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RVG settimanale
Radio-video-giornale del Villaggio (vers. 2023-12-31)
 
  1. Il giornale del giorno, scritto, puo' essere sentito in contemporanea. Azionare la sezione "te lo racconto io il giornale" e nel frattempo; leggere.
  2. Il "rvg-giornale-settimanale" esce ufficialmente il lunedi' , ma anche quando ho voglia.
  3. Il "rvg-giornale-settimanale" esce come prima pagina la settimana in corso, la seconda pagina la settimana prossima e dalla terza in poi, le settimane passate.
  4. l "rvg-giornale-settimanale"  ogni due mesi, uscira' in formato PDF, HTML, EPUB  per essere archiviato
  5. Fotografie, filmati, e voce, rimangono in rete per alimentare il sito www.redigio.it" gia' esistente da anni e per l'ascolto pubblico mondiale. (gli ascolti di ottobre e novembre: 35% nelle Americhe e 30% inj Asia)
  6. Il "rvg-giornale-settimanale" e' una sezione del "Radio-Fornace-Informa" che e' una sottosezione del www.redigio.it 
  7. "radio-Fornace-Informa" funzionera' in detto modo per la stagione fino a tutto dicembre 2024  e produrra' circa 1400 pagine in A5 di testo, 400 podcast in mp3 e 200 filmati in mp4 (pronti per youtube) (previsione)
  8. www.redigio.it e' un prodotto nato nel 2012, e' personale, non ha collaboratori, ha un costo irrisorio e non ha mai percepito nulla, non ha nessun obbligo con alcuno, la responsabilita' sui contenuti diffusi diversamente diversamente da quelli da me dichiarati, non sono di mia responsabilita'.
  9. Il "Radio-Fornace-Informa" e sottosezioni, hanno lo scopo di aggiungere valore culturale al Villaggio.
  10. Eventuali collaboratori, sono graditi.
 
RVG settimana 01
 
Radio-video-giornale del Villaggio
 
Settimana-01 del 2024
 
Settimana 01       2024-01-01 -  Calendario - la settimana
01/01 - 01-001 - Lunedi
02/01 - 01-002 - Martedi
03/01 - 01-003 - Mercoledi
04/01 - 01-004 - Giovedi
05/01 - 01-005 - Venerdi
06/01 - 01-006 - Sabato
07/01 - 01-007 - Domenica
RVG-01 - da  - Radio-Fornace
 
 
01 Gennaio 2024 - lunedi - sett. 01-001
redigio.it/rvg100/rvg-01-001.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg100/rvg-009.mp3 - Saluti di fine anno e chiusura programmi
 
previsione spese per il 2024
01/02/2024 - rata 1 - 400 + elettricita'
01/03/2024 - rata 2 - 500
01/05/2024 - rata 3 - 500
01/07/2024 - rata 4 - 500
01/09/2024 - rata 5 - 500
02/11/2024 - rata 6 - 300
       totale                  2700
Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2606/QGLO576-milanesi-sidiventa-01.mp3 -
Milanesi di nasce ... e si diventa - Un dialogo in dialetto - per essere milanesi non occorre lo ius soli l'e' assee l'aria de Milan 
Notizie di RVG (Radio-Video-Giornale)
Toponimi di Cadrezzate
13) Monteggia: noto come Muntége, è una piccola altura che si incontra a nord-ovest del paese sulla strada che porta verso Brebbia. Olivieri segnala in alcune carte del XIII secolo un loco Montegia (de Brebia3). Oggi il nome è legato a quello di un ponte: è infatti noto a tutti i locali il Ponte di Monteggia. Il nome si rifà al latino monticulus per indicare una piccola altura. Il toponimo è largamente presente in tutta la Lombardia con altre forme e diverse desinenze suffissali (cfr. Montecchio -CO-, Montecchie -LO-)
14) Montelungo: in dialetto Munteslüngh, è un poggio che si estende più in lunghezza che in altezza localizzabile tra l'area del Rondegallo e quella della Baraggiola.
Il lavoro dei milanesi 3)
M: Ora si viaggia molto per il mondo ed è facile trovare italiani un po' dappertutto, e in tutte le stagioni; e i milanesi sono naturalmente tra i più numerosi, un po' per la "smania" di uscire dalla città di cui abbiamo detto, e un po' perché hanno qualche soldo in più da spendere, ma l'è vera che quand semm a l'ester gli stranier ghe sconfonden con gli altri italiani, anche se tra di noi riusciamo quasi sempre a dstinguerci, perché non parliamo più in dialetto, anche se i nostri accenti sono inconfondibili.
C: Finora abbiamo parlato di tempo libero tradizionale, ma, durante la giornata, sono diventate tante le ore che non sono impegnate dal sonno o dal lavoro o dallo studio... Me piasaria parlà de quell che fann i milanes quand stann a Milan, nella vita di tutti i giorni, durante la settimana.
M: Prima di tutto i milanesi a Milano del di lavoren, o anca de nott se hinn de turno; e chi non lavora è perché studia oppure è pensionato oppure è impegnato con la famiglia, ma ci sono anche i disoccupati - qualcuno anche per scelta... Quando non lavorano, e non sono a casa a riposare, perché anca i milanes dormen...
C:...Par però che ai grand personagg sien assee tri o quatter or de sògn, ma anche in questo caso si dice solo degli uomini, mai delle donne...
M: ...Ma lascia stare i padreterni alla Napoleone, qui parliamo di persone comuni, che di notte si fanno le loro belle dormite e che, appunto, quando non dormono... hanno la fortuna di avere a disposizione molti diversivi: cinema, teatri, musei, locali di spettacolo, impianti sportivi, luoghi vari di ritrovo, ma anche, più semplicemente, di passeggiare per la città, che è davvero un ottimo diversivo, perché ogni canton l'offriss motiv de interess: ges, cà, cort, bottegh...gh'è semper quaicoss da scoprire, anche per i milanesi con tanti anni sulle spalle, come noi due...
C: Sì, ma quando non lavoriamo stemm anca volentera a cà, soprattutto se meno giovani. Anzi, sono tanti quelli che si muovono solo per fare la spesa o per portare a spasso il cane; e la domenica, adesso, si va anche poco a messa. Ormai la TV occupa molto del nostro tempo libero; e poi il Covid ci ha anche messo del suo a cambiarci le abitudini
M: Un tempo c'erano i circoli e i salotti per persone di rango e i cortili o la via per la gente del popolo,; e per tutti c'erano i bar, le osterie, le bocciofile; e spettacolo voleva dire teatro e, diciamo dal dopoguerra, soprattutto cinema. Ma la voeuia de incontrass e de stà insemma l'è mai passada, incoeu la se ciama movida, e non è certo cosa solo milanese, anche se quando se ne parla si mostrano sempre i nostri Navigli, che sembrano diventati il simbolo stesso di questo modo di trascorrere il tempo libero, di giovani e meno giovani, nel buono e nel gramo.
C: Te m'et minga parlà di giardin: a Milano mi sembra che di verde ce ne sia tanto, ci sono dei bei parchi famosi, ma anche tanti pussee piscinitt, quasi sconduu tra una via ed un'altra o all'interno di palazzi del centro, e anche tanti viali alberati, e si approfitta di ogni spazio disponibile per piantare qualche pianta o aiola. Un tempo si passeggiava molto in ogni stagione, e ai Giardini Pubblici c'era anche lo zoo, che alle generazioni di un tempo piaceva tanto, ma che quelle nuove hanno fatto di tutto per fall sparì e ghhinn riessii.
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (1/2)
Il 21 dicembre è San Tommaso e: "Comenza l'inverno, brutt, longh, malinconich per i vècc,che ai bagaj no 'l ghe fa ne cald né frecc, perchè hinn pien de sugh e de calor interno". Fra quattro giorni è Natale, festività attesa da tutti.
Alla vigilia fervono i preparativi per il cenone o, come dicono i cremonesi "per mett all'orden el disnà" senza però dimenticare che "l'è la regola che la ten in pee el convent" cioè: "bisogna fà el pass second la gamba" anche se il medico-poeta Giovanni Rajberti la pensava diversamente: "El dì de la vigilia vann tucc a fà ona visita al verzee che 'l deventa l'ottava meraviglia per virtù di pessee, cervellee, fruttiroeu o polliroeu... E cappon a monton e pollin senza fin, e on sterminni de occh, trifol, légor, salvadegh e fasan: gh'è la grazia di Dio proppi a balocch che la naspa la vista e la consola: bell fondament per i peccaa de gola!".
Per la messa di mezzanotte la chiesa è gremita di gente; nel magentino, la notte di Natale, si spruzza acqua benedetta ai quattro angoli della cucina, in camera da letto e nella stalla, dove qualcuno sosteneva che in quella notte gli animali parlassero.
Quando l'albero di Natale non era ancora di moda, i ragazzi andavano nei boschi o nei campi a cercare la tèppa (muschio) che doveva servire per il presepe. Qualcuno più intraprendente ne raccoglieva di più, lo metteva in cassette che caricava sul portapacchi della bicicletta e pedalando arrivava in città dove lo vendeva agli angoli delle strade.
La tèppa, ovvero quel particolare tipo di muschio morbido che raccolto in piccole zolle serviva per riprodurre l'erba del presepio, dalla liggéra (teppisti) era intesa in altro modo! Infatti la frase: "Voo a mett el bambin in la tèppa!" che a persone non abituate al loro linguaggio convenzionale poteva voler dire: "Alla mezzanotte della vigilia metto la statuina del Bambinello nel muschio del presepio!". Per i nostri locch (balordi), significava invece "accoppiarsi con una donna la notte della vigilia di Natale!".
Ma torniamo al pranzo di Natale, cercando almeno in questo giorno di dimenticare il proverbio pavese che dice:
"Pansa piina, pensa no par quàla voda!" ovvero: chi è sazio non pensa a chi ha fame. A Sondrio, "gran paciada de pizòcher"; a Brescia "bòse frite, pulintina, formaj vècc e vì de spina" (agnello fritto, po lentina, formaggio stagionato e vino novello), mentre in Valsassina si gustano gli scapinasc che sono ravioli giganti con ripieno di carne, uvetta e amaretti; poi come secondo piatto, cappone ripieno e frutta secca. A Casalpusterlengo stanghéti, specie di agnolotti asciutti, capòn e biancustà cun la mostarda de Cremona!
Argomenti del giorno
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Cadrezzate
Il lavoro dei milanesi 3)
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (1/2)
 
