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RVG settimanale
Radio-video-giornale del Villaggio (vers. 2024-01-01)
 
  1. Il giornale del giorno, scritto, puo' essere sentito in contemporanea. Azionare la sezione "te lo racconto io il giornale" e nel frattempo; leggere.
  2. Il "rvg-giornale-settimanale" esce ufficialmente il lunedi' , ma anche quando ho voglia.
  3. Il "rvg-giornale-settimanale" esce come prima pagina la settimana in corso, la seconda pagina la settimana prossima e dalla terza in poi, le settimane passate.
  4. l "rvg-giornale-settimanale"  ogni due mesi, uscira' in formato PDF, HTML, EPUB  per essere archiviato
  5. Fotografie, filmati, e voce, rimangono in rete per alimentare il sito www.redigio.it" gia' esistente da anni e per l'ascolto pubblico mondiale. (gli ascolti di ottobre e novembre: 35% nelle Americhe e 30% inj Asia)
  6. Il "rvg-giornale-settimanale" e' una sezione del "Radio-Fornace-Informa" che e' una sottosezione del www.redigio.it 
  7. "radio-Fornace-Informa" funzionera' in detto modo per la stagione fino a tutto dicembre 2024  e produrra' circa 1400 pagine in A5 di testo, 400 podcast in mp3 e 200 filmati in mp4 (pronti per youtube) (previsione)
  8. www.redigio.it e' un prodotto nato nel 2012, e' personale, non ha collaboratori, ha un costo irrisorio e non ha mai percepito nulla, non ha nessun obbligo con alcuno, la responsabilita' sui contenuti diffusi diversamente diversamente da quelli da me dichiarati, non sono di mia responsabilita'.
  9. Il "Radio-Fornace-Informa" e sottosezioni, hanno lo scopo di aggiungere valore culturale al Villaggio.
  10. Eventuali collaboratori, sono graditi.
 
 
 
RVG settimana 03-2024
 
Radio-video-giornale del Villaggio
 
Settimana-03 del 2024
 
Settimana 03       2024-01-15-  - Calendario - la settimana
15/01 - 03-015 - Lunedi
16/01 - 03-016 - Martedi
17/01 - 03-017 - Mercoledi
18/01 - 03-018 - Giovedi
19/01 - 03-019 - Venerdi
20/01 - 03-020 - Sabato
21/01 - 03-021 - Domenica
RVG-03 - da  - Radio-Fornace
 
15 Gennaio 2024 - lunedi - sett. 03-015
redigio.it/rvg100/rvg-03-015.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
Una città, le sue origini, la sua storia”: a Legnano tornano i “Giovedì del museo” nel segno del centenario
Primo appuntamento con i "Giovedì del museo" l'11 gennaio con "Legnano prima della storia. Alle radici del territorio"
EventiGiovedì del museo Legnano
giovedì del museo 2024 a legnano
“Giovedì del museo” nel segno del centenario di Legnano Città quelli che prenderanno il via l’11 gennaio a Palazzo Leone da Perego. È, infatti, “Una città, le sue origini, la sua storia” il filo conduttore dell’edizione 2024 del ciclo di quattro conferenze organizzato da assessorato alla Cultura e museo civico “Sutermeister” in collaborazione con gli Amici del museo e la Famiglia Legnanese. Nelle conferenze si andranno ad affrontare fasi significative del passato e le diverse culture espresse dal territorio nel tempo facendo memoria delle popolazioni che hanno abitato i luoghi in cui è sorta Legnano per comprendere meglio la sua evoluzione nel tempo.
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«Nell’anno del centenario del riconoscimento a Legnano del rango di Città non saranno soltanto organizzate manifestazioni specifiche per celebrare la ricorrenza – spiega Guido Bragato, assessore alla Cultura -; il nostro intento, quando possibile, è di connotare gli eventi che già si svolgono in città alla luce del centenario, quindi con una particolare attenzione alla parabola storica di Legnano. Nel ciclo dei “Giovedì del museo” saranno quattro i periodi presi in esame per guardare al nostro territorio, quello dell’età del bronzo, quello della civiltà celtica, per continuare con la fase romana e terminare con un balzo nell’Alto Medioevo e nel Rinascimento. Le conferenze cominciano, quindi, da un argomento che è oggetto della mostra allestita a Palazzo Leone da Perego, quello della cultura di Canegrate, e con il curatore stesso dell’esposizione, Tommaso Quirino, nel ruolo di relatore; un’occasione per comprendere e apprezzare meglio i reperti di un’epoca lontana circa 3.300 anni da noi, ma che ha ancora qualcosa da dirci».
 
 
Il programma dei Giovedì del museo
Si parte giovedì 11 gennaio con “Legnano prima della storia. Alle radici del territorio”, incontro che avrà come relatore Tommaso Quirino. Giovedì 8 febbraio, poi, toccherà a “Questioni di identità. Essere Celti nel territorio di Legnano nella fase della romanizzazione”, con relatrice Marta Rapi.
 
Giovedì 7 marzo sarà la volta di “Case per i vivi, case per i morti. Abitati e necropoli di epoca romana nel Legnanese”, incontro che vedrà come relatrici Ilaria Calabrese e Giulia Tremolada, per concludere giovedì 4 aprile con “Un volgo disperso repente si desta. Il borgo di Legnano tra Alto Medioevo e Rinascimento” con  relatrici Federica Barbaglia e Miriam Romagnolo.
 
Tutti gli incontri avranno inizio alle 21 e sono a ingresso libero.
 
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Tornano i “Pomeriggi musicali” a Legnano: all’auditorium delle Tosi il trio di fiati dell’Orchestra Haydn
I prossimi concerti dei "Pomeriggi musicali" saranno domenica 11 febbraio nella chiesa di San Pietro e domenica 10 marzo all'auditorium delle scuole Bonvesin
EventiWeekend Legnano
Avarie
Terzo appuntamento domenica 7 gennaio alle 16 con i “Pomeriggi musicali”, la rassegna musicale ad ingresso libero organizzata dall’amministrazione comunale nei vari quartieri della città: a esibirsi nell’auditorium della scuola media Franco Tosi, in via Santa Teresa, sarà il trio di fiati dell’Orchestra Città di Legnano Haydn, composto da Danilo Zaffaroni (fagotto), Claudio Andrea Balletti (oboe) e Pier Angelo Prandoni (flauto).
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Cinque i brani in programma: Trio in sol minore di Antonio Vivaldi, la trascrizione d’arie d’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, la trascrizione da pezzi per pianoforte di Edvard Grieg, Affabulando (Una favola di Esopo con musica e narrazione) di Danilo Zaffaroni e la trascrizione d’arie “Nessun dorma” e “Un bel dì vedremo” di Giacomo Puccini.
 
 
I prossimi concerti dei “Pomeriggi musicali” saranno domenica 11 febbraio alle 16 nella chiesa di San Pietro, dove si esbirià il quartetto d’archi dell’Accademia Concertante di Milano con la partecipazione straordinaria del Maestro Lorenzo Meraviglia con musiche di Mozart, Haydn e altri, e domenica 10 marzo alle 16 all’auditorium delle scuole Bonvesin, con protagonista il quartetto di arpe “Arpe Diem” con Davide Burani, Federica Sainaghi, Donata Mattei e Morgana Rudan che suoneranno musiche di Giuseppe Verdi, Antonio Vivaldi, Peter Ilijtsch Tschaikowsky, Ernesto Lecuona e Georges Bizet.
 
Gli esecutori
Danilo Zaffaroni ha conseguito i diplomi di Fagotto (1987, classe M.o L. Brandolini), Composizione (1994, classe M. o U. Rotondi) e Musica elettronica (1998, classe M.o R. Sinigaglia) al Conservatorio di musica di Milano “G. Verdi”. In qualità di strumentista ha collaborato con orchestre quali Angelicum e RAI di Milano, “Meditteranean Symphonic” Orchestra e Orchestra “Stabile” di Como tenendo diversi concerti sinfonici e cameristici oltre che in Italia anche in Europa. Come autore ha avuto esecuzioni di propri lavori sia in Italia sia all’estero.
 
Claudio Andrea Balletti ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio “G.Verdi” di Milano, diplomandosi brillantemente in Oboe nel 1990, per poi proseguiew gli studi all’Accademia Europea di Musica di Erba. Tra il 2009 e il 2011 ha fatto parte stabilmente dell’orchestra del musical La Bella e la Bestia, spettacolo prodotto da Stage Entertainment e rappresentato nei teatri Nazionale di Milano e Brancaccio di Roma, riscuotendo un enorme successo di critica e pubblico. Ha compiuto, inoltre, gli studi di Composizione e nel novembre 2016 ha partecipato al corso di “Tecnica di Composizione Musicale per il Cinema”.
 
