RVG settimana 02
Radio-video-giornale del Villaggio
Settimana-02 del 2024
Settimana 02 2024-02-08 - Calendario - la settimana
08/02 - 02-008 - Lunedi
09/02 - 02-009 - Martedi
10/02 - 02-010 - Mercoledi
11/02 - 02-011 - Giovedi
12/02 - 02-012 - Venerdi
13/02 - 02-013 - Sabato
14/02 - 02-014 - Domenica
RVG-02 - da - Radio-Fornace
08 Gennaio 2024 - lunedi - sett. 02-008
Notizie dal Villaggio
Toponimi di Cadrezzate
18) Padolette: strada che continuava un tempo il Rossino. Entrambi i toponimi oggi non sono più conosciuti. Le voci sono tratte dalle carte del Catasto Regio del 1905.
19) Passeraccio: zona boschiva che si inserisce tra la strada che porta verso Ispra e la strada che gira verso il limitrofo comune di Capronno. Il nome sembra essere trasparente e potrebbe suggerire un antico luogo di caccia agli uccelli (v. Comabbio n. 30).
20) Pauretta: strada di incerta localizzazione, forse da individuare nella zona est del paese in un'area adiacente al lago. Il nome potrebbe risalire alla voce dialettale pau "palude" con la presenza del suffisso di diminutivo -èta in dialetto e -etta in italiano. Notiamo anche in questa voce il rotacismo della laterale. Un'altra difficile ipotesi etimologica fa risalire la voce al nome pauràt che in dialetto sembra designare "il conoscitore e frequentatore della palude"
Cosa ascoltare oggi
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A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (2/3)
Calate le tenebre, nelle strade pressochè deserte ed abbuiate, due donne infazzolettate di nero, come due penitenti che nascondono il volto agli umani sguardi, camminano a passo lesto scantonando furtive. Persona che le vedesse direbbe : vanno in cerca del prete per un moribondo oppure della levatrice per un nascituro; lasciamole in pace senza curiosare, chè starebbe male. La donna più giovane (la malefiziata) non osa volgere la testa indietro, tuttavia ha il tremore nelle ossa. Se fosse possibile penetrare lo sguardo oltre il fazzolettone che le copre il volto si potrebbero scorgere sulla fronte delle goccie di sudore. Sudor freddo della paura di esere spiata e scoperta, nel qual caso il giuoco » non potrebbe essere disfatto »>. Supplisce la vecchia (manutengola della strega) con delle sterzate di capo, quasi volesse scacciare delle mosche noiose, a scopo esplorativo. Accertatasi che nessun'anima viva le pedina, bisbiglia all'orecchio della giovane: «Nessuno ». Automaticamente l'andatura si accelera. Cuntrà di Ràti: ci siamo, appena due passi ancora. Il cuore batte in petto alla donna giovane e trema. Indugia ad alzare il piede per scavalcare il rialzo dello sportello che immette nel cortile. La vecchia la spinge con una manata, poi rinchiude lo sportello battendo i tre colpi di prescrizione, affinchè la strega sappia chi arriva e prepari il ricevimento con le dovute convenienze. Venti gradini sgangherati da salire e siamo sulla ringhiera tremolante. Si apre un uscio a mezzanta e le due donne (la giovane e la vecchia) precipitano da tre gradini nella camera buia, appena solcata da una striscia chiara prodotta da un lumino agonizzante nell'ultima goccia d'olio. L'aria è appestata dal lezzo dello stoppino insecchito. La strega si leva lo scialle dalle spalle incurvate un po' dagli anni, un po' dalla posa necessaria. Incomincia a lamentarsi : «Sono malandata e stanca. Sentite che tosse! Se non fosse per un riguardo a voi Marianna, cara amica mia, questa sera non avrei ricevuto nessuno. Il gatto in un angolo fa le fusa e non si disturba per i topi che gli saltellano attorno. Son di casa ormai ! C'è della brage di carbonella nella scaldina dal coperchio forato. La strega alza il coperchio della scaldina e lascia cadere sulla brage una polverina che, abbruciando, diffonde un odore indefinibile, ma serve a far girar la testa a chi non vi è assuefatto. La giovane donna impallidisce ed ha qual che strappo di vomito. Capito, le fa male l'incenso ! La scaldina vien tolta dalla camera e posta sul corridoio. Qua un goccio di scacciamali ». È forte a prendersi, ma fa passar subito. Giù, giù, ecco fatto! Un momentino solo e il malessere sarà passato. Ecco che già si rianima in volto. Guarita da questo male! Ora veniamo all'altro. << Disturbi, dolori di stomaco, mal di capo, vomito, insonnia, sogni paurosi tremendi, mi par sempre di dover morire da un momento all'altro. Ogni tanto mi manca il respiro, par che ci sia una mano che mi strozzi la gola. Che tremendo, che tremendo! I medici dicono che non ho nulla: nervoso, fissazioni... Non capiscono niente. Temo di essere stregata! > Ah, ah, ah!!
I segreti della chiesa della Purificazione - 2
Tra XIII e XIV secolo dovremmo immaginare la c ostruzione come una cappella campestre al di là dell’Olona, utilizzata dagli abitanti di quella contrada. Il nome, ad ogni modo, rimane inalterato tanto è vero che, qualche secolo più tardi, possiamo leggerlo in un Instrumento di Cambio factum tra R.P. Jacobum Rettorem S(anc)te Marie loci Legnarelli et Melchior et Ambrosium fratres de Crespis, rogato da Bartolomeo Formenzan anno 1597. In breve i fratelli Crespi e il canonico di Santa Maria, di comune accordo, fanno uno scambio di terreni. Una chiesa, dunque, con buona probabilità, esiste dalla seconda metà del 1500 ed è circondata da acque, pascoli, campi.
Difficile trovare in loco documenti antecedenti al 1584.
In quell’anno, infatti, il 7 di agosto San Carlo fa trasferire la prepositura da Parabiago a Legnano presso la chiesa dei Santi Salvatore e Magno. Poiché qui i canonicati sono due, entrambi posseduti dal Reverendo Padre Battista Crespi, li erige in due canonicati coadiutoriali: uno in San Magno, l’altro presso la chiesa di Santa Maria nella contrada di Legnarello.
Questo avviene per comodità, o meglio per necessità, dal momento che il fiume Olona, scorrendo tra le due parti del borgo, spesso con le sue inondazioni, impedisce il transito. Oltre la chiesa vengono assegnati casa, giardino e beni. La faccenda suscita mugugni e ricorsi se il papa Gregorio XIII si vede costretto a far intervenire il vescovo di Cremona Cardinal Sfrondati (in seguito sarà papa Gregorio XIV) per dirimere la questione.
(lettera del 18 luglio 1586).
Proviamo ora a domandarci come mai dedicare un luogo sacro alla purificazione e cosa mai debba purificare la Madonna. L’intitolazione vuole sottolineare l’importanza della maternità. Come leggiamo nelle sacre scritture risale alla tradizione ebraica la celebrazione di due riti che avvengono quaranta giorni dopo la nascita di un bambino.
Il primo è la presentazione al tempio. Ecco il passo dell’Antico Testamento (Pentateuco Esodo 13) “Il Signore disse a Mosè:
Consegnami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli israeliti: ogni primogenito di uomini o di animali appartiene a me”. In seguito il bambino sarà riscattato dai genitori con il pagamento di 5 sicli d’argento. (circa 50 grammi)
Il secondo è la purificazione della madre. Si basa, sempre, sull’Antico testamento (Pentateuco Levitico 12) “Il Signore parlò a Mosè e disse: Parla agli Israeliti dicendo:
Se una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà impura per sette giorni; sarà impura come nel tempo delle sue mestruazioni…Poi ella resterà ancora 33 giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma se partorisce una femmina sarà impura due settimane come durante le sue mestruazioni; resterà 66 giorni a purificarsi del suo sangue”.
Insomma non siamo in regime di parità: 40 giorni contro 80, le femmine sono sempre un problema!
