RVG settimana 06
Radio-video-giornale del Villaggio
Settimana-06 del 2024
RVG-06 - da - Radio-Fornace
Settimana 06 2024-02-05 - Febbraio - Calendario - la settimana
05/02 - 06-036 - Lunedi
06/02 - 06-037 - Martedi
07/02 - 06-038 - Mercoledi
08/02 - 06-039 - Giovedi
09/02 - 06-040 - Venerdi
10/02 - 06-041 - Sabato
11/02 - 06-042 - Domenica
05 Febbraio 2024 - lunedi - sett. 06/036
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-xxx.mp3 - qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati1/QGL405-ferrovia-decauville.mp3 - La ferrovia privata, la Decauville a Travedona - #32a - 4,04 - #50 rvg
Febbraio (6/6)
L'amico Giò, sempre alla ricerca di cose genuine, aveva scovato una vecchia trattoria, situata all'interno di una cascina, nella verde campagna briantea. Dopo aver ordinato un piatto di cassocula, in attesa che fosse pronta, curiosando all'interno della cascina, vide un'anziana signora seduta all'ombra del fienile con accanto un mastello pieno di acqua in cui sguazzavano rane; prendendone una alla volta, con con- sumata perizia, toglieva loro la pelle, le passava in un secchio pieno di farina e le gettava ancora vive in una pentola di olio bollente. Abbastanza scioccato, Giò chiese alla donna se non pensasse mai alla sofferenza delle povere ranocchie al contatto con l'olio bollente. Serena la contadina rispose: "Tant hinn suéffaa!" (Tanto sono assuefatte!).
In questo periodo di fine febbraio vanno ultimati i lavori nei campi: negli orti la coltivazione degli erbaggi è affidata alle donne, che meglio di chiunque conoscono i piccoli segreti della seminagione, in omaggio al proverbio che recita: "Chi g'ha on bon ort el g'ha on second porch!" perché l'orto, se ben curato, è la seconda dispensa della casa!
"Febbràr, febbrarett, curt e maledett", si dice così perché può esserci un ritorno del freddo quando ormai tutti sperano nella fine dell'inverno.
Per "indovinare" se il tempo sarebbe stato bello o brutto, ogni località aveva il suo proverbio che basandosi sulla formazione delle nuvole, dal cambiar del vento o dal colore del cielo, prevedeva le condizioni meteorologiche; eccone alcuni raccolti un po' in tutta la Lombardia: "Valtellina ciara tutt el mond la masara, Valtellina scura tutt el mond la sgura!".
Nel lecchese: "Quand la Grigna la g'ha el capell, punda la ranza e ciapa el restell!".
Nel milanese: "Quand el ciel l'è a fett de pan, se pioeuv minga incoeu, pioverà doman!".
Nel mantovano: "Quand al nivol al va al Po, s'at vo dl'acqua, t'an darò!".
Nel magentino: "Se el temporal el ven da Bià, ciapa la sapa e scapa a cà, s'al vegn da la montagna, ciapa la sapa e va in campagna!" (Se il temporale arriva da sud ovest, verso Abbiategrasso, occorre ripararsi dall'imminente pioggia; se invece arriva dalla parte delle montagne si può tranquillamente restare a lavorare in campagna).
Nel bergamasco perfino il comportamento dei bambini suggeriva previsioni: "Quand i putei i stà chièt, l'è segn de brött temp!".
Concludo questa carrellata con un proverbio che può sembrare irriverente: "El temp l'è come el cû, perché el fà come el voeur lù!"... liquidando così tutti gli improvvisati "Bernacca" che credono di saper prevedere che tempo farà.
Toponimi di Ternate
11) Fornace: in dialetto Furnàas. Piccola zona a pochi metri a est del centro del paese dove sorgeva la fornace alimentata da una piccola cava di argilla nelle vicinanze.
12) Gattè: un tempo zona che ospitava una cascina ora il nome designa una vasta area a nord del paese che confina con Travedona e Biandronno (v. Mercallo n.19).
13) Gravitè: area che si sviluppa in lunghezza ad ovest della palude Brabbia che lambisce ilcomune per un lungo tratto e lo divide da Varano Borghi. Il nome è forse riconducibile a grava "greto alluvionale" oppure al tipo di terreno (cfr. Gravedona -CO-)14.
14) Longheria: area detta anche Longhino. Piccolo terreno di forma allungata che si sviluppa a sud del paese e confina ad est con la Baranchina L'etimo del toponimo è probabilmente da ricondurre alla forma del terreno lungo e stretto (cfr. Longhena località di Mairano-BS-, Longane -CO-)149..
15) Malpaga: ampia area di confine con il comune di Varano Borghi a nord-est del paese. La zona, un tempo coltivata con mais, è dagli anni '60 del secolo scorso diventata la principale area residenziale anche grazie all'impulso dell'industria Whirlpool sorta a pochi chilometri nel comune di Biandronno. Il toponimo è attestato in molte aree della Lombardia. In dialetto malpaga designa il "cattivo pagatore". Il nome si può interpretare o come un terreno poco produttivo che induce ad avere pochi guadagni e quindi ad essere spesso insolvente o più direttamente come un terreno che "ripaga male" gli sforzi di una giornata di un contadino.
16) Mercanteggia: strada nota anche come del Mercanteggio. È la prima strada interamente battuta costruita all'interno del comune che partiva dal comune di Comabbio fino a toccare il comune di Biandronno. Oggi ne è rimasto solo un piccolo tratto che passa proprio nel centro del paese. Il nome è da far risalire probabilmente alla funzione che aveva questa strada, cioè quella di collegare diversi paesi per favorire il passaggio di merci.
LA CASA (1/6)
Io, abitare fuori dai Bastioni, mai! Ma poi i Bastioni i hann traa giò...
M: Bene, cominciamo dalla casa. Ma proprio a proposito di case, fammi ricordare che il Meneghino di un tempo (cioè io, diciamo 200 anni fa) è servo, non padrone, ma vive in pieno centro, in di tanti cà de ringhera che stann fianc a fianc cont i grand palazzi di sciori, con i cortili che fervono di attività di ogni genere, dall'artigiano alla fabbrichetta; e, soprattutto, parla lo stesso dialetto dei signori, anche se sue certe espressioni fanno storcere il naso a qualche vicino di casa cont on po de spuzza sott el nas.
C: Oggi, però, è molto cambiato: il centro è considerato quello che sta dentro la circonvallazione dei Bastioni, dove sono concentrate le case di livello più elevato, dai grandi palazzi importanti vecchi di secoli, alle grandi case signorili dei primi del Novecento, e dove vive ancora la tradizionale borghesia milanese, tanto è vero che si dice che i milanesi più genuini se senten minga tai se stann minga denter 'sto serc.