Pier Angelo Prandoni è diplomato in flauto traverso e didattica della musica a Milano. Si è specializzato successivamente nel repertorio barocco con strumenti originali. Da diversi anni fa parte del gruppo di musica Klezmer Agorà Ensemble e collabora con il coro Kol Hashorim. Suona regolarmente, utilizzando sia il flauto che l’ottavino, con le orchestre F.J. Haydn di Legnano, Microkosmos e Amadeus.
Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2606/QGLO516-Milano-SanGottardo-07.mp3 - Milano San Gottardo e oltre - rievocando Demetrio Pianelli - una incredibile sequenza di cortili -
Mostra: La necropoli di Canegrate
I tre filmati
redigio.it/rvg-100/box-64-Canegrate1.mp4  - resoconto della visita della Mostra "Necropoli di Canegrate"
redigio.it/rvg-100/box-65-Canegrate2.mp4  - resoconto della visita della Mostra "Necropoli di Canegrate"
redigio.it/rvg-100/box-66-Canegrate3.mp4  - resoconto della visita della Mostra "Necropoli di Canegrate"
Canegrate - necropoli dell'età del bronzo di Canegrate 1
70 anni fa iniziava lo scavo di una delle necropoli preistoriche più estese dell'Italia nord occidentale la necropoli dell'età del bronzo di Canegrate 
Un ritrovamento così significativo che spinse gli studiosi dell'epoca ad utilizzare il nome di questa localita' per definire convenzionalmente una intera cultura sviluppatesi in questo territorio nel tredicesimo secolo.
Questa storia risale a qualche decina di anni prima quando nel 1926 l'ingegner Guido Sutermeister scoprì le prime urne ed allora e fino agli scavi  Ferrante Rittatore Vonwiller 1953 1956 vigilò con passione costanza su quel sito che rimane tuttora uno degli e più importanti della  Lombardia occidentale
La mostra vuole riportare all'attenzione del pubblico questa importante scoperta cercando di raccontare quali erano i costumi le attività e la società di una popolazione che ci riporta alle radici del nostro territorio
In questo racconto le storie antiche delle persone che vennero sepolti più di 3000 anni fa Canegrate e si intrecciano con quelle più recenti degli studiosi e dei ricercatori che hanno permesso di riportarla alla luce personaggi straordinari del mondo della cultura della ricerca dell'archeologia
Oltre ai corredi rinvenuti a canegrate trovano spazio anche altri oggetti provenienti dal medesimo areale geografico ma riferibili alla cultura immediatamente precedente detta cultura della Scamuzzina Monza e materiali coevi ma rinvenuti in altre località oggetti frutto di ritrovamenti ottocenteschi e di recentissima scoperta esposti per la prima volta in associazione tra loro oggetti che parlano di mobilità e di relazioni con altre culture anche molto distanti.
Oggetti che rivelano gesti e riti di un mondo lontano un mondo prima di noi.
Gennaio (1/2)
Inizia un nuovo anno con tanto di auguri e offerta di taccuini (dall'arabo taquim), come recita questa filastrocca: "Auguri per l'ann noeuv, con figh, tàccoin e oeuv! Gh'è el Rustegh Induvin o El gran Ciaravallin, col gir di quarant'or e della luna, e fior de terni al lott per fà fortuna! Vun véd bianch e l'alter negher; se Tizi el dis: pìangii; Semproni el dis: stì allegher!”. Nel mantovano, a proposito di taccuini o lunari, citano questo proverbio: "G'avessia, Fusia e Magari i era tri coion ch'a stampava i lunari!" (Se avessi, se fossi e magari, erano tre babbei che stampavano i lunari).
Se proviamo a sfogliare un virtuale abecedario, troveremo che i principali momenti calendariali di gennaio comprendono la famosa tradizione della Ghirlanda, la Conversione di San Paolo, le quattro stagioni e i giorni della Merla. Il significato della Ghirlanda era quello di pronosticare, dal primo al dodici di gennaio e dal tredici al ventiquattro, l'andamento meteorologico dei dodici mesi dell'anno. Nella prima dozzina si susseguono i mesi in ascesa: uno gennaio, due febbraio ecc., nella seconda si va a ritroso: tredici per dicembre, quattordici per novembre e così via, fino a ritornare da capo a gennaio. Ogni giorno si riferisce alla metà del mese cui è accoppiato e il rito consiste nel mettere del sale fino in un mezzo guscio di noce, precedentemente svuotato dal gheriglio, e dopo aver lasciato il vassoio, con i ventiquattro mezzi gusci messi in circolo (da qui il nome di Ghirlanda), per una notte in un angolo della casa, al mattino seguente si traggono auspici sul tempo: se il sale di un guscio è umido, si preannuncia cattivo tempo nel mese a lui assegnato, se invece rimane asciutto sarà bel tempo. Ad esempio, se nel decimo guscio il sale è umido, la prima metà di ottobre sarà piovosa, se nel quindicesimo il sale è asciutto l'altra metà di ottobre sarà bella. Questa tradizione era diffusa in tutta la Lombardia fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, ed era tramandata solo oralmente in alcuni nuclei familiari, nei quali non erano ancora giunti o erano rifiutati gli effetti del consumismo. Da 40 anni, a Isola Dovarese (CR) Ornella continua la tradizione della Ghirlanda e tutto il paese segue i suoi responsi.
Il primo gennaio, il calendario ricorda la Circoncisione di Gesù Cristo, detta anche Festa dell'ottava di Natale. Agli inizi del cristianesimo i giudeo-cristiani imponevano la circoncisione ai neo-convertiti; questa pratica andò avanti fino a quando il Concilio di Gerusalemme, stabili la non obbligatorietà della circoncisione, praticata ancora ai nostri giorni dai cristiani della chiesa etiopica. Molti pittori, fino al XIX secolo, illustrarono questo soggetto; tra i più famosi vi è il quadro di Andrea Mantegna, esposto agli Uffizi di Firenze.
Parole milanesi
Patina = presina. Fig. al plurale pa- tìnn indica orecchie piuttosto grandi: t'he vist che dó patìnn? = hai visto che due orecchie a sventola?
Patóia, patuiùn = patóia ha lo stesso significato di pàta (vedi) comprendendo tuttavia anche il cavallo dei pantaloni, ma viene usato quasi solo in senso ironico, scherzoso: sàra si la patoia! = chiudi la pàta! Patóia, come pure patuiùn, è inoltre un epiteto che si affibbia a persona trasandata, trascurata nel vestire o con le brache sempre cascanti. I due termini si usano anche per indicare persona impacciata, tarda, imbelle.
Patóna = specie di copertina, composta di panni sovrapposti, trapuntati o imbottiti, su cui si appoggiava il neonato per cambiargli le fasce ed i pannolini, oppure che veniva posta nel letto sia dei bimbi che dei vecchi, fra il lenzuolo ed il materasso, a salvaguardia dello stesso dalle emissioni di pipì. Indica anche la stuoia trapuntata, coltrone, posta a chiusura di porte con molto passaggio, ad esempio le entrate secondarie delle chiese, quando ancora non esistevano i dispositivi di chiusura automatica.
Toponimi di Cadrezzate
32) Storta: cascina ubicata su un piccolo poggio al di sotto delle Motte sulla strada che porta verso Capronno. In dialetto è detta Stórte. Una possibile interpretazione del nome è da riferirsi al tipo di costruzione che un tempo veniva eseguita senza il filo a piombo, per cui spesso venivano eretti muri non ben allineati (cfr. la Storta micro toponimo nel comune di Rancate nel distretto di Mendrisio)58. La Cascina Storta oggi non pare avere questa particolarità, ma a Cadrezzate sono presenti almeno due strutture che hanno questa caratteristica.
33) Tajadaccio: località non ben individuabile all'interno del comune e registrata solo nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860. Il nome è da riferirsi al termine dialettale taiàda che significa "taglio del bosco" o "disboscamento». Il suffisso -accio è forse una spia di una patina toscaneggiante posta sul nome nel momento della registrazione su carte ufficiali: in dialetto milanese possiamo supporre che il suffisso fosse -àse che poteva indicare un qualcosa di poco valore o di ormai abbandonato, trascurato.
34) Valcanée: il nome è forse da intendere va al canée "strada che porta al canèe" (v. Cadrezzate n. 5).
I segreti della chiesa della Purificazione
IIn loro onore si organizza una ocessione nel 1634 a cui partecipano in corteo anche gli scolari della chiesa di Legnanello con lo stendardo del SS. Sacramento. Nella chiesa della Purificazione si va ogni anno il giorno della medesima festa a cantare il primo vespro e il secondo con la messa.
Il titolare (il primo con il nome di Canonico Coadiutore è stato padre Francesco Bracello) abita nelle stanze presso la chiesa ed ha come carico di celebrare le feste a cui si aggiungono tre celebrazioni alla settimana, come si vede nelle ordinazioni fatte da Federico Borromeo nel 1617 in atto di visita. Deve adempiere ai legati sia del notaio Fumagalli del 1615 sia dell’Instrumento rogato da Luca Lampugnani nel 1591. La rendita di un prato di venti pertiche vicino al mulino serve, dal 1642, a far celebrare due messe la settimana per Giuseppe Lampugnani, morto di peste dopo la moglie e i figli.
Nella chiesa della Purificazione risiedono gli scolari del SS. Sacramento che, durante le feste, intervengono alle processioni e dicono l’ufficio della Beata Vergine. Ogni terza domenica con l’abito rosso di tela portano le torce all’elevazione e, dopo il vespro, alla processione che si fa intorno alla piazza. (La Confraternita del SS. Sacramento odierna, esistente presso la chiesa della Madonnina, durante le cerimonie indossa mozzette rosse).
Per tutto il Settecento, come si può vedere anche dalle mappe del catasto Teresiano, il luogo è sempre caratterizzato da acqua, campi arati, vigne, prati, rogge, gelsi, proprietà di nobili e comunità religiose.
Tra qualche casa e qualche orto la Purificazione è denominata chiesa Parrocchiale di Legnanello.
Nel Libro mastro della Chiesa della Purificazione eretta nella contrada di Legnarello che annota con grande cura e precisione entrate, uscite e legati dal 1759 al 1808, leggiamo che abitanti di Legnano e Rescaldina hanno in affitto  vigne, campi da arare, piante di vite e pagano i canoni alla suddetta chiesa. Anche i cittadini illustri, che possiedono capitali, o la veneranda scuola dei Santi Magi, tutti sono contribuenti da un minimo di lire 52 ad un massimo di lire 136.
Questo implica una grande attenzione non solo ai conti, ma anche ai terreni e alle acque.
Il tutto è ribadito nell’elenco stilato, dopo la visita generale lungo il corso del fiume Olona, nel 1772, dall’ing. Gaetano Raggi nel tratto tra Legnano e Vedano di bocche, doppiere, bocchelli, molini, fontanili necessari per i prati e l’agricoltura. Interessante anche la convocazione dei Deputati dell’Estimo unitamente al Parroco, Priori, Fabbricieri, Amministratori con le copie dei conti in ordine per esaminare i bilanci delle istituzioni religiose.
1776 In un successivo documento del 1793 si fa menzione di un orologio posto sulla torre della chiesa di Legnarello “solamente tre anni or sono” (1790) perché prima per le ore era sufficiente il tocco della campana.
E intanto, senza alcun sospetto dell’influenza che avrà sulla nostra storia, nasce a Verona il primo marzo 1774, da famiglia nobile e facoltosa, Maddalena di Canossa.
 