Il ritorno alla comunità implica l’offerta al tempio di un agnello e di un colombo, o due tortore se la famiglia è povera.
L’usanza della festa passa al cristianesimo e, in origine, viene fissata nel giorno 15 febbraio. Secondo il calendario romano questo è l’ultimo mese dell’anno nel quale si svolgono le Februalia , cioè le feste di purificazione religiosa dei vivi, in onore di Iuno Februata (Giunone Purificata) perché fa uscire dopo il parto la placenta e quindi purifica la madre la quale, a suo tempo ha già invocato la dea Iuno Lucina (Giunone dea della luce) perché porti alla luce, appunto, il nascituro. Ma in questa data viene a coincidere con gli antichi riti romani e pagani dei Lupercalia.
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09 Gennaio 2024 - Martedi' - sett. 02-009
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Cosa ascoltare oggi
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Toponimi di Cadrezzate
21) Persico: strada oggi non ben localizzabile e documentata in carte notarili di fine Ottocento, che si presuppone congiungesse il centro del paese al Lago di Monate. Il pesce persico, insieme alla tinca e al cosiddetto lavarello, è la risorsa principale per i pescatori della zona.
22) Peverascia: è il nome di un prato non molto esteso a sud-est del centro del paese che ospitava forse un tempo la peverascia, in italiano nota come "centonchio": erba infestante che fiorisce spontaneamente durante tutto l'anno per lo più accanto ai muri e nelle strade non selciate. (cfr. Peveranza frazione di Cairate -VA-).
23) Piaggiolo: area pianeggiante a ridosso del Lago di Monate. Il nome può essere ricondotto al latino plaga "pianura""" continuato in dialetto prima e in italiano poi con un diminutivo (cfr. Piaghedo, frazione di Gravedona -CO-)
Busto Grande - 170 anni fa - capitolo sesto (1/4)
Aprile 1859: primavera in fiore e rumore di tempesta. Nel vicolo Crespi, da poco tempo ingoiato da un palazzone moderno tutto vetri luccicanti e biancore di marmi, addentrato nell'agglomerato di casupole che si addossano alla basilica di San Giovanni, il signor Giuseppe Lualdi ha impiantato da tempo, in un fabbricato di sua proprietà, ai numeri civici 173 e 174, una novità guardata con grande sospetto. Si tratta di una infernale << macchina a vapore », che deve servire a non si sa quale specifico lavoro, per quanto ci sembri facile indovinarlo; sarà stato, anche lui, come tanti, un preparatore di tessuti o un tintore di cotone. Fatto sta che la macchina funziona senza riposo.
Da una parte, il prevosto Piazza arriccia il naso e scuote la testa; dall'altra i canonici Ajroldi e Todeschini fanno brutti commenti. All'intorno, i proprietari di case (le abbiamo viste demolire in questi giorni e, oh Dio, non avevano tutti i torti!) sono preoccupati al vedere tutto quel fuoco e quel fumo che avvolge i loro fienili e le loro catapecchie.
Ma il signor Giuseppe Lualdi è un pioniere. Non si cura degli umori dei canonici, nè di quello dei vicini; come trascura le velate minaccie di buona parte del popolo che guarda di malocchio le macchine, questi arnesi costruiti per togliere il pane di bocca agli artigiani, o, come si diceva allora, agli artisti.
Fatto sta che un brutto giorno di questo aprile in fiore, la macchina a vapore, a furia di ingoiar carbone e vomitar fumo, saltò in aria con un tremendo boato che riempì di terrore tutto il borgo e fece tremare i vetri della chiesa, della casa del prevosto e dei canonici, e appiccò il fuoco alle case circostanti.
Arrivò la << Macchina Idraulica » coi brentatori, i facchini, il codazzo dei volontari faccendoni e, fra tanti, anche il Direttore e il Custode. Il fuoco venne spento, non senza gravi danni che, per quanto coperti dall'assicurazione, impressionarono notevolmente i bustocchi.
Ma passata la prima paura si tirarono dei gran respiri di sollievo, mentre nella offelleria del Magnaghi, che stava quasi in faccia al luogo della macchina, si riprendevano le discussioni politiche, con tutte le cau- tele che la dominazione austriaca imponeva. Della macchina a vapore, dopo il gran discorrere dei primi giorni << aveva fatta ormai la sua logica fine », dicevano i meglio informati del paese - nessuno se ne ricordò più, e i più accaniti nemici si fregavano le mani soddisfatti: - lo dicevamo, noi, che non durava! ; e perciò nes suno si curò di fare i conti col Lualdi.
Costui lasciò calmare le acque o, per essere più precisi, le lasciò intorbidare di tutto quel che bolliva in pentola in quei mesi. E, mentre gli animi erano rivolti alla guerra, a Magenta, al generale Urban, alla Guardia Nazionale, il Lualdi si dava da fare in gran silenzio e macchinava nuovi piani.
Quale non fu la costernazione dei vicini quando trapelò la notizia che il Lualdi, forte della legge che permetteva tali inaudite novità, stava di nuovo impiantando la « macchina a vapore ».
La Madonna accoltellata (1/2)
Chi ha mai giocato a zara? Qualche accanito giocatore o qualche esperto del settore sa di che cosa si tratta, ma per la maggior parte di noi è un mistero. Eppure nel Medioevo era un gioco d'azzardo assai di moda nonché un ottimo sistema per rovinarsi, come anche Dante conferma (Purgatorio, VI, I):
Quando si parte il gioco della zara, colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo impara.
<<Si giocava con tre dadi, e contavano negativamente le somme dei punti inferiori al sette e superiori al quattordici. (...) Dall'ara- bo zahr, dado» (Gabrielli). Si intendeva "zara" come "zero"; vien da lì anche il termine di azzardo. Nell'Ottocento milanese, decaduto il gioco, quella parola in milanese significava "rischio".
Tanta antiquata erudizione a che pro? Per ambientare un'altra leggenda che riguarda ancora una volta la Madonna, o meglio una delle sue immagini diffuse un tempo agli angoli di molte strade milanesi, prima dello sfratto in massa per opera di "illuminati" assortiti. Questa volta ci troviamo nel 1242 (il 25 marzo, preci sa qualcuno), quando un tabernacolo con l'immagine sacra della Madonna col Bambino ancora si trovava esposto nella contrada del Falcone, una delle strade più anguste del centro cittadino che prendeva nome da una rinomata locanda. Nel crocicchio di fianco a San Satiro c'era un po' di tutto e naturalmente negli angoli vi si giocava, senza badare agli editti cittadini che vietavano il gioco d'azzardo. Uno di questi giocatori di zara s'era intestardito, anche se la giornata non gli appariva in nulla favorevole, al punto da giocarsi se non la camicia almeno la casacca. Càpita ancora oggi. Imbestialito dalla sfortuna, non potendo prendersela con nessuno se non con sé stesso, estrasse il pugnale e con quello vibrò una tremenda coltellata all'immagine della Madonna dipinta sul muro, bestemmiando e gridando: «To', prendi!» come se Maria Santissima c'entrasse in qualcosa con le sue perdite ai dadi. Secondo altre fonti, le avrebbe tirato un sasso; secondo altre ancora, la pugnalata fu diretta al Bambino. La precisione, è questo il bello delle leggende.
Parole milanesi
Diàvul, diàul = diavolo. Catii 'mè 'l diàul = Lett. "cattivo come il diavolo", tuttavia il vero significato è "os- sesso, indemoniato" derivando dal latino "captivus diaboli", prigionie ro del diavolo, poi storpiato nella dizione dialettale. Cussè diàul süccéed? = che diavolo succede? La farina dul diàul la va tüta in crüsca = la farina del diavolo va tutta in crusca. L'è 'l diàul ca sa peccéna ra cùa (ul ciu) = lett. "è il diavolo che si pettina la coda (il deretano)", locuzione usata per indicare le ultime scariche.di tuoni dopo che il temporale è ormai cessato. Lè 'n bun diàul è un brav'uomo. Ul diàvul al fa i pignatt ma mia i cuèrc = il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Un póar diàul un poveraccio. Vegh 'doss ul diàul = essere agitato, in continuo movimento o, anche, essere cattivo, maligno. Diavuléri = diavolio, gran quantità di persone, gran trambusto. Diavulétt, diaulétt = diavoletto, usato anche come vezzeggiativo per un bimbo: che bell diaulétt! = che bel diavoletto!