M: Voraria minga ch'el fudess compagn d'on giron del Dante... ma è vero che i milanesi in generale, non solo i benestanti, chiamano "periferia" tutto quello che è fuori dalla terza circonvallazione, quella della 90-91 (uno dei mezzi simbolo di Milano, l'affollatissimo filobus che percorre la circonvallazione esterna, appunto). Anzi, se tornom indree on cicinin, si fermavano alla seconda, quella di Bastion spagnoeu e della storica linea tranviaria 29-30, per arrivare infine alla prima, la Cerchia dei Navigli, che oggi sono coperti ma racchiudono comunque il "vero" centro storico di Milano. Ora in questo centro ci abitano in pochi, quasi tutti di alto rango, per il resto sono uffici e botteghe di lusso. La borghesia che hai citato, che è poi quella che si può dire abbia fatto le fortune di Milano, la troviamo, appunto, nella seconda fascia, dove gh'hinn forse i cà pussee bei della città, costruite perlopiù nei primi vent'anni del Novecento.
Nella terza fascia troviamo on po de tusscoss, case popolari e quartieri eleganti e di qualità, spesso intercalati con spazi verdi, piccoli ma numerosi. E anche tante cascine, coi loro campi, rogge, canali che hanno però fatto perdere quasi del tutto le loro tracce. È qui che i borghesi delle prime fasce avevano le loro fabbriche, che fino a non molti anni fa occupavano la gran parte dello spazio, spesso affiancati dalle case d'abitazione degli operai che cercavano di stare vicino ai luoghi di lavoro. Gran parte di queste case erano case di ringhiera, che erano una specie di simbolo della Milano opero sa. Adess i fabbrich gh'hinn pu e le case di ringhiera, almeno quelle poche rimaste, sono diventate abitazioni "alla moda", tanto apprezzate ed adeguatamente rivalutate, mentre le fabbriche sono spesso diventate dei musei o anche residenze sofisticate che chiamano loft. E sono rimasti anche alcuni borghi e quartieri della vecchia Milano, come el Borg di formaggiatt (corso San Gottardo e dintorni) o el Borg di scigolatt (via Canonica e dintorni)...
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06 Febbraio 2024 - martedi - sett. 06/037
Notizie dal Villaggio
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Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Ternate
17) Moccio: in dialetto Mööc. Area molto piccola che si estende a nord del paese e confinava un tempo con la cascina Trinità, oggi non più esistente. Si può far derivare il nome dalla voce milanese moce "tronco", forse per indicare una strada chiusa o interrotta da un tronco d'albero o simili
18) Ori: cascina ancora oggi presente situata al confine est con il Canale Brabbia e a nord del confine con il comune di Varano Borghi. Ori può essere fatto risalire alla voce dialettale ör dal significato di "colle o ciglione" (cfr. Oria frazione di Valsolda -CO-)152
19) Pacit: una delle più antiche località di Ternate situata a nord del paese al confine con Travedona e Cascinetta Rizzone che comprende la Cascina Gattè. L'etimologia del nome è oscura. Il suffisso finale-it in potrebbe essere letto come plurale della forma singolare -in che designa un nome personale o famigliare. Più semplicemente si potrebbe pensare ad un cognome Pacini largamente diffuso .
20) Palù: cascina oggi nota come Cascina Palude, situata pochi chilometri a nord della Cascina Ori. Il nome non è altro che il termine dialettale palude.
21) Paurascio: sulle carte si può trovare anche come Paurdascio. Piccola area a nord del paese al confine con il comune di Varano. Questa zona un tempo ospitava l'importante attività industriale detta Industriale Calce che produceva calce per tutto il territorio circostante. L'attività è stata in funzione fino alla metà del Novecento ed era alimentata anche dalla Cava del limitrofo comune di Travedona-Monate (v. Travedona-Monate n. 19). Il nome si dovrebbe ricollegare ai derivati della voce dialettale pau "palude" o paurèt "colui che lavora nella palude"(v. Cadrezzate n. 20). L'area però nella quale è situata questa zona è molto distante dalla Palude Brabbia e quindi non si riesce a giustificare pienamente questa voce.
22) Pozzone: cascina situata a pochi metri a nord del centro del paese. Il nome è dovuto alla costruzione sorta su un grande pozzo per il rifornimento di acqua (v. Cazzago Brabbia n. 18).
23) Roncass: (Roncàas) zona scoscesa a sud del paese verso Comabbio che finisce il suo declivio sulla piana che ospita il centro del paese (v. Biandronno n. 17).
24) San Sepolcro: primo centro d'insediamento del paese a sud dell'attuale centro abitato elevato su un leggero poggio. Il nome dovrebbe rifarsi ad un antico monastero locale, ora non più esistente, che aveva tale nome
LA CASA (2/6)
C: ...Quell che adess l'è el quartier cines!
M: Sì, altri nuovi milanesi che hinn quasi cent'ann che hann cominciaa a vegni chi; e adesso pare che il cognome più diffuso in città sia proprio cinese, Hu. Ma bisogna anche ricordare altri quartieri che si possono definire storici, come l'Isola, la Bovisa, il Giambellino, Lorenteggio; e poi quelli attorno alle Porte altrettanto storiche, Ticinese, Comasina, Vercellina, Orientale eccetera. E, ancora, i vecchi Comuni autonomi inglobati a Milano nel 1923, Lambrate, Dergano, Musocco, Crescenzago eccetera, che forse conservano ancora una quota maggiore di autentici meneghini, anche se un tempo erano considerati "ariosi".
C: Qualche decennio fa però pareva che i milanes voreven stà in città, soprattutto i nuovi benestanti del boom, e così sono nati dei quartieri esterni come San Felice, Milano 2, Milano 3, che volevano rassomigliare a villaggi esclusivi riservati a gente con buone disponibilità.
M: E, in effetti, par che el Comun pussee scior d'Italia sia quello di Basiglio, dove appunto sorge Milano 3, ma ci sono anche zone periferiche della città che ospitano quartieri di lusso, come ad esempio San Siro, che però se troeuven spess taccaa cont i cà popolar, anca on po malfamaa. Bisogna poi considerare che il territorio del Comune di Milano l'è piscinin (poco meno di 182 km2) e appenna foeura gh'è quell che ciamom l'hinterland, con tanti Comuni attaccati alla città che però sono indipendenti, e così è nata la cosiddetta Città Metropolitana, una specie di istituzione a metà tra il Comune allargato e la Provincia ridotta, che dovrebbe comprendere appunto il territorio che è tutt'uno con Milano. Incoeu però se capiss minga nancamò se l'è che tocca al Comun, alla Provincia, a la Region...
C: Forse bisognerebbe spostare il nuovo limite alla Tangenziale, che la par giamò ona quarta circonvallazion. Comunque, in questi ultimi anni c'è stato un gran ritorno della città, che trova la sua maggiore espressione nei nuovi quartieri di CityLife, dove c'era la vecchia Fiera, di Porta Nuova, lasciata in stato pietoso per più di 50 anni dopo la guerra, e delle fabbriche dismesse ora diventate zone alla moda.