       **************** fine giornata ************************
 
16 Gennaio 2024  - Martedi' - sett. 03-016
redigio.it/rvg100/rvg-03-016.mp3 - Te la racconto io la giornata
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Biandronno (1/2)
Biandronno: m. 261; kmq 8.37; abitanti 3.100
Comune della provincia di Varese situato 14 km a ovest del capoluogo, lungo la sponda sud-ovest del Lago di Varese.
Il nome del comune è attestato fin dall'anno 828 come Blandaronno o Blanderonno. L'origine del toponimo Biandronno, in dialetto Biandròn, è quasi sicuramente da far risalire all'antroponimo celtico Blandiro, attestato in una iscrizione a Como (cfr. anche Biandrate -NO-). Il suffisso -onno, molto diffuso nei toponimi lombardi, è forse una alterazione del derivato onomastico -onis/-one
1) Baserga: vecchio e originario nucleo di case di Biandronno, situato circa 500 metri a nord dalla piazza cittadina. Ora la località è attraversata dalla strada provinciale. Il nome è da far risalire al termine dialettale basèlga "basilica" (più spesso utilizzato nell'accezione di "edicola","cella" o "piccolo oratorio") con rotacismo per arrivare alla forma attestata.
2) Cascina del Barbucci: località sita tra la frazione di Cassinetta Rizzone e il comune di Travedona-Monate in una zona pianeggiante lungo un piccolo scoscendimento del terreno. È curioso notare come quest'area non abbia mai ospitato una cascina, ma fosse costituita da semplici terreni coltivati di proprietà della famiglia Lucchini, soprannominata Barbuc.
3) Cascina Giulia: località nota anche come Canööf (v. Travedona-Monate n. 14). Questa zona, poco a nord rispetto alla Cassinetta sulla direttiva che porta a Bregano, era caratterizzata da una cascina che oggi è ristrutturata e ospita un centro residenziale.
4) Cassinetta Rizzone: località quasi 5 km a sud del centro abitato, al confine con il comune di Ternate. Non abbiamo registrato alcuna forma dialettale per il toponimo. È l'unica frazione del comune. Questa località ospita oggi la sede italiana della famosa azienda di elettrodomestici Whirlpool (un tempo Ignis): per questa presenza ormai decennale il territorio della Cassinetta si è sviluppato sia demograficamente che urbanisticamente tanto da superare come numero di abitanti il resto del comune di Biandronno. Cassinetta è toponimo frequentissimo anche con varie oscillazioni (cfr. Cascinetta, località di Gallarate -VA-) e deriva dal termine dialettale lombardo cassina "cascina" che designa un "gruppo di case per famiglie di contadini". Lo specifico Rizzone, aggiunto nel Novecento per distinguere il toponimo da altri simili, è scarsamente utilizzato dagli abitanti della zona. L'etimologia non è ben definita: due possono essere le ipotesi. La prima è che il nome faccia riferimento ad un vecchio proprietario che poteva avere un soprannome del tipo Rizzit o simili (v. Comabbio n. 5 e Osmate n. 17). Altra possibilità interpretativa può essere ricercata nel termine dialettale rizàda "boccia di pietra", materiale con il quale era costituito il pavimento della prima originaria cascina sorta in questa località.
Gennaio (2/2)
Un'antichissima consuetudine, che nessuno ricorda più, stabiliva di non fare nessun contratto il secondo giorno di gennaio, perché momento sfavorevole a questo tipo di operazioni.
Sei gennaio: Epifania del Signore (la Pasquetta lombarda). A Milano grande affluenza di forestieri e stanziali alla tomba dei Re Magi, in ricordo della festa che si svolgeva nella basilica di S. Eustorgio, prima che Federico Barbarossa trafugasse i corpi dei Magi portandoli a Colonia "Insigne era la maniera con cui i Santi Re venivano esposti alla pubblica venerazione. Si estraevano dalla loro cassa, e vestiti colle insegne reali, ritti in piedi, coronati nel capo, si collocavano sull'altare maggiore". Anche quando l'arca, rimase vuota, ogni anno i milanesi continuarono a venerarla, finché nel 1336, Giovanni Visconti, signore di Milano, istituì una grandiosa processione che rievocava il viaggio dei Magi a Betlemme, come ci testimonia il cronista domenicano Galvano Fiamma: "Si scelsero tre uomini di bella corporatura che si vestirono con le insegne reali, e accompagnati da grande equipaggio di servi, cavalli e cammelli, riempivano gran tratto della strada con tale comitiva. Precedeva una stella di oro sfavillante, con tale artificio sostenuta in aria, che sembrava si muovesse da se stessa. Alle colonne di S. Lorenzo, su d'un trono assai elevato, sedeva Erode attorniato da scribi e sapienti del regno. Quivi si fermavano a ricercare dove fosse nato il Re dei Giudei. Poi si avviavano alla basilica di S. Eustorgio a suon di trombe e di tamburi tra lo schiamazzo del popolo. Nella basilica si vedeva la spelonca di Betlemme, dove Maria teneva in braccio il Divin Bambino. Entravano nella sacra spelonca i tre Re, offrendo i loro preziosi doni, ed esprimendo con devota imitazione il rimanente della storia dei Santi Re Magi. Tanto fu il giubilo dei cittadini, che fu decretato che, ogni anno, si rinnovasse".
Grazie al Beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari "El Cardinal de Milan", una modesta parte dei resti dei Santi Re vennero restituiti nel 1903, ed attualmente sono di nuovo custoditi nella basilica di S. Eustorgio di Milano.
"Pasqua, Pasquetta, che la ven tre volt a l'ann, mama mia me maridaroo quest'ann?"... Questa filastrocca veniva sussurrata dalle ragazze mentre si avvicinavano alla mamma con finta indifferenza; recitata la filastrocca si mettevano a parlare di varie cose e se la "regiora", che non doveva accorgersi di nulla, durante il dialogo pronunciava qualche "St", entro l'anno si sarebbero sicuramente sposate. Poi per conoscere la condizione economica del futuro marito la giovane prendeva tre fagioli e dopo averne sbucciato uno per intero, il secondo a metà e il terzo lasciato con tutta la buccia, li metteva sotto il cuscino e ci dormiva sopra. Al mattino, appena sveglia e ancora al buio, la fanciulla metteva la mano sotto al cuscino prendeva un fagiolo a caso e lo gettava in mezzo alla stanza; poi si alzava, apriva le imposte e correva a cercarlo: se era completamente sbucciato lo sposo era indigente; se sbucciato a metà, ne ricco ne povero; se invece era quello con l'intera buccia allora era facoltoso!
"An de néf, an de ben, an de fén!"... a proposito di neve voglio regalarvi una piccola curiosità che ho trovato su una rivista scientifica: mai vi capiterà di vedere un fiocco di neve incontrarsi con un altro, perché ciascuno, con eguale ritmo, percorre la propria strada dal cielo alla terra. Per chi ama sciare la neve è motivo di gioia, ma questo sport non è ben visto ne dai mandriani ne dai contadini perché il continuo andare su e giù per la montagna, il calpestarla continuamente, impedisce alla terra di riposarsi e riprendersi, come ben sa la sapienza di noster vècc: "A cunt di sciador i nost montagn, gh'hann pù l'inverna per pezzass pagn!"
Il "ponte dei Morti" - via Francesco Sforza ang. via San Barnaba
Da un portale secondario dell'Ospedale (Cà Granda) che si affacciava sull'omonimo Naviglio (rimasto scoperto fino agli anni Trenta), per secoli, uscirono i morti poveri trasportati nudi su un carro, oltre il "ponte dei Morti", in casse apribili sul davanti per agevolarne lo scivolamento nella foppa del cimitero del nosocomio, la Rotonda della Besana. I ricchi venivano invece sepolti nelle chiese.
La Cà Granda è stato il primo ospedale laico del mondo occidentale. All'inizio, venne gestito da un "governatore de li granari", disponeva di due "primari", di quattro "fisici" (medici), di quattro "ciroici" (chirurghi), di un farmacista e di quattro specialisti, rispettivamente per il morbo gallico (la sifilide, portata in Italia dalle truppe di Carlo VIII), per la tigna, per i calcoli renali e per l'ernia. I criteri per la salvaguardia dell'igiene erano innovativi per i tempi, ma non prevedevano una separazione per tipo di malattia e due malati potevano giacere nello stesso letto. Nelle corsie becchettavano le galline e giravano i venditori ambulanti. Un visitatore straniero dell'epoca annotò: "Esso spedale nutre giornalmente 1600 persone oltre gli ammalati, giacché stanno ivi contabili, scrivani, barbieri, sarti, calzolai, dimodocché il contabile novera ogni anno allo spedaliere 30000 ducati milanesi".
 