       **************** fine giornata ************************
 
02 Gennaio 2024 - Martedi' - sett. 01-002
redigio.it/rvg100/rvg-01-002.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
Il taglio del bar
Il bar è sempre stato diviso in due, la parte del bar la quale i gestori pagano l'affitto ed è una parte loro solo loro possono gestire, mentre la parte quella verso la piazza è quella comune. si intende che se un giorno i gestori del bar non aprono per giusti motivi, alla parte comune l'accesso comunque deve essere sempre garantito per quei villeggianti che vogliono ritrovarsi al caldo e tranquillamente.
Quindi come si può chiudere il bar? C'è già un certo tipo di divisione, si tratterebbe forse di fare qualche divisione mobile apribile e chiudibile in qualsiasi momento? così per avere le due parti separate e per avere anche la parte tutta in comune quando e' giustamente necessario?  Può darsi. Dividiamo in due bar
Radio-Fornace
  1. Radio fornace richiede ai villeggianti e non, se possibile avere disponibilita' di televisori vecchi da portare in discarica.
  2. Servono per il Ludico 2024?. Indispensabile la porta USB e telecomando
Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2606/QGLO549-Milano-celtica-03.mp3 -
Milano celtica e la dracma padana -
Toponimi di Cadrezzate
28) Quadro del Morone: il toponimo è composto da due nomi. Il primo probabilmente fa riferimento o alla forma del campo o ad una unità di misura di estensione (cfr. Quadro località di Casteggio -PV)Il secondo è riconducibile alla voce dialettale morón "gelso" (cfr. Morona e Morone località presso Casteggio-PV-).
29) Rondegato: piccola area che si estende per pochi metri a ridosso della Baraggiola. Possiamo abbozzare soltanto delle ipotesi per questo nome. I locali infatti conoscono questa zona come Rundégal, di etimologia dubbia. E' ipotizzabile una derivazione dal termine dialettale rónden "rondine" 'per la presenza del volatile nella bella stagione.
30) Rossino: (v. Cadrezzate n. 18).
31) Sabbione: in dialetto Sabiùn. È, con molta probabilità, una piccola zona creatasi passaggio del fiume Acquanegra o con lo scorrere di altri rigagnoli minori che al fiume confluiscono. Queste zone erano caratterizzate da un terreno sabbioso e ciotoloso non adatto alla coltivazione.
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B1
Ma Gallarate non paga!
Passa un altro anno e siamo al 10 marzo del '56. Busto pare che abbia pazienza da vendere ma, a quanto pare, non intende cedere e... condonare.
<< Indarno la scrivente ha fatto istanza per ottenere dalla Deputaz.e Com.le di Gallarate il rimborso delle spese sostenute fin dal 1854 per invio in quel Borgo della Macchina Idraulica Comunale onde spegnervi un incendio, invio fatto dietro richiesta dell'I. R. Tenente di Gendarm.a residente in Gallarate stesso.
<< Indarno la scrivente si è rivolta a questo I. R. Commiss.to pregando perchè volesse interessarsi onde fosse definita tale pendenza, perocchè i rapporti Deputatizi 9 marzo 1855 e 3 maggio d.o anno N. 274 ima- sero inevasi.
<< Non potendo la scrivente lasciare inesatto questo credito del Comune, prega l'I. R. Commiss.to D.le a volergli ottenere dall'Autorità Prov.le il permesso di spiegare contro la Comunità di Gallarate gli atti con- tenziosi pel titolo di cui sopra, ritornando alla scrivente gli atti trasmessi col succitato foglio 9 marzo 1855 ».
Ma Gallarate non paga!
Informata la I. R. Delegazione Provinciale di Milano, questa finalmente acconsente che la Deputazione di Busto chiami in giudizio quella di Gallarate << visto risultare infruttuose le pratiche onde ottenere il rimborso del credito pel soccorso prestatogli colla propria macchina idraulica, ecc. ».
Noi speriamo che la questione sia risolta e che Gallarate abbia finalmente pagato e possegga le relative ricevute in regola: che se non fosse, questa volta provvederemo noi, allo scadere del centenario.
Ma perchè dunque questo cattivo animo dei gallaratesi contro i bustocchi?
Bisogna convenire -se leggiamo il Crespi Castoldi che si tratta di una ruggine di vecchia data, da quando cioè e siamo al 1400 il borgo di Busto e la pieve di Olgiate Olona vengono sottratti alla giurisdizione dei magistrati del Seprio, che erano in Gallarate.
Lasciamo stare quello che dice il nostro canonico, storico provveduto di molta fantasia, sulle lotte fra guel- fi-gallaratesi e ghibellini-bustocchi: ma quell'affronto bustese e quelle suppliche ripetute per scuotere l'insof feribile giogo del borgo vicino, avevano finito col dare tremendamente ai nervi a tutti i gallaratesi, che si reputavano uomini di lettere e di legge, di certo superiori a questi rozzi battitori e fabbricatori di panni. Si arrivò anche alle mani e peggio, perfino alla guerra dichiarata e alla costruzione di due terrapieni che servivano a sorvegliare il nemico e a difenderci dai sassi e dalle saette; terrapieni che i buoni uffici del pretore Ambrogio Bossi riuscirono a far demolire, verso la fine del '500.
Ma il malanimo rimase e si accentuò. Quelli di Gallarate continuarono a credersi i tutori della dignità e del prestigio della zona; quelli di Busto, che crescevano ogni anno e lavoravano e trafficavano e giravano il mondo, a ritenersi umiliati da tanta soggezione. E così, tutte le volte che un avvenimento qualunque ne dava l'occasione, i bustocchi si impuntavano.
In questi anni, fra il '54 e il '55, per la progettata definitiva sistemazione dell'Ufficio di commisurazione delle Tasse e Rendite, che, vuoi caso, siede proprio in Busto ed opera per i distretti di Busto con Cuggiono e di Gallarate con Somma, si minaccia un trasferimento, e, orribile a dirsi, questo avverrebbe proprio a favore di Gallarate.
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (2/2)
La mostarda lombarda ha origini antichissime, è una delle tante in- che utilizvenzioni casuali scaturite dall'estro della gente campagna zava la frutta in eccedenza o quella caduta acerba dagli alberi per presapore stuzzicante. parare un contorno dal
Il pranzo di Natale si può terminare secondo la tradizione più semplice con mele, arance e torta casalinga, oppure con torrone, spumante e panettone; di panettone poi qualche fetta bisogna metterla da parte in osservanza al proverbio che recita: "Panetton de Natal el ven mai poss, a mangial a San Bias el benediss la gola e el nas!".
Tante sono le versioni sulla nascita del famoso dolce milanese; io vi propongo quella che mi sembra la più poetica:
On prestinee di nome Togn o Toni, volle preparare un dolce diverso dal solito per il compleanno della sua innamorata che cadeva il 25 dicembre; lo fece talmente buono che, da allora, ogni anno, lo dovette preparare per tutti i suoi clienti dando vita al pan del Togn o pan Toni, che col passare del tempo è diventato il moderno panettone che, sia Motta che Alemagna, hanno industrializzato e fatto conoscere in tutto il mondo.
Ecco alcuni proverbi dedicati al giorno della nascita di Gesù: "L'oeuv del dì de Nadaa el fà guari el venter a chi ghe l'ha malaa!" (L'uovo fatto il giorno di Natale guarisce dal mal di pancia); "A Nadal el sbagg d'on gall!" (lo sbadiglio di un gallo), per dire che le giornate si allungano di poco; "Quell'li l'è nassuu el dì de Natal!", lo si dice di una persona fortunata ...e se qualche lettore è nato proprio in questo giorno, deve crederci perché: "I proverbi fallen mai, vist che gh'hann miss pussee de cent'ann a fai!".
Trascorse le feste natalizie, eccoci all'ultimo giorno dell'anno: San Silvestro ogni lavoro, d'ago o di uncinetto, doveva essere ultimato altrimenti non si sarebbe più potuto finirlo. Un tempo in quella notte, ogni bergamasco preparava il pane in casa propria e tutta la famiglia doveva partecipare alla panificazione traendone previsioni di prosperità o miseria a seconda della buona o cattiva riuscita della cottura.
Nel comasco, nel varesotto e nel lecchese era considerato di buon auspicio mangiare polenta prima della mezzanotte perché avrebbe fatto aumentare la futura produzione dei bozzoli.
Per le ragazze della bassa milanese invece niente veglione; prima della mezzanotte andavano in chiesa a cantare il Te Deum di ringraziamento, per tutti i benefici ricevuti durante l'anno, poi dovevano correre subito a casa altrimenti rischiavano di essere colpite da la stanga de San Sil vester che, a detta delle nonne, si aggirava per le strade del paese a bastonare le fanciulle che non si erano ancora coricate!
Argomenti del giorno
Notizia dal Villaggio
Radio-Fornace
Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Cadrezzate
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B1
Da Santa Lucia a Natale il passo è breve. (2/2)
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03 Gennaio 2024 - Mercoledi' - sett. 01-003
redigio.it/rvg100/rvg-01-003 .mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
E' certo che dovremmo risparmiare denaro comune nel villaggio. Dovremmo intervenire in qualche modo e da qualche parte, c'è chi propone di chiudere il ludico quindi non si fa più niente. Benissimo ma nessuno impedisce che si possa anche chiudere anche, e nel frattempo anche la piscina che non è poco.
Una cosa però è possibile ed è doverosa e sta anche nei miei progetti.
cominciamo dalle piccole cose.  esempio sarebbe:  il ludico per la sua attività ha bisogno di ore e ore della dell'aiuto delle segretarie sia per fare i volantini, per fare le brochure, per stamparle e portano via un bel po di ore. Sse ludico si organizza bene nella sua pubblicità o informazione potrebbe evitare tutte queste ore di lavoro alle segreterie le quali possono dedicarsi a fare dell'altro a fare il loro lavoro. Che ognuno faccia il suo e completamente., non che abbia sempre bisogno di altri, perché il lavoro degli altri sembra che sia gratis e non valga nulla. Risparmiamo il lavoro anche degli altri
Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2606/QGLO575-peppone-DonCamillo.mp3 -
Peppone e Don Camillo alla crociata di Stroppiana -  Aboliti nelle scuole i simboli della religione cattolica -
Toponimi di Cadrezzate
15) Motta Pianca: il toponimo ricorre in dialetto come Mööt Pianch, ma qualche parlante locale è solito citarlo anche come Bianch, termine più noto e trasparente. L'altura si trova a ridosso della più alta zona detta Motte e si colloca all'intersezione delle strade che da Cadrezzate portano a Ispra, Capronno e Travedona. Motta è nome di vari luoghi lombardi con il significato di "mucchio di terra". L'origine è sicuramente da ricercarsi nel latino volgare mutta, forse originato da una base celtica muts. Una possibile interpretazione per Pianca può essere cercata nel termine tardo latino planca (o palanca) con il significato di "superficie liscia anche in pendio" (cfr. Pianca, località sopra a Mandello -LC-, Pianca frazione di San Giovanni Bianco -BG-).
16) Motte: in dialetto Mööt, è la maggior altura di Cadrezzate e sulla sua cima si ergono la Cascina Castello e la Cascina Belvedere. Il Mööt (in dialetto la voce è maschile) è raggiungibile tramite la vecchia strada che da Cadrezzate portava a Ispra, oggi sostituita dalla Strada Provinciale. Un tempo ospitava le numerose vigne presenti in zona che venivano coltivate attraverso ampi terrazzamenti che hanno plasmato la forma del Mööt con i caratteristici gradoni, ancora oggi scorgibili nonostante l'abbandono delle vigne.
17) Novelle: strada oggi non localizzabile registrata sulle carte del Catasto Regio del 1905.
Giuan Gabèla sfrusadùi (1/2)
Ho trovato Giuàn Gabela: è qui in brughiera intento a raccoglier muschio (tèp- pa) e a sfrondar pini per fare il Presepio.
Sapete: ho i miei nipotini, che se non preparo loro il presepio mi fanno il muso lungo un metro. È meglio prender tempo, perchè se dovesse nevicare a cercar la tèppa sarebbe un bel fastidio! Mi fate ridere, Giuàn Gabèla, al pensiero che voi siate qui a cercar teppa invece che a sfrusà bricòl!
Oh, vi ricordate ancora! Quasi non mi ricordo più io. Son passati, ormai, tanti anni! E, poi, la mia, come quella di molti altri, è una fama scroccata... Noi veramente, non eravamo dei veri sfrusadùi, ma degli addetti ai trasporti. Noi non andavamo in Svizzera a contrabbandare, noi non attraversavamo la frontiera. Noi trasportavamo i bricòl già contrabbandate, da sottofrontiera a Busto. Non abbiamo mai attraversato l'Olona. I bricòl venivano fatte passare dai ponti dell'Olona di giorno, mascherate in carri di fieno o di letame, depositate poi in capanne deserte in mezzo ai boschi, dove andavamo noi di notte a prelevarle. Ecco a che cosa si riduceva la nostra funzione di contrabbandieri, dei tempi in cui il contrabbando si esercitava su larga scala. Certo che correvamo anche noi i nostri rischi. Se le guardie ci pescavano, si finiva in galera e non era un bel gusto. Accadeva, però, di rado; perchè preferivamo abbandonare la bricòla nelle mani degli inseguitori che lasciarci prendere. In questo caso perdevamo il prezzo del trasporto. Perchè non ci pagavano se non consegnavamo labricòla...
Dunque, era vostro interesse non lasciarvi prendere...
Oh, quante corse ho mai fatto! E, poi, bisognava star attenti ai ladri! Non erano tanto le guardie che ci impensierivano; ma i ladri. Sicuro, i ladri! Ci spiavano di nascosto, ci lasciavan depositare la bricòla nel nascondiglio e poi ce la rubavano! Ed in questo caso noi dovevamo rispondere, se no si era accusati di far comunella coi malandrini.
Non era un allegro mestiere, in fin dei conti !
Tutt'altro che allegro ! Tanto che son quasi quarant'anni che l'ho abbandonato. Figuratevi che io stavo di casa alla Porta Capuana, quell'immenso cascinale che hanno buttato giù da qualche anno ed i cui ruderi sono ancora lì a recare testimonianza della sua famigerata esistenza. Sapete benissimo che, ai mei tempi, alla Porta Capuana, abitavano da una parte le Guardie di Finanza e dall'altra i contrabbandieri. Guardie e contrabbandieri si spiavano e si sorvegliavano a vicenda. Le guardie si servivano delle ragazzotte, colle quali fingevano di fare all'amore, per conoscere i nostri itinerari; noi incaricavamo le lavandaie e i fornitori di viveri di darci informazioni sugli ordini di servizio. Immaginate che io quando dovevo andare per bricòl dovevo fingermi ubriaco, sentirne di tutti i colori da mia moglie, farmi portare a letto in ispalla, mettermi a russare forte e poi saltare dalla finestra che dava sull'orto e via di corsa! E la mattina presto rientrare dalla finestra nella mia camera e poi farmi svegliare ad ora tarda e fingere di alzarmi con ancora negli occhi i fumi del vino. Invece, quanti chilometri a piedi per i nascosti sentieri della brughiera! E tutto per la misera moneta di cinque lire! Roba da non dire. Quando poi ho saputo che le guardie avevan ricevuto l'ordine di sparare sui trasportatori, addio mio bello, mi sono ritirato... a vita privata! In fine, quando sono andato, dopo tanti anni, a confessarmi per Natale, ed ho sentito dalla bocca del confessore che a fare il contrabbandiere era peccato, non ne volli sapere più del tutto.
Argomenti del giorno
Notizia dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
Toponimi di Cadrezzate
Giuan Gabèla sfrusadùi (1/2)
       **************** fine giornata ************************
 
