RVG settimana 51
Radio-video-giornale del Villaggio
Settimana-51 del 2023
RVG-51 - da - Radio-Fornace
Settimana 51 2023-18-12 - Dicembre - Calendario- la settimana
lunedi 18/12 - 51-352 giorno
marrtedi 19/12 - 51-353 giorno
mercoledi 20/12 - 51-354 giorno
giovedi 21/12 - 51-355 giorno
venerdi 22/12 - 51-356 giorno
sabato 23/12 - 51-357 giorno
domenica 24/12 - 51-358 giorno
18 Dicembre 2023 - lunedi - sett. 51-352
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati2606/QGLO511-Milano-SanGottardo-02.mp3 - Milano San Gottardo e oltre - burlesche dicerie sui furmagiatt - la chiesa di San Gottardo al Corso -
Notizie dal Villaggio
Letterine
Le lettere d'amore muoiono come genere letterario perché non ci sono più caminetti in cui bruciarle
Ma i caminetti adesso son tornati di moda civettuoli piccolini dagli stranissime originali novecentesche forme che però sempre caminetti ci sono e ancora offrono di conseguenza la possibilità di bruciarvi se del caso quante lettere d'amore si vogliano terminato un idillio
La stagione ideale per certe operazioni va da sé che sarebbe la stagione invernale risulta quantomeno accettabile allora il calore del suo caminetto mentre si butta nel fuoco lettere ormai odiate piene di zeppe come sono di "giuro d'amarti fino alla morte" e con simili frasi scritte da individui risultati poi spergiuri
Però a volte purtroppo a bruciare nel caminetto le lettere d'amore non si possono aspettare i primi freddi si eviti a volte ad una febbre
Febbrile e giustificatissima impazienza la bella abbandonata si è abbandonata nel mese di giugno obbedendo a un impulso irresistibile .
Egualmente accende il caminetto rivoli di sudore le scorrono allora lungo le guance rendendolo operazione ancora più irritante che già si sarebbe da prendersi a schiaffi al sol pensiero di aver creduto a tante dichiarazioni inscritto d'amore eterno che invece di eterno alla prova dei fatti
Si è rivelato solo provvisorio e poi anche benissimo darsi che la bella addormentata nel mese di giugno si prende a schiaffi sul serio a causa di zanzare attirate dalla fiamma del caminetto e ancora il più da chi l'ha accesa pensando che la fiamma è anche passione amorosa ed anche la persona che si ama vorrebbe verrebbe la voglia di parafrasare quanto dice un poeta toscano, credevo che lavoro fosse un bel gioco beh riuscita una fiamma di fuoco
Toponimi di Biandronno
5) Castèl: località nota anche come Castelvetro (presumibilmente derivante da un forma latina castellum veterum "castello vecchio"). È la parte più alta del paese situata di fronte alla piazza cittadina e rivolta a strapiombo sul Lago di Varese, a sud della Chiesa di San Lorenzo(v. Cadrezzate n. 7).
6) Custèra: cresta che si estende longitudinalmente tra il Laghèt e il comune di Bardello che confina a nord con Biandronno. Questo rialzo del terreno è così denominato nella parte ovest. La parte est invece, verso il lago, è nota come Runchìt. Il nome Custèra è da far risalire al termine costa con l'accezione di "pendio, parte rialzata" con l'aggiunta del suffisso -era.
7) Fornace: in dialetto noto come Furnàas. Costruzione realizzata nei primi anni venti del secolo scorso e che ha rifornito di mattoni e laterizi il comune di Biandronno e i limitrofi fino agli anni '60. Il sito è ubicato a sud della strada comunale che da Biandronno porta al limitrofo comune di Bregano.
Viaggio nel tempo
Fondi di caffè - (19 novembre 1937) - Il Nucleo di polizia tributaria sta concludendo le indagini sul contrabbando che, come abbiamo pubblicato ieri, veniva esercitato da un gruppo di donne del Comasco le quali recavano il caffè a Milano nascondendolo in busti a doppio fondo, indossati sotto le vesti.
A capocchia - (7-8 novembre 1881)
Angelo Giambelli, macchinista, di 25 anni, per motivo che assolutamente egli non vuole confessare, trangugiò ieri una schifosa miscela di lucilina e di capocchie di zolfanelli coll'intenzione di morirne. Ma il bruciore delle viscere gli strappò grida che fecero accorrere i suoi salvatori, i quali, fattogli prima ingoiare un revolsivo, lo affidarono per cure più salutari all'Ospedale Maggiore, dal quale uscirà guarito forse oggi o domani stesso.