 
       **************** fine giornata ************************
 
17 Gennaio 2024 - Mercoledi' - sett. 03-017
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redigio.it/dati2608/QGLO808-ripostiglio-Ranza.mp3 Milano: il ripostiglio di cascina Ranza
Toponimi di Cadrezzate
35) Vallaghe: anche questo toponimo, localizzato nella zona sud del paese verso la sponda nord del lago, può essere visto come una contrazione della locuzione va al lagh "strada (sottointeso) che va verso il lago".
36) Veste: strada che un tempo conduceva dalla zona delle Motte ad un imprecisato bosco. Oggi il toponimo è sconosciuto e non localizzato. La voce è registrata nelle carte del Catasto Regio del 1905. L'origine è incerta: in dialetto troviamo due voci che possiamo collegare con il toponimo, vestàse "avvallamento" e vestèe "madia" (cfr. monte Vesta a Toscolano -BS-)
37) Vigane: nome frequentissimo in toponomastica. La voce prende le mosse dal latino vicanum, che indicava il "diritto di proprietà comune"utilizzata prevalentemente in epoca tardo latina. Spesso la voce dialettale è stata italianizzata sulle carte più recenti come Vigano o Vigane (cfr. Vigana frazione di Massalengo -PV-, Vigano frazione di Gaggiano -MI-).
Gennaio (3/4)
Un tempo, quando non potevano disporre di televisione, computer o gio chi elettronici, il divertimento dei bimbi consisteva nel fà su l'omin de nev o nel scivolare su di un sentiero ghiacciato tracciato nella neve, come racconta questa testimonianza che ci arriva dal lodigiano: "In invèrn quand èra fiucàd (quei i èru fiucàd! Fiucàd d'anteguera), i se divertivu a tìràs i bal de nou; poeu indue el giàs de qualche pucia el diventèva bèl dur, se ciapèva la rincursa e se fèva la sguiàrola,cun di culatàd che t'la fevu 'gni rus invernighent!" (In inverno quando era nevicato, quelle erano nevicate, nevicate d'anteguerra, ci si divertiva a tirarsi le palle di neve; poi dove il ghiaccio di qualche pozzanghera diventava bel duro, si prendeva la rincorsa e vi si scivolava sopra, prendendo a volte delle sederate che ti facevano diventare le natiche rosse come la brace!).
Una tradizione inverunese ricorda che: "Ul derset de chèl mes chi, chl'è S. Antoni, se feeva i falò in tucc i curt e cuntrà par brusà la barba al Toni".
Nelle nostre campagne si dà grande importanza a questo giorno e i contadini si augurano che l'anno nuovo porti prosperità alle loro colture e alle loro mandrie e greggi e, siccome: "Chi stà vesin al campanin, ghe manca mai ne 'l pan, ne 'l vin!", il sacerdote è condotto nei granai e nelle stalle a benedire ogni cosa con spruzzi di Acqua Santa.
Lo accompagna un chierico e un portaceste, poiché è di rito la distribuzione dei panini di S. Antonio, che si daranno poi da mangiare alle bestie per preservarle da ogni male. L'usanza nacque perché al santo eremita egiziano è da sempre affidata la protezione del bestiame come testimonia la sua immagine, presente in ogni stalla, nell'atto di benedire gli animali domestici. Nel cremonese è anche attribuito al santo il potere di far ritrovare gli oggetti smarriti: "S. Antòni da la bàarba bìàanca, fame truà chèl che me manca". Provate, in caso di bisogno, ad invocarlo anche voi, chissà mai che funzioni davvero...!
"El di de la Conversion de San Paol, chi comanda l'è el diavol, on poo fa bell on poo fa brutt, in quel dì lì succed de tutt!".
Anche in Lombardia, la Conversione di San Paolo è legata alla credenza secondo cui il santo divenne cristiano proprio il 25 gennaio e il calendario dedica questa giornata al ricordo della conversione di Saulo di Tarso, avvenuta nel 34 d. C., sulla via di Damasco. I meteorologi e i contadini concordano nell'indicare questo giorno come quello in cui gli eventi atmosferici si alternano disordinatamente, con prevalenza al cattivo tempo. Secondo testimonianze raccolte nel cremonese (Soresina e circondario), il 25 gennaio si andava a battere con lunghi bastoni gli alberi da frutto del proprio campo, recitando una formula rituale o una preghiera, perché era convinzione che così facendo il raccolto sarebbe stato abbondante. L'atto di percuotere, gli alberi viene accomunato alla cacciata del Zenerù (Gennaio) e con esso del freddo e del cattivo tempo, preconizzando l'avvento della primavera.
Altra tradizione di gennaio è la Giubianna, antichissima festa che si svolge nell'ultimo giovedì del mese; un fantoccio di paglia, che simula la figura di una vecchia, viene portato in giro per il paese e poi bruciato sulla piazza, al canto di: "Giubianna, giubianna, una quarta de luganega; giubianna, giubianna, una quarta de luganeghin!".
Canegrate - La storia delle ricerche. Verso lo scavo scientifico
Sono passati 70 anni dall'inizio degli scavi ma si può ricostruire la storia delle ricerche intrecciando documenti, immagini e testimonianze che, tra le righe, hanno ancora molto da raccontare.
Maggio 1952 - Un'altra straordinaria scoperta
Durante gli scavi per la costruzione dell'abitazione del signor Mario Colombo, nell'attuale via Bramante, a ovest dei ritrovamenti precedenti, vennero rinvenute, aca. 60cm di profondità, delle nuovetombe. Alcune andarono distrutte, mentre altre furono recuperate, grazie all'attenta opera di sorveglianza di G. Sutermeister che capì subito l'importanza di questo ulteriore ritrovamento e la necessità di estendere la ricerca.
Marzo 1953 - I sopralluoghi e l'affidamento della direzione delle ricerche
Grazie alla segnalazione dell'ingegnere, il professor Ferrante Rittatore si recò a Canegrate e insieme effettuarono un sopralluogo. In seguito Rittatore scrisse: << Fin dalla prima volta in cui vidi i pochi resti che allora si conoscevano di tali tombe ebbi la netta impressione che ci si trovasse di fronte ad una facies ben definita e ben differente da quella di Golasecca».
Considerato il rischio che i proprietari proseguissero nei lavori, Sutermeister pregò Rittatore di insistere presso la Soprintendenza alle Antichità della Lombardia affinché venisse eseguito uno scavo regolare. Così il 19 marzo 1953 il Soprintendente, Nevio Degrassi, accompagnato da Rittatore, andò sul posto e si rese conto dell'importanza del ritrovamento, affidando al professore la direzione delle ricerche.
Il Lazzaretto e la peste (fondazione 1488) -  via San Gregorio 5
Si decise la costruzione del Lazzaretto per l'intensificarsi delle epidemie di peste. Nel corso di tre secoli la città venne colpita almeno dieci volte. Secondo stime approssimative la malattia uccise, com- prendendo il contado, 30.000 persone nel 1451, 100.000 nel 1485- 90, 100.000 nel 1524-29, 70.000 nel 1576 al tempo di Carlo Borromeo arcivescovo. La peggiore fu quella del 1630-32 (la peste de I promessi sposi), quando nel Milanese morirono più di 2.000 persone al giorno, fino al totale di 150.000.
Di fronte a cifre così imponenti il Lazzaretto risultò subito insufficiente, anche se arrivò a contenere 16.210 appestati!
Le 288 celle avevano un camino, una finestra con inferriata, il pavimento lievemente inclinato per facilitare pulizia e scarico dei rifiuti in un apposito canale che circondava l'edificio. La struttura era quadrata, con lati di 375 metri, tre dei quali porticati in un elegante stile rinascimentale-lombardo, con al centro una chiesetta aperta su tutti i lati in modo da poter far seguire la messa da ogni cella. Finito il periodo delle epidemie il Lazzaretto venne utilizzato come prigione per soldati francesi, accampamento di truppe tedesche, scuola veterinaria, sede dei festeggiamenti per la neonata Repubblica Cisalpina. Dal 1812 fu destinato a umili abitazioni e piccole attività artigianali. Nel 1881 venne acquistato dalla Banca di Credito Italiano, che finì col demolirlo.
Ne rimane un frammento in via San Gregorio 5, ora sede della chiesa russo-ortodossa di San Nicola. I nomi delle strade vicine richiamano personaggi legati alla sua storia: il medico Lodovico Settala, il cappuccino direttore del Lazzaretto Felice Casati. La chiesetta, modificata nel tempo, si trova all'incrocio tra viale Tunisia e via Lecco.
Il tempo, le stagioni e il calendario
Santa Lucia
Santa Lucia bella dei bimbi sei la stella pel mondo vieni e vai e non ti fermi mai.
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I Santi di dicembre
Ai tredici Santa Lucia,
ai ventuno San Tommaso canta,
ai venticinque la nascita Santa,
ai ventisei Santo Stefano, che fu lapidato,
ai ventisette San Giovanni chiamato,
ai ventotto i martiri innocentini,
ai trentuno finito l'anno, finiti i quattrini.
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La notte di Natale
La notte di Natale è nato un bel bambino,
bianco, ross0, tutto ricciolino.
Maria lavava, Giuseppe stendeva, il bimbo piangeva per il freddo che aveva.
Non piangere figlio che adesso ti piglio, pane non ho, ma latte ti dò. Suonava il campanello, il bue e l'asinello, Giuseppe e Maria che bella compagnia.
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Natale
Per Santa Lucia e per Natale
il contadino ammazza il maiale.
Chi per Natale non ammazza il porco, tutto l'anno resta col muso storto.
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       **************** fine giornata ************************
 
