulgere lombardo (e padano in genere) all'agrodolce che, al pari dei beni artistici e paesaggistici, dovrebbe essere tutelato come patrimonio dell'umanità. - Tradizionalmente i "turtei" hanno forma a mezzaluna, con le caratteristiche e di rei indispensabili imperfezioni derivate dall'essere fatti a mano e chiusi con una pressione dei polpastrelli che li orna delle tipiche "cappette": l'aspetto un po' irregolare non è quindi una conferma dell'adagio popolare per cui un "mestèr cremasch" sarebbe un lavoro fatto alla bell'e meglio, ma la garanzia della loro genuinità. Basta assaporarli, del resto, per rendersi conto che si tratta di una raffinatissima apoteosi della pasta fresca ripiena, di origine presumibilmente colta, come potrebbe facilmente dimostrare un'attenta collazione con ricettari rinascimentali. - Il sofisticato ripieno, che evoca sapori di altri tempi, richiede due tipi di biscotti: gli amaretti (meglio se "scuri") e un poco di mostaccino, tipico biscotto secco cremasco con cannella, chiodo di garofano, noce moscata, macis e pepe. I biscotti, finemente sbriciolati, sono impastati con pera sciroppata, menta (sotto forma di caramella pestata), pangrattato e grana grattugiato nonché cedro candito tritato e uva passa, amalgamando il tutto con brodo di carne prima di racchiuderlo in dischetti di sfoglia all'uovo leggermente salata. Per il ripieno eccellente, così complesso, solo se in perfetto equilibrio - si conoscono alcune varianti, che prevedono ad esempio l'uso di poco cioccolato fondente e liquore all'anice, aggiunte che francamente ci paiono un po' ridondanti.
AA VENUTA DI REMAGI
Pare che i Remagi non si fossero mai conosciuti prima di incontrarsi sulla strada che li conduceva alla Santa Meta. È certissimo, però, che quando si incontrarono a Busto erano già tutti e tre uniti. Raggiunsero la nostra città casualmente, dopo aver girato mezzo mondo, a causa di un incidente di viaggio: ad un certo punto incontrarono un fitto strato di nebbia che tolse loro ogni possibilità di orientamento. Fatto consiglio, decisero di fermarsi a pernottare nel più prossimo abitato, che era Busto. Così giuntivi, vi fecero sosta. Per non arrecare danno alla popolazione con i loro cammelli, scelsero un "pra" e legarono le bestie ad una robinia. Siccome faceva molto freddo, bussarono alle porte delle vicine cascine per aver un po' di legna con cui accendere il fuoco e un po' di strame per i cammelli. Al momento i contadini, svegliati in piena notte, ebbero paura e credettero che si trattasse di ladri, ma, visti i mantelli dorati e le corone di brillanti che coprivano i tre personaggi, si affrettarono a mettersi a loro disposizione. Quell'inverno era molto rigido e la scorta di legna era completamente esaurita. Per ospitalità, allora, i contadini levarono le imposte dalle finestre e ne ricavarono tanti pezzi per un falò. I Remagi rimasero colpiti da tanta squisitezza di sentimenti, per cui trassero dalle loro tasche delle coroncine luccicanti e ne fecero dono alle famiglie contadine.
Intanto la nebbia era sparita e si era fatto sereno. I Remagi avvertirono i bambini, accorsi nel frattem po, che il gioco di stare in gobba ai cammelli stava per finire, poiché loro dovevano ripartire. L'ultimo bambino, un certo "Cumèta", che stava per scendere dal cammello, emise a questo punto un grido di meraviglia e poi si diede a urlare con quanto più fiato aveva in corpo: "Aa stèla, aa stèla cunt aa cua!". Tutti rivolsero gli occhi al cielo e videro la stella del Cumèta. I Remagi assicurarono i contadini che la stella con la coda portava una buona novella e che presto avrebbero avuto notizie di un avvenimento che sarebbe stato ricordato per tutta l'eternità.
Dopo di che si allontanarono sui cammelli e partirono, preceduti dalla stella sulla via di Betlemme. Si seppe poi che era nato il Messia.
Memori della gradita accoglienza della popolazione bustese, i Remagi (se non tutti, almeno uno) la notte di ogni vigilia dell'Epifania tornarono sempre a Busto e non mancarono mai di lasciare doni per i bambini, anche per quel bravo Cumèta che, per primo, vide la stella con la coda: "aa stèla cumèta". Il ponte dei Remagi costruito in Savigu (via Monte bello), la Cuccagna di piazza Cristoforo Colombo e i Remagi che giravano nella cassetta di cartone erano segni delle leggende bustesi.
Gennaio è ricco di feste e tradizioni: non possiamo certo dimenticare "i trì dì di merli" o il "Sant'Antonio", ricorrenza che fa da coda alle festività natalizie e che si festeggia col codino del maiale, amico del Santo, cucinato in cazeula (botaggio di verze). Vogliamo però dedicare la nostra attenzione ad un'altra figura tipica di questo mese.
Un po' di dialetto
Tocch = pezzo. Na in tocch = andare in pezzi, fig, andare in rovina. Un tant al tocch = a occhio e croce, approssi mativamente, grossolanamente: fa í robb un tant al focch = far le cose malamente, senza attenzione. L'e 'n tocch d'una vargogna = lett, é un pezo di una vergogna, ovvero è una cosa vergorosa. Tocch da coll = tipo senza scrupoli, canaglia. Un tocch da pan= un pezzo di pane. Vess un tocch da pan = essere molto buono. Un toech d'omm = un pezzo d'uomo. T6cch = 16cco, guasto. Un pomm tócch = una mela guasta. Tócch in di pulmin = lett. tocco nei polmoni, tubercolotico. L'è tócch in dul cò = è un cervello bacato.
Tógn = Antonio.
Filastrocca recitata dai bambini per il gioco della "sberla" o simili: Tógn, Tógn pera pómm
pera pomm, pera fiigh capitàni di furmuigh capitani di suldaa
indivina, chi l'è staa? Antonio, Antonio pela mele pela mele, pela fichi capitano delle formiche capitano dei soldati indovina, chi è stato?
Toj = prendi, tieni, prendete, tenete; assume anche un significato esclamativo che esprime stupore analoga- mente all'italiano "toh!": Oh töj! sa ourii fagh cusè? = toh! che cosa volete farci? E omologo al francese "tiens". Tòla latta, lamierino, banda stagnata. Un pedrio da tòla = un imbuto di latta. Indica inoltre la "latta", recipiente ricavato da banda stagnata o meno: la tòla dul petroli = la latta del petrolio. Fig. tòla = audacia, sfacciataggine. Ga vör 'na bèla tòla a dì cèrti robb = occorre una bella sfacciataggine per dire certe cose. Facia da tòla faccia di bronzo, sfacciato, svergognato. Quando qualcuno inghiotte facilmente cibi o bevande bollenti si dice al gh'ha 'l canarözz fudràa da tòla ha gola ed esofago foderati di lamiera.