M: Debon on cambiament notevol, reso ancora più signifi cativo dalla qualità degli edifici che stanno disegnando un nuovo profilo della città, ma che fanno anche costare sempre più care le case, per cui si torna a cercare fuori, e non più villaggi esclusivi ma abitazioni dai costi più accessibili. Peraltro, si sta ancora modificando il volto di tante altre zone, in particolare dove c'erano i grandi scali ferroviari
Porta Romana, Porta Vittoria, via Farini. Ma non si sente ancora tanto parlare delle caserme mezze abbandonate e del famigerato carcere di San Vittore, un vero e proprio anacronismo nel centro di una città moderna. Intant però par che se semm dismentegaa delle periferie, tirate su male con i casermoni degli anni Sessanta/Settanta, che hanno dato vita a quartieri non proprio modello, come Gratosoglio, Quarto Oggiaro, Gallaratese e che oggi sono molto deperiti, con grossi problemi di vivibiltà, soprattutto nelle case popolari di proprietà pubblica, dove succed de tusscoss e spess minga tanto de bon. E lì abita ormai moltissima gente che l'ha gh'ha el diritt de ciamass milanes, ma che fatica ad identificarsi con l'idea che si ha di noi.
El vicol di lavandee - » vicolo dei Lavandai ang. alzaia Naviglio Grande
Del tipico lavatoio ne è rimasto solo qualche esempio. La lavandaia (lavandera) appoggiava sulla pietra inclinata (preja) un asse di legno a tre sponde con impugnatura (brellin), su cui fregava i panni utilizzando come solvente el palton. Esisteva la lavandera de color, de bianch, de gròss, de fin.
A inizio '800 ci si ingegnava con mestieri per strada: el magnan stagnava le pentole, el strascee ritirava panni usati, el rottamatt ritirava ferri vecchi, el ciaparatt cacciava topi, el moletta era l'arrotino, el cadreghee l'impagliatore di sedie, el trombee l'idraulico. Quando non esisteva il sostantivo specifico si usava il pronome quèll e l'oggetto: quèll del zuccher filaa, de la riffa (venditore di dolciumi a scommessa), de la scimbietta (scimmietta) e de l'orghenin, del lott, di rann (delle rane), di cuni che vendeva le castagne di Cuneo infilate a collana, di pericotti (pere cotte), de la gnaccia (castagnaccio) che veniva dalla Toscana.
Per strada era facile incontrare le piscinine (apprendiste) che consegnavano a domicilio grandi scatoloni coi vestiti delle signore, ma in troppe poi avviate alla prostituzione. A fine '800 in migliaia trovarono lavoro nelle fabbriche. Le condizioni erano dure, fino a 14 ore di lavoro al giorno, senza ferie, senza mutua per le malattie né pensione per la vecchiaia. Per donne e bambini tre e sei ore di lavoro per un chilo di pane, rispettivamente.
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07 Febbraio 2024 - mercoledi - sett. 06/038
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-xxx.mp3 - qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati1/QGL407-reperti-storici.mp3 - I reperti preistorici a Cuirone - #32 - 2,00 - rvg
Le urne, il corredo e l'immagine del defunto
Come urne sono utilizzati sia recipienti specifici, in argilla fine con superficie liscia e decorata a solcature sottili e a coppelle, sia vasellame d'impasto più grossolano e d'uso domestico, ben documentato negli abitati di questo gruppo culturale. Tipiche della produzione più fine sono le urne biconico-lenticolari, di piccole dimensioni e numericamente prevalenti, e le urne più grandi biconiche e ovoidali; la produzione più grossolana si esprime invece in piccoli contenitori a imboccatura aperta, ovoidali o troncoconici. Le piccole urne biconico-lenticolari a Canegrate sono nei 2/3 dei casi associate a bambini, per il resto ad adulti; quelle grandi sono per adulti o per le tombe plurime.
Nelle urne si trova il corredo personale e, in rari casi, un vasetto accessorio. Altri elementi del corredo possono trovarsi nel riempimento del pozzetto. Sono oggetti per lo più alterati dal calore del rogo, a volte anche spezzati intenzionalmente e resi inutilizzabili, "sacrificati" per accompagnare per sempre il defunto. Non manca l'offerta di manufatti deposti integri o nuovi, come il pugnaletto della t. 75, una sepoltura femminile particolarmente ricca.
Attraverso gli oggetti di corredo possiamo dare una immagine ai defunti. Comprendiamo che indossavano abiti fermati da spilloni di bronzo, per gli uomini in un solo esemplare e per le donne in numero maggiore, goliere a tortiglione o a sezione circolare e bracciali a capi aperti in bronzo. Goliere e bracciali sembrano essere stati portati sia da maschi che da femmine e, in virtù della loro frequenza, possono essere considerati rappresentativi del costume della cultura di Canegrate. Meno frequenti sono i bracciali in osso decorati a cerchielli incisi, le perle di vetro, i pendagli e gli orecchini di bronzo. Di pertinenza femminile, a parte le fusarole, sembrano gli orecchini, le perle di vetro per i pendagli e per la decorazione della testa degli spilloni e pugnaletti con foro per la sospensione. D'appannaggio maschile sono considerate le armi: spade, cuspidi di lancia, pugnali e coltelli.
Le basiliche ambrosiane - piazza del Duomo
Ambrogio volle Milano sotto la protezione divina. Progettò così quattro basiliche al di fuori della cinta muraria, ai quattro punti cardinali, e alla loro intersezione il battistero, ottagonale poiché l'ottavo giorno è quello della Resurrezione, della nascita dell'uomo nuovo rigenerato dal Battesimo.
Le strisce sul sagrato del Duomo riproducono il perimetro del battistero voluto da Ambrogio nel 378, poi demolito per far posto alla cattedrale. Quattro metri sotto il livello della piazza sono visitabili le fondamenta e la fonte battesimale [ v. foto sopra]. Qui, la notte di Pasqua del 387, Ambrogio battezzò il futuro Sant'Agostino. Costui era arrivato a Milano tre anni prima: rètore, laico, dopo aver sentito parlare il vescovo prese "subito ad amarlo" (scrisse nelle Confessioni). A sud-est la basilica Apostolorum, che venne poi dedicata a San Nazaro perché Ambrogio la arricchì del corpo del santo scoperto dodici anni dopo nel campo dei Tre Mori.
A ovest la basilica Martyrum (oggi Sant'Ambrogio), dedicata a chi aveva pagato col supplizio il credo per la nuova fede, contenente reliquie dei martiri Gervasio e Protasio, e dove è sepolto Ambrogio. A nord-ovest la basilica Virginum (oggi San Simpliciano), dedicata alle giovani che votavano l'esistenza a Dio. A quei tempi la donna era considerata res, cioè proprietà, e quindi ufficializzare lei la possibilità di una scelta autonoma consacrandosi al Sifu un'idea rivoluzionaria.
A nord-est la basilica Prophetarum o del Salvatore, poi San Dionigi, dedicata a chi tutto precedeva e riepilogava (demolita per fare posto ai bastioni di Porta Venezia). La sua grande fonte battesimale in porfido sarà trasferita in Duomo.
