RVG settimana 05
 
Radio-video-giornale del Villaggio
 
Settimana-05 del 2024
 
Settimana 05       2024-01-20 -  - Calendario - la settimana
29/01 - 05-029 - Lunedi
30/01 - 05-030 - Martedi
31/01 - 05-031 - Mercoledi
01/02 - 05-032 - Giovedi
02/02 - 05-033 - Venerdi
03/02 - 05-034 - Sabato
04/02 - 05-035 - Domenica
RVG-05 - da  - Radio-Fornace
 
 
 
29 Gennaio 2024 - lunedi - sett. 05/029
redigio.it/rvg100/rvg-05-029.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-009.mp3 - Come funziona Radio Fornace 2024-01-04
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati1901/QGLF034-carettieri-delpaese.mp3 - I carrettieri di paese - Zona Comabbio - 6,01 - #50 #36 #48 #32a rvg
Toponini di CADREZZATE
29) Rondegato: piccola area che si estende per pochi metri a ridosso della Baraggiola. Possiamo abbozzare soltanto delle ipotesi per questo nome. I locali infatti conoscono questa zona come Rundégal, di etimologia dubbia. E' ipotizzabile una derivazione dal termine dialettale rónden "rondine" 'per la presenza del volatile nella bella stagione.
30) Rossino: (v. Cadrezzate n. 18).
31) Sabbione: in dialetto Sabiùn. È, con molta probabilità, una piccola zona creatasi passaggio del fiume Acquanegra o con lo scorrere di altri rigagnoli minori che al fiume confluiscono. Queste zone erano caratterizzate da un terreno sabbioso e ciotoloso non adatto alla coltivazione.
32) Storta: cascina ubicata su un piccolo poggio al di sotto delle Motte sulla strada che porta verso Capronno. In dialetto è detta Stórte. Una possibile interpretazione del nome è da riferirsi al tipo di costruzione che un tempo veniva eseguita senza il filo a piombo, per cui spesso venivano eretti muri non ben allineati (cfr. la Storta micro toponimo nel comune di Rancate nel distretto di Mendrisio). La Cascina Storta oggi non pare avere questa particolarità, ma a Cadrezzate sono presenti almeno due strutture che hanno questa caratteristica.
33) Tajadaccio: località non ben individuabile all'interno del comune e registrata solo nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860. Il nome è da riferirsi al termine dialettale taiàda che significa "taglio del bosco" o "disboscamento». Il suffisso -accio è forse una spia di una patina toscaneggiante posta sul nome nel momento della registrazione su carte ufficiali: in dialetto milanese possiamo supporre che il suffisso fosse -àse che poteva indicare un qualcosa di poco valore o di ormai abbandonato, trascurato.
Parole milanesi
Finta finta. Fà finta da... fingere di... Con finta si intende inoltre un striscia di tela, generalmente ben ricamata, che si usa come copricuscini per maggior abbellimento del letto. È inoltre la parte dell'abito atta a co- prire occhielli e/o a far da finitura alle tasche e/o a simularle. Fintun = simulatore.
Fiö = figlio, figliolo. Fiö da téta = lattante. Fiö magiùur = primogenito. Vegh nè fiö nè cagno essere completamente solo. Car ul mè fiö = figliolo mio caro (espressione paternamente affettuosa generalmente usata dall'anziano che si rivolge al giovane). Fa mia 'l fiö! = non comportarti da bambino. Ogni fiö 'l porta adré 'l so cavagnö = ogni figlio che nasce porta con sè l'aiuto della provvidenza. Fiö tropp carezzàa l'è mal levàa = un figlio troppo coccolato cresce male. Riis e fasö minestra da fiö, rìis e bagiann minestra da tusànn = lett. riso e fagioli minestra da ragazzi, riso e fave minestra da ragazze, antico detto scherzoso sulla separazione dei sessi. Vultà ul fiö in ra cùna = lett. rigirare il bimbo nella culla, ovvero cambiar le carte in tavola. Vegnì si inséma fin da fiö = crescere insieme fin da bambini. Vess tegnüü 'mè 'l fiö d'ra serva = non essere tenuto in alcuna considerazione.
Fiòca, née, néev = neve. Aria da fiòca = aria di neve. Fà via ra fiòca = spalare la neve. Na sbrufadina da fiòca = una spolveratina di neve. Sta nocc ghè gnùi gió un lezaa da fioca = stanotte è caduta moltissima neve. Fiòca è anche usato nel significato di fioca: vah che tocch da fiòca! = guarda che pezzo di ..., ad indicare una ragazza bella e sexy.
Busto Arsizio - cap. 7 (4/4)
Hanno combattuto in quel giorno, oltre centomila uomini, e diecimila sono rimasti sul terreno.
Pochi giorni dopo, Busto è già per le strade ad acclamare il Commissario Reale La Farina e a cantare le prime strofe... politiche:
Giülay l'é 'ndei a Magenta, con tütta aa so Armaa,
e cand l'é vanzà là,
l'ha trovà nagutt da fà. Va là, va là Gilay,
s'é pür un Ré dul aj.
Nel frattempo non si resta inoperosi: si dispone per il ricovero dei feriti nel nostro nuovo ospedale; arrivano i primi carabinieri ed una compagnia di bersaglieri; si organizza la Guardia Nazionale; si corre in massa a Nerviano ad assistere al passaggio di Vittorio Emanuele II e del generale Fanti; le donne raccolgono 400 lire che vengono offerte alla famiglia di un bersagliere ferito a Magenta e che muore nel nostro ospedale. Un comitato raccoglie 80 materassi per i feriti di San Martino e Solferino. Un altro comitato provvede alla raccolta dei fondi per la sottoscrizione del milione di fucili.