04 Gennaio 2024 - Giovedi' - sett. 01-004
redigio.it/rvg100/rvg-01-004.mp3 - Te la racconto io la giornata
Nessuna notizia dal Villaggio
Proverbio del giorno
Nel bus che i donn gh'han sotta el venter, l'è on bel vizzi metteghel denter; dopo el gioeugh, quand el fond s'è toccàa, l'è a tirall foeura che l'è on peccàa!
Nel buco che le donne hanno sotto il ventre, è un bel vizio metterglielo dentro; dopo il gioco, quando il fondo s'è toccato, è a tirarlo fuori che è uso è costituito dalla dizione più che dal fatto in sè, dal momento che mondo è mondo ed in tutti i cinqu n peccato!
Indubbiamente il problema più grose continenti ciò avviene senza tante turbe, con buona pace per coloro che ne fanno motivo di puritaneria; da qui siamo d'accordo che ogni aggiunta è senz'altro inutile.
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2608/QGLO810-cereali-olioRicino-01.mp3 - Ma che gustosi questi cereali all'olio di ricino -
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B2
I bustocchi si rivolgono alla Sua Eccellenza il Ministro delle Finanze:
« Cugionno, Somma, Saronno sono a due leghe da Busto, mentre se l'Ufficio fosse posto a Gallarate quei Capo-Distretti disterebbero da quell'Ufficio da oltre tre leghe.
<< La popolazione di Busto Arsizio ascendente a dodici mila abitanti (12.000) ed il suo esteso commercio ne fanno indubbiamente il punto più importante, mentre il vicino Gallarate non raggiunge la metà della detta popolazione.
«Se mai entra nelle attuali mire di Vostra Eccellenza la sistemazione degli Uffici Tasse, ed immediata esazione, questa rispettosa Deputazione Comunale ardisce presentarvi questo voto, questo desiderio, questo bisogno, acciò si degni prescegliere Busto Arsizio, e così questo Comune dovrà pure a Vostra Eccellenza parte di sua floridezza, mentre che la vostra determinazione avrà ben anche provveduto al maggior comodo degli altri Distretti >>.
E non basta! In una successiva supplica all'I. R. Ministero delle Finanze in Vienna, si aumenta la dose:
« A tacere della maggior centralità si osserverà che l'estimo di Busto Arsizio con Cuggiono ascende a scudi 1,905,352; mentre quello di Gallarate con Somma ascende a soli scudi 1,287,602. La diversità di quasi 700,000 scudi deve naturalmente importare maggiori operazioni, molto più attesa la maggior popolazione, la quale nel Distretto di Busto con Cuggiono presenta la cifra di 63,167 abitanti, mentre quello di Gallarate con Somma non presenta che la cifra di 44,594 abitanti.
«Se è lecito misurare il numero dei contratti dal numero di notai si osserva che nel Distretto di Busto con Cuggiono furono determinati 4 notai, mentre per quello di Gallarate con Somma non ne sono determinati che due soli.
<< Se dal numero di mercati settimanali e delle fiere annuali vuolsi vedere il movimento degli affari, nel Di- stretto di Busto con Cuggiono tengonsi tre mercati settimanali e cioè a Busto, a Castano ed a Legnano, mentre nel Distretto di Gallarate con Somma se ne tengono due; nel Distretto di Busto con Cuggiono tengonsi tre fiere annuali, cioè in Castano, Inveruno e Legnano, mentre nell'altro distretto non se ne tiene alcuna.
<< Se vuolsi giudicare della maggior floridezza dalle spese comunali compresi i carichi, il Distretto di Busto con Cuggiono presentò nel 1853 un'uscita di L. 881,764,62; mentre il Distretto di Gallarate con Somma presentò quella di L. 688,346,91.
<< In ogni ramo che comparar si voglia si presenterà sempre che Busto, sia da solo che coll'unito distretto di Cuggiono, supera di rilevante ammontare Gallarate col suo distretto.
<< Sotto il lato d'importanza commerciale non si esita a dire quasi nullo il commercio del Distretto di Gal- larate con Somma a petto di quello di Busto con Cuggiono. Nel Distretto di Busto con Cuggiono il setificio conta n. 18 filande a vapore principali, mentre quello di Gallarate con Somma non ne conta che 3. Nel solo Distretto di Busto lavorano 11 filature di cotone con oltre 50.000 fusi, mentre nessuna in quello di Gallarate con Somma.
<< Dopo tutto ciò non si può per vero che fare una domanda, come mai ritenuta anche un'eguale centralità, dati questi estremi e quelli già esposti, possa dubitarsi della preferenza. L'unico motivo sta nella consuetudine di tempi andati, nei quali Gallarate come sede della giurisdizione feudale teneva una superiorità d'importanza.
Giuan Gabèla sfrusadùi (2/3)
Vi hanno spaventato di più le fucilate delle guardie o gli ammonimenti del confessore, dite un po' sù, Giuàn Gabèla?
Lasciamola li! Volete vedere dove andavamo noi a nascondere i bricòl, per metterle al sicuro dai ladri? In quel rovaio. Punti di riferimento quella pianta di rovere e quella pianta di castano. Dall'una all'altra pianta in linea retta, cento passi. Rovi e sterpi. Sotto, c'è ancora il buco, il ricovero posticcio di bricòl. Altri venivano, senza che noi li conoscessimo, a ritirarle. Ogni servizio era fatto in segreto. In tanti anni che ho fatto il trasportatore di tabacco non ho mai conosciuto le persone degli impresari. Il Crapa soltanto noi conoscevamo, ch'era quello che ci pagava il servizio. Ad ogni modo, tempi lontani. Che Dio mi lasci vedere anche questo Natale! E poi, se mi vuol chiudere gli occhi, sia fatta la volontà sua...
Giuàn Gabèla se ne va, col suo fascio di teppa sulla groppa e con alcune ramaglie di pino sulle spalle. Procede lentamente, con molta tranquillità, da uomo che sa d'essere alla consunzione della sua giornata. Non si direbbe che quell'uo mo, ormai curvo dagli anni, ai suoi tempi abbia trottato come una gazzella, abbia scavalcato a piè pari delle siepi, saltato burroni e tenuto a bada pattuglie di Guardie di Finanza e di Carabinieri !
La caduta della neve è sempre un fatto spettacoloso, sia per i piccoli che per i grandi ed anche un pochino misterioso. La gente riesce a darsi conto della pioggia e della grandine senza grande sforzo, ma quello della neve è tal fenomeno che sempre richiede un giuoco di fantasia per immaginarlo. Infatti pioggia e grandine non hanno offerto gran che di materiale alla poesia, mentre la neve ha riempito tutte le biblioteche. Anche i grandi alla caduta della prima neve della prima neve della stagione si commuovono, ridiventano un pò bambini e rigiuocano, almeno col pensiero, a colpi di bianche pallottole compresse, come ai bei tempi lontani. La neve è tutto un nostalgico richiamo ai bei giorni di giovinezza. Ed ecco che anche il nostro anziano poeta riprende il verso per cantare << il bianco monte ed il bianco piano ».
Argomenti del giorno
Proverbio del giorno
Cosa ascoltare oggi
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B2
Giuan Gabèla sfrusadùi (2/3)
 
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05 Gennaio 2024 - Venerdi' - sett. 01-005
redigio.it/rvg100/rvg-01-005.mp3 - Te la racconto io la giornata
Nessuna notizia dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
redigio.it/dati2608/QGLO811-cereali-olioRicino-02.mp3 - Ma che gustosi questi cereali all'olio di ricino -
Proverbi
Di volt a s'è pussée fortunàa cont on bel cuu che on bon ragionà.
Delle volte si è più fortunati con un bel culo che un buon ragionamento.
Detto popolare significante che anche la fortuna è spesso direzionata da componenti estranee; ad esempio nell'assunzione di personale  femminile la bella presenza prevaleva sulla buona cultura e ciò poteva determinare scelte ... di parte.
Ovviamente il detto tiene debito conto anche della popolaresca attribuzione di chi è veramente fortunato per cui si dice che ha «un bel culo>>.
Il lavoro dei milanesi 4)
M: Sul verde di Milano la penso come te: i dati ufficiali dicono che ce n'è poco, ma se si sommano tutti gli spazi verdi credo che ghemm nient de invidià a città che hanno la fama di esserne particolarmente ricche. E poeu adess gh'emm anca i grattacieli con le piante, il Bosco Verticale, che stanno facendo scuola nel mondo. Quanto allo zoo, l'è dispiasuda tanto anca a mi la sua scomparsa... Se gli animalisti qualche ragione l'avevano, soprattutto per certi animali davvero sacrificati e fuori dal loro habitat, meno credo ne avessero per tanti altri, che avrebbero potuto essere lasciati in uno spazio che andava certo un po' rinnovato, per el piasè e l'interess de tanti grand e fiolitt. Ma parlando di parchi, non si può fare a meno di parlare di sicurezza, che rende sempre più difficile frequentarli, soprattutto in orari e stagioni dove c'è poca gente.
C: Ecco: la sicurezza, gran bel problema, peraltro non solo nostro, ma a Milano se gh'ha l'impression ch'el sia permiss tusscoss, soprattutto di questi ultimi tempi. Le leggi ci sono, ma non c'è nessuno che le faccia rispettare, e oggi sembrano spariti persino i vigili.
M: Un tempo non lontano, anca i noster Ghisa facevano parte della milanesità. Ma sono cresciuti enormemente i diritti, di tutti noi, senza che venisse data la giusta importanza anche ai doveri, e così sembra che ognidun el poda fa quell ch'el voeur, anche se sbagliato, con buone probabilità di non venire punito.
C: Lasciando da parte i reati più gravi, penso alle infrazioni stradali, alla "piccola" evasione fiscale, alle tante scorrettezze, cose tipiche di quella che abbiamo sempre chiamato la cultura del furbo, che emm semper criticaa in di alter, ma che gh'hoo paura la tocca anca nun.
M: Il nostro proverbio Chi vosa pussee, la vacca l'è soa ci ricorda che i furbi e i prepotenti non sono mai mancati, neppure qui, anche se, almeno per questo, non siamo famosi...
In compens, semm cognossuu per el traffic e l'inquinament. Purtroppo, infatti, escono regolarmente i dati che ci ricordano che siamo ben al di sopra della soglia dei valori consentiti e ci raccontano quanti sono morti a Milano per lo smog.
C: Anca se se dismentighen de di quanto è scesa la mortalità e, di consequenza, quanto è salita la nostra età media. Adesso sembra che gli anziani siano quasi più numerosi dei giovani, smog o non smog. E poeu, par che la nebbia la sia sparida...
M: L'è vera anca quest! La nostra Pianura Padana soffre effettivamente di un clima non particolarmente salubre, forse soprattutto per la poca ventilazione, tanto che c'è stato qualcuno che ha proposto di tagliare il colle del Turchino per fa corr l'aria del mar... E, forse, è anche per questo che ci piace andare così spesso fuori. Ora, però, le modernità della tecnologia ci permettono di stare più agevolmente in città, cont i cà ben riscaldaa d'inverno e rinfrescaa d'estaa, e con tanti servizi che distraggono giovani e anziani, palestre, piscine, aree attrezzate nei parchi, così il clima passa in secondo piano, anche se dovremmo tutti impegnarci per cercare di migliorarlo.
C: Piscine, palestre... consumano però molta energia, in sieme a quella che serve per i trasporti, alle auto in particolare, che è poi quella che contribuisce in modo decisivo sull'inquinamento... E poeu, l'energia la costa semper pussee, per cui mi pare giusto pensare di ridurre tutti questi consumi: vale per la salute ed anche per il portafoglio!
M: Ecologia, la par effettivament la "parola d'ordin" delle città moderne, a partire appunto dai consumi di energia, ma anche dalla gestione dei rifiuti, dalla mobilità di persone e cose, ma tutto questo presuppone una buona dose di senso civico e questo non so fino a che punto anca nun milanes ghe l'emm...
Giuan Gabèla sfrusadùi (3/3)
lo ho presente la scenetta graziosa di una piccola bimbetta che per la prima volta in vita sua vedeva la neve. Vieni, dicevan le sorelline più alte, a vedere la neve. La piccola appena alzata dal letto, al sentire lo strano vocabolo di << neve », sgranò gli occhi come dinnanzi ad un suono di mistero. Come vide la terra coperta di bianco ed il folleggiare dei batuffoli, indietreggiò come impaurita e fece verso di scappare. Mamma la neve!? Le sorelline ridenti e giulive, la ripresero per mano: vègn chi, preuva, l'è 'l zücar! La pupattola allungò la mano e subito la contrasse : l'è frègia! Tutti risero. Preuva a mètala in buca, l'è dulzi! Provò ad assaggiarla: l'è vèa non cha l'è dulzi, cussa l'è? Dopo qualche minuto era tutta una festa: pallottole, capitomboli, trilli, risate, paradiso di bimbi e di grandi; la neve!
Ma io non rubo il mestiere ai poeti e vi parlo per un istante della neve dal punto di vista utilitario. All'ultima nevicata, conversando con alcune giovinette mi sentii dire: Vedete quanta neve ! La si potesse conservare per quest'estate! - lo sono subito scattato: Come? La neve si è sempre conservata per l'estate! Non vi ricordate quando i macellai ed i salumieri si rubavan la neve per metterla in ghiacciaia? Le giovinette si son guardate stupefatte, come se cascassero da un mondo al disopra delle nubi: Quando mai? Aspettate: forse una trentina di anni fa! Sono scoppiate in una risata sonora e, se non si fosse trattato di giovinette gentili, dovrei dire insolente.
Trent'anni fa noi attendavamo alcuni lustri per venire al mondo! - Mi son dato un schiaffetto sulla guancia destra a punizione della mia smemorataggine: il tempo passa e tu dimentichi d'essere invecchiato!
Allora, state a sentire che vi racconto. Prima che ci fosse il ghiaccio artificiale, prima che impiantassero i frigoriferi, con che cosa si conservavano in estate gli alimenti ed in special modo le carni? Col ghiaccio naturale e con la neve agghiacciata. Il ghiaccio si raccoglieva nelle « bozze > di scarico delle acque, perchè ai tempi di cui parlo la fognatura non c'era e le piovane scaricavano in fossi e in pozze ai margini delle strade. Ma la vera cuccagna per i macellai era la neve. Quando nevicava erano a posto. Andavano a gara a segnare la neve più vicina alla loro ghiacciaia. Il Puzèn cercava di accaparrarsi la neve di piazza S. Giovanni, il Badòn quella di Prà Esili, la Ciàma quella di Prà S. Michè, il Pineta quella di Prà di Remàgi e via dicendo... Bastava mettere un palo in mezzo alla neve col nome del primo arrivato per fissare il suo diritto di prelazione. Ciò faceva piacere anche al Comune, il quale risparmiava i soldi dello sgombero. La neve, trasportata con dei carretti veniva rovesciata in speciali botole larghe, all'interno, come cantine e veniva accompagnata nella lenta caduta in botola con abbondanti secchi d'acqua, cosicchè si formava un pastone ghiacciato, che serviva per tutta l'estate a tener fresche le carni che vi si deponevan sopra. C'era poi il ghiaccio per gli ammalati, che veniva raccolto d'inverno in derivazione di acque correnti e tenuto da parte per questo speciale uso. Il servizio di fornire il ghiaccio per gli ammalati, era pure disimpegnato dai macellai. Vedete, care le mie donzelle, che non c'è nulla di mira coloso nella conservazione della neve e del ghiaccio invernali per l'estate? Passan gli anni, tutto muta o si trasforma, tu sola o poesia sei sempre viva e sempre fresca... come la neve!
Argomenti del giorno
Cosa ascoltare oggi
Proverbi
Il lavoro dei milanesi 4)
Giuan Gabèla sfrusadùi (3/3)
       **************** fine giornata ************************
 