18 Gennaio 2024 - Giovedi' - sett. 03-018
redigio.it/rvg100/rvg-03-018.mp3 - Te la racconto io la giornata
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  1. redigio.it/dati2608/QGLO812-cattive-preghiere.mp3 - Cattive preghiere - La Madonnina - la portinara vigliacca - la ciciarone e lo student - 
Toponimi di Biandronno
9) Gesiolo: o Gesiöör, è una piccola cappella a sud del centro del paese sulla strada che dal Montesé porta al Roncato. In dialetto la gésa è la "chiesa". Il nome della cappella quindi non è altro che il termine generico dialettale con la presenza del suffisso diminutivo -öl, passato ad -ör per il fenomeno del rotacismo. La voce è molto frequente nei microtoponimi lombardi con numerose varianti.
10) Isola Virginia: detta anche Isulin "isolino". Triangolo di terra che si erge all'interno del Lago di Varese separato dalla costa da uno stretto canale chiamato Ticinello. L'isola, di circa 0.9 kmq, è ricoperta da una fitta vegetazione composta da salici, querce, ontani neri e canneti. Nell'antichità nota come Isola di San Biagio, venne acquistata nel 1822 dal duca Litta che la volle chiamare come la moglie Camilla. Nel 1878 l'isola cambiò nuovamente proprietario passando nelle mani di Andrea Ponti che subito la ribattezzò come la sua consorte, la marchesa Virginia Ponti Pigna, da cui il nome attuale di Isola Virginia. Dal 1962 l'isola è di proprietà del comune di Varese per gentile concessione del marchese Gian Felice Ponti. Attualmente l'isola ospita un museo dedicato alla famiglia Ponti e un bar-ristorante
* Si pensa che in cima a questa altura fosse collocata una torre di avvistamento romana poi utilizzata e fortificata anche dal Barbarossa. Ciò perché da questa posizione la visuale su tutto il Lago di Varese era perfetta ed era possibile vedere (anche a tutt'oggi) la torre di avvistamento romana più nota e documentata situata nel comune di Velate, paese sulla sponda nord del Lago di Varese.
La storia delle ricerche. La necropoli torna alla luce
Primavera/estate 1953 - Prima campagna di scavo
Come attestato dai documenti, nei mesi di aprile e maggio vennero realizzati diversi saggi di scavo ad opera della Soprintendenza che, in seguito, comunicò al proprietario della casa la data dell'inizio degli scavi: lunedì 13 luglio 1953.
Nel corso della primavera-estate, in tre riprese, per un totale di circa sei settimane, il professor Ferrante Rittatore intervenne dapprima sull'area interessata dai lavori e poi allargò lo scavo. La ricerca venne condotta esplorando la zona con trincee successive di circa 1 m di profondità, rinvenendo 97 tombe. La Soprintendenza alle Antichità diede pieno appoggio, inviando sul posto nei primi giorni il signor Antonielli e, durante tutta la campagna di scavo, il sig. Minardo. L'ingegner Sutermeister spesso presenziò agli scavi "in cordiale collaborazione" e partecipò ai lavori anche lo stradino del comune di Canegrate, il signor Massagrandi. Diversi quotidiani pubblicarono la notizia e, durante lo scavo, vennero in Italia studiosi svizzeri e tedeschi che poterono osservare i ritrovamenti e "tutti furono concordi nel mostrare il loro profondo interessamento per questa nuova scoperta".
Agosto 1954 - Un altro interessante ritrovamento casuale
A circa 700 m dal luogo del ritrovamento della necropoli, nel cortile della scuola dell'infanzia Gajo, a 90 cm di profondità, venne trovata un'altra tomba, ma i saggi effettuati nelle vicinanze ebbero esito negativo.
1954-1956 - Seconda campagna di scavo
Grazie ai fondi messi a disposizione dell'Amministrazione civica di Milano, a Canegrate continuarono le ricerche. Gli scavi, che portarono alla luce altre 67 tombe, vennero eseguiti in tre periodi successivi, dal 22 settembre 1954 all'autunno 1956, attorno all'area dello scavo 1953 e furono estesi con l'obiettivo di individuare l'intera necropoli.
I benefici psicofisici della vacanza (anche se mini)
Il viaggio è una porta attraverso la quale si esce dalla realtà nota e si entra in un'altra realtà inesplorata, che somiglia al sogno. (Guy de Maupassant)
Il viaggio è una porta attraverso la quale si es realtà inesplorata, che somiglia al sogno. (Guy
Nella terza estate dopo la pandemia, sono aumentate le prenotazioni per una vacanza, più o meno lontano da casa. Questa è una buona notizia perché persino la scienza ha dimostrato che viaggiare porta tanti benefici anche per viaggi brevi, come può essere un fine settimana.
Il benessere inizia già durante la fase di programmazione di un viaggio perché porta ad una sorta di piacere anticipatorio che aiuta a vivere meglio il quotidiano in attesa del "premio" rappresentato dalla vacanza. Secondo lo psicologo Adam Galinsky, andare in giro per il mondo aiuta il cervello a funzionare meglio e rende più creativi.
Viaggiare, uscire di casa propria vuol dire mettersi in discussione, lasciare la routine quotidiana e le relazioni usuali, ci si confronta con altre abitudini, altre persone. Questo porta ad arricchirci come esseri umani e vedere la nostra vita sotto un'altra luce.
Galinsky afferma: "la chiave sta proprio nell'immergersi in ciò che non si conosce, nell'adattarsi e confrontarsi con il diverso ".
Per un benessere fisico e un equilibrio mentale è importante sapersi allontanare dalle responsabilità quotidiane e per questo è importante il viaggio. Prendersi una vacanza stando a casa non è certo la stessa cosa: non si riesce ad uscire dalla routine ed avere tutti i benefici che un viaggio può dare.
Occorre quindi prendersi delle pause al di fuori delle proprie mura di casa; non sono necessari viaggi lontani e lunghi, bastano anche uscite brevi vicino a casa. Non è importante neppure la modalità scelta per il viaggio, può essere un tour, una crociera oppure una semplice vacanza organizzata in autonomia.
L'importante è cambiare un poco l'orizzonte e dedicare più tempo alle attività preferite perché anche queste, quando si è stanchi, aiutano il recupero psicologico.
Fare una vacanza fa bene anche alla salute: è stato dimostrato che viaggiare un paio di volte durante l'anno riduce il rischio di malattie cardiovascolari e ha un effetto antidepressivo.
La Cà Granda (fondazione 1456) -  via Festa del Perdono
Francesco Sforza fece sua l'idea, nata durante la breve Repubblica, di concentrare in un unico complesso, più facile da gestire, tutti i vecchi ospedali della città. Chiamò per costruirla il fiorentino Averulino, detto il Filarete (a cui seguirono Solari e Amadeo).
Questa prima parte venne terminata nel 1497. Il Vasari, in visita a Milano, scrisse: "tanto ben fatto e ordinato che simile non credo sia altro in Europa". La seconda, quella centrale, venne edificata con la donazione del 1624 di Gian Pietro Carcano, ricchissimo commerciante tessile, mantenendo i moduli architettonici quattrocenteschi. Anche l'ultimo ampliamento, che venne eseguito tra 1798 e 1804 grazie al lascito del notaio Giuseppe Macchio, seguì sostanzialmente il progetto originario.
Al termine dei lavori il complesso era formato da due blocchi divisi dal grande cortile, ogni blocco con al centro una crociera che rava quattro settori, ognuno con un piccolo cortile porticato. L'ospedale funzionò per cinque secoli, per poi venire trasferito a Niguarda nel 1939. Nonostante i pesanti bombardamenti dell'agosto 1943, il complesso è rinato grazie a una ricomposizione dove possibile e a una ricostruzione in chiave moderna attenta a non dimenticare l'antica impostazione. Ora è sede dell'università Statale. Nella crociera quattrocentesca (con ingresso dal cortile maggiore, dove è stata ricavata una sala di lettura, sono ancora ben riconoscibili le nicchie-armadietto e i corridoi di servizio.
Gesù bambino
Gesù bambino,
stammi vicino stendi la mano,
fa' che sia sano.
Proteggi sempre babbo e mammina veglia dal cielo la mia casina.
Fa' che sia docile, tranquillo e buono ai miei capricci dammi il perdono. Mattina e sera accogli tu la mia preghiera bambin Gesù!
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È' dicembre
È dicembre,
freddo e gelo,
fischia il vento giù dai monti, l'acqua è ghiaccia nelle fonti, ma se il tempo è così freddo cosa importa?
Fra gli alari, negli sperduti casolari,
brilla il fuoco,
lietamente tutti aspettano il Natale.
Una grande luce s'accende ed annuncia al mondo intero che Gesù bambino è nato, tanti doni ci ha portato.
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       **************** fine giornata ************************
 