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RVG settimana 51
 
Radio-video-giornale del Villaggio
 
Settimana-51 del 2023
 
RVG-51 - da  - Radio-Fornace
Settimana 51       2023-18-12 -  Dicembre - Calendario- la settimana
lunedi        18/12 - 51-352 giorno
marrtedi        19/12 - 51-353 giorno
mercoledi        20/12 - 51-354 giorno
giovedi        21/12 - 51-355 giorno
venerdi        22/12 - 51-356 giorno
sabato        23/12 - 51-357 giorno
domenica       24/12 - 51-358 giorno
 
18 Dicembre 2023 - lunedi - sett. 51-352
redigio.it/rvg100/rvg-51-352.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO511-Milano-SanGottardo-02.mp3 - Milano San Gottardo e oltre - burlesche dicerie sui furmagiatt - la chiesa di San Gottardo al Corso -
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-007.mp3 - Una nota personale sulla questione dell'interventi del Ludico sulla musica al bar per feste quasi private
Letterine
Le lettere d'amore muoiono come genere letterario perché non ci sono più caminetti in cui bruciarle
Ma i caminetti adesso son tornati di moda civettuoli piccolini dagli stranissime originali novecentesche forme che però sempre caminetti ci sono e ancora offrono di conseguenza la possibilità di bruciarvi se del caso quante lettere d'amore si vogliano terminato un idillio
La stagione ideale per certe operazioni va da sé che sarebbe la stagione invernale risulta quantomeno accettabile allora il calore del suo caminetto mentre si butta nel fuoco lettere ormai odiate piene di zeppe come sono di "giuro d'amarti fino alla morte" e con simili frasi scritte da individui risultati poi spergiuri
Però a volte purtroppo a bruciare nel caminetto le lettere d'amore non si possono aspettare i primi freddi si eviti a volte ad una febbre
Febbrile e giustificatissima impazienza la bella abbandonata si è abbandonata nel mese di giugno obbedendo a un impulso irresistibile .
Egualmente accende il caminetto rivoli di sudore le scorrono allora lungo le guance rendendolo operazione ancora più irritante che già si sarebbe da prendersi a schiaffi al sol pensiero di aver creduto a tante dichiarazioni inscritto d'amore eterno che invece di eterno alla prova dei fatti
Si è rivelato solo provvisorio e poi anche benissimo darsi che la bella addormentata nel mese di giugno si prende a schiaffi sul serio a causa di zanzare attirate dalla fiamma del caminetto e ancora il più da chi l'ha accesa pensando che la fiamma è anche passione amorosa ed anche la persona che si ama vorrebbe verrebbe la voglia di parafrasare quanto dice un poeta toscano,  credevo che lavoro fosse un bel gioco beh riuscita una fiamma di fuoco
Toponimi di Biandronno
5) Castèl: località nota anche come Castelvetro (presumibilmente derivante da un forma latina castellum veterum "castello vecchio"). È la parte più alta del paese situata di fronte alla piazza cittadina e rivolta a strapiombo sul Lago di Varese, a sud della Chiesa di San  Lorenzo(v. Cadrezzate n. 7).
6) Custèra: cresta che si estende longitudinalmente tra il Laghèt e il comune di Bardello che confina a nord con Biandronno. Questo rialzo del terreno è così denominato nella parte ovest. La parte est invece, verso il lago, è nota come Runchìt. Il nome Custèra è da far risalire al termine costa con l'accezione di "pendio, parte rialzata" con l'aggiunta del suffisso -era.
7) Fornace: in dialetto noto come Furnàas. Costruzione realizzata nei primi anni venti del secolo scorso e che ha rifornito di mattoni e laterizi il comune di Biandronno e i limitrofi fino agli anni '60. Il sito è ubicato a sud della strada comunale che da Biandronno porta al limitrofo comune di Bregano.
Viaggio nel tempo
Fondi di caffè - (19 novembre 1937) - Il Nucleo di polizia tributaria sta concludendo le indagini sul contrabbando che, come abbiamo pubblicato ieri, veniva esercitato da un gruppo di donne del Comasco le quali recavano il caffè a Milano nascondendolo in busti a doppio fondo, indossati sotto le vesti.
A capocchia - (7-8 novembre 1881)
Angelo Giambelli, macchinista, di 25 anni, per motivo che assolutamente egli non vuole confessare, trangugiò ieri una schifosa miscela di lucilina e di capocchie di zolfanelli coll'intenzione di morirne. Ma il bruciore delle viscere gli strappò grida che fecero accorrere i suoi salvatori, i quali, fattogli prima ingoiare un revolsivo, lo affidarono per cure più salutari all'Ospedale Maggiore, dal quale uscirà guarito forse oggi o domani stesso.
I FESTI DA SANT'AMBREUSU
S. Ambrogio annuncia il Natale. Un tempo si incominciava ad attenderlo dopo i Morti: era questione di settimane, poi sarebbe arrivato. Arrivava carico di "pòmm e narànzi". Fin dalla sera della vigilia, in piazza S. Giovanni ed in piazza S. Maria i carrelli dei fruttivendoli, rischiarati da candele col cappuccio di carta velina colorata o, con fiamme di acetilene, si schieravano per l'attacco. Sotto al "lumbrelòn dàa Palàza" mele e arance facevano montagna; i ragazzetti facevano ressa intorno. Le mamme, con la sportina sotto il braccio e con "quàtar palanchèti in màn", aspettavano il loro turno per poter fare acquisti. I ragazzi indicavano loro le mele più rosse, anche se non erano le più saporite, solo perché erano attraenti. Nell'attesa canterellavano: Sant'Antoni al m'ha dèi un pòm Sant'Ambreusu ma l'ha fèi coesi San Libeà ma l'ha peà San Gulùsu ma l'ha mangià... L'ha vanzà ul sciustòn: Ma l'ha butà sul musòn!
"Sant'Ambreuseu al vègn: crumpé, genti, ch'al vègn Sant'Ambreusu: tàl là ch'al vègn!". I ragazzi si guardavano intorno, per vedere se Sant'Ambrogio stesse arrivando sul serio. Questo Santo incuteva molta soggezione, sia per il suo aspetto maestoso e severo, sia per quel frustino che tiene sempre a portata di mano, pronto a lasciarlo cadere sulla schiena dei "malaménti".
Prima di Natale, un tempo come oggi, molte cose dovevano essere messe a posto. Se c'erano dei bronci dovevano sparire, se c'erano delle polemiche dovevano essere interrotte, se c'erano malumori di qual- siasi origine, giustificati o meno, dovevano essere eliminati. Sant'Ambrogio accordava solo due setti- mane di tempo per fare tutto ciò. Egli inoltre non arrivava mai da solo: dietro di lui c'era la Madonna, la festa dell'Immacolata Concezione. Per questo, si parlava di "fèsti da Sant'Ambreusu", per indicare che le feste erano due, inclusa quella della Madonna.
La festa di Sant'Ambrogio si svolgeva prevalentemente al centro della città, nelle piazze di S. Giovanni e di S. Maria; la festa della Madonna si localizzava invece nella zona di S. Michele e precisamente sulla piazzetta della "Madòna da Prà". Se Sant'Ambrogio portava mele e arance, la Madonna portava "i cupèti": la sua era appunto la festa di cupèti, così come era la festa di mur ùsi (fidanzati). Infatti la maggior parte dei fidanzamenti avveniva, in veste ufficiale, durante la festa dell'Immacolata, anche perché i matrimoni venivano generalmente celebrati subito dopo la Pasqua. Se il Regiù era favorevole alla cosa, il fidanzato veniva ammesso in casa alla sera e, naturalmente, per rendere più gradito il suo ingresso, si presentava munito del suo "scartòzu da cupèti"; dovevano essere almeno una dozzina, per accontentare tutte le bocche.
Alla Madona da Prà, erano ben tante le bancarelle che vendevano le coppette, i croccanti, i torroni, i diavolotti, i manecristi e lo zucchero filato. Nel pomeriggio, la piazza non aveva abbastanza spazio per accogliere tutta la folla che vi si accalcava.