Ma vi sono anche le preoccupazioni. Armi ne saltan fuori dappertutto e non vengono consegnate alle autorità. Bisogna farlo dire in chiesa, con una lettera della Deputazione al Prevosto, perchè ne faccia parte alla popolazione « nei modi più adatti ».
Il 24 giugno i deputati municipali avvisano il Comando dei Reali Carabinieri che « essendo in questo momento riferito alla Deputazione che alla Cascina Rajnoldi al n. 482 trovasi uno sconosciuto individuo che diffonde voci allarmanti, la prego a procedere tosto al di lui arresto onde si possa verificare se mai il tristo sia un agente austriaco incaricato di sovvertire e sparger timori nel popolo ». E il 26 giugno la Deputazione proclama: << gli autori di notizie allarmanti che possono favorire la causa dell'Austria, quelli che cercano di scemare gli spontanei effetti del risorgimento italiano sia in pubblico che in privato saranno posti fuori della legge e trattati come traditori del proprio paese ». Il 1° dicembre la Deputazione, a firma dell'Ing. Crespi, avvisa la Regia Questura Distrettuale di Busto Arsizio che < assunte accurate informazioni ecc. si ha il pregio di riferire essere infatti corsa voce della comparsa in paese di un manifesto manoscritto di tenore repubblicano, che però scomparve tosto, nè fu possibile constatare da chi e da qual luogo fosse provvenente. Un altro manifesto a stampa, intitolato " Garibaldi e la sua spada ", circolò del pari in paese e questo si vuole portato da Milano ma ignorasi per opera di chi. Del resto nè il primo proclama repubblicano, nè il secondo risguardante l'Italia Centrale e di tenore per nulla soddisfacente fecero alcun senso nella popolazione, che in generale è ben contenta dell'attuale stato di cose e soprattutto aborre da idee repubblicane ».
Vinta la guerra la Questura Regia era già alla caccia di quelli che volevano la repubblica.
LA CUCINA (1/3)
Chissà quando anche su un naviglio giapponese troveremo el risott giald del Brambilla...
M: Speriamo che, insieme ai grattacieli e alle piste ciclabili, qualcuno inizi presto a pensare anche agli impianti sportivi... Ma, tornando al nostro maratoneta campione olimpionico mancato, oggi per arrivare ad Atene ghe voeuren on para d'or e si viaggia facilmente in tutto il mondo, virus e guerre permettendo, e, come abbiamo già detto, l'è minga difficil trovà di italian in de per tutt i canton e in ogni stagion. Anche i posti più lontani sono alla portata di tutti, o quasi, e, naturalmente, i milanesi sono in prima fila. E abbiamo anche già detto che, quando siamo all'estero, non ci distinguono dagli altri italiani, anche se, tra di noi, riusciamo sempre a riconoscerci. Ciappa, a esempi, la cusinna: quasi tutti gli italiani cercano i ristoranti dove si mangia la pasta asciutta o la pizza, mentre, al contrario, sono pochi i milanesi che non sono curiosi di provare la cucina del luogo. Magari ciappen on bidon, ma a noi piace conoscere le usanze di dove andiamo.
C: Parli di cucina, un altro argomento dove, anca chi, a vialter omm ve pias comandà, cont i voster "chef" che par che abbien inventaa lor el mangià, quando si sa che è dal principio del mondo che, a far da mangiare, sono sempre state le donne! Ma non voglio entrare in polemica... Rimaniamo a quello che vuol dire la cucina per i milanesi. Mi sembra che la cucina italiana sia un po' centrata sul territorio, anzi, proprio per quello che hai detto, qui a Milano abbiamo uno straordinario assortimento di ristoranti che offrono la cucina di ogni parte d'Italia, e del mondo, ma hinn pocch quei che offrissen i "noster" piatt. Per non dire di fuori, sia all'estero che nelle altre Regioni d'Italia: ricordi minga d'avè mai vist un ristorante di cucina milanese, nanca per el noster glorios risott... Forse trovi la cotoletta, ma poi dicono che non è milanese e nel menu te la propongono col nome tedesco, anzi austriaco...
M: In effetti, a girà per el mond te troeuvet minga ona città che la gh'abbia tanti ristorant con la varietà e la qualità di quelli che abbiamo a Milano, mentre i nostri piatti non sono conosciuti come meriterebbero; e semm nun milanesi primm a mettei quasi in d'on canton, perché quando usciamo a mangiare anche qui in città raramente cerchiamo la nostra cucina. Eppure el risott - quello vero! - è ineguagliabile. E l'oss bus e la cassoeula gh'i emm domà nun! Ma 'ste voeuret, sembra quasi che troviamo un certo compiacimento per quello che abbiamo in negativo, dal clima alle canzonette, al mare che non c'è alla cucina, appunto, e così ci vantiamo di avere i migliori ristoranti di ogni Regione d'Italia puttost de quei che offrissen la nostra cusinna.
 