 
06 Gennaio 2024 - sabato - sett. 01-006
redigio.it/rvg100/rvg-01-006.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
Il bar e' aperto il 08 09 10 dicembre
Il bar e'aperto il 30/31 dicembre
il bar e' aperto il 06 07 gennaio
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il bar e' aperto il 10 11 febbraio
Il bar e' aperto il 24 25 febbraio
Proverbi
Tant int el lusso quant int i miserii, l'ultem domicilii l'è el cimiterii.
Tanto nel lusso quanto nelle miserie, l'ultimo domicilio è il cimitero.
È difficile stabilire come, dove e quando sia nato questo detto; era indubbiamente una sorta di consolatoria dei più poveri, un aspetto della filosofia di chi è conscio che l'unica reale risoluzione di una vita, da povero o da ricco è il cimitero.
È poco conosciuto nella forma originale, sostituito da altri detti consimili.
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2606/QGLO536-Milano-Gottardo.mp3 - Milano Gottardo - La quieta via Custodi - Le placide atmosfere di fine Ottocento - il Gentilino
Toponimi di TERNATE (29)
Ternate: m. 281; kmq 5.05; abitanti 2.250.
Comune della provincia di Varese situato 15 Km a sud-ovest del capoluogo sulla sponda nord del Lago di Comabbio.
Il toponimo Ternate, in dialetto Ternà, è attestato per la prima volta in documenti del XII secolo come Ladernatee un secolo dopo lo troviamo come Trinate. L'oscillazione del nome già nelle prime attestazioni ci lascia molti dubbi circa l'etimologia del toponimo. Varie sono le ipotesi a riguardo. È molto difficile far risalire il nome alla voce latina trinus in riferimento alla posizione del paese tra i tre laghi. Più probabile, ma non certo, un riferimento più concreto al "terreno" etimologia supportata da altri toponimi in Lombardia (cfr. Trecella frazione di Pozzuolo Martesana -MI-). È possibile anche un'origine dal nome proprio latino Latterninus (o Latterna) se si considera plausibile la prima attestazione Ladernate a nostra disposizione.
1) Anade: su alcune carte individuato anche come Anadé. È una piccola cascina pochi metri a nord della Cascina degli Ori. Il nome è di difficile interpretazione: due sono le voci dialettali che possono essere messe in evidenza, da una parte Anàde che designa il guadagno annuo di un lavoratore, dall'altra la voce Anadè che indica il "pollaio per anatre">. Non è da escludere infine che il toponimo possa richiamare l'anatra, in dialetto Aneda, in riferimento ad un soprannome di un antico proprietario.
2) Baranchina: ampia area situata pochi chilometri a est del poggio di Santa Maria e a sud della Cascina Motte a nord del centro abitato del paese. Di dubbia origine
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B3
<< Ma questo Eccelso Ministero saprà ben provvedere alle condizioni ed ai bisogni attuali dei proprii sudditi, fra i quali a nessuno inferiore in devozione e fedeltà si vanta » ...il borgo di Busto.
Ma è mai possibile che tutto questo passi senza vendetta, e che si possa impunemente lasciar dire di Gallarate che tutti i suoi meriti sono solo << nella consuetudine dei tempi andati? ».
È forse per questo che la Onorevole Deputazione di Gallarate disdegnò anche l'aiuto della « Macchina Idraulica >> chiamata a spegnere l'incendio: meglio bruciar tutto che chiedere aiuto ai bustocchi!
Se poi pensiamo che tutto questo accanimento aveva lo scopo di tenersi o di tirarsi in casa l'ufficio delle tasse, non c'è che da scrollare miseramente la testa. Oggi, forse, non succederebbe più.
Per chi volesse conoscere lo sviluppo delle vicende possiamo aggiungere che, trascinate le decisioni, fra suppliche e controsuppliche, fino al 1858, per decreto della << Inclita I. R. Prefettura delle Finanze 14 giugno n. 14442/2287, ed in relazione all'ossequiato Dispaccio di S. E. il Signor Barone Luogotenente de Bürger in temporaria rappresentanza di S. A. il Serenissimo Arciduca Governatore Generale », l'ufficio delle tasse rimase a Busto, con notevole sacrificio della Deputazione Comunale che, per un affitto annuo di Austriache Lire Duecento, aggiunse ai quattro locali già in uso, anche un quinto locale, e cioè « l'ampia sala che serviva d'ufficio alla Deputazione medesima », e ciò per conservare < l'opportunità che l'ufficio stesso venisse a trovarsi collocato nel medesimo caseggiato nel quale sono riunite I'I. R. Pretura, l'I. R. Commissario Distrettuale ed il Corpo di Gendarmeria, stazionato nel paese ».
Busto felice era dunque riuscito a tirarsi in casa quella delle tasse... per farla a Gallarate.
Mentre si rinnovano questi uffici, e anche gli I. R. Gendarmi volevano stare un po' comodi, lo spirito di iniziativa dei bustocchi non veniva meno e già si pubblicavano gli appalti per il nuovo carcere, allora ridotto praticamente ad una sola stanza, rimasta tal quale dal 1837, quando era stata affittata, per austriache lire 55 annue, alla Autorità di Polizia. A questa stanza carceraria si arrivava passando per la cucina della I. R. Gendarmeria, ed era uno stanzone buio, con due finestrelle munite di ferriate doppie e con un tavolaccio che correva lungo i muri, salvo una necessaria interruzione per far luogo ad un aggeggio che, sulle carte, è definito << col suo foro rotondo »>.
Ma si provvedeva anche ad altre novità. Si progettava la fondazione di un Asilo, costruito poi sul terreno della Scuola dei Poveri con una spesa di 40.000 lire, si sistemavano le strade, si rinnovava il piazzale fuori Porta Milano, si restaurava la Cap pella della Madonna in Veroncora, e, non ultimo, si sorvegliavano anche le donne pubbliche, le silfidi bustesi di cent'anni fa, la Rossina, la Balina, la Sgorazza, la Rosa; e vi faccio venia dei loro veri nomi, povere donne.
A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (1/3)
L'attuale Via G. B. Bossi era una volta Cuntrà di Ràti. Case ch'eran » ratere ». Circolavano infatti i topi a frotte e a loro agio, poichè trovavan con facilità la loro pastura. In assenza di fognatura lo scarico delle piovane e delle acque di lavanderia avveniva in pozzi a fondo perdente installati nei cortili. Facili gli ingorghi e i rigurgiti poltigliati. I topi avevan di che diguazzare fra il fango e i rifiuti di cucina impolpettati di stercura. A breve distanza la < rateria» trovava il parco di passeggio e di svago. Dove c'è ora Via Antonio Pozzi con i fabbricati delle Associazioni Cattoliche c'era campagna. Solo una stradella nullaffatto sistemata, allancata e ammontagnata di sassi scaricati alla rinfusa, congiungeva Via dell'Ospedale (Via Umberto I) con Piazza del Conte (Piazza Vittorio Emanuele). In questa stradella nelle ore serali si muovevano ombre spasimanti dei due sessi, intenti ad ammazzare il chiaro di luna. Scherzosamente, fino a una trentina di anni fa, questo sganghero di strada azzoppata e guercia (non c'era illuminazione, infatti) venne chiamata Via Giardini. Parco di fantasmi infoiati e di topi giubilanti.
In una delle case di Cuntrà di Ràti aveva la sua abitazione una strega, di quelle che fanno il giuoco delle carte ed altri giuochi men puliti, per << malefiziato » della < disfare » le diavolerie di altre streghe che avevan gente. Le persone malefiziate appartenevano generalmente al sesso femminile. Si sa che quello femminile è il sesso debole per definizione, epperò meno resistente alle « malefiziazioni ». In quel tempo la strega era asse diata dalle malefiziate che ricorrevano a lei per << disfare il giuoco maligno Tanto era pressata dal lavoro da fissare un numero d'ordine alle ressanti. Giova avvertire che l'orario utile di lavoro era molto ridotto. Le ore buone strologare per < eran quelle che correvano fra le dieci di sera e mezzanotte.
Argomenti del giorno
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Proverbi
Toponimi di TERNATE (29)
Busto Grande - 170 anni fa  - Capitolo quinto B3
A stria dàa Cuntrà di RàtiMa (1/3)
 
       **************** fine giornata ************************
  
07 Gennaio 2024 - Domenica - sett. 01-007
redigio.it/rvg100/rvg-01-007.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizia dal Villaggio
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  1. redigio.it/dati2606/QGLO592-dialoghi-milanesi-01.mp3  - Dialogo fra due milanesi su argomenti dal 1945 al 1960 - in dialetto -
Toponimi di Ternate
3) Barass: area pianeggiante al di sotto del Roncàas a sud del paese sul confine con il comune di Comabbio (cfr. Barasso frazione di Comerio -CO-, Baradello -CO-). (v. Cadrezzate n. 1).
4) Bronzina: antica e grande cascina situata pochi metri a sud-est della località Pacit a ridosso dell'attuale linea ferroviaria che porta alla stazione di Travedona-Biandronno. La cascina è nota anche come località Bàier, come attestato dalla carta IGM di inizio '900. Entrambe le denominazioni sono oscure: forse il nome Bronzina può essere ricondotto ad un nome famigliare per la presenza accertata del casato Bronzi nella zona della basca comasca (cfr. Bronza in località Mairano -BS-),
5) Brughiera: in dialetto Brüghéra, è la zona sotto al poggio Santa Maria che collega l'altura con la località San Sepolcro più a sud (v. Cazzago Brabbia n. 2).
6) Buscior: o Bosciùr è una zona pianeggiante un tempo pratosa che si estende a nord della stazione ferroviaria in direzione del comune di Varano. Il nome è con molta probabilità da far risalire alla voce dialettale bösciol o böscior che il ha significato di "cespuglio spinoso o spina">
Fidanzati a tempo perso
Le ragazze di New York che faticano a trovare l'anima gemella o che, semplicemente, non hanno né il tempo né la voglia di imbarcarsi in una relazione seria, hanno scoperto i <<sometimes boyfriends», vale a dire i «<fidanzati qualche volta>>. Compagni part-time, qualcosa meno dei fidanzati veri, qualcosa più dei partner di sesso. Ci si esce a cena, si chiacchiera, si fa un giro in libreria e naturalmente si fa l'amore. Non è necessario vederli spesso, sentirli al telefono tutti i giorni, spedire e-mail o sms né trascorrere insieme i fine settimana. Le ragazze li chiamano quando hanno voglia di sentirsi fidanzate, il resto del tempo si possono tranquillamente considerare single. Un <<sometimes boyfriend» può essere il frutto di un incontro occasionale avvenuto in vacanza: ci si conosce, ci si piace, ma si scopre che si abita in due città molto distanti tra loro. Se non si vuole perdere di vista una persona con cui c'è un buon feeling, ma allo stesso tempo non si vuole instaurare un'impegnativa storia a distanza, non resta che fidanzarsi a tempo perso. Meglio che stare sole...
Il lavoro dei milanesi 5)
C: Ecco, appunto, a proposito di senso civico penso agli animali in città: ce ne sono moltissimi, ma si vedono soprattutto i cani in giro, che sono spesso molto belli ed espressivi e indubbiamente fanno ormai parte di tante famiglie e tengono compagnia anche alle persone sole, ma... minga semper i sò padroni se comporten come se dev...
M: Ma l'è minga necessari avegh i animai per mettere in mostra lo scarso senso civico: l'è assee vede se se troeva per terra, dai mocc a ogni tipo di spazzatura lasciata in de per tutt i canton. È la solita storia che riguarda un po' tutti noi italiani, che appena fuori di casa consideriamo tutto quello che ci circonda come qualcosa di estraneo, da trattare senza alcun riguardo, tanto... non è roba nostra. Invece, l'è propi robba nostra. Anca nun milanes gh'emm tanto de imparà al riguard.
C: Ma la città è forse più "vissuta" da chi non di Milano, dai turisti, da chi del dì el ven chi lavorà e de nott a per divertiss... e chi pensi che ghe sia tanto de di.
M: Le grandi città hanno più o meno tutte gli stessi problemi ed effettivamente chi ghe viv spess el cognoss pocch o nient de quell che succed foeura di sò ambient, soprattutto di notte. Ma qui credo che la milanesità c'entri poco, se non il grado di tolleranza che le nostre autorità sono disposte a concedere, e forse concedono troppo.
C: Questo el var però per la città che se ved, ma gh'è anca quella che se ved nò, nei quartieri più problematici, dove si mescola gente di ogni tipo, e anche da qui può uscire una forma di milanesità.
M: Certo, a chi vede Milano solo come un luogo per trasgredire non interessa parlare di appartenenza o meno alla città, ma i trasgressivi sono sempre una minoranza, anca se l'è quella che la se fa sentì e la fa pussee fracass, mentre la maggioranza vuole a tutti gli effetti sentirsi milanese. E sempre più spesso vengono proprio da quei quartieri più problematici, come li hai chiamati tu, esempi di nuove espressioni di milanesità.
C: Già, non c'è solo il mondo della moda, della finanza, del design... ci sono gli influencer, i rapper, gli sportivi... e anca se se ciamen in ingles vegnen quasi semper da la periferia e sono di origini spesso molto lontane.
M: "Milano, a place to be": anca quest l'è minga milanes, ma l'è ona bella reclam! Come abbiamo già detto, negli ultimi anni Milano è diventata una città apprezzata, un luogo meritevole di essere visitato anche per scoprire i suoi tesori culturali e per stare bene. Sono davvero tanti i turisti che troviamo in giro tutti i giorni, ormai in ogni stagione: ma lo sai che oggi hanno persino già superato in numero quelli di prima del Covid?
C: Ciombia! Ma forse veden minga i tanti magagn che gh'hinn ancamò. Finora abbiamo detto forse anche troppo delle CO se belle e buone di Milano, ma gh'è ancamò tanto de fa per migliorare la qualità della vita, le periferie, le aree dismesse, il verde, la mobilità, la capacità di attrarre investimenti e cervelli, oltre che braccia.
M: Gh'è minga dubbi... Ma per quanto riguarda il verde, oltre a quello che abbiamo già ricordato, vorrei aggiungere che sono poche le grandi città europee che possono vanta re un parco così vasto e vivo come il nostro Parco Agricolo Sud, e nessuno o quasi ne tiene mai conto, salvo i tanti ciclisti che, sempre più numerosi, lo percorrono in lungo e in largo.
C: Le statistiche ancora lo ignorano, ma guarda che il paesaggio dei nostri campi, con le sue cascine e i Navigli sono in tanti ad apprezzarlo, non solo i ciclisti... Le nostre risaie, per esempio: se ti capita di arrivare con l'aereo a Linate in del mes de magg, quando sono allagate, all'imbrunire, è un spettacolo straordinario. E da lì in mezz'ora sei in centro!
Proverbi
Inutel vantass d'on bon usell quand che se sa che l'è tutta pell!
Inutile vantarsi di un buon uccello quando si sa che è tutta pelle!
Detto alquanto corrosivo ed allusivo, usato nei confronti di coloro che vantano virilità, ma in realtà sono frolli e nel caso specifico ricorrono ad una vera e propria millanteria.
Argomenti del giorno
Cosa ascoltare oggi
Proverbi
Toponimi di TERNATE (29)
Fidanzati a tempo perso
Il lavoro dei milanesi 5)
 
 
 