CI SI VEDE PER IL... "CAFFÈ"? (1/3)
Non si sa se sia vero, ma qualcuno ha messo in giro la voce che, quando il grande re di Polonia Jan Sobieski salva letteralmente l'Austria e di conseguenza l'intera Europa sbaragliando i Turchi a Vienna nel 1683, gli vengono portati dei sacchi ripieni di misteriosi "fagioli verdi" recuperati nell'accampamento ottomano abbandonato in tutta fretta: ma lui, avendo sul momento ben altri pensieri per la testa, pensa bene di girarli a un tale Jerzy Franciszek Kulczycki, uno dei suoi ufficiali veterani che l'ha seguito in tante imprese.
Orbene, quando questo Jerzy, polacco, realizza di averne proprio piene le tasche di guerre e decide di prendersi il meritato riposo con la liquidazione corrispostagli dal sovrano, pensa bene di sistemarsi a Vienna, visto che è già lì, e di aprire un suo localino. Quando parliamo però di localino non stiamo parlando ancora di un baretto, che allora non si usava, stiamo parlando di un "caffe".
Jerzy non lo sa ma, con la fortuna dei principianti, ha imboccato il filone giusto perché, giusto qualche anno dopo, arriva il Settecento, l'âge d'or per il caffè in tutta Europa, non più solo, quindi, un appannaggio dell'Oriente, da dove un secolo prima arrivava raramente, giungendo nei nostri porti sotto forma di erba me- dicinale, a prezzi altissimi e non certo conosciuto come bevanda normale.
Il caffè si chiama così dalla regione montuosa in Etiopia denominata Kaffà, e si era presto diffuso nel mondo musulmano, che vieta il consumo di alcool, ed era quindi definito "il vino d'Ara- bia". A dir il vero non è che fosse molto ben visto dalle autorità religiose locali, per il suo potere eccitante, per cui, tanto per cambiare, si pensa bene di vietarne assolutamente il consumo alle donne; e anche per quanto riguarda gli uomini viene spesso demonizzato e indicato quale pretesto per non frequentare la moschea.
La stessa avversione, guarda caso, si registrerà, almeno agli inizi, da parte della Chiesa, che arriva a definirlo addirittura "bevanda. del Diavolo" sempre per il suo carattere eccitante.
A un certo punto anche da noi comincia a dilagare l'abitudine di consumarla in un nuovo tipo di locale che in pochi anni spopola, un posto che si caratterizza per esser ben diverso sia da osterie e birrerie, roba da plebaglia, che dagli esclusivi club aristocratici.
Un posto da borghesi, da commercianti, da capitalisti, da illuministi, un posto dove contrattare, dove confrontarsi, dove discutere, dove leggere di tutto, un posto di nuove curiosità e di nuove libertà, di idee anche un po' sovversive per l'epoca, perché uno dei motivi che contribuirà al successo di tutto ciò sarà il fatto di andare di pari passo con l'affermarsi delle nuove idee e all'interesse rinnovato per quel mondo esotico dell'oriente: basti pensare alle Lettere persiane di Montesquieu e alla fortuna di certi romanzi che evocano atmosfere di velato erotismo.
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08 Febbraio 2024 - giovedi - sett. 06/039
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-xxx.mp3 - qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati16/QGLC674-comabbio.pdf - una serie di fotografie del lago e dintorni - #32
Toponimi di Ternate
25) Santa Maria: altura principale del comune di Ternate che si sviluppa tutta all'interno del paese. Il rilievo di circa 270 metri è a nord-ovest rispetto al centro del paese e alle sue pendici si sono formate le prime abitazioni che hanno dato vita poi al comune vero e proprio di Ternate. Insieme alla località San Sepolcro (posta sullo stesso asse in direzione sud rispetto al poggio) la località Santa Maria e il Pacit formano il nucleo storico e più antico del paese.
26) Selva Spagnoi: un tempo piccola radura che si estendeva a nord del paese e fungeva da confine naturale con la località Cassinetta Rizzone di Biandronno. Lo specifico Spagnoi è voce oscura. È pensabile il riferimento ad un cognome ampiamente diffuso come Spagnoli, oppure è ipotizzabile il riferimento alla voce dialettale Spagnöö che si riferisce al Moròn "gelso"155.
27) Trinità: antica cascina oggi non più esistente edificata sul terreno un tempo noto come Campi Grandi (v. Ternate n. 7). Questo toponimo quindi non è più conosciuto dagli abitanti ternatesi e resta registrato solo nelle carte catastali di inizio secolo.
28) Verago: voce registrata in un atto notarile del 1027. Oggi la località non è più nota agli abitanti di Ternate 156. La voce è da considerarsi un prediale poiché continua un nome gentilizio del tipo Verius o Varius (cfr. Verate -CO-e Verano Brianza -MI-)157.
29) Vignasecca: località attigua al terreno Malpaga. Nome trasparente che si riferisce ad un terreno piantato un tempo a vigna. Designa probabilmente un terreno predisposto alla coltivazione dell'uva ma poco produttivo (v. Cadrezzate n. 38).
Dalle ceneri al laboratorio, uno sguardo preliminare sulla necropoli di Canegrate
A differenza di quanto si pensi, la cremazione non provoca la polverizzazione completa di un corpo, ma altera le ossa, in forma, colore e dimensione, restituendo dei frammenti analizzabili, seppur con qualche difficoltà. Questi cambiano a seconda della temperatura raggiunta dalle fiamme o dal tempo di esposizione al fuoco. Le ossa provenienti dalla pira possono essere sottoposte a rituali diversi, come ad esempio lo spargimento in campo aperto, la raccolta in un contenitore o la sepoltura con tutta la struttura funeraria.
Nonostante questa sfida, anche gli individui cremati possono ancora raccontarci le loro storie, accrescendo la nostra capacità di ricostruzione del passato; non va dimenticato che anche il reperto più piccolo può contenere informazioni preziose. Il sepolcreto a incinerazione di Canegrate si configura come un sito nevralgico per l'indagine della popolazione che ha vissuto in Italia settentrionale in questo periodo storico. Le analisi, tuttora in corso, mostrano una necropoli varia, composta da uomini, donnee bambini. Data la scarsità dei materiali, spesso è difficile diagnosticare con certezza il sesso o stimare con precisione l'età; nonostante ciò, si comincia a percepire una popolazione attiva, che viveva e soffriva, sforzando sovente il proprio corpo e subendo disagi dovuti a eventi accidentali. Solo quando si avrà una visione complessiva di tutta la popolazione si potrà meglio identificare chi fossero e che vita abbiano condotto.
La tomba 121, qui esposta, appartiene a un bambino di circa sei anni, il cui corpo non ha ancora sviluppato i caratteri sessuali (1). Le ossa mostrano le tracce di una malattia che lo affliggeva da lungo tempo, viste le evidenti reazioni infiammatorie (2) su più ossa del corpo, più probabilmente di origine gastrointestinale o polmonare.
PERCHÉ NON POSSIAMO DIRCI SVIZZERI...
Finita l'era degli Sforza, Milano è ormai saldamente e inesorabilmente sotto i Francesi, che impongono come governatore della città lo spregiudicato condottiero Gian Giacomo Trivulzio, ormai divenuto la loro longa manus in Italia e che, per ringraziamento per i servigi resi, viene nominato addirittura maresciallo di Francia dopo aver sconfitto Venezia nella battaglia di Agnadello e gli Svizzeri nella cruentissima battaglia di Marignano (l'attuale Melegnano).