 
       **************** fine giornata ************************
 
30 Gennaio 2024 - martedi - sett. 05/030
redigio.it/rvg100/rvg-05-030.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-010.mp3 -  qualche parola sul funzionamento della Radio Fornace 2024-01-04
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati1901/QGLF035-cacciatori-delpaese.mp3 - Cacciatori del paese - Zona Comabbio - 8,07  - #50 #36 #48 rvg
Toponini di CADREZZATE
34) Valcanée: il nome è forse da intendere va al canée "strada che porta al canèe" (v. Cadrezzate n. 5).
35) Vallaghe: anche questo toponimo, localizzato nella zona sud del paese verso la sponda nord del lago, può essere visto come una contrazione della locuzione va al lagh "strada (sottointeso) che va verso il lago".
36) Veste: strada che un tempo conduceva dalla zona delle Motte ad un imprecisato bosco. Oggi il toponimo è sconosciuto e non localizzato. La voce è registrata nelle carte del Catasto Regio del 1905. L'origine è incerta: in dialetto troviamo due voci che possiamo collegare con il toponimo, vestàse "avvallamento" e vestèe "madia" (cfr. monte Vesta a Toscolano -BS-)
37) Vigane: nome frequentissimo in toponomastica. La voce prende le mosse dal latino vicanum, che indicava il "diritto di proprietà comune "utilizzata prevalentemente in epoca tardo latina. Spesso la voce dialettale è stata italianizzata sulle carte più recenti come Vigano o Vigane (cfr. Vigana frazione di Massalengo -PV-, Vigano frazione di Gaggiano -MI-).
38) Vignaccia: zona collocabile sul pendio sud delle Motte. La voce è da far risalire al latino vinea "vigna, vigneto">. Il termine è molto produttivo e registrato con vari suffissi in quasi tutti i comuni studiati. Questo tipo di coltura è stata largamente impiegata dai locali in conseguenza delle numerose zone collinari ben soleggiate durante l'anno.
39) Vignola: area un tempo coltivata che si trovava a sud del paese nella zona che porta verso il comune di Brabbia (cfr. Cadrezzate n. 38).
40) Vignolo Vassallo: località di incerta individuazione sul territorio comunale registrata solamente nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860 (cfr. Cadrezzate n. 27).
Parole milanesi
Fiòcch = fiocco. 'Na roba cunt i fiocch = una cosa coi fiocchi, eccellente. Nell'antica nomenclatura, riferita al bestiame, il termine i fiòcch stà ad indicare i fiocchi di peli nelle orecchie dei bovini caratteristico delle razze svizzere pregiate, mentre i fiocch in boca sono due denti di latte che anch'essi attestano la buona qualità della bestia.
Fìra, fila = fila. Fira da muntàgn = catena di monti. Fìra da piant = fila di piante. Fira da vidùur = filare di viti. L'ha cuntàa si 'na fila da busij = ha raccontato una fila di bugie.
Firàgn, firàgna = filare, vedi filàgn. Firas = felce, felci. (Polypodium vulgare e Driopteris filixmas). Il secondo è il felce maschio il cui estratto etereo è tuttora ottimo rimedio contro la tenia (Tenia solium). Firigàgn = poco, scarso detto di giovane esile, smilzo. Firlafùrla trapano. Termine di chiara derivazione onomatopeica, sopratutto quando si riferisce ai vecchi trapani a mano per legno od oreficeria, azionati dallo svolgersi e riavvolgersi di una cordicella lungo uno stelo rotante, dotato di volano, su cui è fissata la punta perforante. Indica inoltre l'altro tipo di succhiello da falegname detto in dialetto anche girabachin ed in lingua "menaruola".
La schiscetta (1/2)
Schiscetta, schiscèta in dialetto milanese, da schiscià, che vuol dire schiacciare. È un termine che ispira simpatia, perché è senza pretese, sa di umiltà, di casereccio, muove tenerezza. Per i pochi milanesi che non la conoscono, è un contenitore, di solito in alluminio, a volte diviso in comparti, a chiusura ermetica, che serve per il trasporto e il consumo di vivande, di solito schiacciate per riempirlo al massimo. Un giorno dell'immediato dopoguerra, siamo nel 1949, Renato Caimi stava raggiungendo Milano in tram da Nova Milanese, affollato di lavoratori. Molti con il pasto da consumare durante la sosta di mezzogiorno, preparato dalle madri o dalle mogli, dentro contenitori di ogni tipo tenuti insieme con lo spago, legati alla bell'e meglio. A una brusca frenata, un passeggero perse l'equilibrio, gli cadde di mano un pentolino pieno di minestra che andò a finire su un povero malcapitato. Caimi lavorava nel settore automobilistico, e gli venne da pensare a un contenitore in alluminio da chiudere ermeti- camente con un sistema mutuato dalle balestre.
Così, nel 1952, nacque la schiscetta classica, titolata "La 2000", prodotta dalla Pentolux, che stava per diventare un simbolo, una piccola icona che avrebbe segnato la storia del lavoro nel periodo del boom economico. Il fatto che la schiscetta sia stata prodotta industrialmente per un grande serbatoio d'utenza, con la conseguente diffusione di massa, l'ha fatta entrare nel linguaggio comune italiano. I sinonimi dialettali, tutti per significare contenitori per portare il cibo sul luogo di studio o lavoro, sono numerosi: caccavella, fagottaro, maren na, baracchin, tecietta, gaungiu, scutedd, cumpanaggio, gamella, gluppa.
In Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, Italo Calvino la chiama "pietanziera", dedicandole l'omonimo racconto: «Le gioie di quel recipiente tondo e piatto chiamato pietanziera consistono innanzitutto nell'essere svitabile. Già il movimento di svitare il coperchio richiama l'acquolina in bocca, specie se uno non sa ancora quello che c'è dentro, perché ad esempio è sua moglie che gli prepara la pietanziera ogni mattina. Scoperchiata la pietanziera, si vede il mangiare li pigiato: salamini e lenticchie, o uova sode e barbabietole, oppure polenta e stoccafisso, tutto ben assestato in quell'area di circonferenza come i continenti e i mari nelle carte del globo, e anche se è poca roba fa l'effetto di qualcosa di sostanzioso e di compatto. Il coperchio, una volta svi tato, fa da piatto, e così si hanno due recipienti e si può cominciare a smistare il contenuto».
Invito a Gesù bambino
Invito a Gesù bambino
Vieni, vieni Gesù bambino,
a riposare il tuo capino sul guanciale del mio lettino; vieni vieni, che t'aspetto;
vieni vieni, non tardare senza te non posso stare.
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È arrivata la befana
È arrivata la Befana,
non è quella degli altri anni, ha mutato vesti e panni
e s'è messa la barbantana.
Regalateci qualcosa non ci fate più aspettare, i compagni che sono avanti ce la vogliono levare.
È arrivata la Befana! È arrivata la Befana!
Qui giungemmo preparati con i canti e con i suoni, gentilissimi signori
a voi tutti siamo grati! Vi ringrazia la Befana
che l'avete favorita,
Dio vi lasci una lunga vita, buona gente state sana!
arrivata la Befanal
E arrivata la Befana!
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Anno nuovo
Anno nuovo, benvenuto!
lo ti porgo il mio saluto un saluto piccolino ed un poco birichino.
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La befana
La befana vien di notte con le scarpe tutte rotte con le toppe alla sottana viva viva la befanal
Purtà i oli sant
Portare l'olio santo, cioè l'estrema unzione. Solo per i moribondi. Stessa la processione, i componenti, l'abbigliamento. Il sacerdote con una teca colma di olio santo col quale si segnava, con una croce, i cinque sensi del moribondo oltre le mani e i piedi; Sacrista Col Baldacchino; chierichetto col campanello per avvertire i passanti di raccogliersi in preghiera al prossimo passaggio del sacerdote.
Oggi giorno le cose si sono semplificate. La gente non ha più né il rispetto né la fede di una volta e, scene simili non succedono più. Ancora trent'anni fa tutti i negozi davanti ai quali passava un funerale, abbassavano le saracinesche come segno di compartecipazione al lutto mentre i passanti ai margini della strada si soffermavano in rispettoso raccoglimento. Oggi invece irriverenza, fretta, poco rispetto per il dolore degli altri, desiderio che tutto finisca il più presto possibile.
Purtà '1 Santissim
Portare il Santo Sacramento ai malati gravi o ai moribondi. Il prete, con la cotta bianca e la stola viola, porta in una scatoletta dorata la sacra particola. Il sacrista tiene sospeso sul capo del sacerdote una specie di ombrello a baldacchino. Il chierichetto in cotta bianca e in sottanella nera, col campanello che ha in una mano, avverte i passanti del passaggio divino. E' suggestiva e surreale la breve processione se avviene di sera per la cattiva illuminazione stradale. Intorno al letto i parenti più stretti, in commovente raccoglimento, fanno corona al moribondo che, come dicevano i nostri vecchi, vedono in quel momento aprirsi le porte del paradiso.
 