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10 Gennaio - Mercoledi' - sett. 02-010
Notizie dal Villaggio
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A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (3/3)
Vediamo. Le carte diranno loro. Io non so nulla. Sono le carte che di cono. L'importante è di saperle leggere. Io ho imparato a leggerle dalla mia povera nonna, una santa donna e Dio l'ha certamente in gloria. Ve- diamo. Le carte vengono stese a quattro a quattro sul capace grembiule tenuto aperto dalle gambe triangolate. Un momento, ci siamo! Questa donna ha una brutta ghigna ed è seguìta da un ceffo di fante, il che è peggio. Però c'è un rimedio. Se dopo questo sette gira l'asse di... quadri...
ecco che è venuta ! Salva, ma ci vorrà del tempo... Veniamo al secondo esperimento, al controllo: Piripipiri, piripipò giò, giò, giooò! Le catene del focolare oscillano, saltellano e sbattono contro la cappa del camino. Da uno spioncino sbuca una tortorella gentile che, dopo aver svolazzato sul capo delle donne, va a posarsi su di un cuscino. La malefiziata sviene. Si provvede con una spruzzata di aceto forte a farla rinvenire.
Non è il caso di spaventarsi. Sono innocenti scherzi di spiriti beffardi. Anzi, la loro presenza è stata la sua fortuna, cara la mia donna ! Ha visto dove s'è posata la tortorella? Sul cuscino. Vada a casa, tolga la fodera del cuscino sul quale lei poggia il capo quando dorme, levi la piuma ed esamini bene. Se trova per caso un ago, una stringa, un ciuffo di capelli, un nastrino, lo tolga e lo porti a me. Ciò è indispensabile per << disfare il giuoco del malefizio..
A Stria dàa Cuntrà di Ràti conosceva bene il suo mestiere. Era molto riservata, sapeva mantenere il segreto e non dava confidenza ad alcuno. In chiesa teneva la sedia e si appostava misteriosa all'ombra incerta delle pareti del confessionale. Non si fermava mai per strada a chiaccherare, filava diritto, il volto seminascosto. Ogni tanto si inoltrava in Cuntrà di Rati qualche vettura padronale. La strega vi saliva frettolosa. La vettura partiva veloce. La gente spalancava gli occhi e rimaneva confusa. Pensava: cer- tamente c'è di mezzo qualche stregoneria di grande importanza !
La strega non si confessava mai a Busto. Si sapeva che andava a Verghera, almeno la strega lo lasciava credere. E tutti sanno che Verghera era molto rinomata per i convegni di stregozzi. Questo fatto contribuiva a circondare la strega di prestigio e di soggezione. Una donna che, inconsaputamente, aveva affittato dei locali nel cortile della strega, venutane a conoscenza, credette opportuno di chieder consiglio al suo confessore, al quale certamente doveva aver fatto scuola don Abbondio, se così rispose: Ai strji beugna credighi non, a bòn coentu l'è mèi lassài in dul sò breudu. Sa sà mai... Dèghi ul bòn giurnu e stè in sü àa vostra...
Più sopra abbiamo dato un'idea delle sedute della strega. Le malefiziate, prima di uscire dal loro tormento, dovevano far ritorno più volte dalla strega colle mani ingombre. Una volta una gallina, un'altra le uova, un'altra il coniglio. La strega non voleva essere pagata. Si degnava semplice- Madonna delle grazie ». Col mente di accettare delle offerte, come una suggerimento della complice della strega, le malefiziate arrivavano ad offrire orecchini, spille, anelli d'oro. Una bazza!
La polizia aveva già avuto sentore d'un qualche cosa di poco pulito e sorvegliava. A far scoppiare la bomba concorse una imperdonabile imprudenza della strega. Ad una malefiziata azzardò indicare la vecchia ma trigna come autrice del malefizio. Fu il finimondo. La malefiziata si confidò col marito, il quale se la prese con la matrigna della moglie e voleva <inforcarla » con un tridente. Sollevamento dei famigliari ed intervento dei carabinieri. La conclusione fu che la strega finì in gattabuia a meditare sulle sue < balossate ».
Dopo i carabinieri vennero i picconieri. Il fabbricato che ospitava la strega venne abbattuto. Sorsero le scuole comunali Giosuè Carducci, che attualmente ospitano il Liceo-Ginnasio. Quanto cammino in breve volger di anni!
Che cosa ne pensa la malefiziata ch'è sempre al mondo: sana, robusta e gioviale, ancorchè vecchiotta, circondata di figli e di nipoti?
A quante panzane si credeva una volta...
Busto Grande - 170 anni fa - capitolo sesto (2/4)
Leggiamolo:
<< Inclita Deputazione Comunale di Busto Arsizio. << È giunta notizia, a noi sottoscritti, che nella casa Lualdi sig. Giuseppe al Comunale n. 173-74 si allestisca tuttavia quella macchina a vapore, la quale, tre mesi or sono, arrecandoci l'incendio nelle nostre case coloniche circonvicine, apportò tanto danno, a noi ed all'assicurazione degli incendi, e quel che è peggio ai poveri contadini ed artisti attigui i quali si dichiarano sin d'ora impotenti a riparare un altro danno futuro futuribile, dando il proprio obolo all'assicurazione medesima de gl'incendi.
<< Noi sottosegnati, non per far onta alla legge, la quale (ci si riferisce) sanziona tali macchinismi anche di mezzo all'abitato, bensì per esplicitamente il nostro sentimento manifestare all'autorità competente, in cui abbiamo riposto ogni nostra fiducia, sottoponiamo a quest'inclito Questore i nostri riflessi, pregandolo in pari tempo a prenderli in considerazione: 1° L'incendio è prossimo a temersi per la nuova costruzione della macchina a vapore, locata nel medesimo luogo, perchè parecchi fenili necessari ai contadini la circuiscono. 2° L'incendio è prossimo a temersi perchè tanta è la contrarietà a tali macchine nel rozzo popolo artista del Borgo, che sembra a noi, quasi sempre sulle mosse per clandestinamente arrecare danno alla macchina stessa. Le informazioni che quest'inclita Deputazione potrà desumere in paese, chiariranno il nostro timore. 3° L'incendio è prossimo... e già l'assicurazione degli incendi quasi prevedendolo, avvisa i suoi assicurati, che ne diano avviso, sotto comminatoria di non averli per assicurati, qualora venisse rimpiantata la macchina a vapore nel luogo della recente rovina.
<< Con tutto il rispetto, noi subordiniamo le presenti avvertenze a quest'inclito ufficio, fiduciosi di non essere al tutto posti in cale, giacchè se la Legge permette tali costruzioni di mezzo agli abitanti, con altrettanti disposizioni savvissime tutelerà al certo gli opponenti in base a dichiarati argomenti.
« Bartolomeo Piazza, Prevosto; C.te Luigi Ajroldi Can. Curato Anziano; Carlo Todeschini; Aquilino Crespi; Giuseppe Crespi detto Bonino; Maria Marcora ved. Pellegatta; Madalena Pellegatta.
<< Busto, 28 luglio 1859 ».