Quando faceva scuro, la gente finalmente si diradava; le discussioni interrotte dal calare della sera riprendevano più tardi nelle case, accanto al fuoco, tra un bicchier di vino e un "brancàa da castègn", perché le coppette da sole bastavano appena ad addolcire la bocca.
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19 Dicembre 2023 - Martedi' - sett. 51-353
redigio.it/rvg100/rvg-51-353.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO527-Angera-torba.mp3 - Ad Angera, la torba deve essere sfruttata -
Nessuna notizia dal Villaggio
Radio-Fornace
  1. Radio fornace richiede ai villeggianti e non, se possibile avere disponibilita' di televisori vecchi da portare in discarica.
  2. Servono per il Ludico 2024. Indispensabile la porta USB e telecomando
La bicicletta
Toponimi di Cadrezzate
6) Casa dei Ladri: toponimo non più riconosciuto oggi. È attestato nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860.
7) Cascina Castello: vecchia cascina oggi ristrutturata e abitata situata nel punto più alto del paese, sul poggio detto Motte. Il nome forse indica l'antica presenza di una fortificazione (castèl da latino castellum, derivato di castrum) che sempre veniva costruita nel punto più alto così da garantire protezione e difesa per tutta la popolazione . Non sono rimaste tracce di questa possibile fortificazione.
8) Galletto: antica cascina, ora non più esistente, che forse era situata sulla vecchia strada che da Cadrezzate porta a Osmate. Il nome potrebbe rifarsi alla famiglia Galetto, ancora oggi abitante ad Osmate.
Busto Grande - 170 anni fa
Capitolo quarto
Pare proprio che, verso i primi mesi del 1854, qualcuno si sia preso la briga, in Busto, di rivolgere all'I. R. Direttore della Polizia una domanda diretta a regolarizzare la posizione della Banda, o Società Filarmonica, che non sembrava troppo regolare.
L'I. R. Direzione si rivolge all'I. R. Commissario Distrettuale e questi alla Onorevole Deputazione Comunale che, a sua volta sempre in relazione alla << ossequiata ordinanza » della Polizia, fece chiamare il Capo Banda Giosuè Candiani detto Tuscia, falegname, per sentire come stavano le faccende.
La Filarmonica, approvata a suo tempo con decreto della I. R. Polizia, nell'aprile del 1841, aveva avuto un inizio burrascoso, perchè il 29 novembre dello stesso anno di fondazione un rapporto dell'I. R. Commissario riferiva che << dominava fra i soci la discordia e l'insubordinazione trovandosi fra essi individui irrequieti e di condotta poco plausibile ». Col camminare degli anni, poi, erano avvenuti senza autorizzazione diversi cambiamenti fra il personale della Banda, non si erano rinnovate le pratiche volute dal Piano Organico, e sopratutto, non si era tenuto più nessun conto della autorità del Delegato Politico, presente, per volere dell'Austria, in ogni associazione. Era successo un po' quel che succedeva ogni qual volta le ordinanze e le Patenti Imperiali non erano benvise al pubblico: si dimenticavano e si faceva repubblica a sè. Figuriamoci, pertanto, a Busto, ove tutti, ancora al giorno d'oggi, ci accusano di voler sempre fare repubblica per nostro conto!
Senonchè, morta la Filarmonica e venuto di nuovo al Giosuè Candiani il bernoccolo della musica, bisognò questa volta, far le cose con una certa regola. E gli I. R. funzionari non erano gente da dimenticarsi facilmente del passato. Fu così che l'I. R. Direzione della Polizia rispose che la Società Filarmonica era da ritenersi « sciolta di fatto e di diritto » e che tanto bisognava rifar tutto daccapo, dal Piano Organico o di regolamento, alle fedine dei singoli soci, dalla nomina del direttore a quella del delegato politico, giacchè, diventato << primo deputato » l'antico delegato Carlo Cesare Bossi o Bossetto, come lo si chiamava per soprannome, bisognava « riproporre l'oggetto di far conoscere per l'individuo a cui si potrebbe affidare l'incarico di delegato politico, il quale deve riunire tutti i requisiti d'idoneità, e di nessuna eccezione ».
Non si può certo dire che l'Austria mancasse di vigilanza, persino sui bustocchi.
Successe dunque che, mentre popolazione filarmonici e deputazione credevano ormai di rivedere la loro Banda sfilare per le strade, dietro le processioni, venne giù la doccia fredda della I. R. Polizia, e la Deputazione dovette << in obbedienza al prescritto dal Commissariale attergato 12 andante n. 500 P», comunicare al « Capo della Banda Civica di Busto Arsizio », Giosué Candiani detto Tuscia, « la nota della I. R. Direzione della Polizia 28 marzo 1855 n. 12187 contenente la dichiarazione della prefata Magistratura sulla invocata ricostituzione della Società Filarmonica di questo Capoluogo ». E per sopraggiunta << nel mentre si interessa il sig. Candiani capobanda a voler far conoscere le superiori prescrizioni in argomento ai singoli bandi disti, si dà premura la scrivente Deputazione richiamare specialmente l'attenzione di questo Corpo Filarmonico sulla circonstanza che il medesimo a sensi dei combinati paragrafi 28 e 24 lettera A della Patente 26 novembre 1852 resta sciolto per ora, salvo ad esaurire le opportune pratiche onde la società stessa possa ricostituirsi ex novo ».
Partiti dunque per suonare, i bustocchi filarmonici si trovarono suonati e con la Banda sciolta.
Ma, lo sappiamo, non passò un mese e già la nuova domanda era in corso, il Regolamento Organico pronto e approvato in ogni sua parte, e l'elenco dei filarmonici depositato, in bella calligrafia, negli uffici della Deputazione. I 26 componenti erano: 9 tessitori, 3 pizzicagnoli, 4 macellai, 2 fornai, 2 giornalieri, 2 falegnami, 2 calzolai, 1 sarto, 1 possidente. Vi erano 5 clarinetti, 3 tromboni, 4 trombe, 1 Corno, 1 Flauto, 1 Flicorno, 1 Grossa Cassa, 1 Pistone, 1 Flighelcorno, 1 Bombardino e 1 Bombardone, 2 Tamburini, i Bronzi, i Campanelli e, ultimo in lista e primo nelle sfilate il Porta Bastone, pizzicagnolo Gaspare Comerio.
Quanta sapienza i noster vècc
Un tempo a Milano, di chi scappava impaurito di fronte ad un pericolo, si diceva: "El va come on arian!". Il detto pare abbia origine dalla lotta sostenuta dal vescovo Ambrogio contro i seguaci di Ario, messi in fuga dal suo staffile. Una leggenda narra che la consuetudine di ritrarre Ambrogio con lo staffile è legata alla battaglia dei milanesi, capitanati dal Signore di Milano, Luchino Visconti, contro il cugino Lodrisio il 21 febbraio 1339 e vinta dagli ambrosiani.
La lotta che si combatté sulla neve fu sanguinosa; Luchino era stato catturato e le sue truppe disperse, quando nel cielo apparve la figura di S. Ambrogio a cavallo, armato di uno scudiscio nella destra, col quale colpiva i mercenari di Lodrisio sul viso, volgendoli in fuga! Come dire: "Scherza coi fant, ma lassa sta i sant!".
È tempo di ammazzare il maiale e anche questa è un'occasione in più per ritrovarsi; ai bimbi si poneva questo indovinello:
"Qual'è quell'animal che l'è bon de mort e minga de viv?" (il maiale).