 
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31 Gennaio 2024 - mercoledi - sett. 05/31
redigio.it/rvg100/rvg-05-031.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati1901/QGLF036-boulange-stracciaio.mp3 - Boulange di una volta nella zona di Comabbio - 4,47 #36 #48 rvg
Febbraio (1/6)
"Per vendicass che i dì hinn domà vintott, febrar l'è el pussee balandran di ballarott!".
Questo mese porta ancora il segno de l'inverno e il gelo ricopre la terra, anche se le energie in essa contenute si preparano al risveglio primaverile.
Nel linguaggio dei fiori, febbraio e affidato all'anemone, un fiore soli tario dal colore rosso o violaceo che simboleggia la semplicità e l'amore.
"Quand al sol la nef indòra: nef, nef e nef ancora!". Per la bianca neve, qualcuno ha creato una poetica leggenda; narra di una dolce e bella principessa longobarda che, sebbene innamorata del pretendente al trono di un vicino regno, non voleva convolare a nozze nella nebbiosa e fredda stagione invernale, ma preferiva attendere la primavera. Il principe però, volendo al più presto presentare ai suoi sudditi la loro futura regina, ruppe ogni indugio e una mattina, tipicamente invernale, andò da lei con rinnovate proposte d'amore deciso a sposarla subito. La giovane, per amore, acconsentì, ma da quel giorno divenne malinconica come il paesaggio che la circondava! Quando il corteo nuziale mosse verso la chiesa, il suo angelo custode, provocò un evento straordinario: dal cielo caddero soffici fiocchi bianchi che ben presto ricoprirono ogni cosa, cambiando il grigio paesaggio in qualcosa di gioioso e poetico che fece tornare il sorriso sul volto della sua protetta. I sudditi presenti, assistendo per la prima volta a questo avvenimento imprevisto, pensarono ad un miracolo e poiché la principessa si chiamava Neve da quel giorno il suo nome passò ad indicare la bianca coltre appena caduta. A ricordo di quell'episodio, puntualmente ogni anno nei mesi invernali, il fatto si ripete.
"La nev l'ingrassa i campagn!". La neve rende fertile la campagna e siccome in questi giorni ci si prepara al prossimi lavori campestri, forza che: "Barba insaònada, lé mèsa cavada!" cioè: chi ben comincia è a metà dell'opera.
"Quando senti nominar Maria, non domandar che vigilia sia". Questo proverbio è ormai caduto in disuso, perché il digiuno della vigilia non è più osservato, ma il nome di Maria ricorre subito in questo mese, come possiamo verificare dando uno sguardo al calendario: due febbraio, purificazione di Maria Vergine.
Toponimi di Biandronno
5) Castèl: località nota anche come Castelvetro (presumibilmente derivante da un forma latina castellum veterum "castello vecchio"). È la parte più alta del paese situata di fronte alla piazza cittadina e rivolta a strapiombo sul Lago di Varese, a sud della Chiesa di San Lorenzo26
6) Custèra: cresta che si estende longitudinalmente tra il Laghèt e il comune di Bardello che confina a nord con Biandronno. Questo rialzo del terreno è così denominato nella parte ovest. La parte est invece, verso il lago, è nota come Runchìt. Il nome Custèra è da far risalire al termine costa con l'accezione di "pendio, parte rialzata" con l'aggiunta del suffisso -era.
7) Fornace: in dialetto noto come Furnàas. Costruzione realizzata nei primi anni venti del secolo scorso e che ha rifornito di mattoni e laterizi il comune di Biandronno e i limitrofi fino agli anni '60. Il sito è ubicato a sud della strada comunale che da Biandronno porta al limitrofo comune di Bregano.
8) Gefe Pagàn: località posta a circa 200 metri di fronte al Nüstrin, caratterizzata dalla presenza di un pozzo nel quale alla fine del XIX secolo Giuseppe Quaglia ha rinvenuto ossa presumibilmente umane che hanno fatto pensare ad un luogo utilizzato in epoca romana per compiere rituali pagani anche legati a sacrifici umani (Chiesa pagana). Forte è quindi il suo collegamento con la località adiacente del Nüstrin
La schiscetta (2/2)
Ne parla anche Erri De Luca, scrittore con un passato da operaio specializzato: «Era un oggetto sacro e un intervallo liturgico, quello di pranzo. (...) Sulle chiacchiere nostre batteva un rumore di metallo raschiato e si spandeva odore di cucine buie. Chi aveva una donna a casa, si trovava il pranzo cucinato da lei alzatasi prima di lui. Chi non aveva nessuno, doveva pensarci la sera a cucinare in più per il giorno dopo. L'apertura del coperchio era solenne. Saliva al cielo un profumo che si univa a quello degli altri».
Essendo le schiscette tutte uguali, gli operai incidevano sull'acciaio del coperchio il nome e il cognome o, più spesso, solo le iniziali, altri personalizzavano il manico, rivestendolo con un filo metallico colorato o contrassegnandolo con una piccola medaglietta. La schiscetta veniva infilata in una borsa di finta pelle scura, insieme con un pezzo pane, un frutto, un fiaschetto di vino.
Grazie alla schiscetta venne fatta conoscere ai settentrionali la cucina mediterranea, propagandata involontariamente dagli emigrati siciliani, calabresi e pugliesi, che offrivano maccheroni al sugo di pomodoro, frittata di pasta, orecchiette con cime di rapa.
Ma gli Anni Settanta hanno segnato la fine di un'epoca. Nelle grandi fabbriche del Nord ci si batté per ottenere il diritto alla pausa-pranzo nelle mense, poi arriveranno i buoni pasto. Tuttavia, dopo un dilagare di ripetitive mense aziendali, di anonime tavole calde, di piatti surgelati serviti al bar, e soprattutto grazie a una nuova coscienza alimentare, la schiscetta sta tornando a essere protagonista. La usano soprattutto i più giovani: li si vede nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, anche se non è più "La 2000" dei loro nonni e dei loro padri, sostituita da eleganti lunch-box, leggeri, termici, colorati, a più scompartimenti. Secondo quanto emerge da un'analisi Coldiretti del 2018, sono infatti circa dieci milioni gli italiani che oggi pranzano coi piatti preparati in casa sotto la spinta di una svolta salutista che porta a scegliere con cura i cibi da consumare. Leggerezza, semplicità e praticità sono gli elementi della schiscetta perfetta nell'era della sostenibilità alimentare. Negli uffici, su un tavolo comune, il pasto diventa un momento di allegria, di scambi gastronomici. Magari, se è una bella giornata, perché non andare a mangiare nei giardini di sotto?
Il 15 luglio 2021 la delegazione di Museimpresa in visita al Quirinale, in occasione del ventennale dell'associazione, ha donato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella una schiscetta originale del 1952 come <<simbolo del lavoro, dell'impegno di uomini e di donne nella rinascita post-bellica, oggetto della memoria che, scandendo un momento della giornata, quello dedicato al pasto in fabbrica, racconta quel fare impresa che fin da allora è innovazione, creatività e inclusione sociale».
LA CUCINA (2/3)
C: E a proposito di mare, si dice infatti che il miglior pesce d'Italia, quello più fresco, el se mangia a Milan, e il pesce non è certo un nostro prodotto tipico. E lo stesso vale per molti fra i prodotti più rinomati e, naturalmente, più costosi ed esclusivi.
M: I milanes, quand vann a mangià, hinn minga tanto de bocca bonna: ghe piasen i robb de qualità. E i produttori lo sanno, così la roba "migliore" arriva sempre prima qui, dove sanno di spuntare dei prezzi migliori. E poi, inevitabilmente, il conto sale...
C: Mi viene in mente quel nostro detto, com'è che dice? Cinq ghei pussee... ma ross. Purché sia "quello bello", insomma, anche a prezzo più alto. E questo vale un po' per tutto, anche per un bel vestito colorato de quai bella tosa. Ma ci siamo anche quasi tutti dimenticati che, attorno a Milano, grazie ai nostri antenati, abbiamo una Pianura Padana che ci sa dare ogni ben di Dio e della migliore qualità: latte, carne, verdure, salumi, formaggi...
M: E hinn pocch quei che sann che l'è a Milan che l'è staa inventaa el Grana, anca s'el ciamen Parmigiano, e poeu el risott... Pensa che il riso è probabilmente l'alimento più consumato nel mondo, ma dovunque lo mangiano come se fosse qualcosa ch'el serviss domà a impienì la panscia a bon mercaa, ma è solo qui da noi che siamo stati capaci di fare del riso un qualcosa di davvero speciale, che da solo meriterebbe a dare gloria alla cucina milanese. Per minga di del Panetton, con la P maiuscola, altro nostro grande vanto. Ma non voglio con questo sminuire tutte le bontà di tutte le altre cucine, domà che nun milanes semm quasi i unich a distinguess per parlà mei de la robba di alter che nò de la nostra.
C: Anca questa l'è milanesità, anca se on po a l'incontrari... Ma forse è un pregio, perché significa che siamo capaci di riconoscere le cose e dare loro il giusto valore, anche se non sono farina del nostro sacco. Oltre al cibo, comunque,, ci facciamo notare anche per le nostre abitudini in campo "alimentare": per esempio, la colazione in piedi al bancone del bar, il pranzo ridotto ad un panino o poco più, la cena non più tardi delle 20. E per i nostri negozi di gastronomia e pasticceria, che costen car, ma gh'è de la robba che l'è el mei che se poda avè! pussee
M: E, infatti, si sono fatti conoscere in altre città, anca in del mond. Ma il nome di Milano è noto, da tempo, anche nel campo degli alcolici, coi famosi bitter, amari, fernet, nati qui nell'Ottocento e tuttora diffusi e apprezzati ovunque.
 