Parole milanesi
Di = dire. Digh adré a quaivun = parlar male di qualcuno. Disi bè mi... voglio ben dire... Di da si o dì da nò = dire di sì o dire di no. Di sul = racconta, dai! parla. Fagala di (a qual vün) spuntarla contro qualcuno (sia in una controversia, sia in una semplice discussione). Ga n'ha dij un sacch o ga n'ha dij da tücc i cultur= glie ne ha dette un sacco o di tutti i colori. Ch'è pocch da di= vi è poco da dire. I uraziun da di ul di di Mort = le orazioni prescritte per il giorno dei Morti. Mia par dì ma... = non per dire ma... Truvà da dì = trovar da ridire. Vegh un bel dì... = aver un bel dire... Vegh da dì = aver da dire. Usato anche nel senso di "se" = a dì ca 'l fasess bell sa pudaria lassà a cà l'umbrèll = se fosse bel tempo si potrebbe lasciare a casa l'ombrello.
Il rattin - (Galleria Vittorio Emanuele II)
Il 13 settembre 1877, quando venne inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele II, era già attivo un sistema di illuminazione a gas per quello che ben presto sarebbe stato ribatezzato il salotto di Milano»: lampade a candelabro con fiammelle venivano accese ogni sera dai lampeè, gli operai addetti all'accensione dei lampioni pubblici - l'elettricità, infatti, arriverà soltanto a partire dal 1885. L'unica parte della Galleria che non poteva essere raggiunta facilmente era la cupola, alta più di cinquanta metri dal suolo. Per ovviare al problema, l'architetto Giuseppe Mengoni, progettista del capolavoro in ferro, inventò un ingegnoso marchingegno caricato a molla, simile a un topolino, che correva su una rotaia posta sulla circonferenza della cupola, a pochi centimetri da un sistema di ugelli a gas per l'illuminazione. Il piccolo carrellino, detto appunto rattin, era munito di un tampone imbevuto di liquido infiammabile e, una volta acceso, propagava la fiamma lungo tutti i lumi della cupola, producendo anche uno spettacolo suggestivo per il pubblico che vi assisteva ogni sera. Oggi, il rattin è custodito a Palazzo Morandi.
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11 Gennaio Giovedi' - sett. 02-011
Notizie dal villaggio
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- redigio.it/dati2608/QGLO816-Luisin-tassista-04.mp3 - Milano e il Luisin tassista -
- La Befana
Viene, viene la befana
Viene, viene la Befana
vien dai monti, è notte fonda;
com'è stanca e la circonda
neve, gelo e tramontana, viene, viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce e la neve è il suo fardello, il gelo il suo mantello ed il vento la sua voce;
ha le mani al petto in croce.
Lei si accosta piano piano alla villa e al casolare,
a guardare e ad osservare, or più presso,
or più lontano,
piano, piano, piano, piano.
Che c'è dentro questa villa?
Guarda, guarda,
tre lettini
con tre bimbi a nanna buoni.
Guarda, guarda,
ai capitoni c'è tre calze lunghe e fini,
oh tre calze e tre lettini.
Un lumino brilla e sale
e ne scricchiolan le scale, il lumino brilla e scende
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale e chi mai scende?
Coi suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso
e il lumino le arde in viso
come lampada da chiesa.
Coi suoi doni mamma è scesa.
Ma che c'è nel casolare?
Guarda, guarda
tre strapunti
con tre bimbi a nanna buoni
tra la cenere e i carboni,
c'è tre zoccoli consunti;
oh, tre scarpe e tre strapunti!
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- Busto Grande - 170 anni fa - capitolo sesto (3/4)
La protesta è un capolavoro: lusinghe e minaccie vi ricorrono con abilità, contro la legge « che sanziona tali macchinismi anche di mezzo all'abitato ». Ma è un capolavoro inutile.
La Deputazione è visibilmente preoccupata e il 6 settembre chiama il Lualdi, « per cose che lo riguardano >>. Il Lualdi si presenta subito, << dichiara di non potere per alcuni giorni comparire ad intrattenersi sul- l'argomento della istanza 27 agosto p.p. e prega perchè gli sia comunicato copia della istanza stessa onde potere dare quelle risposte che valgano ad evadere la istanza stessa e dar base al giudizio da pronunciarsi dalla Deputazione »><.
La risposta del Lualdi e la difesa della « macchina a vapore » non si sono trovate. È un peccato. Sembra però che non siano state molto pronte, se il 14 settembre la Deputazione lo diffida a voler dare notizia:
prima di intraprendere le operazioni necessarie per riattivare quella macchina a vapore che vi esisteva anteced.te all'incendio avvenuto il giorno 11 p.p. aprile, vorrà compiacersi il sig. Lualdi di darne notizia alla scrivente Deputazione ond'ella possa preventivamente esaurire quelle pratiche che in proposito le incumberebbero a sensi dei veglianti regolamenti »>.
Cosa se ne sarà fatto? Oggi, dopo cento anni, i macchinismi a vapore non impressionano più: ormai siamo all'atomica.
Che ne sarà di noi, fra cento altri anni, quando i nostri nipoti leggeranno le nostre vicende?
Mentre il Lualdi dunque rimetteva la macchina in funzione, ben altre preoccupazioni assillavano i bustocchi e facevano ormai la spesa dei discorsi.
Il 30 aprile del 1859, avvicinandosi all'orizzonte grossi nuvoloni di tempesta che si scaricarono, un mese dopo, con quelle conseguenze che tutti sanno, a Magenta, l'Imperial Regio Commissario Distrettuale di Busto Arsizio, Crivelli, «< in esecuzione di ordini superiori e per norma di chiunque avesse interesse » avvisò, con lettera 2267 di protocollo, la Deputazione Comunale del luogo, che il Comandante della II Armata sospendeva immediatamente tutte le corse della strada ferrata per Magenta e « in generale il confine verso il Piemonte » che doveva in ogni caso << essere chiuso e segregato da ogni comunicazione, essendo questa misura già stata adottata nel limitrofo stato Piemontese da quel Governo ».
San Bernardino 11 - I miracoli
Data la grande fama del Santo, numerosissimi sono gli eventi straordinari a lui attribuiti. Qui ci limiteremo a citarne alcuni di quelli suffragati dall'opera di artisti antichi o di quelli più vicini a noi, ben consapevoli di dimenticarne, strada facendo, una miriade. Alle leggende scaturite e diffuse dalla intensa fede popolare dobbiamo aggiungere le numerose testimonianze capaci, lungo tutta la penisola, di fermare questo o quell’attimo straordinario, che ha avuto come protagonista frate Bernardino. In questa sede non possiamo certo citarle tutte, quasi ogni paese, chiesa, oratorio, edicola, come vedremo, ha un riferimento al passaggio o alla vita del santo Intanto iniziamo dalla credenza popolare che aleggia nel Mantovano. Ecco il fatto storico:
nel 1421 Bernardino è chiamato a Mantova da Paola Malatesta, moglie di Gianfrancesco Gonzaga, per predicare in occasione della quaresima.
E fin qui nulla di strano, ma arriva a Mantova via lago con un discepolo, galleggiando sulle acque del Mincio sopra il suo mantello a mo’ di tappeto volante.
La vicenda è illustrata, tra le altre, nell'attuale chiesa di San Bernardino a Salò su una delle quattro tele di Giovanni Andrea Bertanza, ciclo databile tra 1616 e 1619 circa .A Scurcola Marsicana, 1438, dopo aver predicato come suo solito per alcuni giorni, vuole ringraziare la popolazione, ma da povero francescano quale è, non possedendo nulla, lascia il bastone di ferro sul quale si appoggia per camminare. Ancora oggi "la bastoncella” oggetto di devozione non è custodita in un luogo sacro ma, poiché è stata donata alla gente, è conservata dalla confraternita di San Bernardino da Siena.
Sempre nel 1438, sul piazzale della basilica di Collemaggio Bernardino predica per dodici giorni che precedono la festa dell’Assunta. Il popolo al termine di una predica sulla Madonna, paragonata ad una stella, a mezzogiorno vede una stella luminosissima, che si posa sulla testa del santo.
Lungo l’itinerario da Massa Marittima all’Aquila "… ad Aquilam missus sum” durante le soste predica e a Spoleto guarisce molti malati con il segno della croce 8, 9, 10 maggio. Il 16 maggio arrivano in vista di Sella di Corno fa un caldo torrido. Bernardino arso da febbre alta chiede acqua.