Un proverbio comasco riscatta il simpatico animale accomunandolo al padrone: "Omen e purscej, anca se i è brott, i è bon e bej!" (Uomini e porcelli, anche se son brutti, sono buoni e belli).
Nella città di Teodolinda la luganega de Munscia viene ancora preparata su ordinazione del cliente in diversa quantità e misura.
In questo peana al maiale non poteva mancare la cassoeula, cucinata da mani esperte con "costin, pescitt, salamin de verza e ona quaj codega"... e se qualcuno avesse da obiettare circa l'utilizzo della cotica, ecco pronto un proverbio: "La cassoeula senza codegh e l'insalada senza aj, hinn istess d'ona sposa senza bagaj!"
A Torre de' Picenardi (CR) il salumificio Santini conserva le tra- dizioni: culatello, culaccia, salame con e senza aglio, cotiche con fagiolini, cassoeula, costine, piedini e tutto il quinto quarto del maiale. Una delizia per gli occhi ed un invito "a mett i gamb sotta el tavol".
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20 Dicembre 2023 - Mercoledi' - sett. 51-354
redigio.it/rvg100/rvg-51-354.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO528-Angera-industrie.mp3 - Angera: distillerie Rossi, le filande  e calce  torba -
Proverbio del giorno
- Folclore
Toponimi di Biandronno
8) Gefe Pagàn: località posta a circa 200 metri di fronte al Nüstrin, caratterizzata dalla presenza di un pozzo nel quale alla fine del XIX secolo Giuseppe Quaglia ha rinvenuto ossa presumibilmente umane che hanno fatto pensare ad un luogo utilizzato in epoca romana per compiere rituali pagani anche legati a sacrifici umani (Chiesa pagana). Forte è quindi il suo collegamento con la località adiacente del Nüstrin.
9) Gesiolo: o Gesiöör, è una piccola cappella a sud del centro del paese sulla strada che dal Montesé porta al Roncato. In dialetto la gésa è la "chies a"  . Il nome della cappella quindi non è altro che il termine generico dialettale con la presenza del suffisso diminutivo -öl, passato ad -ör per il fenomeno del rotacismo. La voce è molto frequente nei microtoponimi lombardi con numerose varianti.
E stata restaurata la Fontana del Mosè.
. E da sempre e da sempre simbolo della vecchia mercallo, la Fontana del Mosè che abbellisce piazza Prandoni. Ringraziamo i volontari che hanno voluto dare una nuova vita con un restauro accurato.
La gioeubia e di tradizione.
Il 23 gennaio del 2023 si è svolta la dodicesima edizione del tradizionale falò dell'aGiobia. E anche quest'anno una giobia ridotta a causa della normativa COVID e la manifestazione purtroppo, si è svolta a porte chiuse,.. Ma l'accensione del falò è stata eseguita in diretta streaming... L'appuntamento per tutti con il consueto falò della Gioeubia 2023 è stato allietato dalla fanfara dei bersaglieri ed è previsto per il 22 gennaio in piazza Balconi. Sperando che nel 2023 ci si possa godere con più serenità e insieme il fuoco che scalda. E questo vale anche per il 2024.
  Busto Grande - 170 anni fa
Capitolo quarto 2)
Diceva dunque il Regolamento:
< La Società Filarmonica viene instituita allo scopo dilettevole ed utile di favorire l'incremento dell'Arte Musicale e per aggiungere decoro e maestà alle funzioni solite tenersi nelle feste di Stato, ecclesiastiche ed altre... >>.
« Il numero dei Soci viene determinato in 30... >>.
« Al Direttore incombe l'obbligo di notificare al Delegato Politico, che la competente autorità troverà di nominare, quelle qualunque mancanze in cui incorresse taluno dei Bandisti per le opportune provvidenze; così pure è dovere del Direttore di notificare al Delegato Politico i soci che da sè si ritirassero dalla Società, come pure di non introdurre nella medesima un nuovo soggetto senza prima farne la relativa proposizione al Delegato Politico da cui verrà implorata l'amissione dal- l'Autorità Superiore >>.
« L'uniforme, a norma del figurino superiormente approvato sarà allestito e mantenuto a spese della Com- pagnia...», ma quì casca l'asino. Escluso d'autorità ogni apparato, daghe, elmi, divise simili a quelle mili- tari, che i nostri bandisti si erano già dovuti strappare dal cuore, era rimasto, a parere dei soci, un solo oggetto in discussione: il cappello.
Che cosa avreste proposto voi, in simile circostanza?
Noi non sappiamo come furono le discussioni, se animate o meno: è certo però che tutti i bandisti si trovarono d'accordo avendo rinunciato oramai a tutto il resto su un imponente « cappello alla Ulana » che deveva far urlare di ammirazione tutte le ragazze del borgo.
Ma era destino che non venisse nemmeno il colbacco. Una nota, in margine al foglio << umiliato alla I. R. Polizia » dice brusco brusco che « non essendo ammissibile la foggia militare in genere è naturale che anche il cappello all'Ulana non può essere permesso ».
E non era finita.
Si volle che tutti gli atti fossero corredati delle « fedine al nome dei singoli individui dei quali si indicherà ben anche lo stato economico e di famiglia e se per avventura l'entrare nella Società possa tornare dannoso alla domestica loro economia »; si fecero riserve sul nome del povero Candiani e lo si sostituì col signor Bernardo Pozzi << uomo intelligente in musica e sotto ogni rapporto più adatto »; si suggerì l'ingegnere Carlo Crespi a delegato politico « persona di una condotta la più commendevole ed egregiamente sentito nel pubblico ».
Dopo questo (gli sbirri austriaci erano più vigili che mai) venne forse il permesso: e la Banda Civica di Busto Grande cominciò la sua storia e si preparò agli immancabili trionfi, compresa la solenne partecipazione al Te Deum con Messa solenne che si teneva ogni anno il 4 ottobre per solennizzare, nella Chiesa Prepositurale, l'onomastico di « Sua Maestà Imperial Regia Apostolica l'Augustissimo Sovrano Nostro Francesco Giu seppe I ». Così diceva la prosa aulica del Commissario Distrettuale. Ed è per questo che - diciamolo fra noi - non fa nessuna meraviglia che nei primi giorni dopo la liberazione dall'Austria, i popolani bustocchi, per mandare uno a fare un mestieruccio mica male volgare, gli dicessero: < và a da vìa ul cessàtu guvèrnu! ».
Quanta sapienza i noster vècc
Ma adesso passiamo ad un altro argomento per rispetto verso coloro che sono a dieta e certe leccornie non possono permettersele... Dicembre è il mese della pioggia, del freddo, della neve ma anche della luce perché con S. Lucia (13 dicembre) le giornate cominciano ad al-ungarsi: "A Santa Lusia el pass d'ona stria!".
Aldo Milanesi scrive che per Santa Lucia i bambini andavano nella stalla a prendere un po' di fieno da mettere sul davanzale della finestra, per dar da mangiare all'asinello che arrivava carico di doni. In casa, invece, si apparecchiava la tavola con la tovaglia più bella e la cocuma del caffè era pronta da offrire alla santa perché almeno, col freddo che faceva, poteva scaldarsi un po' lo stomaco; al mattino seguente, guai se i bambini non trovavano la tazzina sporca di caffè!