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01 Febbraio 2024 - giovedi - sett. 05/032
redigio.it/rvg100/rvg-05-032.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati1901/QGLF037-tempiantichi-biricchinate.mp3 - Tempi antici e biricchinate nella zona di Comabbio. - 7,44 - #50 #36 rvg
Febbraio (2/6)
Nel milanese la festa è comunemente detta "Madonna della Ceriola" e a Milano l'Arcivescovo con tutto il Clero, convenivano in S. Maria Beltrade dove, dopo aver benedetto l'incenso e cantato gli Inni e i Salmi, avviavano una processione detta della Idea, rappresentata in una famosa scultura in rilievo ora conservata al Castello Sforzesco. Dal 1589, questa manifestazione si fa all'interno del Duomo recando in processione un quadro di Michelino da Besozzo che raffigura la Purificazione e la Divina Maternità della Madonna.
Era anche la festa dei brugnon (come il popolino chiamava gli osti) celebrata con sfarzo fino ai primi decenni del secolo scorso; con nastri e fiori nel cappello e col grembiule ricamato d'oro, gli osti, percorrevano le vie cittadine offrendo tazze di vino e raccogliendo offerte che in parte poi devolvevano al parroco di S. Stefano.
"A San Bias ga gea a guta sot'ul nas!" (A San Biagio gela la goccia sotto il naso) recita un proverbio di Arconate, un paese in provincia di Milano, dove lo storico locale, Claudio Amoni, ci fa sapere che il 3 febbraio i fedeli andavano in chiesa di buon mattino con del pane bianco, pan d'anice e qualche biscotto che il prete benediva in modo che, consumandolo, la famiglia veniva preservata dal mal di gola per tutto l'anno.
Non venivano dimenticate le bestie della stalla e per loro si benediceva una ruota di pane giallo. Poi il capo famiglia andava a Magenta, dove San Biagio è venerato, per ricevere una benedizione speciale dopo aver baciato due ceri, benedetti il giorno della Candelora; prima di tornare al paese comprava alla fiera locale on firon de castegn che avrebbe mangiato con tutta la famiglia.
"Tutt i sant voren la soa candela" dicono nel lodigiano dove, sia a Codogno che a Salerano sul Lambro, il 3 febbraio si tiene la sagra in onore di S. Biagio, col rito della benedizione della gola con le candele benedette.
Le nonne offrono ai loro nipotini una fetta di panettone raffermo messo da parte il giorno di Natale in omaggio al proverbio che recita: "El dì de S. Bias se benediss la gola e el nas".
Le giornate cominciano ad allungarsi e la sapienza dei nostri vecchi lo conferma: "A San Bias, dò or ras!".
Un tempo nel lecchese, ai primi di febbraio, un corteo di ragazzi e ragazze andava nei prati attorno ai paesi, suonando campanacci e battendo fra loro dei ferri; era la cerimonia del "ciamà l'erba" per propiziare una felice stagione agricola.
Parole milanesi
Destrügà = distruggere, sciupare, consumare totalmente.
Destrügùn = sciupone, distruggitore.
Detà = dettare. Detà léeg dettar legge.
Detàa = dettato, adatto. Quell vistì lì l'è propi detàa pa' ra festa = quel vestito è proprio adatto per la festa. Devòtt = devoto.
Di = giorno. Ai mè dì = ai miei tempi. Al dì d'incöö = al giorno d'oggi. Da dì in dì = di giorno in giorno. Dà i vott dì = licenziare un dipendente o, anche, licenziarsi dando gli otto giorni di preavviso. Dì da festa, dì d'laù = giorno festivo, feriale. Ul dì adré = il giorno. Dul dì = di giorno. L'alt dì = l'altro ieri. Tucci di na passa vun = lett. tutti i giorni ne passa uno, ovvero tutti i giorni si invecchia. Tücc i dì sa na imprend vuna nova tutti i giorni si apprende qualcosa di nuovo. Hinn 'me 'l dì e la nocc = lett. sono come il giorno e la notte, ovvero sono diversissimi.
El risott giald - (1/4)
400 g de ris superfin; - - 1,2 l de broeud de boeu e boscin;
50 g de formagg de grana grattaa; - 50 g de panera fresca;
- 50 g di scigolla triada;
- 25 g de midolla de boscin triada; - 0,2 g de safran.
Fà palpà in d'ona cassiroeula la midolla e la scigolla triada. Giontà el ris, fal tostà ben per 2 mignuu, versà el primm cazzuu de broeud bujent e rurà adasi. Segutà a rurà e a mett dent broeud man a man ch el se succia. Pena primma de tirà via el risott del foeugh, giontà el safran, rurà ben, tirà via del foeugh, mantecà cont la panera e cont el formagg grattaa. El risott el và tegnuu a l'onda: i gran de ris gh'han de vess ben staccaa, ma ligaa tra de lor d'ona bella cremina. (Libera traduzione in milanese da La cuciniera che insegna a cucinare alla casalinga, almanacco del 1809)
Il risotto alla milanese è un'icona gastronomica della città. Che cosa vuol dire? Che così viene chiamato e riconosciuto su tutti i menu italiani e stranieri, inconfondibile per il giallo-oro dei chicchi.
Anche la paella valenciana è un'icona gastronomica, e i due piatti hanno come ingrediente comune lo zafferano. Il nome deriva dall'arabo zaafaran, una pianta il cui fiore, di un colore che varia da lilla chiaro a viola purpureo, contiene tre fili rossi, da cui si ricava la caratteristica polvere, usata nell'industria dei liquori, come condimento, ma anche come digestivo e stimolante nervoso, e i cui paesi d'origine sono la Persia e l'India. La sua diffusione è seguita all'invasione della Spagna da parte degli Arabi, nel 756, che cominciarono a commerciarlo con gli altri Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. In particolare, in Sicilia, loro terra di conquista, dove ancora oggi viene utilizzato in alcune ricette, come la pasta con le sarde. Essendo ancora una spezia rara e pregiata, leggi molto rigide vietavano l'esportazione dei bulbi dalla Spagna, che così ne mantenne il monopolio commerciale, fino a quando, sotto il regno di Filippo II (1527-98), un padre domenicano, tal Santucci, riuscì a sottrarne piccole quantità che portò nella sua terra d'origine, l'Abruzzo, che a tutt'oggi è la regione che continua a produrlo.
2. La dominazione romana
Da questo momento il nostro territorio rimase sotto il dominio romano, del quale tuttavia non abbiamo dati e reperti archeologici particolarmente interessati. Si deve giungere al I e al II secolo dopo Cristo, perchè i ritrovamenti si facciano abbondanti e significativi; è il periodo in cui la regione risentiva delle ricchezze di Milano, ormai grande centro dell'Impero Romano: ne è una testimonianza eloquente <<la patera» di Parabiago, piatto argenteo, ritrovato in una tomba, sul quale sono eseguite a rilievo scene mitologiche.
Ritornando alla nostra città, dobbiamo notare che si sono ritrovate solo poche e frammentarie tracce del periodo romano, come del resto per le precedenti età. Tuttavia, a giustificare l'origine e la presenza della civiltà latina in Busto, stanno alcuni segni molto precisi: anzitutto il nome, che deriva quasi certamente dal termine latino <<bustum», cioè bruciato, con riferimento quindi alla aridità del terreno, di cui si è già detto in precedenza. Anche in Arsizio («<arsiccio») è facile riconoscere lo stesso concetto: terra arsa, bruciata, arida.
Qualche studioso poi ha creduto di poter vedere nell'antica forma della città alcune caratteristiche, che si ricollegano alla pianta delle città costruite dai Romani: la forma quadrata, infatti, deriverebbe da quella tipica dell'accampamento militare romano. Se il confronto può sembrare suggestivo e per certi aspetti verificabile come puoi constatare osservando la cartina d'altra parte bisogna anche ricordare che nessun ritrovamento ha finora confermato questa supposizione.
La topografia, dunque, cioè la pianta della città, e la toponimia, cioè lo studio del nome della città, potrebbero essere i due indizi più importanti dell'origine latina di Busto Arsizio.
Toponimi di Osmate OSMATE (2/2)
15) Provesci: in dialetto Pruèsc. È una piccola area collinare adiacente ai Poleggetti. Il termine è di origine dubbia. Nei dialetti lombardi esiste una voce prova "proda" che sta a siginficare un "tratto di terra prativo sul dosso di un monte o di un argine" (cfr. Provezze frazione di Provaglio Iseo -BS-)134.
16) Riale: nota su alcune carte anche con il semplice termine Roggia, è denominata dai locali Valun "vallone"(v. Mercallo n.24). Il toponimo deriva dal termine latino ri(v)us "ruscello"135. È un piccolissimo corso d'acqua che scorre internamente al comune di Osmate. Nasce da una sorgente sotterranea nella zona boschiva dove è situata la Casa San Giorgio e si getta dopo poche centinaia di metri nel Lago di Monate.
17) Rizzit: zona adiacente alla Cascina Bettola probabilmente utilizzata come terreno coltivabile. Il nome del terreno dovrebbe derivare da quello del proprietario che era soprannominato a Osmate Riz "ricciolo". Questa persona possedeva e abitava fino ai primi anni del Novecento la Cascina Bettola
18) Runch: in italiano Ronco (v. Biandronno n. 17). Vasta area che si estendeva al di sopra dalla Cascina Pomette caratterizzata da un terreno sassoso particolarmente adatto per la coltura di vigneti. L'area si estendeva fino al comune di Lentate per lasciare poi spazio alle zone boschive più a sud e più basse dal punto di vista altimetrico.
 