Nessuno sa che fare, Bernardino indica a fatica con la mano un punto. Fra’ Bartolomeo corre in quel luogo e vi trova una sorgente miracolosamente scaturita. Ancora oggi è chiamata fontana di San Bernardino.
Ma l'ultimo miracolo avviene quando il santo è ormai scomparso. Nemmeno la morte pone fine ai miracoli. Bernardino come apostolo della pace, capace di riconciliare i cuori della gente, è chiamato dal vescovo per mediare l’amicizia tra due famiglie rivali dell’Aquila. Parte da Massa marittima con quattro compagni ed attraversa l’Umbria alla volta del Molise.
Siamo alla fine di aprile del 1444. Di lì a non molto però le sue condizioni di salute si aggravano e i frati sono costretti a trasportarlo in barella fino all’Aquila. Quando finalmente vi giunge, tra il 17 e 18 di maggio non è in grado di predicare e, ospitato nel convento di San Franceso, muore nel pomeriggio del giorno 20. Gli aquilani espongono in chiesa il suo corpo che attira innumerevoli persone.
Intanto le lotte tra famiglie nemiche proseguono. I testimoni narrano che da morto, dentro la bara il suo corpo versa sangue. La notizia si sparge per la città e tutti accorrono meravigliati per vedere e si riappacificano.
Solo in questo momento, quando le opposte fazioni cittadine smettono di lottare, il flusso si arresta. Questa è considerata la sua ultima predica la cosiddetta predica del sangue.
Gennaio
La suddivisione del tempo racchiusa in mesi e anni subì nei secoli periodiche modifiche, al fine di ovviare alle imprecisioni che di volta in volta venivano riscontrate.
Il calendario romano comprendeva inizialmente 10 mesi, da marzo a dicembre, per un totale di 304 giorni; successivamente passò a 355 giorni, divisi in 12 mesi, con l'aggiunta di gennaio e febbraio.
Gennaio, in latino "ianuarius", era sacro a Giano, il dio che proteggeva tutto ciò che si andava a iniziare.
Sotto Giulio Cesare, nel 46 a.C., si adottò l'anno solare di 365 giorni e si introdusse l'anno bisestile ogni quattro.
Oggi il calendario ufficiale, nella maggior parte del mondo, viene chiamato Gregoriano e prende il nome da papa Gregorio XIII, che lo introdusse nel 1582. Si basa sul ciclo delle stagioni, è sempre composto da 12 mesi, ma con durate diverse (da 28 a 31 giorni) per un totale di 365 o 366 giorni. L'anno di 366 giorni è detto bisestile e ricorre ogni quattro anni, con alcune eccezioni.
Molti proverbi contadini per il mese di gennaio prendono spunto dai campi, dalla volta celeste e dalle ricorrenze religiose. Il gelido mese viene ricordato con "Il freddo di gennaio riempie il granaio e povertà in pollaio" oppure, se c'è scarsità di precipitazioni, "Con gennaio asciutto, grano dappertutto". A ricordo di quando le condizioni igieniche erano precarie, ecco il meno conosciuto: "Chi uccide le pulci a gennaio, ne uccide un centinaio"; infine, il più famoso (almeno la prima parte): "A gennaio l'Epifania tutte le feste le porta via, poi arriva San Benedetto che ne riporta un bel sacchetto!".
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12 Gennaio 2024 - Venerdi' - sett. 02-012
Notizia dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
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- Busto Grande - 170 anni fa - capitolo sesto (4/4)
Sta di fatto che in quel Busto, questa, ed altre misure del genere, lasciavano il tempo che trovavano. Chiudere il confine ai bustocchi detti << trapananti >> per la loro abilità di trapanare tutti i confini, in particolare quello svizzero con le bricolle di tabacco, voleva dire continuare esattamente come prima. Tutti sapevano che la Imperial II Armata stava schierandosi, fronte a nord, lungo la riva sinistra del Ticino, pronta a ricacciare i Franco-Sardi nel fiume; e uno dei punti principali, quello più atteso, era il passaggio di Lonate Pozzolo, passaggio, questo, ormai famoso. Qui infatti, il giovane Angelo Travelli, studente a Pavia, unico figlio maschio del notaio Gio. Donato, condannato al domicilio coatto per aver partecipato alla manifestazione milanese per Felice Orsini, aveva preso il volo per Torino, ove si era arruolato nei bersaglieri; qui avevano trovato la strada per il Piemonte non uno ma cento patrioti aiutati, consigliati, e guidati dai nostri popolani. Lo racconta anche il Visconti-Venosta, con una prosa gustosissima, nelle sue memorie.
Il 30 maggio, il « Sargente » dell'Imperial Regio Reggimento Ajroldi, « quondam Magni Giovanni »>, si presenta alla Deputazione Comunale accompagnato da due gendarmi e chiede l'assistenza della sopradetta per rintracciare tre bustesi fuggiaschi. Si tratta di tre carrettieri: Giuseppe Tosi, Giovanni Crespi e Luigi Pozzi. Costoro, mobilitati al servizio logistico dell'Armata, con carro e cavallo, ed assegnati al magazzeno distrettuale di Binasco preferiscono abbandonare il posto e darsi alla macchia.
(Dice il Comandini che il 28 aprile tutti i cavalli mobilitati vennero radunati in Piazza d'Armi a Milano per essere assegnati alle varie residenze. Fin da allora i ragazzi avvicinavano i conducenti incitandoli a disertare o, quanto meno, dicevano loro: << va adasi! ». I tre bustocchi preferirono non andare del tutto!).
« La loro ricerca, capitanata dal << Sargente » coi due Gendarmi di rinforzo, venne effettuata dai cursori (guardie comunali) Pietro Crespi e Angelo Lualdi, con una perquisizione a domicilio, che rimase infruttuosa. A Busto si raccontò poi che in tutte e tre le case si trovarono i letti caldi. (Quanti ricorsi...! Pochi anni fa gli sbirri repubblichini non sapevano capacitarsi di trovare il letto caldo al posto di un filosofo che, in camicia e mutande attraversava al volo la Piazza Santa Maria!). Il << Sargente » non rimase contento: voleva altri carri ed altri cavalli e la Deputazione « procedette alla ricerca di altri individui che si prestassero al servizio, ma questo tornò impossibile ». Si stese allora un verbale che giustificasse Deputazione e << Sargente » davanti al le « Superiorità »; ma si vede che il verbale non venne tenuto in grande considerazione se, il 1° maggio, il borgo fu sottoposto ad una prequisizione generale... sempre con lo stesso risultato. E pensare che un mese prima il Maresciallo Gyülai aveva minacciato di mettere a ferro e a fuoco «< con centomila baionette », i paesi ribelli; e i bustocchi cantavano << Guarda Gyulai ch'al vegn da primavera ta mettom in capponera a canta chichirichì»; chichirichì che i bustocchi per non so qual riposto motivo, hanno sempre trasformato in << cu- carechü » che vuol dire tutt'altra cosa che il canto del galletto.
I segreti della chiesa della Purificazione - 3 (1/2)
Il dies festus a Roma ricorda Faunus o Lupercus protettore dei pastori, divinità essenziale per un’economia di agricoltori e allevatori di bestiame. Il nome di derivazione complessa è legato al termine latino Lupus ( greco lukoV ) per ricordare i gemelli Romolo e Remo allattati dalla lupa, ma anche al Mons Lycaeus, cima dell’Arcadia dove secondo il mito sarebbero nati sia Giove sia Pan, dio delle montagne e della vita agreste, a cui sono intitolati un santuario ed un bosco sacro.