La famosa "battaglia dei Giganti" del 1515, come la definì proprio il Trivulzio per la carneficina che avverrà sul campo, si parla di 10 o 15.000 morti, fu combattuta fra gli Svizzeri alleati dell'ultimo degli Sforza, Massimiliano, e i Francesi che si era cercato l'ennesima volta di scacciare da Milano.
Il Massimiliano di cui qui si parla è il figlio di Beatrice d'Este e di Ludovico, anche se il ritratto che ci è pervenuto di lui è ben diverso da quello del Moro: non solo perché lui è biondo e con gli occhi azzurri (eredità della madre, come tutti gli Este bionda e di carnagione chiara), ma, soprattutto, sarà magari stato il trauma di essersi visto sparire nel giro di pochi anni entrambi i genitori, certo è che da loro non ha ereditato alcun talento.
Da subito si rivela niente di più che un pupazzo che gli Svizzeri, già al soldo del padre, mettono formalmente alla guida di ciò che resta del Ducato di Milano con l'intento nemmeno troppo celato di annetterselo al più presto; e che non sia certo un cuor di leone lo dimostrerà quando, dopo la sconfitta, si presenterà a Francesco I col cappello in mano per cedergli tutti i diritti sul Ducato in cambio di una più che discreta pensione vitalizia e della promessa di adattarsi a vivere fino alla morte in Francia da semplice cit tadino sotto stretta sorveglianza della polizia.
Come recita il motto "ex clade salus" (dalla sconfitta la salvezza) che fa bella mostra di sé davanti alla chiesetta su una grande lastra di granito che la Svizzera vi fece portare qualche anno fa dalle sue montagne, fin dal quel 1515 gli Svizzeri, come comunità, mostrarono di avere la capacità di metabolizzare quella carneficina e, sulla spinta dell'onda emotiva che ne era seguita, decisero proprio da quel momento che la Confederazione sarebbe rimasta neutrale nei secoli a venire, tranne che nel caso di violazione dei propri confini. Decisione non da poco per quei tempi, se si considera che, pro- prio per la coesione in battaglia che ne caratterizzava le truppe, rigorosamente raggruppate su base cantonale, il loro esercito aveva sempre dato del filo da torcere in ogni conflitto di cui era stato protagonista fino ad allora.
CAOS URBANISTICO (1/2)
Nella città agli albori del 1700 gli spazi son quelli che sono. Milano presenta ancora un nucleo a troppo alta densità abitativa all'interno della storica Cerchia dei Navigli di viscontea memoria e uno, fortunatamente meno densamente abitato perché inframmezzato qua e là da orti e piccoli terreni coltivati a uso privato in un'ottica di sussistenza familiare, all'interno delle mura spagnole volute da don Ferrante.
Comunque la si giri, la città appare come il brutto prodotto sorto per vari processi succedutisi nel tempo in modo del tutto casuale. Gli spazi che offrono quelle poche piazze, se di piazze si può parlare, non sono più che slarghi di impronta del tutto occasionale, sorti dove certe vie finiscono con l'incrociarsi o che si aprono di fronte a palazzi patrizi con maggiori pretese o a certi grandi monasteri.
All'interno della Cerchia dei Navigli le strade sono strette e gli spazi risicati, basti pensare a quelle viuzze oggi così ambite intorno al fashion district o alla zona della Borsa.
Se oggi ogni abitazione ha il suo numero civico, a contraddistinguerla, in precedenza ci si affidava solo al nome della via cioè della contrada, magari facendo riferimento a quel palazzo dove risiedeva quella tal famiglia patrizia o a quella corporazione artigiana che vi operava o, ancora, a quella chiesa o a quel monastero che vi sorgeva.
Ma poi arriverà Maria Theresia con quei suoi numeri civici, appunto, "teresiani", così stranamente lunghi che, ancora oggi, da qualche parte, fanno capolino.
Bisognerà attendere la fine del 1800, con l'avvento del Regno d'Italia, perché quei numeri civici, a Milano, si adeguino a una nuova, ora uniforme disposizione: i numeri devono esser bianchi su fondo nero e, girando le spalle al Duomo, dovranno essere rigorosamente pari a destra, se dispari a sinistra.
Quanto alle architetture private che si incontrano nelle vie, la velleità di apparire non si addice più di tanto al patriziato cittadino. In città, non sempre, ma spesso, per le facciate dei loro palazzi, i ricchi optano più per il low profile, anche se all'epoca non si parla ancora di sequestri per estorsione. Poi, varcati quegli impenetrabili portoni, si apre tutta un'altra storia.
Non è un caso, del resto, se proprio a Milano è nato quel vecchio adagio che così suona: "el de denter l'è per i padron, el de foeura l'è per i minciòn".
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09 Febbraio 2024 - venerdi - sett. 06/040
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Toponimi di Cazzago Brabbia
7) Ciappera: lungo tratto di riva che va dall'inizio del fiume Brabbia alla strada detta Stravéla, "stradetta". In dialetto troviamo due nomi per questo luogo: Cipéra e Ciàpa. Il nome sarebbe facilmente spiegabile facendolo risalire al termine tardo latino clappa che significa "lastra di pietra piatta". Il riferimento a questi terreni però non è molto pertinente, perché la zona vicina al lago è più umida che arida e pietrosa. Un' altra possibile interpretazione attribuisce al termine latino clappa il significato di modus agri cioè "'unità di misura per un appezzamento di terreno ".
8) Conserva: in dialetto cunsèrt o giazèr, è il luogo adibito alla conservazione del cibo, indispensabile per gestire risorse alimentari anche nei periodi di siccità e carestia. Questa zona era caratterizzata da tre ghiacciaie costruite sul finire del Settecento nelle vicinanze della contrada Brabbia nella parte nord del paese. La pratica di costruire piccole strutture in mattoni, riempite con ghiaccio e neve nei periodi invernali, in cui riporre pesce e carne per la loro conservazione, si è protratta fino agli anni '40 del Novecento, sostituita poi dalla moderne tecniche di rifrigerazione e conservazione del cibo'. Il nome dialettale cunsèrt è stato italianizzato in "conserva" per la prima volta nell'atto notarile del 1922, che prevedeva l'acquisto dei diritti di pesca della Cooperativa dei Pescatori dalla allora proprietà della famiglia Ponti.
9) Cuèt: in italiano traducibile come "codina", "codine" o "codino". Difficile capire se la voce sia il plurale del termine dialettale cuéta "codina" o il singolare con la particolare caduta della -a finale, fenomeno riscontrato già in alcuni toponimi di queste zone. Si direbbe comunque essere il diminutivo plurale della voce cùa "coda" che continua il latino cauda. Il toponimo si riferisce probabilmente ad una piccola striscia di terra simile nella forma ad una coda.
10) Fòssüra: piccola cresta che porta alle sponde del Lago di Varese. Il nome sembra essere un diminutivo con rotacismo del nome dialettale fòs "fosso""". Il toponimo dovrebbe indicare il "luogo in cui è presente un fosso", di cui però oggi non c'è traccia alcuna.