Molto amata dai bambini Lucia, protettrice di Siracusa, in molte località lombarde sostituisce Babbo Natale nel portare regali ai più piccini: "Santa Lussia, mamma mia, cun la borsa del papà, Santa Lussia la vegnarà!".
A Cremona, in piazza Cavour, la sera del 12 dicembre, i venditori ambulanti fanno buoni affari vendendo gli ultimi giocattoli ai papà che non hanno avuto il tempo di acquistarli prima.
Offrono anche i famosi giardinèt, un misto di: nisoole, galéte, ciucarooi, zacaréle (nocciole, arachidi, castagne secche e mandorle) unite a noci, prugne e fichi secchi.
Sempre nel cremonese una leggenda racconta che la santa tirerebbe una manciata di sabbia del Po negli occhi di tutti i bambini che trova ancora svegli quando passa con l'asinello a distribuire doni; per paura di incontrarla, i più grandicelli prima di mezzanotte, girano a gruppi per le vie cittadine dando fiato ai loro zufoli per avvertire i più piccini che è tempo di dormire.
Quando entra qualche corpuscolo in un occhio è consigliabile rivolgere alla santa questa supplica: "Santa Luzia fim 'na fora 'sta purcheria!" poiché Lucia oltre che essere la protettrice degli agricoltori è anche invocata nelle malattie degli occhi, come ci fa sapere il detto milanese: "Che Santa Lusia te conserva la vista!" (per la verità riferito a chi mangia con ingordigia, in modo che possa vedere cosa sta divorando).
A Milano Santa Lucia è la patrona dei marmorin (lapicidi) che un tempo avevano la loro sede nella Cascina Camposanto posta dietro il Duomo dove, secondo una leggenda, nacque il famoso risotto alla mi lanese, gloria e vanto di ogni meneghino.
 
 
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21 Dicembre 2023 - Giovedi' - sett. 51-355
redigio.it/rvg100/rvg-51-355.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO547-Milano-celtica-01.mp3 - Milano celtica e la dracma padana -
Nessuna notizia dal Villaggio
Dove andare
Toponimi di Biandronno
10) Isola Virginia: detta anche Isulin "isolino". Triangolo di terra che si erge all'interno del * Si pensa che in cima a questa altura fosse collocata una torre di avvistamento romana poi utilizzata e fortificata anche dal Barbarossa. Ciò perché da questa posizione la visuale su tutto il Lago di Varese era perfetta ed era possibile vedere (anche a tutt'oggi) la torre di avvistamento romana più nota e documentata situata nel comune di Velate, paese sulla sponda nord del Lago di Varese. Storico, archeologo e scrittore, autore di numerose scavi nell'area del Lago di Varese. Sulle ricerche compiute si faccia riferimento al libro Dei sepolcri scoperti in 11 comuni del circondario di Varese, Varese 1881. Lago di Varese separato dalla costa da uno stretto canale chiamato Ticinello. L'isola, di circa 0.9 kmq, è ricoperta da una fitta vegetazione composta da salici, querce, ontani neri e canneti. Nell'antichità nota come Isola di San Biagio, venne acquistata nel 1822 dal duca Litta che la volle chiamare come la moglie Camilla. Nel 1878 l'isola cambiò nuovamente proprietario passando nelle mani di Andrea Ponti che subito la ribattezzò come la sua consorte, la marchesa Virginia Ponti Pigna, da cui il nome attuale di Isola Virginia. Dal 1962 l'isola è di proprietà del comune di Varese per gentile concessione del marchese Gian Felice Ponti. Attualmente l'isola ospita un museo dedicato alla famiglia Ponti e un bar-ristorante  0
11) Laghet: piccolo specchio d'acqua all'interno della zona acquitrinosa a nord-ovest del Lago di Varese, creatosi a causa della cava costituita per estrarre il materiale utilizzato per la produzione di mattoni nella fornace a sud del paese.
Comune di Mercallo - sec. XIV - 1757
La località di Mercallo, facente parte della pieve di Angera, venne citata negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano: era tra le comunità che contribuivano alla manutenzione della strada di Rho (Compartizione delle fagie 1346).
Angera e il suo territorio erano antico feudo degli arcivescovi di Milano. Nel 1350 il pontefice Clemente VI investì del feudo Caterina di Bernabò Visconti; nel 1397 Angera divenne contado, a favore di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano. Nel 1404 il feudo di Angera passò ad Alberto Visconti di Castelletto.
Nel 1449 il consiglio generale della comunità di Milano effettuò la vendita della pieve d’Angera, con la sua rocca, i poteri giurisdizionali e una serie di entrate fiscali, al conte Vitaliano Borromeo per lire 12.800 (Casanova 1930).
Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVIII secolo Mercallo risultava ancora compreso nella medesima pieve (Estimo di Carlo V, cart. 2).
Il comune di Mercallo nel 1751 rientrava nei feudi del conte Borromeo, a cui non si corrispondeva alcuna somma. Non vi risiedeva alcun giudice, ma si faceva riferimento al podestà di Angera, Giovanni Pietro Borrone, cui si pagavano annualmente 10 lire, 2 soldi e 6 denari, ed al fante 2 lire; il giuramento di rito veniva prestato alla banca del vicario del Seprio in Gallarate. La comunità aveva solo un console, che cambiava ogni mese, a rotazione tra i focolari. Il cancelliere risiedeva a Sesto Calende e curava le scritture attinenti al comune per trenta lire imperiali all’anno: non esisteva archivio. Lo stato totale delle anime era di 297 (Risposte ai 45 quesiti, cart. 3035, vol. D XV, Como, pieve di Angera, fasc. 8).
1757 - 1797
Nel compartimento territoriale del 1757 Mercallo risultava compreso nella pieve di Angera (editto 10 giugno 1757). - Il comune entrò nel 1786 a far parte della provincia di Gallarate, poi di Varese, con le altre località della pieve di Angera, a seguito del compartimento territoriale della Lombardia austriaca, che divise il territorio lombardo in otto province (editto 26 settembre 1786). - Nel 1791 i comuni della pieve di Angera risultavano inseriti nel distretto censuario XXXV della provincia di Milano (compartimento 1791).
1798 - 1809 - A seguito della legge 26 marzo 1798 di organizzazione del dipartimento del Verbano (legge 6 germinale anno VI bis) il comune di Mercallo venne inserito nel distretto di Angera. Soppresso il dipartimento del Verbano (legge 15 fruttidoro anno VI), con la successiva legge 26 settembre 1798 di ripartizione territoriale dei dipartimenti d’Olona, Alto Po, Serio e Mincio (legge 5 vendemmiale anno VII), Mercallo rimase nel distretto di Angera, che divenne il XIV del dipartimento dell’Olona. - Con il compartimento territoriale del 1801 il comune fu collocato nel distretto II di Varese del dipartimento del Lario (legge 23 fiorile anno IX). - Nel 1805 il comune di Mercallo venne inserito nel cantone III di Angera del distretto II di Varese del dipartimento del Lario. Il comune, di III classe, aveva 384 abitanti (decreto 8 giugno 1805). Il 21 dicembre 1807 Mercallo e le terre circonvicine avanzarono una petizione per essere aggregate al dipartimento d’Olona (petizione di Angera 1807). - A seguito dell’aggregazione dei comuni del dipartimento del Lario (decreto 4 novembre 1809, Lario), in accordo con il piano previsto già nel 1807 e parzialmente rivisto nel biennio successivo (progetto di concentrazione 1807, Lario), Mercallo figurava, con 334 abitanti, comune aggregato al comune denominativo di Comabbio, nel cantone II di Gavirate del distretto II di Varese, e come tale fu confermato con il successivo compartimento territoriale del dipartimento del Lario (decreto 30 luglio 1812).