L’inno omerico, a lui dedicato, narra di uno strano bambino con corna, barba e piedi di capra, abile nel suonare la siringa, amante della danza e della musica, motivo di divertimento per gli dei. Insomma, che il culto sia greco o latino, Luperco o Fauno sta per distruttore dei lupi e quindi difensore delle greggi, e contemporaneamente lupo lui stesso in una insanabile ambivalenza. Il dato certo è che ai Romani i Lupercali (Lupercalia)piacciono molto, sarà per le corse dei giovani intorno al Palatino e forse anche per quel pizzico di follia o licenziosità che portano con sé dopo le abbondanti libagioni. Se poi aggiungiamo che la festa inizia all’ombra del fico dove, secondo la leggenda, sono stati trovati i gemelli sani e salvi si capisce come mai sia una tradizione fra le più dure da estirpare. Un bel problema in epoca cristiana avere un dio capretta con gli attributi del diavolo e tutto ciò che ne consegue! sta di fatto che dopo aver stabilito la Natività il 25 dicembre la purificazione viene fissata per il 2 di febbraio. Anche se secondo il calendario astronomico questo è il giorno in cui termina l’inverno buio ed inizia la primavera luce (latino lux; greco lukh notare come sono simili le pronunce e il suono di lùcos lupo e lùcheluce) e dove si svolgono comunque feste in occasione delle ricorrenze legate alla natura solstizi, equinozi, cambio stagioni… Il passaggio alla bella stagione, il sole che ritorna, la natura e la vita che si risvegliano, sono celebrate dalle donne mentre girano per le strade con ceri e fiaccole accese.
La Madonna accoltellata (2/2)
Uno sfogo di rabbia come tanti e del tutto inutile: ma questa volta qualcosa accadde: dall'immagine sacra sgorgò il sangue. Il crocicchio era frequentato e molti furono testimoni del miracolo. L'accoltellatore era rimasto paralizzato, pallido, e sembra ci sia voluto un bel po' prima di riaversi dallo stupore. Dopo corse a confessarsi e cambiò vita da un istante all'altro, profondamente pentito del suo gesto. Si dice che, come il fra Cristoforo manzoniano, si sia dato a una vita di penitenza morendo a tempo debito non soltanto in grazia di Dio ma addirittura in fama di sant'uomo: si chiamava Massanzio da Vigonzone.
Dopo la metà del Quattrocento la venerata immagine fu staccata e trasferita all'interno della nuova Santa Maria presso San Satiro dove ancora si trova presso l'altar maggiore, al centro della sorprendente prospettiva del finto presbiterio ideata dal Bramante. Le due figure ai lati dovrebbero essere quelle dei signori che hanno voluto lo spostamento della sacra immagine dalla strada alla chiesa: Gian Galeazzo Sforza e Bona di Savoia. Nel 1817 il pittore Agostino Comerio dipinse sulla vicina lunetta la storia del miracolo: leggenda, realtà? Soltanto la Fede può dare una risposta. Una leggenda assai simile - con un sasso al posto del pugnale - si racconta per l'oratorio di Santa Maria del Sasso in via Magolfa, al Ticinese: ma oggi la chiesetta è uno spazio privato e non visitabile, quindi bisogna tenersi ogni curiosità o soddisfarla coi vecchi libri.
CADREZZATE e i suoi toponimi
Cadrezzate: m. 281; kmq 5.00; abitanti 1570.
Comune della provincia di Varese, situato 18 km a sud-ovest di Varese sulla sponda occidentale del Lago di Monate.
Il nome è attestato per la prima volta in alcuni documenti nell'anno 999 come Cadregiate. L'origine del toponimo è dubbia e si potrebbe far risalire ad un antroponimo del tipo *Catricius o Catrinius. Un'ipotesi più datata riconosce in Cadrezzate l'antroponimo Quadratius attestato in vari documenti.
1) Baraggiola: in dialetto Barigiöre. È una piccola area nei pressi del centro del paese, un tempo adibita a rimessa per gli attrezzi dei campi, ma anche utilizzata come piccolo spazio di terra per coltivare verdure ad uso domestico. Il nome è diffuso in più luoghi lombardi anche in varie altre forme (cfr. Baraggia nel comune di Vimercate -MI-, Barazzina nei pressi di Lodi). Il toponimo deriva dal'appellativo dialettale lombardo e piemontese baragia che significa "landa", "luogo incolto". E' possibile una connessione con la voce friulana baràzz "rovo". Alcuni vi scorgono una radice gallica *barros "roveto, sterpeto">
2) Barnée: toponimo di difficile localizzazione odierna e registrato nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860. Il nome potrebbe derivare dalla forma lunga e stretta del terreno che richiama la forma del bernàsc, paletta di ferro utilizzata per raccogliere la cenere nel camino o focolare. Bernàsc deriva dal latino pruna "carbone ardente" più il suffisso -aceu(m) (cfr. località Bernàs a Cernobbio -CO-) 37. Ha maggior pertinenza fonetica, però, l'etimologia che porta alle voce latina prunetum "insieme di prugni".
3) Belvedere: località che un tempo presentava una cascina, mentre oggi l'area è occupata da una grande casa famigliare. Il Belvedere è situato sul Mööt e divide la Motta dalla Cascina Castello. Dal Belvedere si può avere la visione completa della zona che da Cadrezzate porta ad Ispra, sul Lago Maggiore: da qui il suo nome.
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13 Gennaio 2024 - sabato - sett. 02-013
Notizia dal Villaggio
Toponimi di Ternate
7) Campi Grandi: vasta area a nord del paese che lambiva il comune di Biandronno. Un tempo adibita a grandi coltivazioni, agli inizi degli anni '30 del Novecento è stata completamente riqualificata ed edificata per la costruzione della grande industria Ignis poi diventata stabilimento Whirlpool.
8) Colombera: nota anche come Colombara. Piccola località a sud-est del paese caratterizzata oggi da fitte case a schiera. Il toponimo è frequentissimo in tutta la Lombardia con vari suffissi finali (es. Colombarola, Colombaro, Colombirola, Colombarolo, etc...) e probabilmente si riferisce ad antichi allevamenti di colombi e piccioni o comunque alla loro presenza
9) Deserto: voce registrata in un atto notarile dell' XI secolo per una località oggi non più nota agli abitanti di Ternate . Il toponimo è molto frequente in Lombardia e indica un terreno non ospitale alla coltivazione (cfr. Deserto frazione di Paderno -CR- e Deserto frazione di Cuasso al Monte -VA-)146.
10) Fenegrò: voce registrata in un atto notarile dell'XI secolo, è oggi non più localizzabile all'interno del comune. Con buona certezza riflette una forma latina classica fenuculum poi passata nel latino tardo come feniculum/*feniculatum che indica il "finocchio" (attestato nel 998 un loco fenegrao vicino a Como). La pianta cresce anche selvaticamente nei campi e produce fiori gialli usati un tempo per calmare disturbi di stomaco
Cosa ascoltare oggi
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GIOEUBIA
T'àn fé brüta o t'àn féi bela... ta se' lì.
Cul sedazu ch'al pendi'n foeua! Ul gerletu pien da barlafüsi e lüganeghitipai giuan, vigi, grandi e pisciniti... Cont'ul nasu ca pisa in buca. Ul panétu ch'al tegn coldu'l co. Ul scusà e a scua sempar pronti pai faci da cà.
L'é un pò curiusa, l'é un pò lapéta... L'é 'na gioeubia... l'é 'na gran lauadua... Ma la gh'à indossu di mal qualità: Malmustusa e disèm anca... "marucheta".
Noeugn da Büsti, sti rosti chi, àn voeuam mia. Noeugn ma piasi ridi e magai scherzà... Cadreghen da boeugiu e tüci i ma' Féman un fagot e brüsèmai via.
A sto mondu bei robi gh'à voeui e legria! Le par chèl che a Bustoca la và spécia pa'l risotu e lüganiga. Poeu, a fa quatar salti in cumpagnia cui viuliti, a ghitara, ul tambui, ul piano e a cantà cont'a müsica noeua e müsica végia, da brai parson e non lüganeghiti.