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02 Febbraio 2024 - venerdi - sett. 05/033
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Febbraio (3/6)
Finito il giro passavano, di casa in casa, a ricevere per lo più qualche castagna, tanto che in alcune località la manifestazione invece de "ciamà l'erba" venne chiamata "ciamà castegn"; finito il giro le castagne buone venivano messe ad essiccare al caldo su di una grata (grée) mentre quelle guaste (i carcai) si gettavano sui prati per concimarli, come ci ricorda una filastrocca di Premana. "I castegn su per la grée e i carcai foeu per i prée: castegn, castegn, castegn!".
Nel 1740 nel suo Viaggio in Italia l'inglese John Georgie Keysler, scriveva: "II lago Maggiore è circondato da ogni parte di colline coperte di vigneti. Al di sopra dei vigneti ci sono boschi di castagni, i cui frutti vengono consumati in quantità tale che, quando le castagne sono molto abbondanti, il prezzo del grano cade. Esse rimangono verdi e fresche fino a Natale: arrostite e immerse nel vino rosso, sono una leccornia non trascurabile".
Nella seconda settimana di febbraio si festeggia il maggior numero di santi e sante legati alla tradizione popolare e contadina della nostra Lombardia. Ve li presento, in ordine di entrata, come si usa in teatro per i personaggi di una commedia, cioè come sono elencati nel calendario: Cinque febbraio, S. Agata, le nutrici l'hanno eletta loro protettrice. E invocata anche contro la carestia, il fuoco e l'inondazione. "Per S. Agata la tèra arfiada e l'ortolan semna la salada". È in questo periodo che negli orti incominciano le prime semine delle verdure primaticce; è anche tempo di trapiantare le cipolle e i “gugellin" ovvero le piantine appena spuntate dalla terra. Dopo S. Agata ecco l'Abate San Romualdo (7 febbraio), fondatore sul Campo di Maldolo, nell'alto Casentino, del monastero di Camaldoli (Ar) dal quale l'Ordine dei Camaldolesi prese il nome.
S. Romualdo è detto "il santo rurale" perché dettò le prime norme di legislazione forestale. S. Onorato (8 febbraio) è invocato prò e contro la pioggia e se diamo ascolto alla sapienza dei nostri vecchi, questo santo non poteva che essere "onorato" in questo mese, perché: "Febbrar l'è fioeu d'ona ferlòca, o che el pioeuv o che el fioca!".
"Genee e fevree la nev ai pee!". In questo mese, soprattutto se alla Madonna della Candelora il tempo non è stato bello, non è raro trovarsi nel bel mezzo di una nevicata: "A Sant'Apùlonia a fiucà al gh'ha no vargònia!" (A S. Apollonia, 9 febbraio, una nevicata è più che naturale).
Per il martirio che subì ad Alessandria d'Egitto, nel giorno a lei dedicato, si va in chiesa a ricevere la benedizione e ad implorare la grazia di tener lontano il mal di denti. A Cantù, per Santa Apollonia, si celebra una grande festa con giostre, bancarelle, dolciumi e zucchero filato per la gioia dei bimbi; si vendono anche le ormai quasi introvabili castagne infilate con lo spago: "i firun". Un tempo era così tanto l'afflusso dei devoti della santa che raggiungevano Cantù sia a piedi, sia coi carri o in bicicletta che i "fironatt", per paura di non trovare il posto dove esporre la merce, arrivavano tre giorni prima, dormendo di notte sulle ceste delle castagne.
El risott giald - (2/4)
La leggenda vuole che il celebre risotto abbia un anno di nascita, il 1574. Lo zafferano aveva già fatto la sua comparsa un secolo prima, negli eleganti banchetti degli Sforza, dove, tra l'altro, era diffusa l'usanza di ricoprire con una sottile foglia d'oro le vivande servite a tavola. Secondo un manoscritto che oggi si trova alla Biblioteca Trivulziana presso il Castello Sforzesco, un famoso mastro vetraio, Valerio di Fiandra, che all'epoca lavorava alle vetrate di Sant'Elena del Duomo, era aiutato da un assistente che aveva soprannominato Zafferano, o più probabilmente Zafranon, per la sua mania di aggiungere un po' di giallo in qualunque mescola usasse. Per scherzare, un giorno il maestro gli disse che, continuando così, avrebbe finito per mettere del giallo anche nel risotto. Il giovane lo prese in parola e il giorno delle nozze della figlia di mastro Valerio si accordò con il cuoco incaricato del banchetto e fece aggiungere dello zafferano al riso, di solito condito con il solo burro. Il piatto ebbe un gran successo, grazie al gusto, nuovo e saporito, ma anche al colore, che ricordava l'oro. La sintetica ricetta in dialetto riportata in apertura è corretta, ma dà per scontati gli accorgimenti, la scelta degli ingredienti, i piccoli trucchi, le giuste tempistiche, cose che fanno la differenza tra normalità ed eccellenza.
Fra le tante, diamo qui preferenza alla divertente ma anche competente versione di Carlo Emilio Gadda, in un articolo apparso sulla rivista aziendale dell'ENI, "Il gatto selvatico", nell'ottobre del 1959.
«L'approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più tozzo del chicco tipo Caterina, che ha forma allungata, quasi di fuso. Un riso non interamente "sbramato", cioè non interamente spogliato del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d'una pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto alla paesana riesce da detti risi particolarmente squisito, ma anche il risotto alla milanese: un po' più scuro, è vero, dopo l'aurato battesimo dello zafferano.
3. Il Medioevo (1/2)
Dopo la caduta dell'Impero Roano d'Occidente (476 d.C.), Busto segui le vicende della Lombardia e del Seprio in un periodo storico par ticolarmente tormentato, del quale niente possiamo sapere con precisione.
Con il nome di Seprio veniva indicata in quei secoli quella fascia di territorio lombardo, fra l'Olona ed il Ticino, che faceva capo a <<Sibrium»>, l'odierna Castelseprio. Il centro, già fiorente negli ultimi tempi dell'impero romano, conobbe un periodo di notevole splendore dopo le invasioni barbariche e i Longo- bardi, a partire dal VI secolo d. C., ne fecero la roccaforte più importante della regione a nord di Mila- no. Un'altra notevole traccia della presenza longobarda nelle immediate vicinanze di Busto è il monastero che Maniconda, una dama della corte del re Liutprando, fondò nel 735 a Cairate, centro in prossimità della più famosa Sibrium.
Per trovare notizie che riguardano più propriamente Busto Arsizio, si deve giungere fino al 922 anno in cui il nome del borgo viene citato in alcuni documenti di notai; ma solo dopo l'anno 1000 possiamo intuire l'importanza del borgo medievale attraverso i suoi <<capitani>>.
I capitani, forti del possesso di un feudo, situato nei paesi intorno a Milano, godevano di notevole influenza politica ed economica, tanto da essere chiamati dall'arcivescovo di Milano a partecipare al governo della città. Ed anche i capitani di Busto intervennero nella vita politica milanese e nella formazione di questo Comune.
Quando scoppiò la lotta tra i comuni lombardi e l'imperatore Federico Barbarossa, il borgo vide svolgersi nelle campagne vicine la battaglia passata alla storia come la battaglia di Legnano, dopo la quale le sorti di Busto si legarono, ancor più strettamente a quelle di Milano.
Il secolo XII fu caratterizzato dalla crescita del borgo, che vedeva svolgersi al suo interno un fenomeno comune a buona parte dell'Italia: venne formandosi, infatti, in quegli anni un gruppo sociale, quello dei borghesi, cioè gli abitanti del borgo, che forte della sua condizione economica, voleva partecipare attivamente alla vita cittadina. Erano mercanti, proprietari di terreni agricoli e case, che si affiancarono ai nobili nella formazione del. <<comune».
 