1816 - 1859 - Con l’attivazione dei comuni della provincia di Como, in base alla compartimentazione territoriale del regno lombardo-veneto (notificazione 12 febbraio 1816), il comune di Mercallo fu inserito nel distretto XV di Angera. - Mercallo, comune con convocato, fu confermato nel distretto XV di Angera in forza del successivo compartimento territoriale delle province lombarde (notificazione 1 luglio 1844). - Nel 1853 (notificazione 23 giugno 1853), Mercallo, comune con convocato generale e con una popolazione di 553 abitanti, fu inserito nel distretto XX di Angera.
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22 Dicembre 2023 - Venerdi' - sett. 51-356
redigio.it/rvg100/rvg-51-356.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO530-Sacro-Monte-01.mp3 - Il nostr o Sacro Monte
Toponimi di Biandronno
12) Montége: zona ora pianeggiante un tempo caratterizzata da una masseria in cui avveniva la monta taurina e costituita da campi coltivati a mais. Oggi quest'area è tagliata in due dalla stazione ferroviaria di Travedona-Biandronno a sud-est del centro cittadino (per l'etimo v. Cadrezzate n. 13).
13) Montesé: piccola zona pianeggiante al di sopra di un leggero poggio che dal centro del paese porta alla Fornace a sud-est di Biandronno. Toponimo di non semplice interpretazione, forse da intendere come "monticello", legato indubbiamente al termine "monte", vista anche la sua collocazione geografica (v. Cadrezzate n. 13).
14) Nüstrin: piccola area pianeggiante che collega il Gesiolo alla Fornace. Alla fine degli anni '90 del Novecento, durante alcuni lavori di ricerca, sono stati trovati reperti e materiali che fanno presupporre l'antica presenza di un cimitero pagano. Di etimo incerto, forse da ricondurre ad una voce ticinese nèstula che significa "laccio" o "stringa"che si potrebbe riferire alla forma del terreno.
Storielle
AMORE PLATONICO - Vedere e non toccare è una cosa da imparare. (Proverbio italiano)
Compatitemi pure, scuotete la testa, ridete se la cosa vi fa ridere, ma io avrei voluto innamorarmi platonicamente: anche a rischio di far pensar male, di sentirmi citar continuamente a beffa il verso di Aleardo Aleardi: Si guardan sempre e non si toccan mai (son le due isolette vicine, simbolo dell'amore platonico romantico).
E come quel personaggio d'un "racconto idiota" di Alphonse Allais, che diceva:
"Io sono un tipo sul genere di Balzac. Bevo una quantità enorme di caffè.
lo sono un tipo sul genere di Napoleone. Mia moglie si chiama Giuseppina.
lo sono un tipo sul genere di Molière. Sono becco", avrei proprio voluto dal canto mio poter dire:
"Io sono un tipo sul genere di Dante: amo una donna d'un amore come quello di Dante per Beatrice": anche a rischio d'esser mandato da quella donna all'Inferno, anche a rischio di non esser creduto dagli amici: e quel ch'è molto peggio, da me stesso. "Sai? Amo una donna d'un amore platonico". "Non ci credo".
"Nemmeno io".
I sassi di Mercallo
Il comune di Mercallo ha acquisito la denominazione "dei sassi" per la presenza in loco di massi erratici. L'ambiente circostante, oltre alla presenza di terreni rocciosi, si caratterizza per lo sviluppo di colline in cui fanno capolino megaliti, tra boschi di castagno, conifere ed altre piante tipiche della flora del Lago Maggiore. - I massi erratici sono alcuni tra quelli presenti nel nostro territorio provinciale e documentano un fenomeno geologico di estrema rilevanza che ha avuto origine circa 60.000 anni fa: nel corso di varie glaciazioni, infatti, materiale detritico proveniente dalle montagne del Sempione e del Gottardo fu trascinato a valle dai ghiacciai. - Durante il ritiro e lo scioglimento di queste grandi distese di ghiaccio, che giunsero a ricoprire fin quasi le vette delle nostre montagne, questi enormi massi rimasero in loco, depositandosi e caratterizzando il paesaggio circostante.
Canto di mezzanotte - (9-10 giugno 1880)
Una cucitrice di ventisette anni, Giulia Mezzanotte, abitante in via Sambuco numero 3, fu presa ieri da mania religiosa. Col crocifisso in una mano, col libro di preghiere nell'altra, si diede a percorrere le vie, e alle dolci parole di pietà e di perdono univa pezzi della Traviata e del Rigoletto che cantava con voce stridente. Sul corso Vittorio Emanuele, le cose giunsero a tal punto, che si pensò da pietosi cittadini condurla all'ospedale.
AA CAPELETA DA S. AMBREUSU
Son passà da Canton Santu
t'hu ciercà, ul me Giesioeu,
tème càntu séa 'n fioeu, cun passion e cun magon;
Hu crià da tucc'i parti oibol par savé st'han cambià postu, ma purtroppu m'han rispostu: l'han trej dent'in d'un buron!
Un tempo sorgeva in Canton Santo una cappella dedicata appunto a Sant'Ambrogio. Dopo che fu demolita, con nostalgia scrisse Ernesto Bottigelli (1932):
(Son passato dal Canton Santo e ti ho cercato, o mia chiesetta, come quando ero bambino, con passione ed un nodo alla gola; ho gridato dappertutto, per sapere se ti avessero cambiato posto, ma purtroppo mi hanno risposto: l'hanno buttata in un burrone!)
Questi versi, pieni di rimpianto e di commozione, ci fanno pensare all'attaccamento dei Bustocchi per la loro città e al loro desiderio di mantenere intatto ciò che, se non loro, almeno i loro padri hanno contribuito a costruire.
I CUPETI
Le coppette erano così importanti nella vita dei Bustocchi che se ne è voluta studiare l'origine. "Un bel dì a Madòna da Prà
L'ha vorzù vegni foeua da cà:
Ul so coeui ga rendéa cumpassion
Che in d'un Bust ga fuss nanca un bumbòn. Chi pescitti, spassegiandu sutt'i pianti Han cambià tucci i sassi in croccanti: Chi manitti, inscì bianchi e devòtti I han quatà cont'a a nevi sua e suttu E vedendu a passà ul diavaén Par cuppal gh'i à tià in dul cuppén. E peu, dopu d'avèi benedetti,
L'ha vorzù ch'u ciamassen cuppètti.
(Un giorno, la Madonna in Prato è voluta uscire di casa; provava pena al pensiero che a Busto non ci fosse neppure un dolcetto. I suoi piedini, passeggiando sotto alle piante, hanno trasformato tutti i sassi in croccanti; le sue manine, così bianche e devote, li hanno coperti di neve sopra e sotto. E vedendo passare il diavoletto per accopparlo glieli ha tirati sul... cupén. Così, dopo averli benedetti, ha voluto che li chiamassero "coppette").
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  23 Dicembre 2023 - sabato - sett. 51-357
redigio.it/rvg100/rvg-51-357.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO548-Milano-celtica-02.mp3 - Milano celtica e la dracma padana -
Notizia dal Villaggio
Toponimi di Cadrezzate
9) Gesiolo: piccola cappella campestre situata sulla strada che porta verso Brebbia. Un tempo queste strutture avevano la funzione di riparare i contadini nei campi durante le improvvisi piogge ed erano anche il luogo dove si pregava per la buona riuscita del raccolto e si benedicevano buoi e asini utilizzati per l'agricoltura e l'allevamento (v. Biandronno n. 9).