Eccoci, dunque, ad un'altra tradizione bustocca: il Festival del Sabato grasso. Anche un tempo si sapeva ridere e scherzare, proprio come oggi se non più di oggi ed in questa occasione così rara e pertanto preziosa ci si poteva concedere qualche... licenza, fare qualche strappo alla regola nell'austero clima del tempo.
Il "Festival" veniva costruito nei giorni di Carnevale in piazza Santa Maria e la sua prima apparizione rimonta al 1884.
L'idea di questa bizzarra costruzione, sorta forse nelle serate invernali, attorno a qualche tavolino del caffè Cordini o Verani, aveva trovato in Luigi Crespi, disegnatore abilissimo e vero animo di artista, chi la seppe davvero realizzare. Egli ne tracciò i disegni e ne seguì la costruzione.
Ogni anno il Festival variava di forma. Se ne crearono a foggia di pagoda cinese, di tempio, di giardino. La illuminazione serale, poi, era ottenuta con fiammelline a gas, accese con maestria lungo tubi di ferro, forati a brevi intervalli, che rincorrevano il disegno della costruzione, almeno finché non intervenne la luce elettrica a dare le più fantasiose attrazioni a questo pubblico ballo, tanto caro ai bustocchi, cessato dopo il 1905.
In effetti, il Festival costituiva il massimo dei divertimenti.
Per la povera gente il carnevale era contenuto nello spazio di poche ore in un anno, per cui era atteso con la massima aspettativa.
Come il panettone si mangiava una sola volta all'anno, così quattro salti si facevano solamente il sabato grasso.
Allora non avevano ancora inventato la "permanente": le ragazze si pettinavano l'una con l'altra senza alcuna spesa, chi con le trecce, chi col "scignon". Non mancava un nastrino nei capelli e un pezzo di pizzo sul collo del "corsetto".
Nella loro semplicità, le ragazze di allora erano molto belle.
Al Festival venivano accompagnate dalla mamma o dalla sorella maggiore: non erano mai sole.
Nel Festival si dava sfogo all'entusiasmo. I giovanotti, la sera del sabato grasso, mangiavano fuori casa e ballavano a suon di fisarmonica. Tutti gli altri sedevano al desco familiare con qualche piatto casalingo di circostanza.
Generalmente, prima di dar vita al Festival, si incolonnava una fitta schiera di carri allegorici mascherati, con lancio di fiori e di dolci. Ciò era immensa gioia dei bambini.
Oggi è Carnevale tutto l'anno e forse per questo, perduto il piacere di qualcosa di diverso, ci si abbandona ad eccessi di cattivo gusto.
I segreti della chiesa della Purificazione - 3 (2/2)
Questa è un’antica usanza che si sposa bene con la fede. Così papa Gelasio I, episcopato tra 492-496, ottiene dal senato l’abolizione della festa pagana. La devozione popolare, conservando usi e costumi stratificati ab antiquo, sostituisce il fuoco con le candele. Nel VI secolo Giustiniano ne fissa la data attuale. Il festum candelarumdiventa la Candelora. Fin dal VII-VIII secolo a Roma si svolge una processione con candele e benedizione di ceri a significare “la luce” che ciascuno di noi deve portare nella propria vita.
Anche oggi sono utilizzate a San Biagio per benedire la gola. Ecco in maniera un po’ rocambolesca come Giunone, Pan, Fauno e le candele sono legate tra di loro e soprattutto, a torto o a ragione, cosa si è stratificato nel corso dei secoli.
Ma torniamo alla nostra chiesa della Purificazione. Intanto il luogo non è cambiato: prati, vigne, vignoli, bocche d’acqua come si legge nella raccolta di carte del 1600.
Nella Storia delle chiese di Legnano il Prevosto Agostino Pozzo nel 1650 scrive: «…questo luogo di Legnano è diviso in due parti dal fiume Olona e la parte minore si chiama Lignarello, una contrada lunga un’archibugiata. Nel medesimo luogo vi è una chiesa sotto il titolo della Purificatione della Beata Vergine, già cappellania a beneficio semplice, ora unito ad un canonicato coadiutoriale, nella quale si celebra ogni festa dal canonico che abita nella casa della medesima chiesa e vi conserva il SS. Sacramento…».
Il primo prevosto di Legnano Padre Giovanni Battista Specio, attivo dal 1584 per ben 43 anni, lascia nel 1627. Gli subentra nella prepositura legnanese, nel 1628, Agostino Pozzo il quale fa collocare i reliquiari di Legnanello nelle casse costruite dall’artigiano Giovanni Paolo Rossetti.
Toponimi di Cadrezzate
4) Bösch di Ströligh: piccola zona boschiva che si incontra a est del paese in direzione Brebbia. Questo bosco è detto Ströligh, letteralmente "astrologo", che era il termine utilizzato dai locali per designare gli zingari (l'astrologia messa in relazione con la cartomanzia praticata in alcuni casi dalle donne zingare). Gli abitanti del luogo più anziani ricordano che già da inizio Novecento gruppi di nomadi si insediavano per brevi periodi in questo bosco ed erano un elemento di forte disturbo e di timore per la comunità, poiché additati come rapitori e mangiatori di bambini.
5) Canèe: zona detta anche Canét. Nel toponimo scorgiamo la presenza del suffisso -etum di collettivo frequente nei toponimi che hanno come base il nome di una pianta o vegetale . Questo sito costeggia il Lago di Monate ed è limitrofo al Piaggiolo. Il nome si rifà inequivocabilmente alle canne, ancora oggi abbondanti e rigogliose, che spuntano dalle rive del lago. La località è rinomata, perché è un importante sito archeologico ove sono ubicati resti di palafitte che testimoniano antichissimi insediamenti preistorici.
6) Casa dei Ladri: toponimo non più riconosciuto oggi. È attestato nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860.
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14 Gennaio 2024 - Domenica - sett. 02-014
Notizia dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Cadrezzate
24) Porà: toponimo registrato sia nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860 sia nelle carte del Catasto Regio del 1905. Oggi se ne ignora la localizzazione. L'etimologia del termine è incerta: potrebbe valere o "poroso", come riferimento al terreno, o "piantato a porri" (cfr. Porè -LC-)51 per il tipo di coltivazione in esso praticata
25) Prada: toponimo frequente che continua il plurale del latino pratum. La voce è presente in molti luoghi della Lombardia con suffissi differenti (cfr. Pradazzo -CR-, Pradella -CR- Pradera -SO-).
26) Prati Grassi: il toponimo riferisce delle qualità ottimali per la coltivazione di quel terreno. L'aggettivo "grassi" infatti è riconducibile al termine "grasso" apposto a molti toponimi in Lombardia (cfr. Abbiategrasso -MI-, Bulgarograsso -CO-
27) Preda del Vassallo: toponimo che designava con molta probabilità una grande masso (préda "pietra" dal latino petra attraverso la forma metatetica *preta) presente in un terreno dato in custodia ad un vassallo. Non è da escludere la possibilità che "vassallo" si riferisca ad un cognome o soprannome di un antico proprietario.
Cosa preparo oggi
ALTRE VERSIONI DELLA GIOEUBIA
Da quale paese venga la Gioeubia, proprio non si sa. Si parla della Turchia, del lontanto Oriente, dell'India addirittura, ma non si è sicuri. Ha gusti troppo casalinghi, per venire da tanto lontano: così, qualcuno ha azzardato l'ipotesi che, al congiungersi degli astri di gennaio, la Gioeubia nasca dall'aria. Un soffio, un piccolo vortice, una nuvola ed è fatta. Nasce in quota, come si dice, e si abbassa sui paesi, sulle case, sui camini. Che abbia una scopa, lo diciamo e lo immaginiamo noi. Dicono, quelli che hanno avuto la sfortuna di vederla, che d'improvviso scende una gamba dal camino, una gamba rossa che si allunga sempre più (la Gioeubia non è tale se non porta una gonna corta e le calze rosse); una folata di vento caldo e una "sguriàa" di caligine nera, che finisce nella padella: è il ghigno della Gioeubia.