ANTICHE AMICIZIE
Siamo diventati grandi insieme. Certo che lo conosco. Abbiamo scaldato insieme i banchi di scuola, giocato insieme alla palla in piazza, insieme abbiamo fatto qualche volta a cazzotti, giocato alla gibulèa, a ladri e carabinieri, ci siamo scambiati i primi libri. Io Salgari lui Verne, io London, lui Stevenson, poi Conrad fino a Pirandello, fino a Thomas Mann. Si chiama, questo vecchio amico, Gino Stefani figlio di genitori profughi di Feltre durante la prima guerra mondiale. Abitava a sinistra della metà di Via Bolzano, nella cascina - la cà rusa circondata da almeno duecento pertiche di terreno coltivato. C'erano a dir poco una cinquantina di filari d'uva che aiutavo anch'io a cogliere e a pigiare nel tino di sedicimila litri posto in mezzo al cortile. Gino da giovane era un eccellente clarinettista jazz. Aveva suonato un po' dappertutto, nelle più famose orchestre del momento. Abbandonò l'attività musicale per entrare nei Gesuiti all'Aloisianum di Gallarate. Regalava tutto quanto sua madre gli comperava per il corredo: maglie, camicie, pullover, vestiti. Abbandonò anche i Gesuiti e si trasferì a Bologna dove, tuttora, insegna al conservatorio musicale. Quante passeggiate a piedi e quanto chiacchierare, discorrere, discutere, abbiamo fatto insieme. Una domenica ero andato a Milano per assistere a una partita di calcio, un derby. Venne un diluvio di pioggia e così dovetti rinunciare alla partita. Andai in un locale dove sapevo che lo avrei trovato con la sua orchestra. Passai un pomeriggio eccellente anche se il jazz non mi era molto famigliare. Caro Gino, come va? Ti ricordi quando mi hai prestato da leggere "il borgo" di William Faulkner e io a te "il diavolo al Pontelungo" di Riccardo Bacchelli?
Una quindicina di giorni fa, mentre passavo in rassegna i miei libri, che non ho più posto dove metterli da tanti che sono diventati (mi capita spesso di fermarmi in contemplazione di qualche volume che mi ha particolarmente entusiasmato) ho rivisto la copertina celeste- cenere del "Ritratto di Signora" scritto nel 1879 da HENRY JAMES (1843-1916) scrittore statunitense, uno dei tanti capolavori della collana Narratori Stranieri tradotti,
Non puoi averlo dimenticato tanto ci esaltò la scoperta del nuovo scrittore. L'ho riletto, da allora, ancora due volte. L'entusiasmo è immutato, come quello di cinquanta anni fa. Forse un poco di più. Ciao Gino, a domenica prossima, verso le dieci, al solito posto, sull'angolo davanti alla casa, del Giucumèn Calzulàr. Ci vediamo.
Dai dati antropologici e archeologici alla ricostruzione di uno spaccato della società
Secondo l'analisi antropologica eseguita negli anni '50 dal prof. Luigi Cardini ed ora in corso di approfondimento da parte dell'équipe della prof.ssa Cristina Cattaneo, il gruppo umano che la necropoli di Canegrate restituisce appare rappresentativo dell'intera comunità: è presente una maggioranza di sub-adulti, compresi i giovanissimi e i perinatali, che corrisponde alle percentuali attese in società a mortalità naturale, cioè non modificata dall'introduzione di antibiotici e vaccini. Diversamente da quanto si registra presso le contemporanee comunità dell'Italia nord-orientale (esclusione dalla sepoltura nella necropoli e dal rito crematorio fino ai 2-3 anni), a Canegrate non sono poste limitazioni di uso della necropoli per i soggetti più giovani, che vengono deposti con corredo e oggetti di prestigio, al pari degli adulti.
I materiali di corredo che accompagnano i defunti probabilmente non riflettono l'immagine degli individui in una dimensione quotidiana, ma rispecchiano l'identità sociale che si voleva affermare nel momento della cerimonia funebre.
I corredi comprendono solo due categorie di oggetti - elementi dell'abbigliamento e dell'ornamento personale e armi - che sembrano enfatizzare una differenziazione tra individui basata essenzialmente sul principio di genere; anche la modalità di sepoltura con orientamento bipolare delle urne si inserisce in questa tendenza. Chi sarebbero allora le "signore" e i "guerrieri" che ci mostra il costume? Il fatto che alcuni dei portatori di spada siano ancora dei bambini (t. 6, t. 9, t. 92), ci porta a ritenerli i membri di una élite che si connota attraverso il possesso degli attributi guerrieri, a prescindere dalla classe di età e dall'effettivo esercizio delle armi, nel quadro di una società che si va segmentando sulla base di articolazioni socio-economiche acquisite su base ereditaria.
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10 Febbraio 2024 - sabato - sett. 06/041
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CAZZAGO BRABBIA (30) - Cazzago Brabbia: m. 265; kmq 3.86; abitanti 785.
Comune della provincia di Varese situato 11 km a ovest del capoluogo sulla sponda meridionale del Lago di Varese.
Il toponimo Cazzago sembra risalire a un più antico Cagazago attestato nell'anno 840. Per questo lo si potrebbe ricondurre ad un nome personale Cacatius con l'aggiunta del suffiso -acu. Lo specifico Brabbia, aggiunto in epoca unitaria per meglio differenziarlo da altri Cazzago presenti in Lombardia, (cfr. Cazzago San Martino -BS-) ha una etimologia dubbia. Si potrebbe pensare al celtico barros "cespuglio"".
1) Brabbia: fiume che crea un confine naturale tra i comuni di Cazzago Brabbia e Biandronno. Il corso d'acqua (1,3 km) è un emissario del Lago di Comabbio e si getta alla fine della sua corsa nel Lago di Varese, in località denominata dai locali Imbóch "imbocco". Il suo corso è molto lento e irregolare nel tratto finale, quello che bagna il comune di Cazzago Brabbia, mentre la parte che porta al Lago di Comabbio è più lineare in quanto ben tenuta e adibita alla navigazione fino alla fine dell'Ottocento per volere di alcuni facoltosi possidenti locali. Il nome del fiume, che fornisce lo specifico al Comune di Cazzago ed è noto localmente come "canale", è di dubbia derivazione. È possibile vedere nel nome una derivazione dalla voce celtica bar/barros "cespuglio" oppure dal termine tardo latino *plebula diminutivo di plebs "pieve" (cfr. Brebbia -VA-)67. Per motivi fonetici è più difficile far risalire il toponimo alla voce longobarda braida "podere, campi pianeggianti", che ha dato luogo a vari toponimi in tutta la Lombardia (cfr. Brera, località in Milano) e al termine breda usato in bresciano e cremonese con il valore di "campo".
2) Brüghet: la zona che sovrasta la Ciapéra. Il termine è sicuramente un diminutivo di brügh "brugo, erica" e deriva dal celtico brucus "pietraia", terreno magro e poco produttivo dove cresce l'erica.