10) Martinello: strada consorziale oggi non più individuabile attestata nelle carte del Catasto Regio del 1905.
11) Mogno: in dialetto noto come Mügn. È una zona pianeggiante che porta verso Monate, ora area residenziale. L'etimologia del termine è dubbia ma si possono riconoscere due forme di riferimento. Il termine mògn nei dialetti alto milanesi può voler dire "umido", ma indica anche "un tipo di foraggio scadente". In milanese esiste, però, anche il termine mognon "salice" e la presenza di questa pianta in area lacustre è da sempre significativa per le comunità locali.
12) Moncalvo: altura di circa 300 metri a sud del paese al confine con i comuni di Osmate e Capronno, che i locali chiamano Muntcalv. Il toponimo è frequente anche in altre zone della Lombardia e d'Italia (cfr. Moncalvo località di Versiggia -PV-). Il nome, con tutta probabilità, richiama le caratteristiche di un monte poco ricoperto da alberi e arbusti (v. Comabbio n. 19).
Tempesta ormonale - (11-12 maggio 1884)
Un giovanetto quindicenne, certo Martino C..., era stato messo in pensione presso una famiglia milanese affinché fosse in grado di percorrere gli studi ginnasiali nella nostra città. Il ragazzo invece di studiare si invaghì perdutamente della sua padrona di casa, la quale, alle proteste d'amore del giovanetto, rispondeva che sarebbe stato meglio mettesse giudizio. Tanto bastò per mettere alla disperazione il disgraziato Martino, il quale in un accesso di furore non seppe pensare nulla di più nuovo che farla finita colla vita. Andò nella sua camera e trangugiò una miscela di pasta badese, fiammiferi e acqua ragia. Ma non andò molto bene: atroci dolori gli strapparono altissime grida: la padrona accorse e fu in tempo a mandare a chiamare un medico. Il medico arrivò subito e somministrò al giovanotto un potente ematico col quale lo salvò subito da ogni pericolo, e lo guarì probabilmente dalla melanconia del suicidio. Non gli mancherà tempo di far la corte alla padrona di casa.
VIGILIA DI NATAL
L'ospitalità, per i vecchi, era una cosa sacra. Non si poteva ricevere il Natale senza ceppo. Non c'era tempo da perdere; si andava sulla lòbia (solaio), si prendeva il ciocco più anziano, quello che era lì a stagionare da almeno cinque anni, pronto per essere bruciato. Stando nel sottotetto, si era un po' inumidito: bisognava dunque portarlo giù e collocarlo vicino al focolare, per lasciarlo seccare bene. Se ad una finestra mancava un vetro ed entrava il freddo, occorreva mettervi rimedio. Per un vetro nuovo ci volevano ben trenta centesimi, poca cosa per dei signori, ma troppi per chi non ne ha. Si rimediava allora con un pezzo di carta dei bachi da seta, impastata con farina di segala inumidita. Col mar tello, la tenaglia, qualche vite ed un po' d'olio, si rimetteva in funzione l'uscio di casa.
La massaia lucidava il rame, che splendeva come oro appeso al muro della cucina. Le ragnatele venivano spazzate dagli angoli a colpi di scopa. Gli ultimi "schittaboeugi" venivano stanati dai loro inacessibili nascondigli, mentre i ragazzi si indaffa- ravano a spazzare il cortile. In un angolo della cucina, a circa due metri di terra, era pronto il Presepio, col Bambino sulla culla di paglia. Mentre il Bambino era di gesso, le altre figure erano di cartone. Come base, c'era un grosso strato di "teppa" verde, raccolta pazientemente sulle scarpate della ferrovia. Il prete, venuto a benedire la casa, l'aveva trovata in ordine.
La sera della vigilia, in casa del nonno, si mangiavano i "sbatuèi" (frittelle). Dopo il pasto, c'era la recita del rosario, particolarmente lenta, perché era una sera diversa dalle altre.
Poi, tutti pendevano dalle labbra del nonno, il quale comunicava il programma per il giorno successivo.
BRUSCITI
È questo il re dei piatti della cucina bustocca, anche se si è profondamente modificato nel tempo. Spieghiamoci meglio. Le donne bustocche sono sempre state altrettanto operose dei loro uomini; mentre si occupavano della casa e dei figli, si dedicavano anche al lavoro al telaio, in casa o fuori. Avendo poco tempo da riservare alla cucina, impararono presto ad arrangiarsi. Quando ne avevano la possibilità (economica, s'intende), si procuravano un pezzo di manzo ben maturo, reale o tampetto o fustello, e lo sminuzzavano con un coltellaccio. Ponevano in uno "stuén" di terracotta un pezzo di burro e vi versavano la polpa che iniziava una lenta cottura tra le braci del camino, insaporita dall'erbabona (semi di finocchio), messa in un sacchettino di tela, da poco sale e, talvolta, da uno spicchio d'aglio tritato. Non era necessaria una assistenza continua, per cui la donna poteva dedicarsi ad altro. Poco prima del pranzo, il fuoco veniva attizzato ed i brusciti erano sgrassati con una... sgüriàa di vino. Oggi i fornelli hanno sostituito il camino, di cui le case sono quasi sempre prive; il macellaio provvede a macinare la carne e qualcuno ha apportato la variante dell'aggiunta di un po' di salsa, ma i brusciti restano sempre un gran piatto, ancor più invitante se accompagnato da una polenta ben cotta e soste- nuta, ma non dura, fatta con la farina bramata o bergamasca, di grossa macina, mescolata con un "regundén" di legno in un paiolo di rame.
A Busto non è neppure concepibile una Gioeubia senza pulenta e brusciti.
STUA' IN CONSCIA
Per lo stuà in conscia ci vuole la coppa di manzo, ben mondata e poi fatta a pezzi grossi come un'arancia. I pezzi di carne si collocano in una marmitta; sopra si spargono foglie di alloro, di rosmarino, ginepro ed altre erbe aromatiche. Si versa poi sul tutto del vino di altra gradazione, possibilmente dello Squinzano. Si lascia tutto in infusione per almeno due giorni.
Si colloca poi sul fuoco la padella, meglio se di terracotta; vi si versa molto burro - di quello buono - e si aggiungono delle fette di pancetta. Si rosolano quindi i bocconi di carne tolti dalla marmitta. Si aggiunge una cipolla tacchettata di chiodi di garofano: cipolla che a metà cottura si può togliere, perché la sua funzione è finita. La coppa deve cuocere a fuoco molto lento, per circa tre ore. A mano a mano che la carne cuoce, la si inumidisce col vino che è servito per l'infusione. Una mezz'ora prima del termine della cottura della carne si aggiungono le patate, nella misura di due per persona. Per lo stufato, ogni contadino coltivava una mezza pertica di "pundatèra quarantén", che avevan la buccia. grigio-violetta ed eran rotonde, perfette, della gros sezza di una mela nostrana. Questa qualità di patata era molto dura, faceva poca acqua, cosicché poteva assorbire, senza sfasciarsi, il condimento. La patata in conscia diventava tanto buona da essere preferita alla carne.
Oltre le tradizionali "copette", un'altra specialità di alcuni anni è stata realizzata da una nota Pasticceria del centro cittadino: la pulenta e brusciti" nella versione di un gustosissimo dolce in una confezione veramente originale.