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03 Febbraio 2024 - sabato - sett. 05/034
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Febbraio (4/6)
A Lovere, nel Santuario gestito dalla congregazione delle suore di Carità, dette di Maria Bambina. fondato da Santa Bartolomea Capitanio, vi è una cappella con dipinta l'immagine di S. Apollonia, patrona dei dentisti e protettrice dei loro pazienti.
A Vigano (LC) il 9 febbraio è festa grande in onore S. Apollonia loro patrona.
A Precasaglio (BS), a 1584 m. di altitudine, il 9 febbraio si festeggia la Santa e potete trovare la sua immaginetta con la preghiera da recitare. Anche in Duomo a Milano, a fianco dell'altare dedicato a S. Agata (primo a destra entrando), è situata la statua della Santa; curiosamente sul piedistallo vi è inciso non S. Apollonia, ma "Appolonia" con due "p" e una "elle"! Ho cercato una sua immaginetta sia in sagrestia che al bookshop, al Museo del Duomo e alla libreria dell'Arcivescovado, senza poterla trovare. Posso pubblicare, per i miei lettori, la preghiera dedicata alla santa solo grazie ad una impiegata del Comune di Milano, la signora Teresa, che, mi ha regalato la preziosa immaginetta che porto sempre con me:
"Per quell'acutissimo dolore che voi soffriste, o gloriosa santa Apollonia, quando per ordine del tiranno vi furono strappati i denti, otteneteci dal Signore la grazia di essere liberati da ogni molestia relativa a que sto male, o perlomeno soffrirlo con imperturbabile rassegnazione".
Un tempo si usava prendere il dente che ci si era appena fatto estrarre e lo si gettava sul fuoco del camino, non senza aver prima invocato la santa: "Foeugh, damen vun noeuv, damen vun stagn, che el me dura cent'ann!".
"Acqua de fevree la par on letamee"
(L'acqua di febbraio è come concime e riempie il granaio). In questo mese si alternano freddo e pioggerelline intermittenti che sono magari fastidiose per l'uomo ma salutari per il terreno che sta per riaprirsi alla vita dopo il letargo invernale, come ben sa la sapienza di noster vécc: "Se a febbrar fa no brutt, nass l'erba da par tutt!".
Nel mantovano dicono: "Al vent, l'ultim giòrn ad carnval, l'impregna la ròar” (sugli alberi, l'ultimo giorno di carnevale, che di solito è a metà mese, nascono i germogli), come ci ricorda una nota poesia di Giovanni Pascoli scritta per San Valentino: "Oh, Valentino vestito di nuovo come le brocche dei biancospini...".
El risott giald - (3/4)
Recipiente classico per la cottura del risotto alla milanese è la casseruola rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con manico di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si sono più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della. vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del "rame" o dei “rami” di cucina, se un vecchio poeta, il Bussano, non ha trascurato di noverarla nei suoi poetici "interni", ove i lucidi rami più d'una volta figurano sull'ammattonato, a captare e a rimandare un raggio del sole che, digerito il pranzo, decade. Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l'alluminio.
La casseruola, tenuta al fuoco pel manico o per una presa di feltro con la sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente di manzo: e burro lodigiano di classe.
Burro, quantum prodest, udito il numero de' commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto, butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti, sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a rag- giungere un totale di due tre pugni a persona, secondo l'appetito prevedibile degli attavolati: né il poco brodo vorrà dare inizio per sé solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria "personalità": impastarsi e neppure aggrumarsi.
: non Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia, e cuoce, per l'aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete esser cauti, e solerti: aggiungete un po' per volta del brodo, a principiare da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella "marginale", che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore. Per otto persone due cucchiaini da caffè. Il brodo zafferanato dovrà aver attinto un color giallo mandarino: talché il risotto, a cottura perfetta, venti-ventidue minuti, abbia a risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po' meno, due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro canarino.
3. Il Medioevo (2/2)
Il nuovo governo del borgo provvedeva alla manutenzione delle strade che raggiungevano le località vicine e Milano, alla conservazione delle mura e del fossato di difesa, alla piazza dove si tenevano le assemblee, al pozzo, importante per il rifornimento di acqua al borgo, e ad un <<pratum», piazza erbosa situata in ogni contrada, dove i notai svolgevano le loro mansioni.
Un cronista del 1600, Pietro An tonio Crespi Castoldi, ci ricorda la suddivisione del borgo medioevale in quattro contrade: Basilica, il quartiere attorno alla chiesa di San Giovanni; Piscina, così detto dalla vasca dove gli abitanti portavano gli animali ad abbeverarsi; Sciornago, il quartiere più ricco; e infine Sanovico, la contrada forse più salubre, come ci suggerisce il nome e che nel dialetto dei vecchi è ancor oggi chiamata <<Savigu», l'odierna via Montebello.
A indicare l'importanza del borgo e a testimoniare la crescita della popolazione - anche se, purtroppo, non possediamo dati precisi - Busto, in questo periodo, poteva vantare ben tre chiese, San Giovanni San Michele, la cui origine risaliva al periodo longobardo, e Santa Maria, probabilmente la più antica, posta com'è nel cuore del borgo medioevale.
Oltre a queste chiese va citata la presenza in Busto del convento delle Umiliate, situato nella contrada di Basilica, dove le monache praticavano, tra l'altro, la tessitura della lana, una attività che, secondo i documenti, era già fiorente alla metà del XIII secolo: è un segno della presenza già nel borgo medioevale di una prima attività tessile, tuttavia di limitata produzione. Sappiamo pure dai documenti che nel borgo fiorivano numerose altre lavorazioni artigianali, attorno alle quali prosperavano anche i commerci, poichè alcuni bustesi vendevano a Milano e nel ducato i fustagni e le «bombasine>>> prodotti nel borgo.
Il secolo XV è per la Lombardia un periodo particolarmente tormentato: la regione passa dal dominio dei Visconti a quello degli Sforza, attraverso guerre, devastazioni e saccheggi, accompagnati da carestie e pestilenze, da cui non si salva neppure Busto.
Pure in un momento così difficile va ricordata l'istituzione del primo tribunale (1440, con la concessione al podestà del potere di «<dirimere qualsiasi questione o lite civile e criminale, somma o valore e di sentenziare e di applicare pene pecuniarie e corporali fino all'estremo supplizio compreso» (Bondioli). E a confermare l'importanza crescente del borgo, Busto venne elevata a contea nel 1488.
Con il riconoscimento giuridico ed amministrativo e con la crescita delle attività artigianali, si venne formando, verso la fine del secolo, un ambiente culturale umanistico sull'esempio della corte sforzesca di Milano.
 