 
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RVG settimana 08
 
Radio-video-giornale del Villaggio
Settimana-08 del 2024
 
 
RVG-008 - da  - Radio-Fornace
 
Settimana x       2024-02-19 -  Febbraio - Calendario - la settimana
19/02 - 08-050 - Lunedi
20/02 - 08-051 - Martedi
21/02 - 08-052 - Mercoledi
22/02 - 08-053 - Giovedi
23/02 - 08-054 - Venerdi
24/02 - 08-055 - Sabato
25/02 - 08-056 - Domenica
 
19 Febbraio 2024 - lunedi - sett. 08/050
redigio.it/rvg101/rvg-08-050.mp3 - Te la racconto io la giornata
Notizie dal Villaggio
redigio.it/rvg101/rvg-xxx.mp3 -  qualche parola sull'
Cosa ascoltare oggi
  1. redigio.it/dati2605/QGLO418-acqua-ardere.mp3 - Acqua da ardere - Gli antichi ottenevano la fermentazione, bevande debolmente alcoliche.. Ma solo nel medioevo si riuscira' a distillare alcol puro, subito considerato panacea di tutti i mali - #73 - rvg -
Milano-Galleria -Il parto - Una gestazione travagliata  (1/2)
Al compimento della prima fase dei lavori, cioè del completamento della Galleria vera e propria, con esclusione degli ingressi monumentali e di qualche particolare interno, la grandiosa opera nata dal progetto mengoniano fu con rapidità, senza esitazioni, adottata con grande affetto dal popolo ambrosiano. Da tutto il popolo ambrosiano, senza distinzione di condizione sociale o intellettuale.
A nessuno poteva sfuggire l'opportunità di disporre, in pieno centro, di un ampio spazio coperto entro il quale, al riparo dalle bizze del tempo, passeggiare, soffermarsi a chiacchierare, oltre, naturalmente, a sfuttarne il breve e comodo percorso per giungere con maggior rapidità da piazza del Duomo a piazza della Scala. I milanesi ne fecero prontamente il loro "salotto" definizione affettuosa rimasta nell'uso comune ancora oggi, il vero centro della vita sociale e mondana della città, fiore all'occhiello e simbolo, insieme con il Duomo e la Madonnina, della metropoli lombarda.
Ma poiché, come recita il proverbio, << non c'è rosa senza spine», anche il lungo iter progettuale e realizzativo di questo "fiore all'occhiello" non era stato privo di ostacoli, difficoltà, perplessità, giudizi negativi. Né di disavventure economiche.
Il primo atto dell'amministrazione presieduta da Antonio Beretta, non appena insediata, fu quello di far realizzare un rilievo in scala 1:1000 della piazza del Duomo e sue adiacenze, da esporre in pubblico affinché chiunque potesse esprimere idee e suggerimenti per la sistemazione della piazza e la costruzione della "via", o "bazar”, da intitolare a Sua Maestà il Padre della Patria.
Il 3 aprile 1860 tutto era pronto. L'iniziativa comunale era resa nota alla popolazione tramite un manifesto in cui si leggeva: « [...] A tale scopo la Giunta municipale fece appositamente rilevare una esatta pianta della parte centrale della città, e ne tiene disposto buon numero di copie litografate in iscala 1:1000. I cultori quindi dell'edilizia e dell'arte che intendessero interessarsi dell'argomento, sono invitati a presentarsi a questi uffici municipali, ove potranno ottenere queste copie per farne oggetto di studio. Quelli che intendessero presentare dei progetti, vorranno tracciare, anche solo in semplici linee iconografiche, il perimetro della nuova piazza del Duomo, e il piano di sistemazione delle corsie e delle piazze vicine, anche mediante nuove vie. I disegni dovranno essere corredati da scritti o memorie.
Dal 1945 al 1960 (1/13)
(milanoeuvcentquarantacinq - milanoeuvcentsessanta)
C: El fascismo finalment l'era finìi, ma me par ch'éren minga tucc d'accord a fà andà i ròbb a la stessa manéra; socialisti, comunisti, democristian, che staven insèmma quand faseven i partigian, adèss che gh'era pu el nemis fascista hann subit co- minciàa a taccà lit e gh'hoo sentìi dì che sérom quasi adrée a fà on'altra guèrra civil tra quei che voreven stà cont i american e quei cont i russi. Se l'ha vorsu dì tutt sto gibilée per Milan?
M: Minga domà per Milan, ma per tutt el mond, che i paés che hann vinciuu s'eren miss d'accord per spartiss, soratutt America e Russia, e per fortuna, disi mi, l'Italia l'è toccada ai american....... Ma gh'è minga dubbi che la part pussée attiva de la Resistenza l'era fada de comunisti e de socialisti e 'sti chi tegniven per la Rus- sia e se quai caporion i avariss minga tegnu a fren, eren pront a tirà foeura di cantinn e di sorée i armi che tegniven ancamò, scon- duu per l'evenienza. Tra l'alter gh'è anca de dì che gh'era giamò on governo italian da pussée d'on ann che l'aveva in quai manera miss d'accord comunisti e democristian, e poeu bisogna minga desmentegass che quasi tutta l'amministrazion pubblica l'era an- camò quella fascista, e sarìa stàa praticament impossibil cam- bialla tutta senza fà andà tusscoss a gamb all'aria, anca se éren minga pocch quei che voréven ona bèlla epurazion. E inscì la gh'è stada ona amnistia general che l'ha vorsuu tiràgh sora ona riga decisa e fà desmentegà quell che gh'era success in di ultim vin- t'ann. La stessa ròbba l'è succeduda tra quei che in de la guèrra eren stàa i peggior nemis; per esempi, già dopo nanca 5 o 6 (cinq - ses) ann, in di vacanz al mar, i mei client di pension de Rimini éren i todesch, magari cont el visin de ombrellon inglés, e sa Dio se gh'era anca quaighedun de quei che aveven fa i guardian o pégg in di camp de stermini, o gh'aveven partecipàa a di terribil massacri, o che gh'aveven trà giò cont i sò bomb mèzza Italia. Difficil per tanta gent de mètt ona preia sura, ma la voeuia de tornà a viv l'è stada pussée forta, anca se bisogna mai desmentegass de tutt el mal che gh'è stàa fàa.
C: Adèss semm tucc europei, ona ròbba che per i nòster vèce la saria paruda de minga créd, ma la gh'ha portàa ormai pussée de 75 (settantacinq) ann de pas, anca se par che sien minga tuce inscì content, vist che seguita a crèss l'insofferenza de tanti Region che voeuren fà in de per lór e vèss indipendent, e nun chi a Milan ne savèmm quaicoss, cont la nostra Lega. Ma tornèmm a la nostra Milan e a quei ann lì del dopoguerra.
SUI BANCHI DI SCUOLA (2/2)
In terza, allevammo in classe i bachi da seta (i bugatt). Allora c'erano ancora molti gelsi (i muròn) nelle nostre campagne in lunghi filari. Chi componeva i pensierini più belli o risolveva per primo il problema di aritmetica, riceveva, come premio, l'incarico di fare il rifornimento delle foglie di gelso, nutrimento indispensabile di quegli insetti preziosi. Si chiamava, la mia maestra, Ida Comuni, milanese, ed era, qualche anno fa, ormai più che novantenne, ancora viva. Ci spiegava che differenza c'era tra cimitero (parola greca che vuol dire dormitorio) e camposanto, voleva che dicessimo rosolacci e non papaveri e che la corte era quella dei re, la nostra, invece, (la mè curt) luogo di abitazione di noi povera gente, era il cortile. L'ho rivista qualche anno fa nella sua abitazione milanese di via Mecenate, ancora di animo giovanile, di spirito vivace e di grande umanità. Non c'era negli anni trenta la quinta elementare a Verghera, così che si doveva andare, per il compimento del ciclo, a Samarate o in qualche altro comune vicino. Si andava a scuola tutto il giorno mattina e pomeriggio; il sabato: lezioni manuali la mattina, il pomeriggio esercitazioni premilitari. A dieci anni! Giorno di vacanza era il giovedì. La quinta l'ho frequentata a Gallarate nelle vecchie scuole di via Seprio, ora demolite. Il mio maestro si chiamava Colombo; era di Cedrate e per farci imparare come si componevano i temi, ci suggeriva prima di scrivere in dialetto e di farne poi la traduzione italiana. Quant'acqua e neve, vento e nebbia; quanto freddo ai piedi e alle mani. Avevo in dotazione una cartella di cuoio che fu prima del mio fratello maggiore e dopo, del mio fratello minore. Resistentissima e molto larga, tanto larga che oltre ai libri ci stava comodo lo Zingarelli che contava duemila pagine. Anche la bicicletta, detta "sbarcela", passò nelle mani di tutti e tre. Tanto la cartella che la bicicletta, la usarono poi nostri giovani parenti. Esse, cartella e bicicletta, si comportarono sempre con grande dignità, senza vergognarsi mai della loro veneranda età.
 
 
 
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20 Febbraio 2024 - martedi - sett. 08/051
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Milano-Galleria -Il parto - Una gestazione travagliata  (2/2)
[...] Questi lavori dovranno essere consegnati entro il mese di giugno al Protocollo del Municipio di Milano, che ne rilascerà ricevuta; passato questo termine verranno esposti al pubblico, perché l'opinione e la stampa li possano discutere; il Consiglio comunale sarà poi chiamato a deliberare in proposito [...] ».
Il Consiglio comunale ne avrebbe discusso per i successivi sei anni. Benché non si trattasse di un vero e proprio concorso, l'<< argomento », come l'aveva definito la giunta Beretta, suscitò notevole in- teresse. Duecentoventi furono i progetti presentati da centoventi soggetti diversi (architetti, ingegneri, artisti e altri non meglio qualificati), per l'esame dei quali fu istituita un'apposita commissione che, come nella migliore tradizione italica, non conseguì alcun risultato effettivo. L'anno successivo, la lotteria organizzata allo scopo di raggranellare fondi per la costruenda piazza, nonostante l'interesse della popolazione per i destini del loro centro storico andasse aumentando, ebbe scarso successo.
Il Comune decise dunque di bandire un vero e proprio concorso, al quale parteciparono diciotto progetti che una nuova commissionegiuria, presieduta dal sindaco Beretta, poté esaminare dal giugno 1862. Nessuna delle proposte fu ritenuta meritevole di vittoria.
La commissione ritenne però che un progetto, firmato con lo pseudonimo "Dante" (sotto al quale si celava l'architetto bolognese Giuseppe Mengoni), fosse degno di approfondimento. Avviò dunque un nuovo complesso meccanismo di gara che prevedeva l'affidamen- to agli autori dei tre progetti più interessanti (quello, citato, del Mengoni, più quelli di Carlo Pestagalli e Nicola Matas) della stesura di un nuovo progetto collegiale per la Galleria e di tre distinti progetti per la piazza. Il risultato di questa gara fu che Matas si ritirò, a causa di precedenti impegni, e Mengoni e Pestagalli presentarono due nuove proposte. Per quanto riguarda la Galleria fu accettato il progetto Mengoni, mentre in relazione alla piazza fu indetta una ulteriore gara tra i due architetti. In una riunione del settembre 1863 il Consiglio comunale si rese però conto dell'assurdità di un simile concorso che, se portato a compimento, avrebbe potuto, in caso di vittoria del Pestagalli, minacciare l'unità del disegno del complesso piazza-Galleria e adiacenze. Si decise dunque di affidare a Giuseppe Mengoni la stesura di un progetto complessivo.
Dal 1945 al 1960 (2/13)
M: Del '45 (quarantacinq) t'hoo giamò di quell che gh'è success, de l'agonia del fascismo in di primm quatter més, ai disordin che gh'hinn seguitàa, a la cunta di dagn e finalment al principi de la ricostruzion de tusscoss, di fabbrich, palazzi, monument, ma anca di co di milanes, che domà Dio sa quanti de lór fina a ier se vesti- ven cont la camisa e adèss vann in gir cont la bandera rossa. Gh'emm inscì de ricordass la storia bòna de quei che gh'hann subit cominciàa a risvoltass i mànigh e a tirà su Milan, e quella grama di opportunisti che in mezz al disordin gh'hann trovàa de fà i sò interess, magari profitand di disgrazi de tanta pòvera gent che viv l'ha dovuu svend quell pocch che 'l gh'aveva. I ann dopo hinn stàa come ona gran valanga, che però invece de portà alter dagn, per nostra fortuna l'ha miss in moviment i mei qualità di milanes e l'ha fàa vegnì foeura la voeuia de vèss ancamò el motor de l'Ita- lia. Certo, éren minga tucc ròs e fior, ma in 'sti 5 (cinq) ann del primm sindich de la repubblica, gh'è de recordass tanti ròbb in positiv; giamò nel '46 (quarantases) s'hinn dervì la Féra e la Scala, dò di glori mondiai de Milan, on para d'ann dopo on'altra gloria, questa noeuva, gh'è nassuu el Piccolo Teatro, e poeu hinn stàa i ann di fabbrich giustàa, Pirelli, Breda. Falk, ma anca de quei noeuv, la Innocenti cont la Lambretta, la Ignis cont i frigorifer, la Candy, cont i lavatris che tanto hann cambiàa la vita a vialter donn, e poeu tanti fabbrich pussée piscinitt, ma che hann vorsuu di tanto per quell che la saria poeu stada Milan in di ann a seguì; e gh'è stàa anca el temp per mètt ona noeuva porta del Dòmm. E s'è tornada a dervì la Rinascente, che la s'era trasferida in del palazzi de la Reson, in piazza Mercanti. Comunque 'sti ann '40 gh'hann pocch de bon de fass ricordàa, prima cont la guèrra e poeu cont tanta miseria, e anca cont di disgrazi, come quella del Turin, la squadra de calcio, che anca se l'era nò de Milan l'era ben vorsuda anca chi, e che nel magg del '49 (qua- rantanoeuv) la s'è sfracel- lada cont l'aeroplano contra la Basilica de Superga.
C: Me ricordi, l'è stada debon ona ròbba che l'ha fàa piang on po tutta l'Italia. Ma in mezz ai disgrazi, gh'emm de considerass fortunàa che sia i todesch che scappaven, sia i american e i partigian che rivàven, hann minga trà giò anca quell che l'era re- stàa in pée, anzi me par che i famigerati palazzi simbol del ventennio hinn stàa dopràa dai noeuv governant. Meno mal che el bon sens el gh'ha avuu el sopravvent sora la voeuia de fa sparì tutt quell ch'el ricordava la dittatura.
VITA E MORTE DI ANIMALI (1/4)
Mi ha invogliato a scrivere sugli animali la domanda che mi ha rivolto una signora, mentre in biblioteca, pochi giorni prima del Natale, si parlava del più e del meno. Come si fa ad uccidere un bue? ('1 manzò). Come si fa adesso, non lo so. Quando ero un ragazzino si uccidevano sparando loro nella testa un colpo di pistola (soprattutto per i tori); oppure conficcando con forza un martello a forma di cono nel cervello della bestia che veniva preventivamente bendata. In tutti e due i casi la morte era istantanea.
Il maiale, la pecora e la capra si sgozzavano. Al coniglio preso per i piedi posteriori veniva inferto un fortissimo fendente col bordo della mano tra capo e collo, dietro le orecchie. Alla gallina si ficcava la punta della forbice nell'occhio o le si tirava, con forza, il collo. Le oche erano dure a morire. Mia mamma stendeva il loro collo sotto il manico della scopa su cui poggiava i piedi e tirava per le gambe la malcapitata che qualche volta, se il collo non era stato tirato a dovere, vagava, ma per poco, come una sonnambula intorno al cortile, stramazzando dopo una decina di passi percorsi barcollando.
Il sangue delle vittime veniva raccolto in recipienti e si usava per farne speciali frittelle o si utilizzava per confezionare, soprattutto col sangue dei maiali, squisiti sanguinacci.
Le galline erano la nostra carne della domenica. I manzi uccisi dai macellai del paese venivano per lo più allevati nelle nostre stalle, erano quindi eccellenti come carne. Che brodi e che risotti! E che bistecche: niente acqua misteriosa e niente gonfiature dovute agli estrogeni; risultavano tenere e saporite da leccarsi le dita. Poiché molte famiglie allevavano animali, quando arrivava per loro il momento buono, venivano condotti per essere fecondati dal Coppe che stava di "stalla" nelle campagne tra Verghera e Busto, dopo la cascina del Prete. Questo accadeva per le pecore e le capre, allevate soprattutto per il latte, la riproduzione e le pelli che, conciate, si stendevano sui letti per scaldare d'inverno i piedi infreddoliti. Le mucche, invece, le portavano alla stazione di monta taurina regolarmente autorizzata e famosa nella zona per il vigore e la infallibilità dei "tori di servizio". Noi ragazzini venivamo spesso colti in flagrante come guardoni, mentre, attaccati alle inferriate della finestra, adocchiavamo un po' ignari e molto stupiti il fenomenale, inspiegabile evento. Il sacro mistero (e poi dicono che allora non c'era niente di bello da vedere!) si recitava in via Eusebio Pastori sul lato destro della strada appena dopo il prestino del Pietro Macchi. Ho ancora nelle orecchie i muggiti lamentosi e prolungati di quelle povere bestie.
LA PIA
Non "ricordati di me che son la Pia", del purgatorio dantesco ma la Pia natalizia che era con frequenza suonata durante le feste della natività dall'organo della vecchia chiesa. Chi ricorda i pastori d'Abruzzo che passavano di casa in casa, per i cortili e le strade del paese, poco dopo la metà di dicembre e che come le rondini tornavano tutti gli anni? Due uomini anziani e un ragazzo di non più di dieci anni. Uno suonava la zampogna, il secondo dava voce acuta a un piffero di legno e nello stesso tempo, azionando col piede una mazza legata a un filo batteva ritmicamente su di una specie di grancassa che portava sulle spalle. Il ragazzino, con un piattino di metallo in mano e sull'altra un pappagallo e i foglietti colorati della buona ventura, passava di uscio in uscio a raccogliere l'obolo della gente. Restavano in paese una mezza giornata e per tutte quelle ore si sentiva, proveniente dalle parti della chiesa, dalla via san Bernardo da via Indipendenza o dalla via Eusebio Pastori l'ansimare roco e stanco della zampogna e gli striduli piagnistei del piffero. Mia mamma, che non mancava mai di trarre insegnamenti dagli eventi e dai fatti che tutti i giorni ci capitano sotto gli occhi, metteva in rilievo la fatica del vagabondare quotidiano del povero ragazzo vestito di stracci e forse affamato, con la nostra vita di perdigiorno. Viòltar - ci diceva si nasùu cun la camìsa. Noi che eravamo nati secondo mia madre cun la camisa vivevamo di minestrone e di patate. Come si vede 'na camisa un po' tropp strència. Ma alla sera, rimbeccava mia mamma, non avevano un letto in cui dormire e un po' di fuoco con cui scaldarsi. Suonavano, gli zampognari, canzoni e filastrocche delle loro regioni e, di quando in quando, il brano della Piva che mi restava nelle orecchie, anche quando nel dormiveglia che precedeva il sonno, stavo volando, con ali fatate, verso il mondo dorato dei sogni.
 