19 Gennaio 2024 - Venerdi' - sett. 03-019
redigio.it/rvg100/rvg-03-019.mp3 - Te la racconto io la giornata
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Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2606/QGLO517-Milano-SanGottardo-08.mp3 - Milano San Gottardo e oltre - un palazzo dei quartieri alti - la quieta via Custodi - le placide atmosfere di fine Ottocento -
I segreti della chiesa della Purificazione
Si sono di recente conclusi i lavori di manutenzione riguardanti le proprietà delle suore Canossiane. Dopo un positivo e promettente inizio l’attività è stata estesa ad altri edifici insistenti sulla via Melzi. Noi desideriamo descrivere quelli che si affacciano su corso Sempione che sono sotto gli occhi di tutti.
Prima di intervenire, con l’ok della soprintendenza, sono stati eseguiti saggi di pulitura per verificare lo stato attuale e pianificare le necessarie fasi operative.
Non solo gli agenti atmosferici, con l’alternarsi di sole e pioggia causano danni alle pareti, ma anche il continuo passaggio di automobili in una via così nevralgica per il traffico e i relativi scarichi, le emissioni degli impianti di riscaldamento, e non ultima l’umidità di risalita macchiano, anneriscono, gonfiano gli intonaci e li sfarinano.
Mi fa piacere sottolineare che un team di professioniste ha lavorato in sintonia nel rispetto dei dettami imposti dalla Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la Città metropolitana di Milano: il progetto nonché la direzione dei lavori si devono all’arch. Anna Croci Candiani, la responsabilità dell’istruttoria all’arch. Federica Cavalleri, l’opera delle restauratrici dott. Maria Chiara Angellotti Zampollo e dott. Stefania Gatti ha completato il raggiungimento degli obiettivi.
Sono stati rimossi chiodi, zanche, rappezzi precedenti, consolidati i distacchi di intonaco, pulite e tinteggiate le superfici, rinforzate stuccature e sigillature. Sotto i vari strati di pittura si è trovata la tinta presumibilmente originale: l’ocra in un paio di tonalità, le lesene hanno ripreso il loro antico aspetto e le colonne hanno nuovamente rivelato il granito rosa. Interessante il lavoro eseguito sullo stemma di famiglia costituito da calce e polvere di marmo.
Ha riportato alla luce i particolari dell’aquila gentilizia con la corona, le ali spiegate nonostante le numerose sovrapposizioni. Sulla facciata della chiesa il finestrone centrale affiancato dai due tondi laterali, i capitelli delle lesene e il monogramma della Madonna sono adorni di festoni a stucco (trionfi di nastri, frutta, foglie d’acanto) che spiccano sul bianco crema, mentre un bel dentello corre sopra le arcate dell’ingresso. Dimenticato il precedente color terracotta, ora gli edifici color ocra, ravvivati da un fregio decorativo costeggiano il marciapiede del Sempione.
Ripristinare il degrado rispettando la storicità e il vissuto del monumento è quello che è stato fatto e ci dà modo di poterlo narrare. Andare indietro nel tempo a cercare le origini di questo luogo di culto è per noi un itinerario affascinante.
Infatti la chiesa, comunemente detta della Barbara Melzi, oggi cappella privata appartenente alle suore Canossiane, ha una storia antica. Compare già nel Liber notitiae sanctorum mediolani (Libro della conoscenza dei Santi di Milano) di Goffredo da Bussero (XIV sec.) a proposito dei luoghi sacri dedicati alla Madonna. Nel reparto “Memoria ecclesiarum sancte dei genetricis Mariae” ( Notizia delle chiese di Maria santa madre di Dio ) troviamo specificato il nome di “Santa Maria ecclesia sancte Mariae ad Legnianello” (chiesa di Santa Maria presso Legnanello) . Chi ha un po’ di dimestichezza con la lingua dei Romani antichi si sarà accorto che qua e là sono spariti i dittonghi, in compenso sono entrati lemmi di nuovo conio.
Gennaio (4/4)
Giubianna, nell'antico brianzolo, oltre che giovedì, significa anche fantasma; era la festa delle donne non più giovani, che si radunavano per festeggiare la fine della seminagione e in allegria giubbianaven, perché giubianna è anche civettare e pettegolare, ovvero: giubbianà! - Per i più piccini la Giubianna è una vecchia strega che la notte dell'ultimo giovedì di gennaio gira per le nostre campagne, entra nei paesi e si avvicina alle porte delle case per spaventare i bambini disubbidienti e, se quel giorno si è stati un poco discoli, c'è il pericolo di sentire lo scalpiccio dei suoi zoccoli, di udire la sua voce rauca che da una fessura della porta, dice le temute parole: "Usc... usc... senti odor de cristianusc!". L'unico rimedio contro la fattucchiera è il risotto con la luganega; bisogna pregare la mamma di prepararlo e mangiare il risotto fumante, intorno al quale devono arrivare i primi moscerini chiamati per l'appunto i moschitt de la Giubianna e se, mentre lo state mangiando, sentite all'uscio di casa un lamentoso: "Usc... usc... senti odor de cristianusc", rispondete sicuri: "No! L'è l'odor del risott che la m'ha fà la mia mamma, e a ti te ne doo nanca on ciccin!". Così dicendo, avrete vinto perché, piena di rabbia, la Giubianna se ne andrà zoccolando per le vie del paese in cerca di un altro bambino ribelle da spaventare!
Dal 26 al 29 gennaio con solo quattro mezzi gusci, tornava il rituale della Ghirlanda: con lei si pronosticava l'andamento delle stagioni: la primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno. Più che il bello o il cattivo tempo, per le quattro stagioni il riferimento era ciò, che le caratterizzava e cioè: raccolto, semina, quantità e qualità dei prodotti e la Ghirlanda aveva la funzione di far conoscere in anticipo fatti o eventi con la speranza di poterli prevenire.
Narra una leggenda che quando Gennaio aveva solo ventotto giorni, durante una partita a dadi con Febbraio, lo ridusse sul lastrico; non sapendo come pagare i debiti, il povero Febbraio offrì al vincitore, Gennaio, i primi tre giorni del suo mese, così Febbraio restò lui con ventotto giorni. Fin dall'antichità questi tre giorni, considerati i più freddi dell'anno, vennero chiamati i giorni della Merla e tra le varie ipotesi c'è chi identifica il nome Merla con moron (gelso), le cui foglie servivano da alimento al baco da seta. La Merla veniva cantata davanti alla chiesa del paese come augurio al bel tempo, affinché il gelso facesse foglie grandi e belle per nutrire bene i bachi.
La voce solista, sempre una donna, saliva su un cumulo di fascine poste sul sagrato (per questo veniva chiamata la fasinera) e dava "il la" ai vari gruppi che iniziavano a cantare: "Trà la rocca in mezz a l'era, che se gh'è nivolven el seren, trallallera, trallallera, trallallera, trallallà!".
Finito il canto le fascine venivano bruciate e la cenere sparsa nei campi a propiziare un buon raccolto, oppure mescolata alle foglie del gelso date in nutrimento ai cavalèr; se però la Merla non era cantata bene, con una perfetta intesa tra le voci dei vari gruppi, la produzione del baco rischiava di andare perduta. Per la famiglia contadina l'allevamento dei cavalèr era molto importante, perché la vendita dei bozzoli costituiva il primo guadagno dell'annata.
Ora che l'allevamento dei bachi è quasi scomparso, in alcuni luoghi la Merla si canta ancora, è un momento di folclore molto sentito, ma il suo vero significato è andato perduto.
l'Intelligenza Artificiale (IA)
Cos'ha a che fare l'Intelligenza Artificiale (IA) con un "pappagallo stocastico"? Sappiamo fino a che punto essa pervade la nostra vita quotidiana?
Se pensiamo a un assistente virtuale come Siri o facciamo una qualunque ricerca su Google, non solo stiamo usando l'intelligenza artificiale come se fosse uno strumento tra altri, ma stiamo inconsapevolmente contribuendo ad addestrarla. L'IA non nasce infatti come Minerva armata dalla testa di Giove, ma presuppone un enorme lavorio di selezione e inserimento di inimmaginabili quantità di dati, al quale ognuno di noi contribuisce inconsapevolmente ma attivamente, con criteri il più delle volte oscuri e viziati da una fitta rete di scelte, filtri e pregiudizi impossibile da ricostruire a posteriori. Dati e sequenze linguistiche che, nell'elaborazione dei "modelli di linguaggio" su cui si basa e con cui opera, l'IA ripete a caso come un pappagallo, sulla base di combinazioni probabilistiche, senza comprenderne il significato.
È nell'ambito sanitario che l'IA mostra tutta la sua potenza e insieme i rischi a cui ci espone.
Se in ambito diagnostico i risultati raggiunti da strumenti e tecnologie d'avanguardia sono stupefacenti, non bisogna sorvolare su criticità e rischi altrettanto evidenti.
Due sono i problemi che l'uso dell'IA incontra: la "esplicabilità" (explainability), ovvero il fatto che l'opacità dell'operato dell'IA rende molto complicato fugare l'eventualità di diagnosi errate o di trattamenti inappropriati a scapito del paziente, e l'effetto "scatola nera" (black box), per il quale i modelli di apprendimento utilizzati dalla IA rendono non trasparenti le decisioni diagnostiche della macchina.
Siamo dunque ben lontani dall'immaginare macchine che sostituiscano i processi cognitivi ed emotivi umani. L'IA è profondamente interconnessa con l'elemento umano, ma proprio questa consapevolezza ci obbliga a chiarirne le dinamiche e i processi, anche sul piano etico e giuridico.
       **************** fine giornata ************************
 