"Dònn, dònn 'ndé à durmi
ch'a l'é ura de muri
e sa credì che Diu lu manda
guardé in l'aria ch'a vegn giù 'na gamba..."
Un lampo, un tuono, la donna cade a terra tramortita, i figli piangono, la "mama granda" sgrana rapidamente il rosario; il "regiù", se comanda, si attacca alla grappa. In verità, è successo solo rarissime volte, forse anche una volta sola da noi, ma tutti ci credono e tramandano la storia. Il modo di salvarsi c'è: il risotto.
Col risotto, la Gioeubia assaggia, controlla, si calma e passa via; ma, se il camino non fuma e il profumo non si sente, sono guai.
Per gli uomini ormai provati dall'inverno, il fuoco e il banchetto hanno il potere di far apparire l'avvenire sereno e gioioso.
Parole milanesi
Tóma (pl.tómm) = caduta, capitombolo. L'ha fai 'na brüta tóma = ha fatto una brutta caduta. Ciapà Roma par tólett. prender Roma per toma, ovvero prender lucciole per lanterne.
Tòni = pagliaccio del circo. Nel nostro dialetto significa inoltre stupidotto, babbeo. Tòni mòll = dicesi di persona impacciata, timorosa. È così chiamata anche la tuta da lavoro che, in bello, rassomiglia all'abito del pagliaccio.
Tòniga = tonaca, abito talare. Tòpia pergolato, specialmente a viti. Rent a la cà dul Bianchi farée, in via Cimarosa a Varés, gh'è anmò 'na tòpia da 'mericàna ca la créss fö du l'asfalt sulla facciata della casa del Bianchi fabbro ferraio, in via Cimarosa a Varese, vi è ancora oggi un pergolato d'uva americana che nasce dall'asfalto.
Tòpoli (giügà a) = giocare a nascondino. Toor toro. Menà ra vàca al toor condurre la vacca alla monta. Tajàgh ra testa ar tòor = tagliar la testa al toro, prendere una decisione drastica. Tòrc torchio, frantoio.
Torototèla - antichissimo rozzo strumento musicale monocorde con cassa armonica costituita da una ve- scica gonfia d'aria. Un tempo usato anche dagli arabi (da loro chiamato Arabebbàh) per intonare canti erotici. Andò in disuso agli inizi del secolo quando ancora lo impiegavano certi cantastorie ambulanti che, nei mercati e specialmente sui barconi che facevano servizio passeggeri sui navigli milanesi (da Milano a Gaggiano, Boffalora e Abbiategrasso), improvvisavano rime strampalate, spesso a scherno del volgo uditore, terminando queste rime sempre col ritornello "torotèla, torototà". Il bosino usa questo termine per indicare un tipo d'uomo senza carattere e voltagabbana.
Il primo caffè espresso
Angelo Moriondo, Luigi Bezzera, Desiderio Pavoni, Pier Teresio Arduino, Giovanni Achille Gaggia, sono i nomi che hanno fatto la storia del caffè espresso.
Nel 1884, all'Esposizione Generale di Torino, a quel tempo capitale d'Italia, Moriondo, padrone dell'American Bar situato nel centro della città, presentò una macchina per produrre il caffè istantaneo. in più tazze contemporaneamente. Nella "caffettiera" l'acqua veniva portata a ebollizione e, attraverso un sistema di serpentine, fatta passare fino a raggiungere il contenitore del caffè torrefatto. L'invenzione fu poi brevettata a Parigi il 23 ottobre 1885. Tuttavia, la macchina per il caffè istantaneo preparava un caffè poco consistente, non cremoso, molto amaro e soprattutto caratterizzato dal sapore di bruciato.
Nel 1901 Bezzera, nella sua officina di via Volta, nel centro di Milano, brevettò una macchina che adottava per prima la maniglia portafiltro singola, cioè per una sola tazza, soluzione da allora mai abbandonata.
Nel 1902 il brevetto venne poi acquistato da Pavoni, che intuì la grande potenzialità del prodotto, e ne sviluppò la commercializzazione nei locali pubblici.
Nel 1910 il torinese Arduino costruì una macchina che assicurava facilità di esercizio, velocità di mescita e dimensioni contenute, che chiamò "La Victoria". Iniziò una battaglia tecnica e commerciale tra Pavoni e Arduino, a colpi di brevetti, che nel 1913 arrivarono a ventidue! Finita la guerra, la competizione tra i diversi marchi ripartì. -
El caffettee del "caffe del Genæucc" in piazza del Duomo, in una fotografia d'epoca. Non è chiaro perché venisse chiamato così: forse perché si beveva alla buona, all'aperto, seduti sul marciapiede appoggiando la tazza sulle ginocchia, soprattutto la mattina presto, oppure, più probabilmente, perché per servirsi dal rubinetto della piccola caldaia montata su un carrettino bisognava abbassarsi, piegando un ginocchio, poiché era quasi raso-terra. Era il "caffè dei poveri", che resistette fino all'inizio della Prima guerra mondiale: una bevanda acida, bruciata (nella caldaia ribollivano i fondi raccolti nei ristoranti vicini), ma calda.
Nel 1938 Gaggia, barista milanese, rivoluzionò completamente la preparazione del caffe, superando l'utilizzo del vapore, tecnologia propria delle macchine prodotte fino a quell'epoca, introducendo un sistema di pistoni che spingevano acqua ad alta temperatura attraverso la polvere di caffè. Lavorando nell'azienda di famiglia, il caffe Achille in viale Premuda, si accorse che i gusti dei clienti stavano diventando sempre più esigenti, e cercò di cambiare quel troppo amaro che egli definì simile a «camminare in una Milano nebbiosa». La ricerca venne portata avanti in parallelo a quella di Antonio Cremonese, titolare di un bar in via Torino. Entrambi consapevoli del potenziale del caffè, per loro non sufficientemente sfruttato fino a quel momento, erano alla ricerca, appunto, di una tecnica produttiva in grado di trasferire nella bevanda le caratteristiche organolettiche della materia prima. Cremonese depositò nel 1936 il brevetto no 343 230 con la certificazione del metodo detto "rubinetto a stantuffo per macchina da caffè espresso". Fu questo il primo brevetto in assoluto di una macchina per fare il caffè che chiamò "espresso" il suo prodotto. Nello stesso anno Cremonese morì maturamente. Achille Gaggia acquistò il brevetto, e, nel 1938, depositò il n° 365 726, per la nascita di una macchina che chiamò "Lampo", che produceva un morbido strato di "crema naturale", presentato alla Fiera Campionaria. Tuttavia, il nuovo sistema non ebbe molto successo commerciale, perché doveva sostituirsi alle macchine già in uso nei locali. Nel 1947 Gaggia registrò un secondo brevetto con l'introduzione del pistone e la sostituzione del sistema a torchio con una leva che spingeva a 9/10 atmosfere l'acqua nel caffe macinato. L'acqua a quel livello di pressione riuscì a estrarre quegli aromi che finalmente regalarono la tipica pienezza al gusto e le componenti che diedero origine alla crema. Era così nato il caffè che si assapora oggi, denso, cremoso, consistente, persistente nel gusto e con aroma intenso, unico in ogni sua caratteristica e che non aveva precedenti.
Nel 1948, la sua ditta, a Robecco sul Naviglio, iniziò la produzione in serie e la prima macchina, denominata "Tipo Classico", venne istallata al bar Motta & Biffi in Galleria. Questa macchina assommava contemporaneamente una rivoluzione tecnologica ed estetica: sviluppata orizzontalmente, slogan e logo inconfondibili, con bellissime leve, faceva sembrare il barista un vero artista sul palco. Fu subito coda, decretando il velocissimo successo della "crema caffe espresso", che diventerà uno dei simboli più famosi del made in Italy. A Binasco si trova il Mumac, Museo della Macchina per Caffe, che ha da poco compiuto dieci anni. All'interno di un palazzo rosso, dalle forme sinuose, un'esposizione di oltre cento macchine, che cambiano a rotazione.
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