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24 Dicembre 2023 - Domenica - sett. 51-358
redigio.it/rvg100/rvg-51-358.mp3 - Te la racconto io la giornata
Cosa ascoltare
  1. redigio.it/dati2606/QGLO531-Sacro-Monte-02.mp3 - Il nostro Sacro Monte
Notizia dal Villaggio
Toponimi di Biandronno
15) Ponte della Brabbia: piccolo ponticello in ferro situato sulla strada che da Comabbio porta a Varese e che sovrasta il fiume Brabbia, dialettalmente noto come Bràbie, confine naturale tra Biandronno e Cazzago Brabbia (v. Cazzago Brabbia n. 1).
16) Roggia Gatto: nota anche come  Rùngia. Piccolo corso d'acqua che unisce il Laghèt al Lago di Varese e taglia latitudinalmente il comune passando al di sotto della strada provinciale che da Biandronno porta a Bardello. Il nome è da far risalire con tutta probabilità alla voce dialettale gat "canale di scolo" ben attestata nelle aree del piacentino e della Lombardia meridionale.
Dicembre
Il fiore del mese di dicembre è il vischio, simbolo della riservatezza e dell'immortalità. Una leggenda nordica narra che il dio Hödhr uccise il fratello Balder con una freccia ricavata da un ramo di vischio. Frigg, la madre, disperata pianse a lungo, bagnando con le sue lacrime la freccia conficcata nel corpo del figlio. Odino, commosso da tanto dolore, tramutò le lacrime in bacche perlacee che da allora adornano il vischio che mettiamo all'ingresso delle nostre abitazioni in segno di augurio.
"Se pioeuv per Santa Bibiana, pioeuv per quaranta dì e ona settimana" oppure:
"Se fiocca a Santa Bibiana, ven giò nev per ona settimana". Pioggia e neve accompagnano questa santa che si festeggia il secondo giorno di questo mese.
Per noi lombardi però Vess devot a Santa Bibiana ha un altro significato! Il detto sta ad indicare gli amanti del vino che, oltre ad essere appellati: gainatt o ciucheton, erano detti anche bibianon, parola che il popolino, pare abbia ricavato dal latino bibo (bere), abbinando poi bibo a Bibiana, perché proprio in questo periodo il vino novello è pronto per la degustazione:
"Prima impieniss la damigiana e poeu svoiela a Santa Bibiana!"
Dice la sapienza di noster vècc: "In dicember la nev l'ingrassa i campagn" e che: "El someneri dicembrin el var nanca tri quattrin". E tempo di preparare il terreno per le semine primaverili, arandolo profondamente e concimandolo per avere un buon raccolto:
"La terra in tutti i piagh fà con l'araa, la pareggia i 'legrij del fogoraa!".
Nel frutteto e nel vigneto, se le giornate sono serene e non si prevedono gelate, si possono fare le potature; attenzione però, perché: "Tajadura malfada, pianta ruinada!".
"La fiocca decembrina per tri mes la te confina" e siccome:
"La prima nev l'è di can, la seconda l'è di gatt e la terza l'è di cristian", sia gli uomini che le donne, se possono, evitano di uscire perché per le strade si forma quel piciopacio che invita a starsene volentieri in casa quacc, quacc e al cald.
In Brianza, come spiega nel suo libro Ottorina Perna Bozzi, la cà non voleva indicare la casa, ma la cucina, che ne era il cuore, soprattutto d'inverno. Grandissima, pavimentata con mattoni rossi era dominata dal camino, dove ai suoi lati e davanti, su delle lunghe panche i vecchi passavano il tempo scaldandosi e bevendo grappa alla ruta erba, a loro dire, dai poteri taumaturgici: "L'erba ruga, tutt i maa i e destruga!". In questa stagione si mangiano polenta e castagne, la furmentada (minestrone di frumento) e i missoltitt (agoni essicati al sole e al vento del Lario) scaldati in sù la stua.
Spetta a San Nicola il compito di preservare la gola dalle malattie stagionali con panini benedetti in chiesa il 6 dicembre, giorno in cui lo si festeggia.
Il 7 dicembre in tutta la diocesi milanese si onora S. Ambrogio. Dice un vecchio adagio: "Per S. Ambroeus, buratta e coeus!". Abburatta, ovvero, separa la farina dalla crusca e dividila secondo la finezza poi impasta e cuoci il pane; gli scopi sono due: avere il nutrimento base e scaldarsi mentre cuoce, perché il freddo è intenso, come ci ricorda una variante dello stesso proverbio: "A S. Ambroeus el fregg el coeus!".
Cosa preparo oggi
I sardinn marinaa - In del pessee comprà quand che gh'in bei fresch e bon mercaa e bei gròss, on mezz chilo de sardinn e, dopo avei nettaa co'l toeugh el coo, i busecch e peu el coin, e dada ona lavadina, fai sugà distendei su on mantin. Intant fa 'sta tridadina:
mezz'on fesin de ai 'na scigoletta, on poo d'erborin fresch, dò gamb de zeller, de laur ona foietta, tre inciòd con foura i resch.
Mett in piatt i sardinn con la tridada ben fina, on duu cugiaa d'asee, cinq d'òli fin, ona sbroffada de pever e de saa. Messedai con riguard de nò spelai e in d'on biellin bel pian, a coa in dent, a schena in sù, piazzai ben ben de man e man, tucc in coròna. Coeusi sul fornell ò in forno ma adasin
con poggiaa sui sardinn, giust a cappell on piatt ò on covercin.
Quand in frecc, impiattai co 'l sò bagnett e spremegh soravia
mezz limon. Guarnij poeu con di fett de limon tutt el piatt. E così sia.
Lago di Varese
Inserito in una splendida posizione geografica, ai piedi del massiccio del Campo dei Fiori è lungo 8,8 Km e largo 4,5 Km. Percorrendo il tratto iniziale dell'autostrada Varese-Milano si gode uno dei più bei panorami, un'ampia e verdeggiante conca che ospita il Lago di Varese, disseminata di ville ed insediamenti ben armonizzati nel paesaggio. - Il massiccio del Campo dei Fiori digrada, con lieve pendio, verso lo specchio lacustre, mentre in lontananza la catena delle Alpi con il Monte Rosa che si staglia nitido, fa da sfondo. Sulla riva occidentale del Lago di Varese si trova la piccola Isola Virginia, che rappresenta un importante insediamento palafitticolo tra i più importanti d'Europa. - Oltre cinquantamila persone intorno al Lago di Varese per dare vita all'abbraccio più grande del mondo ed entrare, così, nel guinness dei primati.
Playboy - (15-16 novembre 1880)
La turpe speculazione da cui è contaminata Parigi ha trovato degl'imitatori a Milano. Le cantonate sono da qualche giorno tappezzate dall'annunzio d'un giornale "in gran formato" che "dovrà leggersi soltanto dagli uomini". Qual è il suo programma? Eccolo tal quale: «Dilettare, divertire, accarezzare, blandire, solleticare, in questi verbi sta il programma. Vi racconteremo storielle appetitose, scollacciate, avventure galanti più o meno avventurose in tutto lo sfoggio della loro provocante nudità. Saremo insomma più realisti del Boccaccio, più veristi del vero». La questura e l'autorità giudiziaria avranno, speriamo, già provveduto a quest'ora per reprimere quest'industria corruttrice. Noi l'aiuteremo con tutto il vigore, denunciando al pubblico gli scrittori che le presteranno l'opera loro, se potremo conoscerne i nomi.
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