La Darsena e i navigli (secolo XII-XIX) - viale Gorizia ang. ripa di Porta Ticinese
È il "porto" di Milano. Vi convergono 3 canali: il Naviglio Grande, il Naviglio Pavese e il Naviglio Interno. Essi furono costruiti allo scopo di portare acqua alla città per migliorare la difesa militare, le attività commerciali e artigianali, la salute pubblica. Il Naviglio Grande fu il primo a essere costruito. Pochi anni dopo la distruzione della città da parte dell'imperatore Federico I detto il Barbarossa, nel 1179 i Milanesi iniziarono i lavori per portare fin qui le acque del lago Maggiore e del Ticino, con un percorso di 50 km. Il Naviglio Interno, costruito nel '400, attraversava la città con un sistema di conche, ma è stato coperto negli anni Trenta per facilitare i trasporti su terra. Esso portava qui, attraverso il canale della Martesana, le acque provenienti dal lago di Como e dall'Adda. Il Naviglio Pavese fu completato nel 1819 e, in deflusso, si riallaccia al Ticino nella sua parte navigabile e quindi al Po e al mare. La Darsena fu costruita ai primi del '600 sotto il governatore spagnolo Pedro de Acevedo conte di Fuentes. In Darsena arrivavano chiatte trainate controcorrente da cavalli (poi motorizzate), cariche soprattutto di sabbia e ghiaia, ma anche di legname e persone. Attraverso il Naviglio Grande fu trasportato il marmo per il Duomo, che arrivava dalla cava di Candoglia lungo il fiume Toce e poi il lago Maggiore.
Abbazia di Chiaravalle (fondazione 1135) - via Sant'Arialdo 102
L'abbazia fu fondata da San Bernardo di Clairvaux, venuto a pacificare la città con papa Innocenzo II. Bernardo fu pregato dai Milanesi di fondare un monastero a somiglianza del suo in Francia (i Cistercensi erano famosi per le conoscenze in opere di bonifica agricola). Bernardo accettò in dono una estesa zona acquitrinosa infestata dalla malaria e chiamò alcuni dei suoi monaci.
Con sapienti opere irrigue essi riuscirono a ottenere tre sfalci annuali, ponendo le premesse per un allevamento bovino assai redditizio. In seguito le proprietà vennero affittate a famiglie contadine cui era data la possibilità di risiedere nelle "grange" monastiche. Venne così proposto un modello di sviluppo alternativo rispetto ai vincoli del sistema feudale, offrendo alla plebe una possibilità di affrancarsi dalla povertà con il lavoro.
Sulla scorta del loro insegnamento molte terre a sud di Milano vennero riorganizzate. L'opera di recupero agricolo portò alla prosperità, che permise l'erezione del monumentale complesso architettonico, seppure pensato privo di ogni ostentazione. I Cistercensi furono anche abili diplomatici e agirono spesso come mediatori nei trattati di armistizio e di pace.
Nel cimitero dell'abbazia vollero essere sepolti Pagano, Jacopo, Martino e Filippo della Torre.
Nel convento si ritirò a morire l'arcivescovo Ottone Visconti. Con lui, vittorioso nella sanguinosa battaglia di Desio (1277) contro la famiglia dei Torriani, iniziò la dinastia dei Visconti e la fine dell'epoca comunale. Fu il primo morso de "la vipera che il Milanese accampa", come scrisse Dante. Napo Torriani, il vinto, fu lasciato a penzolare in una gabbia, dove morì diciotto mesi dopo. L'abbazia decadde sotto gli Spagnoli e l'ordine venne abolito da Napoleone nel 1796. Il complesso divenne caserma, un'intera ala che era opera bramantesca venne rasa al suolo, la ferrovia fu costruita proprio a ridosso delle mura. Nel dopoguerra si iniziarono i lavori di recupero. Nel 1952 sono tornati i monaci.
La caratteristica torre nolare (detta Ciribiciaccola) dell'abbazia di Chiaravalle, che a lungo fu lo svettante punto di riferimento per l'ampio circondario. È curioso ricordare che non era prevista nel progetto iniziale; solo a meta del XIV secolo, quando il rigore cistercense si era alquanto rilassato, consentendo maggiori concessioni agli aspetti decorativi, fu deciso di innalzarla. Oltre a non essere precisa la data di costruzione, non è del tutto certo l'autore, benché gli studiosi oggi siano propensi a ritenere che sia Francesco Pecorari, al quale si deve anche il campanile della chiesa di San Gottardo in Corte a Milano.
Carne malata - (13-14 marzo 1876)
Vorremmo poter notare con nota indelebile di vergogna quei commercianti di commestibili che non si fanno scrupolo di vendere generi guasti e alterati, senza alcun riguardo alla sa lute pubblica. Molte malattie hanno la loro sorgente nella schifosa cupidigia di questi signori. Uno di essi è Vincenzo de Micheli, pizzicagnolo nel sobborgo di Porta Tenaglia al num. 80, al quale vennero sequestrati ieri, a cura del delegato civico signor Crespi, 125 chilogrammi di carni salate, riconosciute nocive, e che pure quel bravo uomo cercava di vendere.
Promesse, promesse (7-8 aprile 1876)
Un fattorino di studio è mandato dalla ditta Fumagalli e Roveda, commissionari in chincaglierie, a pagare una cambiale di duemila lire.
Come! disse fra sé il fattorino per via, che cominciava a provare tutta la verità di quel proverbio l'occasione fa l'uomo ladro. - Come! dovrò io pagare la cambiale? - Fossi matto! In quel momento pensò alla Svizzera: e già ne vagheggiava il fido asilo e i monti insuperabili. Andò nella Svizzera: ma una notte assalito dai più atroci rimorsi, scrisse, tremando, e mandò ai suoi padroni un simile bigliettino: «Cari padroni! lo vi ho rubato 2000 lire, confesso il mio delitto, e me ne pento, ma vi prometto, sul mio onore, di restituirvele a pronta cassa, appena avrò fatto fortuna in America dove intendo salpare. Addio». La cosa è comica, ma la ditta Fumagalli e Roveda ha denunciato la truffa, e già la giustizia procede a sensi di legge contro il disonesto fattorino.
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11 Febbraio 2024 - domenica - sett. 06/042
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Toponimi di Cazzago Brabbia
3) Bonze: in dialetto Bunž. E' il nome dato ad una botte ovale utilizzata per il trasporto del pozzo nero. Prima dalla costruzione della rete fognaria moderna, la pratica di riversare i liquami in un buco fatto nel terreno era di larghissima diffusione, così come l'utilizzo periodico della bonza per svuotarlo. Il termine è forse derivato dal tardo latino bicongius, che designava una misura per liquidi". La bonza di Cazzago era situata lontana dal centro del paese in una zona compresa tra il fiumiciattolo del Riale e le sponde del Lago di Varese.
4) Ca dür läägh: letteralmente "casa del lago", situata a est della Funtana. Era un piccola costruzione, oggi non più esistente, in muratura, usata dai pescatori per riporre i loro attrezzi e per svolgere piccoli lavori di manutenzione sulle reti e sul materiale della pesca. Nei periodi di epidemie era usata come casa per ospitare i malati (es. durante il colera nel 1867).