 
 
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04 Febbraio 2024 - domenica - sett. 05/035
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Febbraio (5/6)
San Valentino è il santo protettore degli innamorati; si festeggia il 14 febbraio, giorno in cui fu martirizzato a Roma per ordine dell'Impera tore Claudio il Gotico. Il patrono dell'amore nacque a Terni, in Umbria, nel 170 d.C., fu ordinato sacerdote a vent'anni e divenne Vescovo a trenta. Leggende sulla sua vita ve ne sono tantissime; una di queste vuole che Valentino fosse specializzato in problemi di cuore e a lui si rivolgessero sia i fidanzati che le coppie in crisi. Bastava fare quattro chiacchiere con lui perché l'amore, come d'incanto, rifiorisse; alle coppie riappacificate il santo regalava un fiore che pare non appassisse mai. La festività ebbe un certo risalto a cominciare dal Medioevo e poiché si diceva che il 14 febbraio, all'annunciarsi della primavera, gli uccelli cominciavano ad accoppiarsi, la festa di San Valentino segnava l'annuale risvegliarsi della natura e dell'amore.
In questo periodo il carnevale finisce ovunque, tranne che a Milano, dove inizia il carnevalone ambrosiano che dura fino al sabato seguente, chiamato sabato grasso. Fino ai primi del 1900, in questo giorno, in piazza Duomo, aveva luogo la fiera degli organetti di Barberia, chiamati in dialetto vertical; tutti quelli presenti a Milano si trovavano là ed iníziavano le trattative per soddisfare le numerose richieste dei circoli ricreativi e delle osterie dove alla domenica si ballava. Ricorda lo storico Raffaele Bagnoli: "Allora el vertical l'era il Re del Carneval!".
Al milanese Enrico Mangili si deve l'invenzione delle stelle filanti; intuizione che ebbe un giorno in cui si trovò per caso davanti ad un apparecchio telegrafico dal quale usciva, allungandosi man mano sul tavolino, una strisciolina di carta...
Verso la fine del mese la temperatura si fa più mite e la neve comincia a sciogliersi, infatti: "A San Mattia (24 febbraio) la nev la va via!" e nei nostri laghi inizia la pesca di lavarelli e lucci: "A San Mattia el pès el se invia".
Un occhio di riguardo va alle nostre rane pescate nei laghetti alpini di notte, quando l'acqua sta per sgelare, oppure catturate lungo i torrenti; Pietro Pensa, memoria storica del lecchese, ricorda che da secoli erano celebri le rane del lago di Losa di Premana, che portate a Milano venivano donate all'Arcivescovo... le nostre belle rane, piccole e gustose, consumate in umido, fritte, con il risotto o in frittata; basta che non siano quelle di allevamento, provenienti dal Giappone o da qualche paese asiatico, senza sapore e tanto grosse da sembrare rospi, che molti ristoratori al giorno d'oggi tentano di propinarci!
...A proposito di rane, riporto un aneddoto raccontatomi da Giorgio Caprotti, medico, poeta, studioso delle nostre tradizioni e cultore della milanesità.
El risott giald - (4/4)
Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dèi e reverente del reverendo Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro "risotto alla milanese" ingredienti di prima (qualità): il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), le suddette cipolline; per il brodo, un lesso di manzo con carote-sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche; per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta. Non ingannare gli dèi, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadagno. No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano, Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all'Adda e insino a Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no! Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all'incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ora) con cui si adempia all'ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.
Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po' più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de' suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe schifenza. Del parmigiano grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una banalizzazione della sobrietà e dell'eleganza milanesi. Alle prime acquate di settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo S. Martino, scaglie asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetto-trifole potranno decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la soluzione funghi, né la soluzione tartufo, arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese».
Buon appetito!
LA CUCINA (3/3)
C: Un po' meno nel campo dei vini, che in provincia di Milano si producono solo a San Colombano... Comunque, per i vini i milanesi hinn semper staa de bocca bonna, con i rossi dell'Oltrepò, poi affiancati dai più robusti pugliesi, tanto diffusi in città agli inizi del Novecento da aver reso il nome di trani sinonimo di osteria.
M: Anche nei vini ci siamo evoluti: così come a Milano ci sono ristoranti di ogni Regione d'Italia (lasciando da parte gli esteri), così al supermercato e in enoteca - la bottiglieria de ona volta - troviamo una vasta selezione non solo di vini lombardi ma anche di rossi e bianchi di ogni provenienza, cosa ben più rara nelle altre Regioni, dove a tavola si consuma quasi do mà el vin del loeugh. E poi non dimentichiamo il caffe so, per il quale Milano è famosa non tanto per il prodotto quanto per le macchine che lo fanno e che, infatti, portano il nome della città in moltissimi bar d'Italia e del mondo.
C: E sì, l'espresso al bancone del bar è nato qui e non è un caso che nella fabbrica forse più nota ci sia oggi anche il museo di queste macchine. Ma allora... saria pussee giust ciamall caffè espresso "alla milanese".
M: Se l'è per quest, el nomm de Milan el gh'era anca sulla miscela Leone e sulla cicoria Frank, i surrogati del caffè al tempo dell'autarchia, che si fabbricavano dove ora c'è il museo di Armani. Ma mi piace concludere l'argomento cucina con un aneddoto che risale addirittura ai tempi degli antichi romani, quando i legionari che arrivarono a Mediolanum al seguito di Giulio Cesare scoprirono il burro e si meravigliarono, restando anche un po' inorriditi, del fatto che i locali lo mangiassero, al posto dell'olio d'oliva, quando loro lo usavano tutt'al più per lubrificare armi e armature. Ma per evitare quello che sarebbe suonato come un incidente diplomatico, Giulio Cesare se ne uscì con quella che sarebbe poi diventata una frase proverbiale: De gustibus non est disputandum.
C: Interessante! D'altra part, se pò di che el buttér el faga part della cultura centroeuropea, mentre l'olio d'oliva appartiene a quella mediterranea. E, se vogliamo farci conoscere per la nostra cucina, è proprio il burro che non dobbiamo farci mai mancare!
 
 
 
       **************** fine giornata ************************
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