 
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21 Febbraio 2024 - mercoledi - sett. 08/052
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  2. Milano Galleria - Demolire per ricostruire
nell'evolversi delle vicende succintamente narrate, l'opinione pubblica, intanto, a mano a mano che le proposte si rendevano note, non mancò di prendere posizioni. Che erano in gran parte avverse ai fa- raonici disegni del Mengoni che la Giunta aveva fatto propri.
Erano molti i milanesi che non vedevano di buon occhio sventramenti e demolizioni che l'amministrazione andava progettando e attuando (non soltanto in merito alla costruenda nuova piazza del Duomo) in nome di un allineamento di Milano con le altre grandi capitali europee, affinché «< in un avvenire più sollecito e vicino, abbiano a sorgere tra di noi quegli istituti di utile pubblico, che in mezzo a' suoi agi ancora invoca la nostra città », come aveva precisato il manifesto comunale del 3 aprile 1860.
Così si esprimeva Cesare Correnti (1815 - 1888), milanese DOC, patriota, politico e scrittore, poi senatore e ministro del Regno, in una famosa lettera alla contessa Clara Maffei: << Quest'Italia nuova Dio la benedica! ma fin qui è un corpo che non ha ancora trovato un'anima. E intanto l'anima della nostra vecchia Milano se ne va. Forse mi farà cieco il dolore, forse, avendo finito io, mi par che molte cose, le quali mi furono sante e dilette, minaccino di finire! ». E così la pensava una buona percentuale della gente milanese. La stampa, ovvero gli intellettuali, era divisa tra chi sosteneva a gran voce le istanze di rinnovamento invocate dagli amministratori e coloro che, al con- trario, profondamente abbarbicati alle loro radici, respingevano a priori qualsiasi progetto di ammodernamento di un tessuto cittadino che, a onor del vero, necessitava, in molti suoi settori, di una opera- zione di "ripulitura" dal secolare sovrapporsi di brutture edilizie e storture urbanistiche.
Il buonsenso avrebbe potuto consigliare di trovare una ragionevole via di mezzo tra la conservazione totale e la demolizione radicale. Purtroppo l'ansia di fare presto qualche volta in buona nel cercare di fede; troppo spesso imposta dalla speculazione dare a Milano un volto nuovo, più consono al nuovo status di metropoli (risultato poi vieppiù ottenuto con l'annessione dei Corpi Santi al territorio del Comune di Milano, nel 1873), provocò, nei fatti, la distruzione di una grande parte della Milano storica, con la conseguente perdita di un ingente patrimonio artistico e architettonico.
Una tendenza all'incontrollata ri- forma dell'ordito urbano che, peraltro, diverrà una costante di tutte le amministrazioni ambrosiane che si avvicenderanno, dall'indomani dell'annessione alla corona sabauda, per oltre un secolo.
Per rimanere nel solo àmbito delle proposte per un nuovo complesso piazza del Duomo via (o galleria) da dedicarsi a S. M. il re Vittorio Emanuele II-e adiacenze, numerose e di rilievo erano le demolizioni prospettate; tra le più deprecate dai tradizionalisti, vanno segnalate quelle del cosiddetto "coperto dei Figini", rinascimentale, e dell'isolato del Rebecchino, di poco posteriore al precedente, entrambi antistanti la cattedrale, e la eliminazione del reticolo di antiche vie e viuzze a settentrione della cattedrale stessa, non senza la distruzione di edifici di pregio.
Non ultimo in ordine di importanza era anche il problema della disponibilità economica. Il popolo non era così sprovveduto da non rendersi conto che opere di tale mole avrebbero finito con il pesare in misura notevole, forse insostenibile, sulle sue già povere tasche.
VITA E MORTE DI ANIMALI (2/4)
Il tenutario della casa a luci rosse per animali con licenza di procreare, era un gigante che aveva moglie figli e figlie giganti come lui, di nome Carlèn dul Piciott, mutilato per una inguaribile ferita rimediata in una gamba durante la prima guerra mondiale. Col cuore in mano, allegro, sempre festoso, scanzonato, amante (con troppo vigore, direbbe Dante) del dio Bacco, cordialissimo con chicchessia, era dicitore finissimo di filastrocche che erano la delizia di noi bambini che ascoltavamo rapiti e a bocca aperta: "O Dio, c'è tanta polvere perché non piove più, io ho tanti debiti perché non pago più: vado dal fornaio e incontro il macellaio, vado dal salumaio e incontro il calzolaio... oppure:
"che cosa importa a me se non son bella, mi g'ho l'amante mio che fa il pittore, se mi dipingerà come una stella, che cosa importa a me se non son bella, e ancora, alzando sempre di più la voce che diventava roca: che cosa importa a me se il pan l'è caro, mi g'ho l'amante mio che fa il fornaro ecc.,
finché, seccatagli la gola per il gran declamare, non sentiva l'urgentissimo bisogno di un rinfrescante bicchiere di squinzano. Se ne andava alla chetichella lasciando di stucco l'uditorio che ignorava il motivo della repentina partenza.
Chi non aveva per casa un gatto, aveva certamente un cane. Non c'era casa che non avesse la gabbia col canarino e non fosse allietata dai trilli e dai gorgheggi dei piccoli cantori.
D'inverno ci si divertiva (divertimento crudele) a nascondere sotto la neve, le trappole con infisse sull'asticciola dello scatto, un granello di mais per catturare passeri e fringuelli.
Per le festività natalizie, le baldorie di fine anno, i banchetti propiziatori dell'anno nuovo, le massaie usavano per le bestie (ruspanti garantite) predestinate alle "paciate", un trattamento speciale, un sistema di "ingrassaggio" davvero doc. Dovevano arrivare al traguardo finale grasse a puntino per onorare degnamente la tavola sulla quale si riservava loro l'onore di comparire.
L'altro giorno passando in via Adriatico sull'angolo che fa con via Monte Bianco ho rivisto, come del resto tutte le volte quando ci passo a piedi o in bicicletta, la vecchia casa del Locarno Galdèn e, oltre che di lui (piccolo e magro, un quinto rispetto alla sua compagna, dall'aria furba, che a fischiare era più bravo di un merlo) mi sono ricordato di sua moglie senza riuscire, dopo tanto pensare, a tirare in mente il suo nome. Ho chiesto ad amici della mia stessa età, ma nessuno se ne ricordava più. Così, poiché ero deciso di venirne a capo, la mattina di Natale, ho girato e rigirato nel cimitero in cerca della tomba della famiglia di Galdino Locarno e dopo una mezz'ora buona l'ho finalmente trovata. Quante volte sono andato da lei coi galletti legati per le zampe, come Renzo Tramaglino quando va dal Dottor Azzeccagarbugli, per farli "capunàa"?
COM'ERA IL MIO PAESE (1930 CIRCA) - (1/3)
Sono confusi i ricordi di com'era il mio paese quand'ero fanciullo. Case demolite, alberi spariti, a volte basta un tetto rifatto, le imposte e una porta nuova per farci sembrare diversa una abitazione. In mezzo alla piazza c'era un pozzo: vi si andava ad attingere acqua, quando la rete per la distribuzione dell'acqua a domicilio era di là da venire. Dalla piazza iniziava la via Palazzo: via che finiva in un cortile dove era stata costruita la casa più alta del paese: tre piani! Sul lato sud della piazza c'era e c'è il monumento alla Beata Giuliana, benedicente, unica gloria della modesta storia paesana. La statua, alta tre metri circa, era stata voluta dalla popolazione (i tardi nepoti, come dice l'iscrizione) i primi anni del nostro secolo.
Sul principio della via Mazzini, a destra, c'era il forno pubblico, dove, ogni giorno e a turno, si cuoceva il pane: "i roo da pangiàld". Il forno era riscaldato con fuoco di fascine ed era attivo tutti i giorni feriali. Le ruote, così croccanti il primo giorno, diventavano sempre più rafferme col passare dei giorni. La provvista doveva durare una settimana intera per una famiglia che in media contava da quattro a sei persone. La piazza e le vie che vi immettevano erano acciottolate: mi tornano alla mente i selciatori intenti al lavoro con zappettine, seduti su seggiolini rotondi di legno dotati di una corta gamba per l'appoggio sul terreno. Venivano continuamente riforniti di selci e di sabbia; erano molto veloci nel lavoro, attenti e precisi.
Nelle giornate di temporale, soprattutto quand'erano violenti, tutte le vie che sboccavano nella piazza, vi portavano torrenti d'acqua piovana riempiendola nel giro di cinque minuti. Noi ragazzi, a piedi scalzi, vi scorrazzavamo in lungo e in largo, spruzzando getti d'acqua da tutte le parti e ci divertivamo un mondo.
Divertirci non era complicato come oggi e costava molto poco, a volte niente, come fare salti e giravolte in un qualsiasi posto della piazza nell'acqua alta che la allagava.
L'acqua che si raccoglieva in piazza durante il temporale, andava poi a riversarsi nel buzòn, nel "burrone", il cavo di via S. Bernardo che si trovava, a sinistra andando verso il cimitero, poco prima di arrivare alla chiesetta di S. Bernardo e che è stato colmato di terra su cui sono state costruite alcune case. Un altro cavo, ma di dimensioni più piccole, era stato aperto sull'angolo di via Mazzini con via della Vittoria che prima della seconda Guerra Mondiale era strada regolare per i primi cinquanta metri. Per il resto, fino allo stradone era una carreggiata stretta ed erbosa. Anche questo cavo, che fronteggiava sul lato della via Mazzini l'oratorio maschile, fu ricoperto di terra e vi si costruì sopra un condominio (via Mazzini, numeri 36-42).
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22 Febbraio 2024 - giovedi - sett. 08/053
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ALL'OMBRA DEL CAMPANILE - Le campane   (2/2)
Il 6 ottobre Don Guerrino Arnelli, fondatore della scuola S.Cecilia di Milano, provati i toni, dichiarò il concerto eccellentemente riuscito. Nel frattempo si completò il cupolino si sovrappose il parafulmine, mettendo anche in opera parte del castello.
Sabato 18 ottobre 1884: le cinque campane arrivarono a Gallarate e per la domenica seguente, si programmò di portarle a Verghera. All'occasione partecipò anche la "novella" società filarmonica del paese composta da venticinque giovani operai tessitori. Si addobbarono a festa anche i carri per il trasporto. Ne arrivarono quattordici. Si formò un lungo corteo: precedevano alcuni a cavallo, poi la commissione, poi la banda, indi i carri preceduti, fiancheggiati, e seguiti dalla popolazione plaudente, commossa di quella commozione che fa ridere e piangere nello stesso tempo, soprattutto sorpresa di vedere campane così grosse.
Giunti sul sagrato della Chiesa, le campane furono sospese sotto un elegante padiglione, pronte per la benedizione che ebbe luogo nel po- meriggio della stessa domenica 19 ottobre, impartita dal prevosto Gallarate don Federico Velloresi, delegato dall'Arcivescovo. campane secondo la consuetudine ebbero i loro padrini:
la prima campana dedicata a Maria Nascente, del peso di Kg. 1014 con tonalità "mi-bemolle", ebbe come padrino il sig. Locarno Giovanni negoziante;
la seconda, dedicata a S. Carlo, in memoria nel 3° centenario della morte, del peso di Kg. 691, con tonalità "fa", ebbe come padrino il Sig. Bianchi Angelo di Milano, generoso benefattore;
la terza, dedicata a S. Bernardo, del peso di Kg. 470, con tonalità "sol" ebbe per padrino il Sig. Puricelli Carlo fu Pietro, quale rappresentante della commissione;