20 Gennaio 2024 - sabato - sett. 03-020
redigio.it/rvg100/rvg-03-020.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2606/QGLO577-milanesi-sidiventa-02.mp3 - Milanesi si nasce ... e si diventa
Toponimi di OSMATE (1/2)
Osmate: m. 333; kmq 3.43; abitanti 445
Comune della provincia di Varese 19 Km a sud-ovest del capoluogo, situato sulla sponda sud occidentale del Lago di Monate
Il toponimo, in dialetto Usmà, è attestato a partire dal XIII secolo come Usmate (cfr. Usmate -MZ-)123 e con molta probabilità è un prediale derivante dal nome latino Auximus o Ocimus 124 (il secondo attestato in una lapide a Milano) -
Albini: cascina tutt'ora esistente situata nella zona di Provesci. La cascina è forse la più antica del paese e prende il nome dalla famiglia che l'ha costruita. La famiglia Albini è ritenuta da tutti gli abitanti di Osmate una delle più facoltose che per prime si insediarono nel paese.
2) Bettola: nel dialetto locale definita Béture. Complesso di case con al centro la vecchia cascina situata nella zona pianeggiante opposta all'ormai abbandonato stabilimento di tessitura (v. Mercallo n. 2).
3) Biis: area molto limitata situata alle spalle dell'antico stabilimento di tessitura caratterizzata un tempo da un piccolo bosco che era stato in parte eliminato per far spazio ad alcune colture. Oggi quest'area è stata abbandonata ed è ritornata interamente boschiva. L'origine del toponimo è incerta ed è forse da far risalire ad una voce dialettale bis "bigio" da intendere come "terreno o zona scura'
4) Bufalöre: altro nome con cui si designava un tempo l'area che sulle carte è denominata Fino al 1970 il comune di Osmate era unito amministrativamente a quello di Lentate, piccolo paese di circa 170 abitanti, poco più a sud. Ora Lentate è denominata sulle carte come Lentate Verbano ed è una località del comune di Sesto Calende, E' fantasioso il tentativo di far risalire il toponimo Osmate ad una antica divinità pagana dei boschi chiamata Oscio Mater. Paiétt. In italiano è frequente il toponimo Boffalora. E' largamente condiviso il modo di intendere il nome come composto di boffa "sbuffo, soffio" più l'óra "vento" con il significato quindi di "soffia il vento". In generale i luoghi che portano questo nome sono zone rialzate poco protette ed esposte ai venti
5) Campagna: ampia area che ospita tutt'ora una cascina definita appunto Cascina Campagna. Quest'area si snoda a sud del Runch nella zona che da Osmate porta a Lentate Verbano, nei pressi della quale troviamo anche la Cascina Pometta. L'area denominata dai locali la Campagn ospitava antiche coltivazioni di grano e mais e alcune aree erano adibite alla coltivazione dell'uva, da cui anche il nome Vignöö attribuito ad alcune di esse.
6) Colla: cascina esistente ancora oggi su una piccola spianata al confine con il comune di Comabbio, un tempo zona prevalentemente boschiva, oggi in parte recuperata ed edificata con un residence. In dialetto la zona è nota come Ca' Cól. L'italianizzazione con il termine "colla" quindi non pare felice. L'interpretazione del nome dialettale può forse essere ricondotta al dialettale cola "colle, altura"(cfr. Cola frazione di Novate Mezzola -SO-, Cöla monte sopra Ballabio -LC-)128.
7) Funcurune: riva sud del Lago di Monate dove il pendio del Moncucco si immette nel lago. In quest'area la sponda lacustre è molto profonda creando quindi un fondale unico nel panorama dei laghi prealpini di origine glaciale. Il lago infatti è il più profondo (più di 40 metri di profondità massima) tra i piccoli laghi di origine glaciale della Lombardia. Alcuni locali interpretano il nome come una forma contratta del sintagma "fund cur düüne" traducibile in italiano come "fondo con le dune".
8) Läägh de Furmich: riva lacustre a sud della località Bettola poco distante dalle paludi e torbiere di Osmate. L'area prendeva questo nome perché nei periodi di ritiro del lago diventava zona secca e arida dando spesso casa a numerose formiche. La zona non era quindi molto amata dai locali per la balneazione.
9) Monteggi: noto come Muntéc. La localizzazione del toponimo è incerta (v. Cadrezzate n. 13).
Immagini, documenti e testimonianze.
I protagonisti raccontano le scoperte
Questa importante scoperta archeologica fu possibile grazie agli interventi di tutela e segnalazione dell'inge- gner Guido Sutermeister e all'opera di ricerca e di divulgazione del professor Ferrante Rittatore, ma soprattutto alla loro passione per l'archeologia.
Così li ricordò il professor Mario Mirabella Roberti in una testimonianza: «Quando nell'ottobre del 1953 mi è stato affidato l'incarico di reggere la Soprintendenza alle Antichità della Lombardia, ho assai presto incontrato Rittatore e il primo contatto è stato su di un arido terreno fra le case in un paesotto dell'alto Milanese, Canegrate, sotto Legnano. L'ing. Guido Sutermeister, ispettore onorario, vi aveva scoperto delle tombe e si era rivolto a Rittatore per saperne di più. E lui vi aveva riconosciuto non una consueta necropoli, ma un "campo d'urne", di un tipo sconosciuto in Lombardia e quindi la presenza di una nuova "cultura"».
Parole e immagini di 70 anni fa sono state "catturate" grazie ai documenti conservati negli archivi della Soprintendenza e del Comune di Canegrate, ma soprattutto alle fotografie, come quelle scattate dal signor Renato Colombo, figlio del proprietario della casa, durante la costruzione della quale emerse il nucleo principale della necropoli.
- II Sanatorio Regina Elena
Il Sanatorio Regina Elena di Savoia, inizialmente "Istituzione di assistenza ai tubercolotici di Legnano", fu realizzato a Legnano tra il 1921 e il 1924, e inaugurato il 19 giugno 1924, alla presenza della Regina Margherita, con una iniziale capacità ricettiva di 104 letti, successivamente ampliata.
I primi progetti risalgono al 1917, ma solo nel 1921 il Comitato istitutivo affidò l'incarico per la realizzazione all'ingegnere Carlo Jucker, a suo tempo direttore del Cotonificio Cantoni.
Il complesso, una leggiadra costruzione dalle linee sobrie ed eleganti, vivace nelle decorazioni e nelle movenze architettoniche, era composto da un corpo centrale a due piani e da due padiglioni laterali ad un piano, con verande ed ampie vetrate per le cure elioterapiche. Nella parte posteriore erano situati i locali per le visite mediche, la radioscopia, i laboratori e gli uffici amministrativi. Nei sotterranei, luminosissimi, erano disposti tutti i servizi: cucina, dispensa, locali di disinfezione e sterilizzazione... I due bracci, il destro per le donne, il sinistro per gli uomini, comprendevano camere accoglienti, dipinte con colori pastello e motivi floreali, munite di tutti i confort e di uno speciale impianto di aerazione.
Accanto alla struttura vi erano due solarium in stile liberty anch'essi separati, il destro per le donne, il sinistro per gli uomini, costruiti in legno e calcestruzzo, con forma ad arco rivolta a mezzogiorno per permettere la doppia esposizione al sole, invernale ed estiva. Partendo da un basamento rialzato, erano ornati con strutture lignee di pilastrini e pareti intelaiate. In questi spazi si trovavano sedie a sdraio assegnate ad ogni singolo malato e numerate progressivamente. Scorrevano su binari e potevano essere ricoverate agevolmente ogni sera in un corridoio centrale, per preservarle dall'umidità o dalla pioggia. Purtroppo queste strutture, significative per efficienza ed eleganza, furono abbandonate al degrado e all'incuria amministrativa per decenni, e risultano ad oggi irrimediabilmente perdute.
Immerso in un magnifico parco, sistemato in parte a pineta con diverse centinaia di conifere e in parte a giardino all'inglese, il sanatorio era una costruzione modernissima, nella quale furono adottati metodi terapici per l'epoca molto progrediti, "in modo che l'ammalato non avesse l'impressione di trovarsi in un luogo di dolore".
 