5) Castèl: è il nome del luogo più alto di Cazzago Brabbia. Si trova nel centro del paese, poco a sud della Chiesa (cfr. Cadrezzate n. 7). Oggi non ci sono tracce di tale fortificazione, ma i pescatori chiamano ancora questa zona come Ca valta "casa alta" e la usano per orientarsi mentre navigano nel lago per la pesca.
6) Chignoli: piccolo terreno a forma triangolare che si inserisce in un'ansa del Riale a metà del suo percorso verso il Lago di Varese. In dialetto il chignöö o cügnöö designa la "bietta" o il "cuneo". Si tratta di una metafora geomorfica molto comune.
CI SI VEDE PER IL... "CAFFÈ"? (2/3)
Per la cronaca, pare che Voltaire sia stato per tutta la vita un consumatore compulsivo di caffè.
Un vero e proprio boom, se uno passeggia per Londra o per Parigi, che da sola, sul finire del XVIII secolo, di caffè ne conta 700! Un boom che ben presto si registra, in misura in parte differente, anche qua da noi, dove quel tipo di locale è frequentato perfino da esponenti della vecchia nobiltà; per rendersene conto basta camminare per le calli di Venezia, che col solito intuito penserà subito di applicarci una regolare tassa, ma anche per le vie di Roma, di Padova, di Torino... e di Milano.
Un curiosità. A Firenze esiste un locale chiamato il "Caffè dei ritti" perché lì il caffè lo si consuma rigorosamente in piedi al bancone, proprio come al bar dei giorni nostri!
Si tratta ormai di un fenomeno sociale che non può di certo sfuggire al fiuto di quell'avvocato borghese, Carlo Goldoni, che nel tempo libero già da un po' si diletta a mettere in scena piccole, all'apparenza banali storie di tutti i giorni, storie popolari, in antitesi rispetto alla consolidata moda del celebrato teatro aulico. In laguna passa certe mattinate libere da impegni legali divertendosi ad andare a zonzo (a Parigi, dove pure approderà in seguito, lo definirebbero un flâneur) per le calli, avendo cura di guardarsi intorno, da curiosone impenitente qual è, e ovviamente di tanto in tanto ci scappa un caffè, dove non disdegna certo di fermarsi, affascinato dalle conversazioni a volte molto erudite fra appassionati seguaci di nuove idee spesso anche un po' pericolose, dai rapporti fra i borghesi emergenti e i nobili ormai inesorabilmente decaduti e da quegli avventurieri senza scrupoli sempre in cerca del colpo di fortuna che li possa mantenere, gente alla Casanova, giusto per non far nomi.
Poi la sera, quando è in vena, comincia a buttar giù quelle battute che, forse lui nemmeno se lo immagina, così banali non devono poi proprio essere se, come è vero, entreranno addirittura nella storia del teatro europeo... le battute de La bottega del caffè. Sul modello di certe riviste londinesi che hanno origine in questi locali, un certo conte Pietro Verri da Milano fonda qui da noi un foglio che si limita a chiamare "Il Caffè", su cui scrive anche lui e nel quale trasferisce tutto il suo entusiasmo per quelle idee che arrivano sempre più prepotentemente da Oltralpe.
Le definiscono, quelle idee, con un neologismo creato ad hoc, "illuministe", perché sono il prodotto di un pensiero che mira a "illuminare" la mente dell'uomo, finora vittima di ignoranza e superstizione, con le semplici armi della pura ragione, della critica, della scienza.
Roba che non sarebbe certo dispiaciuta a certi nostri illustri esponenti del Rinascimento.
Dopo gli studi di impronta filosofica ma anche economica fatti, tanto per cambiare, dai Gesuiti del Collegio di Brera e dopo una breve parentesi in guerra, il Verri si ferma a Vienna e, sotto il governo teresiano, entra a far parte della schiera dei funzionari asburgici.
Ma poi decide di tornare a Milano e su invito del fratello Alessandro prende a frequentare quella che si potrebbe proprio definire una gran bella compagnia, una compagnia di quelle che, come suol dirsi, ti formano nella vita: un Beccaria, un Porro Lambertenghi, un Secchi, un Longo, un Carli.
Un bel giorno, questi buontemponi, stanchi di continuare a far notte con le loro discussioni nei caffè e poi per strada, quando il gestore del caffè li sbatte fuori perché la mattina dopo deve svegliarsi di buon'ora, hanno questa pensata: visto che ormai si può dire che noi si sia una redazione bella e buona, perché non si fon da un nostro giornale?
Dunque, vediamo: un quotidiano? No, troppa fatica!
Un settimanale? Sarebbe lo stesso! Allora un mensile? No, troppo intervallo tra un numero e l'altro, chi se lo ricorda più!
Macinato canaglia - (27-28 luglio 1878)
leri il nostro tribunale correzionale condannava alla multa di cinquanta lire l'ingegnere Uglietti per ingiurie. Ed ecco perché. Nello scorso febbraio il signor Uglietti entrava in un mulino per fare collocare una ruota da macina, quando s'imbatté in certo Gruppi, revisore del macinato. Fra una parola e l'altra vennero a questo dialogo: «Ah lei è del macinato, eh?». «Sicuro!...». «Caspiterina, che fior di galantuomini lor signori». E voltegli le spalle si intratteneva con altri dicendo: «canaglia, birboni!».
Il Gruppi, «pel decoro de corpo», come disse all'udienza, sporse, alla sordina, querela contro l'Uglietti.
Pane e bilancia - (16-17 agosto 1878)
Nel sobborgo di Porta Tenaglia ricorreva ieri la festa della Bovisa. Il fornaio Menni, che ha bottega alla Fontana, nel sobborgo di Porta Garibaldi, pensò che il pubblico tutto intento nella celebrazione di quella festa, si sarebbe di legge rilasciato gabbare. Mandò, perciò, nel sobborgo di Porta Tenaglia i suoi rivenditori, con pani calanti di peso di sessanta grammi per ogni mezza libbra. I vigili urbani sequestrarono quel pane, che oggi si è distribuito ai poveri di quel luogo. Il sor Menni dovrà rispondere all'autorità giudiziaria, beninteso, per questa sua poco onesta marachella.
Gatto matto - (11-12 febbraio 1885)
Nello stallazzo del Cavalletto, in via Ospedale, v'era un grosso gatto. In questi giorni il bell'animale scomparve, e lo stalliere Carlo Grassi, d'anni 24, ebbe sospetto che il gatto fosse stato ucciso dai facchini della sostra di legna di B. Caramella, che è precisamente di contro allo stallazzo. leri mattina il Grassi, veduti i sostrai Carlo Perego e Luigi Turioni, che stavano aprendo la bottega, andò a lamentarsi, con parole un po' vive, della sparizione del gatto, dimenando una frusta che aveva in mano. Il Perego ed il Turioni gli saltarono addosso e lo buttarono in terra, producendogli quattro ferite lacero contuse alla testa. Il brutto fatto fu deferito all'autorità giudiziaria.
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