- la quarta, dedicata a S. Anna, del peso di Kg. 373, di tonalità "la- bemolle", padrino il sig. Provasoli Francesco, esercente;
- la quinta, dedicata alla Beata Giuliana, del peso di Kg. 276, di tonalità "si bemolle", ebbe per padrino il Sig. Puricelli Giuseppe quale rappresentante la fabbriceria che scelse questa, nutrendo la speranza essere tra i discendenti della Beata.
Il peso complessivo delle campane è di Kg. 2825, e il prezzo oltre che delle campane, anche del cupolino, della riparazione dell'orologio, dell'imbiancatura del campanile e delle spese della festa, fu di circa Lire 9.000.
VITA E MORTE DI ANIMALI (4/4)
Ho avuto anche una gattina nera che combatteva alla pari con i topi di chiavica (i ratt da curmegna) così grossi che parevano essi stessi altrettanti gatti. Quando doveva entrare in casa, si aggrappava alla maniglia della porta, facendola, scattare e aprendo così il battente. Dormiva sempre accoccolata sui miei piedi e considerando il gelo che stazionava di continuo nella nostra camera, fungeva da graditissimo scaldino. Aveva il debole di essere spietata cacciatrice di uccelli, ma questo faceva piacere a mia madre che dagli uccelli si vedeva sempre sconvolte le aiuole appena seminate.
Per chiudere il capitoletto degli animali ricorderò come mio fratello Gianfranco allevò una covata di usignoli composta di cinque fratellini. Si sa che è molto difficile tenere in vita i piccoli appena nati. Non bisogna assolutamente dimenticarsi di loro neppure una volta sola, potrebbe essere la loro fine. Gli usignoli sono carnivori ed era necessario quindi, tagliuzzare il fegato, i lombrichi e la carne in genere, in minutissime particole adatte al becco, alla gola e allo stomaco degli uccellini che erano sempre lì con la gola spalancata in attesa del cibo. Sembrava sempre che fossero morti di fame, che non mangiassero chissà da quanto tempo. Mio fratello lavorava a turno alla manifattura di Rivoli, in via Matteotti, a Gallarate. Una settimana cominciava alle sei del mattino, una settimana alle due del pomeriggio. Ne conseguiva che distribuiva il primo pasto alle cinque del mattino e l'ultimo alle undici di sera, a seconda dei turni. Era una meraviglia e una grande soddisfazione vederli crescere tutti e cinque insieme. E crebbero e crebbero fino a che divennero grandi, capaci di volare. Mio fratello tenne il più bello e intelligente per sé, gli altri li regalò ad amici.
L'usignolo che allietò per vari anni col suo canto spiegato e brillante la cucina della nostra casa era un maestro cantore. L'Alfredo Milani - l'operaio maratoneta che ogni santo giorno, a piedi, andava fino a Crenna a lavorare - restava incantato sotto la gabbia a sentirlo modulare, in un crescendo travolgente, note dopo note, senza stancarsi mai. Lo paragonava a Tamagno, grande tenore morto a Varese, e degno antagonista di Caruso. Quando la sera tornava dal lavoro stanco per il tanto camminare e per la lunga giornata di fatiche, non andava direttamente a casa sua, ma si fermava davanti alla gabbia dell'usignolo. E l'usignolo, consapevole dell'onore che gli si tributava, apriva subito il becco per lasciare uscire una cascata irrefrenabile di gorgheggi. E come dice D'Annunzio "il cantore si inebriava del suo canto". L'è propi Tamagno, affermava l'Alfredo Milani che il canto aveva come riposato dalle fatiche della lunga giornata. Ma una volta - maledetta quella volta - mio fratello, mentre apriva lo sportelletto della gabbia per cambiargli l'acqua, lo lasciò scappare. Volò subito via l'usignolo con un volo basso e incerto fino a dove stava pensierosa la gattina nera che, appena lo vide, con un balzo degno del più bravo portiere del mondo, lo abbrancò a volo con stupefacente precisione e prontezza. Mio fratello pianse e la cucina restò muta fino a quando comprammo un canarino arz rosso e giallo, lui pure un maestro cantore. Anche lui chiamammo Tamagno. Si dimostrò degno della successione e del nome.
Ul paschè
E' il sagrato della chiesa. Questa parola la pronuncia sempre mia moglie bustocca. Qualche volta la parola l'ho sentita pronunciare anche dai nostri vecchi.
Era luogo sacro perché nei secoli scorsi vi si seppellivano i morti. PASCHE' è la contrazione e la pronuncia popolare delle parole latine PAX EIS, pace a loro. Che i fedeli pronunciavano come invocazione e preghiera, nell'atto di attraversare il territorio prima di entrare in chiesa, REQUIEM AETERNAM DONA EIS, DOMINE: a loro, dona o Signore, la pace eterna. Sul PASCHE' DU LA GESA, da bambini, giocavamo ai quattro cantoni. Senza saperlo, le nostre esclamazioni di gioia, tenevano compagnia alle anime dei morti che erano stati sepolti, tanti anni fa sotto i nostri piedi.
Qualcuno di loro era stato il nonno del nonno, del nonno di mio padre e quindi un mio antenato.
PASCHE', cioè, PAX TIBI, nonnino.
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23 Febbraio 2024 - venerdi - sett. 08/054
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La chiesetta
Piccina era, modesta, immersa sempre, anche nelle vivide giornate estive, in una penombra crepuscolare che era garanzia di pace e un invito costante alla preghiera.
Il coro dietro l'altare, l'organo a mantice sopra la porta d'entrata, il battistero nella cappella a sinistra dell'ingresso, il pulpito, le cappelle dei santi rivedo, come se stessi ancora in piedi nel bel mezzo della sua navata, a guardare felice e sereno, intorno a me, le ombre suscitate dal ricordo della mia fanciullezza.
Piccola chiesa dove era facile il raccoglimento e la meditazione, così simile, anche se più vasta, alla cameretta dove Gesù raccomandava di rinchiudersi a pregare.
Sul sagrato, dove secoli prima venivano sepolti i defunti, c'erano, disposti a quadrato, quattro paracarri, che servivano ai ragazzi che attendevano di entrare in chiesa per assistere alle funzioni, per giocare ai quattro cantoni.
Sulle pareti laterali dell'altare erano raffigurati a fresco il sacrificio di Isacco e la nascita di Maria Vergine, sopra la porta della sacristia, a sinistra, pendeva la campanella che annunziava con allegria argentina l'inizio delle funzioni, mentre a destra una porticina immetteva nella cella riservata alle corde delle campane, e da dove si saliva per mezzo di una scala a pioli, nella cella campanaria da cui si godeva una vista stupenda: le alpi dominate dal Monte Rosa, le Prealpi Varesine col Sacro Monte e il Campo dei Fiori, le Prealpi comasche con le Grigne e il Resegone, e le piane di Busto e di Gallarate coi boschi della cascina del Prete.
Quante ore della mia infanzia e della mia giovinezza sono trascorse sui banchi della chiesa, quante figure di parroci, di coadiutori, di suore, di gente ho visto genuflessa a pregare o a meditare ai piedi della bella balaustra di marmo rosso.
Vivissimo è il ricordo della morte, avvenuta sull'altare maggiore, mentre esponeva il Santissimo all'adorazione dei fedeli, del coadiutore don Francesco Rebuzzini, sessantacinque anni fa, quando avevo sei o sette anni.
Sugli otto nove anni sono stato chierichetto; ma la sottanina nera o rossa che fosse mi andava sempre stretta. Allora mi dava già fastidio, ma non come adesso, il fumo delle candele.
Il più vivo dei ricordi legati alla chiesa è quello che mi riporta alla memoria la figura di Idelfonso Schuster, arcivescovo di Milano, dal quale sono stato cresimato.
Noi bambini lo guardavamo, attoniti e felici, mentre segnava con l'olio santo le nostre fronti ancora innocenti del segno della croce. Ci stupiva, che il santo Cardinale, vivesse con due uova al giorno. Domenica 12 maggio 1996 ho assistito, in piazza S. Pietro, alla sua beatificazione. Il colonnato era stupendo a vedersi nella sua geometrica perfezione, e la cupola grandiosa dorata dal sole e percorsa dalle ombre che il movimento delle nuvole rinnovava continuamente, mi richiamavano alla memoria il volto esangue e dolce, quasi trasfigurato, del piccolo fragile Cardinale che aveva illuminato di splendida luce uno dei giorni più puri della mia giovane esistenza.
Dal 1945 al 1960 (3/13)
M: In effett, se se esclud el fatto che hinn stàa trà giò tutt i simbol del fascismo, come appunto i fasci e i fras del duce che gh'eren scrivuu in de per tutt i canton, tucc i "casa del fascio" hinn diventàa séd de quai istituzion pubblica, sindacàa, carabinier, polizia, menter i alter hann continuàa a fà quell che faséven,
come el tribunal, la borsa, l'ospedal de Niguarda, anca se éren stàa bombardàa anca lór e magari gh'aveven bisogn de vèss giustàa. Subit poeu, hinn stàa cambiàa i nomm ai strad, on po cont quei che gh'aveven Prima del fascismo, on po cont quei di partigian e alter personagg che hann fàa on po la storia de l'antifascismo, semper però cont la bònna abitudin de mètt la soa bèlla targa de marmo a ogni in- cros di strad.
C: Gh'hoo sentì dì che i fascisti in di ultim dì aveven cambiàa i cartèi di strad per sconfond i inglés e american e fagh sbaglià strada. L'è vera?
M: On po l'è vera, soratutt foeura de Milan, ma i alleàa gh'ave- ven giamò pensàa in de per lor, cont di sò cartei scrivuu in inglés. Ma i american hinn stàa chi pocch, anca se gh'hann lassàa per quai temp di commissari che ghe ricordaven chi l'era che aveva vinciuu la guèrra e che el comandava.
C: Fidàss l'è ben... ma gh'aveven minga tutt i tort, vist che l'Ita- lia la pareva giamò vorè divìdess ancamò: quei che voreven stà cont i american e quelli che ghe piaseva la Russia.
M: L'emm giamò dì, meno mal che semm restàa de la part giusta, e inscì la vita a Milan l'ha comincià a riprend cont el sò bon e el SÒ gramm. Per la cronaca bisogna però ricordass di ròbb che gh'hann fàa pussée rumor; nel '46 (quarantases), on ann dopo che l'hann taccàa su, hann trafugà la salma del duce che la stava a Musocch, trovada poeu on més dopo a la Certosa de Pavia; semper nel '46 (quarantases) la gh'è stada la rivolta a San Vittor organiz- zada su istigazion del bandito Barbieri, che l'era appèna stàa miss in galera dopo che per on ann l'aveva terrorizzàa mezza Milan cont la soa banda de l'isola; e poeu a la fin de november, el delitt de Rina Fort, definida la "belva de via San Gregori", che l'ha mazzà la mié del sò moros e i sò tri fioeu. Ma de fioeu ghe n'è poeu mort 45 (quarantacinq), negàa a Albenga nel lui '47 (quaranta- sett); éren quasi tucc orfanei de guèrra che éren lì in ona colonia estiva del Comun. Semper nel '47 (quarantasett) hinn poeu con- tinuàa i delitt politic, e anca la voeuia di comunisti de fà la rivo- luzion, tanto che ciàppen el pretest del cambi del prefett per oc- cupà la prefettura de cors Monfort cont di squader armàa tra i quai gh'era anca la famigerada Volante Rossa, ona compagnia de esaltàa che la se scondeva dedrée ona casa del popolo e che l'è stada smontada dopo on para d'ann. Hinn stàa però duu dì che pareva che comunisti e militar se sarien poduu sparà addoss. Ma par che quando el Pajetta, che el comandava 'sti rivoluzionari, l'ha annunciàa trionfant al capo di comunisti Togliatti: «Semm padron de la Prefettura de Milan», la risposta l'è stada: «E adèss, s'te 'te n fee?». E inscì s'è subit smontàa tusscoss.
 