 
 
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21 Gennaio 2024 - Domenica - sett. 03-021
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Notizia dal Villaggio
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Toponimi di Cadrezzate
38) Vignaccia: zona collocabile sul pendio sud delle Motte. La voce è da far risalire al latino vinea "vigna, vigneto". Il termine è molto produttivo e registrato con vari suffissi in quasi tutti i comuni studiati. Questo tipo di coltura è stata largamente impiegata dai locali in conseguenza delle numerose zone collinari ben soleggiate durante l'anno.
39) Vignola: area un tempo coltivata che si trovava a sud del paese nella zona che porta verso il comune di Brabbia
40) Vignolo Vassallo: località di incerta individuazione sul territorio comunale registrata solamente nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860
San Bernardino - L’interpretazione degli artisti
Ribadito il concetto che sono i i francescani a veicolare il culto del santo in lungo e in largo per l’Europa, vediamo cosa succede nelle nostre vicinanze.
A Brescia rimane, anche se alquanto ammalorato, un notevole ciclo pittorico nel secondo chiostro del complesso monastico di San Giuseppe. Sono più di trenta lunette, risalenti al Seicento, affrescate con altrettanti episodi della vita del santo. Il metodo pastorale di Bernardino è stato molto apprezzato da papa Giovanni XXIII come modello da seguire tanto che lo ha riconosciuto come “Dottore della chiesa”. Le qualità taumaturgiche inoltre hanno ispirato la costruzione del primo grande ospedale di Brescia ed ora il nome di Bernardino è ricordato negli ospedali di Santo Spirito e San Luca della Misericordia in città.
Tutti avranno visto o almeno sentito parlare della Pala di Brera, ma forse non tutti sanno che prima di trovarsi in Accademia è stata presente, fino al 1810, nella chiesa francescana di San Bernardino ad Urbino. Il committente Federico da Montefeltro fa erigere l’edificio sacro come mausoleo ducale, tra il 1482 e il 1491 circa, su progetto di Francesco di Giorgio Martini e con la direzione dei lavori affidata ad un giovane Donato Bramante. All’interno si può leggere in alto, lungo tutto il perimetro, un’iscrizione in latino per lodare il santo, che tradotta suona così “O splendore di pudicizia, pieno di zelo per la povertà, amatore dell’innocenza, cultore della verginità, percorritore della sapienza, protettore della verità, davanti al trono fulgido dell’eterna maestà, prepara per noi l’ingresso della divina pietà implora per noi la grazia o beato Bernardino”.
Nella pala Federico, il duca di Urbino, compare in primo piano in ginocchio a mani giunte rivestito dall’armatura.
La Madonna è posizionata al centro di fronte e guarda il figlio disteso sulle ginocchia. Ha i capelli raccolti in una cuffia ed è coperta dal manto blu bordato da un nastro. Ai lati tre santi a sinistra di chi guarda, Bernardino che spunta tra Giovanni e Girolamo; tre a destra Giovanni evangelista, Francesco, Pietro. Dietro quattro angeli assistono alla scena come muti testimoni. Piero della Francesca ambienta l’insieme in un’abside dalla volta a botte ricoperta da un soffitto a cassettoni, sorretta da lesene scolpite che uniscono in maniera indissolubile architettura e personaggi.
Svariati sono i particolari simbolici: il corallo di Gesù bambino, oltre a rappresentare l’amuleto che protegge i neonati, con il suo colore anticipa il sangue vale a dire la morte in croce; l’uovo che pende dalla conchiglia al centro sta a significare la perfezione e la rinascita quindi la resurrezione di Cristo.
Ma a Brera è presente un altro quadro di autore famoso dedicato al santo vale a dire il San Bernardino e angeli di Andrea Mantegna La tela databile al 1469 presenta un grande arco riccamente ornato da festoni di frutta sormontato da cherubini che curiosano dall’alto.
In primo piano spicca il Santo a piedi nudi, rivestito di un saio con una semplice corda annodata intorno alla vita.
In mano reca il trigramma, suo segno distintivo, e sotto il braccio un grosso volume. La sua essenziale povertà contrasta fortemente con l’opulenza dell’ambientazione ed il ricco abbigliamento dei due angeli che lo affiancano.
Un esplicito omaggio al modo di predicare bernardiniano è la scritta latina che corre sull’architrave “Huius lingua salus hominum” (la lingua di questo «è» salvezza degli uomini o, più liberamente, la sua parola «è» salvezza degli uomini). (14 - continua)
Parole milanesi
Patt =i patt di zòcur = le strisce di pelle o tessuto inchiodate al legno degli zoccoli.
Patun = sberlone, cazzotto. Patüsc, patell = pannolino. Paüra, pagüra = paura. Pagüra mia, ga pensi mi! = non temere, ci penso io!
Pe, pée = piede, piedi. Andà a pè = camminare a piedi. Ciapà pè = prender piede. Dà un pée in dur cüü =
pée = nelle famiglie numerose i bambini, per ragioni di spazio, venivano talvolta messi a dormire in due nello stesso letto, uno con il capo rivolto alla testata e l'altro col capo rivolto alla pediera del letto. Durmì in pée dormire in piedi, essere tardo di riflessi. Fài cunt i pée = fatto coi piedi, malfatto. Fài in sü i düü pée = lett. fatto sui due piedi cioè subito, all'istante. In punta da pée = in punta di piedi. I pè piàtt i piedi piatti. Levàss in pée = alzarsi in piedi. Mett in pée, trà in pée = mettere in piedi, approntare, allestire, avere iniziative. 'Nà fö di pée = andarsene. 'Nà a pè 'n tèra = andare a piedi nudi. Netà i pée = nettar- si le suole delle scarpe sullo stuoino. Paré un mort in pée = sembrare un morto in piedi. Piantà in pée un gar- büi = provocare una lite, disordine. Picà i pée = spazientirsi, mordere il freno, scalpitare. Puntà i pée = puntar i piedi, impuntarsi. Tegnì in pée = sostenere. Vegh mia frécc i pée = lett. non aver freddi i piedi, detto riferito a chi ha, o maneggia tanti soldi. Pecàa peccato. Brütt 'me 'l pecàa brutto come il peccato. Pecàa cunfessàa l'è mèzz perdunàa = peccato confessato è mezzo perdonato. Pécc = capezzolo, mammella, riferito in particolare al bestiame. Quando la mungitura veniva effettuata a mano, prima di iniziarla sa lavava i pécc d'ra vàca si provvedeva a lavare i capezzoli della vacca. Vàca cun ligàa ur pécc = mucca con le mammelle poco sviluppate perciò di difficile mungitura. Avégh vün pa 'l pécc = avere in pugno una persona. Pécc significa inoltre straccio, indumento consunto, fuori uso.
Soprannomi ed epiteti Suranómm e titul (1/2)
Molti di questi epiteti e soprannomi sono raccolti nel Parolario o in questo volume, con la traduzione e/o il significato. Per molti altri non esiste il corrispettivo nella lingua italiana, in quanto non hanno alcun senso particolare ma soltanto lo scopo di identificare le persone cui erano dedicati.
Specie nei paesi, rilevante era il numero di famiglie che portavano lo stesso cognome: è significativo, ad esempio, il caso di Brinzio, dove la gran parte delle famiglie portava i cognomi di Vanini e Piccinelli.
Per quanto riguarda i nomi non v'era certo la grande varietà attuale essendo questi limitati ai più tradizionali quali Carlo, Giovanni, Giuseppe, Antonio e non molti altri.
Era poi consuetudine di attribuire al primogenito il nome del nonno paterno, ragion per la quale ogni due generazioni si trovavano persone con l'identico cognome ma anche con lo stesso nome per cui era assai facile qualche confusione.
Era perciò giocoforza ricorrere ad aggiustamenti del nome in base alle caratteristiche dei singoli, così che il nome di Carlo diventava Carlùn se questi era grande e grosso, Carlin se era minuto, oppure Carlètu o Carlo. Lo stesso dicesi per gli altri nomi: Giüsepp, Giusepìn, Giusepùn, Pepp, Pepin, Pepùn, Pepòta, Pepinét ecc..
Esaurito questo repertorio si ricorreva ai mestieri ed allora si trovava il Pepin bagàtt (se faceva il calzolaio), il Giüsèpp di böö (se possedeva buoi), il Giusepp farée (se faceva il fabbro), il Giusepp marussée (se faceva il sensale); oppure ai soprannomi, più o meno gradevoli, attribuiti in base a caratteristiche fisiche od altro della persona: cò da pan gialdìn, se era biondo; cò da binìis, se aveva la testa allungata; cò d'oss, se era completamente calvo; cò güzz, se la testa era un po'appuntita; gambéta o zupétt, se era claudicante; dundìna, se aveva una andatura ciondolante, e così via.
Così che, se in un paese si andava a cercare il sig. Giuseppe Tal dei Tali, era assai difficile ottenere corrette informazioni, ma se si era a conoscenza che colui era il Güsepp di böö chiunque sapeva indicarlo.
Molti soprannomi o epiteti non erano però attribuiti per necessità, ma, talvolta, derivavano perlopiù da osservazioni critiche riguardanti l'aspetto, le abitudini ed i comportamenti della persona.
 
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