LA PESTE DEL 1576-77 E DEL 1630-31
E' sempre don Luigi Brambilla che scrive: "Pure dai registri parrocchiali rilevò che anche qui fuvvi la peste detta del cardinale Federico nell'anno 1631, poiché nel registro dei nati trovo nell'agosto e nel Settembre di quell'anno che non si portavano i bambini alla chiesa ma si battezzavano in casa per paura del contagio.
Se tale contagio abbia fatto qui (cioè a Verghera) numerose vittime o meno non lo si può sapere, mancando il registro dei morti di quel tempo, e se dobbiamo indurre per analogia, dobbiamo dire che ci deve essere stato un discreto numero di morti, poiché ad Arnate (paesino posto tra Verghera e Gallarate) dove furono conservati i registri, oltre che un buon numero di parrocchiani, morirono "de peste" anche due parroci.
Nell'epidemia del 1637 o in quella anteriore di San Carlo (1576-77) è certo che di peste ne morirono non pochi e ne fa fede il Lazzaretto, tuttora esistente, dove dura la tradizione che là furono seppelliti i morti della peste".
 
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24 Febbraio 2024 - sabato - sett. 08/055
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  2. Aquasantèn e segn du la crus (1/2)
Acquasantiere in marmo rosa di Verona, dello stesso materiale della balaustra dell'altare della vecchia chiesa parroccchiale ora demolita. Distrutte o vendute? Alte di stelo e con la conca ampia e capace, erano poste a destra e a sinistra del corridoio centrale appena dopo l'entrata. Ne ho viste due uguali per forma ed altezza nella chiesa di Olgia (Valle Vigezzo) ma scolpite nel sarizzo.
A Pasqua era uso abituale delle nostre donne di andare in chiesa e di fare "provvista" di acqua santa che doveva bastare fino alla settimana della passione dell'anno successivo.
Venivano sistemati, ai piedi delle pile, due mastelli colmi di acqua benedetta, dai quali veniva attinta la quantità necessaria da portare per chi ne aveva necessità o piacere alla propria abitazione.
Appena varcata la soglia la massaia, per prima cosa, provvedeva ad aspergere con l'acqua benedetta i quattro angoli di ogni locale per purificarlo dagli spiriti del male. Simile benedizione era riservata anche alla stalla e al fienile. Si teneva sempre in casa una certa quantità di acqua benedetta come antidoto al malvolere del demonio, come salvaguardia dal malocchio, dalla superstizione, dagli intrighi delle fattucchiere.
Nella camera da letto, appena varcata la soglia, appesa al muro, c'era la pilèta du l'aqua Santa o aquasantèn nel cui cavo si poteva trovare, in ogni giorno dell'anno, l'acqua benedetta per segnarsi.
Tutte le sere, difatti, prima di coricarsi, dopo di aver recitato le orazioni di ringraziamento per la giornata felicemente trascorsa, si sostava davanti a l'aquasantèn per recitare in fretta, in fretta, mezz indurmentàa, cul cò pesant da sogn e stracch da dì nò, un requiem aeternam par tucc i nòstar poar mort par tègnat la man sul cò. Di maiolica o di ceramica, bianca con fregi in oro e la figura in azzurro dell'Angelo custode o in bruno del Battista battezzante, l'aquasanten era una specie di reliquia da considerare sacra per la pace, la serenità e la protezione della casa immersa nel meritato riposo serale. Per usare l'aquasantiera non mancava mai l'occasione. Ste ori ghe sempar chi ma or mà e po' a druåla né la custa né la fa dagn ul puse l'e avegh fed. Nessuno ufficialmente credeva alle assurdità della superstizione, ma, sotto sotto, non si sa mai.
VITA E MORTE DI ANIMALI (3/4)
I galletti altezzosi e ignari che la moglie del Galdèn Giuseppina Uslenghi, madre di suor Gertrude e di un emigrato morto in America, la cui figura maestosa e solenne (un quintale e mezzo?) ho viva davanti agli occhi e che stava seduta con molta fatica su una seggiolina che la reggeva appena appena - aveva operato, tagliando con una forbice comune, ricucendo con un ago e del refe, e disinfettato con cenere prelevata dal focolare spento, per renderli "capponi", formavano l'orgoglio dei contadini grossi e grassi com'erano, da sembrare perfino "pompati" ed "estrogeneizzati". La chirurga riuniva poi in un pacchetto tutti i testicoli asportati, che io portavo a casa e che la mia mamma utilizzava (che bontà!) per impreziosire e insaporire il risotto della domenica. Dei galletti resi eunuchi ne sopravviveva la maggior parte. Gli sfortunati finivano, con l'acqua, il condimento e le verdure adatte, nel "padelòtt" riservato al brodo e al risotto insieme ai "requisiti" asportati della loro mascolinità.
Pilon era il protagonista del romanzo "Pian della Tortilla" di John Steinbeck (se ne ricavò il film Gente Allegra, attore principale Spencer Tracy). Mi aveva da poco entusiasmato la lettura del racconto dove si narrano le gesta di un gruppo di paisanos di Monterrey, quando venni in possesso, non ricordo come, di un piccolo cane bastardo di stirpe volpina bianco e nocciola, con una coda fioccosa e bellissima. Gli occhi erano parlanti. Gli mettemmo nome Pilon, e il cane, di rara intelligenza, fu per noi fratelli il fratello più piccolo, il più coccolato, il più amato.
Custodiva la nostra casa come un carabiniere, con vigile e instancabile attenzione, proteggeva le nostre galline, le oche, i tacchini, le anitre, con la solerzia interessata di un padrone. Si usava ancora, allora, rubare nei pollai, affumicando i volatili, per non farli schiamazzare. Ma al Pilon nessuno era in grado di farla. Capiva tutto questo la chioccia americana (la mericanela) che andava a porsi sotto la sua protezione con tutta la covata, a ridosso della sua cuccia. Memorabile fu quando ci diede la possibilità di catturare una sera, il porcospino maschio e, la sera dopo, il porcospino femmina, voraci divoratori di pulcini appena nati. Riuscì a rompere la catena e a porsi tra la chioccia e l'assalitore tenendolo a bada e abbaiando in maniera forsennata per richiamare la nostra attenzione.
Ci fu rubato da un invalido che passava, di casa in casa, a cercare l'elemosina su una carrozzella trainata da cani. Da quel giorno, nonostante le nostre appassionate ricerche, non lo vedemmo più. La sua cuccia vuota mi faceva venire il magone ancora un anno dopo la sua scomparsa.
AL PONTE DI OLEGGIO
Andà al Tisèn a tò l'aqua Quando da bambini vedevamo le nuvole grigie e nere correre inquiete nel cielo che minacciava tempesta e volevamo conoscere il perché di tanta fretta, i nostri genitori ci spiegavano che le nuvole stavano correndo verso il Ticino a caricarsi d'acqua da rovesciare sulle nostre campagne e sulle nostre case. I vann giò al Tisen a caregàss d'aqua. E se il cielo era proprio nero, di piombo, con nuvolette leggere e grigie impazienti, nuvolette che presagivano grandine e bufera di vento, aggiungevano facendosi il segno della croce, sperèm ch'ai pèrdan la stràa. Qualche volta perdevano la strada, qualche volta invece ritornavano sicure per la stessa strada seminando torrenti d'acqua misti a grandine, sospinti da forte vento di tramontana.
Nonostante l'ulivo benedetto della domenica delle Palme acceso nel bel mezzo del cortile per permettere al fumo di salire in alto nel cielo ad esorcizzare le nuvole incombenti, nere e minacciose, e le campane avessero suonato a rumm per un quarto d'ora di fila e il prete con la stola viola della penitenza in piedi sul cimitòri avesse imperterrito, benedìi '1 temp. Mi è sempre piaciuta l'immagine delle nuvole che vanno verso il Ticino a riempire d'acqua i secchi da rovesciare sui tetti delle nostre case e sulle vie polverose del nostro paese. E qualche volta mi vedevo, piccolo cavaliere dell'apocalisse, a cavalcioni su una di esse. Mia mamma capiva benissimo il mio stato d'animo e, scrollandomi un poco mi diceva all'orecchio: vegn in cà. S'al cumència a piòo sé bagni tutt. E il sogno finiva risvegliato da un'assordante bordata di tuoni. Anche ora quando il mio cuore ha bisogno d'acqua per annaffiare i fiori che la mia fantasia coltiva nel suo camp di cent pertigh, vado anch'io a tò l'aqua al pont da Uleg. E i fiori, di cento colori diversi hanno vita lunghissima. Alcuni sono sbocciati quando avevo quindici anni e mi recano ancora il profumo ineffabile della perduta giovinezza.
Curiosità storiche sulla Beata Giuliana
In margine a quanto detto sopra rileviamo che non è stato ancora stabilito con sicurezza e forse non lo sarà mai, se il luogo di nascita della Beata Giuliana sia appartenuto al territorio di Busto Arsizio o di Verghera. Nei primi anni del secolo ci furono contestazioni e screzi tra le due comunità che volevano attribuirsi la concittadinanza della Beata.
La venerabile Biumi precisa che il padre della "romita" staera (cioè stava) a una certa abitazione tra Busto e Gallarate, dicta Verghera (località Cascina de li poveri).
Fu beatificata da Lorenzo Ganganelli, papa Clemente XIV, il cui pontificato durò dal 1769 al 1774. Il corpo della beata sepolto in un primo tempo dentro il monastero venne in seguito, dopo circa un quarantennio, collocato nel coro delle monache. Nel 1612 per decreto del Cardinale Federico Borromeo fu dapprima traslato vicino al Capitolo; nel 1650 deposto nell'Oratorio delle Sante Reliquie per essere poi riportato nel Comunicatorio delle Suore. Final mente nella prima metà del 18° secolo il corpo della Beata Giuliana e quello della Beata Caterina furono collocati definitivamente nell'oratorio delle Reliquie a fianco del Santuario, ove ancor oggi si possono venerare. Nel 1903 fu tolto alla Beata Giuliana l'avambraccio sinistro, per esaudire la preghiera espressa dal parroco di Verghera don Luigi Brambilla il quale voleva avere, per i suoi fedeli, una reliquia della concittadina da venerare.
 
 
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25 Febbraio 2024 - domenica - sett. 08/56
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Aquasantèn e segn du la crus (2/2)
Tanto cosa costa spargere un po' di acqua santa? Nella pila di marmo rosa che sembrava un fungo gigante con la "cappella" capovolta, lucente, levigata e fredda, era sempre possibile trovare, gratuitamente, acqua benedetta. Mi piacevano le pile immobili che nella penombra odorosa d'incenso sembravano due sentinelle, ma disarmate, che montavano instancabili la guardia perenne alla porta della chiesa per impedire al genio del male di avere libero accesso nella casa del Signore, rifugio dei poveri peccatori. Richiama fatalmente '1 segn du la crus. Si l'Acqua santa richiama fatalmente 'I segn du la crus. Si faceva un po' dappertutto. Entrando, uscendo, passando davanti alla chiesa o al camposanto, quando per strada si incontrava il sacerdote che recava il viatico o l'estrema unzione a qualche moribondo o quando iniziava o finiva la giornata, all'inizio del pranzo o della cena. Una veneranda vecchia del mio cortile si segnava sulla bocca ogni qualvolta sbadigliava e sulla fronte quando, così confessava con candore e innocenza, l'assaliva qualche cattivo pensiero o desiderio peccaminoso. Ma segnea da noce ricordava spesso, nei percorsi oscuri delle strade del paese non ancora illuminate dalla luce elettrica. Era - 'I segn du la crus l'arma segreta che vinceva paure, timori, indecisioni.
Una specie di medicina salutare per scacciare o disperdere le ombre inquietanti del nostro misterioso e incomprensibile subcosciente. Segnas: gesto abituale, compiuto a volte con scarsa se non senza partecipazione, ma sempre gesto liberatorio e propiziatorio.
Te fai ul segn du la crus? Te di i urazion? Le stesse domande ripetute per tanti anni, per una infinità di giorni, tutte le mattine, da mia madre ai suoi tre bambini. Si mama era la bugia immancabile di quasi tutte le risposte.
O'perché, addormentati ancora, non si aveva avuto il momento di pensarci o perché l'ansia di correre subito a giocare, non ci lasciava né il tempo né la voglia di recitarle, le preghiere, o di accennare al benché minimo segno di croce. Segnàs, i urazion, te fai ul segn du la crus? Tempi lontanissimi.
Altro mondo, tempi e mondo trapassatoremoti.
SUNÀ RUMM
Si è persa l'usanza, al sorgere dell'alba del giorno di San Marco, di andare in processione fino alla seconda croce, sulla strada che alla cascina del Prete, per impetrare la grazia della pioggia, così necessaria per i campi ridestati alla vita dal ritorno della primavera. E nemmeno si usa più, quando il cielo si oscura di neri e minacciosi nuvoloni, carichi di grandine, attaccarsi al campanone (tonalità mi- bemolle) a "sunà rumm" per scongiurare il furore della tempesta in arrivo.
Minaccia grave per il povero contadino che intuiva il pericolo di vedersi distruggere il paziente e duro lavoro di una annata di sacrifici. Mi pare di vedere come se fosse ieri, uscire dalla chiesa e fermarsi sul sagrato, il parroco, in cotta bianca e stola viola, affiancato dal chierichetto, che tiene in mano il secchiello e l'aspersorio già intinto nell'acqua benedetta per la benedizione propiziatoria.
Il campanone continua a suonare con rintocchi gravi, solenni, come per un mortorio.
Il parroco con l'aspersorio nella mano traccia segni di croce verso i quattro punti cardinali. L'operazione viene ripetuta più volte. Bisogna vincere la caparbia volontà di male del maligno.
Trepidanti e timorose le donne bruciano, nei cortili, ramoscelli di ulivo benedetto. I contadini hanno abbandonato il lavoro nei campi e tornano alle loro case con le zappe in spalla. E' evidente che il temporale viene dal Monferrato e può essere pericoloso non essere protetti da un riparo.
Quando nelle notti fredde d'inverno stavamo seduti intorno al focolare dell'immensa cucina a scaldarci, i vecchi raccontavano come don Luigi Brambilla, in un fosco pomeriggio da tregenda, avesse pi- egato il malvolere del tempo, costringendolo a scaricare tutta la grandine di cui era portatore in un piccolo campo non coltivato, fuori del paese. Se le nuvole cariche di distruzione passavano sopra le nostre case e campagne senza recare alcun danno, il merito era tutto da attribuire alla benedizione del parroco e al grido delle campane. La fede popolare era ancora grande e tutti erano soddisfatti di sentire sul loro capo e sul loro paese, la protezione della mano di Dio. Ed erano appagati dalla protezione che sopra di loro esercitava il loro parroco, uomo di Dio e àncora sicura nelle tribolazioni e nelle traversie giornaliere della vita a volte ingrata e ingiusta capace di combattere, ad armi pari, con le forze della natura. Era per loro un sant'uomo. E come tale lo piansero alla sua morte.
 
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