I FESTI DA SANT'AMBREUSU
S. Ambrogio annuncia il Natale. Un tempo si incominciava ad attenderlo dopo i Morti: era questione di settimane, poi sarebbe arrivato. Arrivava carico di "pòmm e narànzi". Fin dalla sera della vigilia, in piazza S. Giovanni ed in piazza S. Maria i carrelli dei fruttivendoli, rischiarati da candele col cappuccio di carta velina colorata o, con fiamme di acetilene, si schieravano per l'attacco. Sotto al "lumbrelòn dàa Palàza" mele e arance facevano montagna; i ragazzetti facevano ressa intorno. Le mamme, con la sportina sotto il braccio e con "quàtar palanchèti in màn", aspettavano il loro turno per poter fare acquisti. I ragazzi indicavano loro le mele più rosse, anche se non erano le più saporite, solo perché erano attraenti. Nell'attesa canterellavano: Sant'Antoni al m'ha dèi un pòm Sant'Ambreusu ma l'ha fèi coesi San Libeà ma l'ha peà San Gulùsu ma l'ha mangià... L'ha vanzà ul sciustòn: Ma l'ha butà sul musòn!
"Sant'Ambreuseu al vègn: crumpé, genti, ch'al vègn Sant'Ambreusu: tàl là ch'al vègn!". I ragazzi si guardavano intorno, per vedere se Sant'Ambrogio stesse arrivando sul serio. Questo Santo incuteva molta soggezione, sia per il suo aspetto maestoso e severo, sia per quel frustino che tiene sempre a portata di mano, pronto a lasciarlo cadere sulla schiena dei "malaménti".
Prima di Natale, un tempo come oggi, molte cose dovevano essere messe a posto. Se c'erano dei bronci dovevano sparire, se c'erano delle polemiche dovevano essere interrotte, se c'erano malumori di qual- siasi origine, giustificati o meno, dovevano essere eliminati. Sant'Ambrogio accordava solo due setti- mane di tempo per fare tutto ciò. Egli inoltre non arrivava mai da solo: dietro di lui c'era la Madonna, la festa dell'Immacolata Concezione. Per questo, si parlava di "fèsti da Sant'Ambreusu", per indicare che le feste erano due, inclusa quella della Madonna.
La festa di Sant'Ambrogio si svolgeva prevalentemente al centro della città, nelle piazze di S. Giovanni e di S. Maria; la festa della Madonna si localizzava invece nella zona di S. Michele e precisamente sulla piazzetta della "Madòna da Prà". Se Sant'Ambrogio portava mele e arance, la Madonna portava "i cupèti": la sua era appunto la festa di cupèti, così come era la festa di mur ùsi (fidanzati). Infatti la maggior parte dei fidanzamenti avveniva, in veste ufficiale, durante la festa dell'Immacolata, anche perché i matrimoni venivano generalmente celebrati subito dopo la Pasqua. Se il Regiù era favorevole alla cosa, il fidanzato veniva ammesso in casa alla sera e, naturalmente, per rendere più gradito il suo ingresso, si presentava munito del suo "scartòzu da cupèti"; dovevano essere almeno una dozzina, per accontentare tutte le bocche.
Alla Madona da Prà, erano ben tante le bancarelle che vendevano le coppette, i croccanti, i torroni, i diavolotti, i manecristi e lo zucchero filato. Nel pomeriggio, la piazza non aveva abbastanza spazio per accogliere tutta la folla che vi si accalcava.
Quando faceva scuro, la gente finalmente si diradava; le discussioni interrotte dal calare della sera riprendevano più tardi nelle case, accanto al fuoco, tra un bicchier di vino e un "brancàa da castègn", perché le coppette da sole bastavano appena ad addolcire la bocca.
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19 Dicembre 2023 - Martedi' - sett. 51-353
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati2606/QGLO527-Angera-torba.mp3 - Ad Angera, la torba deve essere sfruttata -
Nessuna notizia dal Villaggio
Radio-Fornace
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La bicicletta
Toponimi di Cadrezzate
6) Casa dei Ladri: toponimo non più riconosciuto oggi. È attestato nelle carte del Cessato Catasto Lombardo del 1860.
7) Cascina Castello: vecchia cascina oggi ristrutturata e abitata situata nel punto più alto del paese, sul poggio detto Motte. Il nome forse indica l'antica presenza di una fortificazione (castèl da latino castellum, derivato di castrum) che sempre veniva costruita nel punto più alto così da garantire protezione e difesa per tutta la popolazione . Non sono rimaste tracce di questa possibile fortificazione.
8) Galletto: antica cascina, ora non più esistente, che forse era situata sulla vecchia strada che da Cadrezzate porta a Osmate. Il nome potrebbe rifarsi alla famiglia Galetto, ancora oggi abitante ad Osmate.
- Busto Grande - 170 anni fa
Capitolo quarto
Pare proprio che, verso i primi mesi del 1854, qualcuno si sia preso la briga, in Busto, di rivolgere all'I. R. Direttore della Polizia una domanda diretta a regolarizzare la posizione della Banda, o Società Filarmonica, che non sembrava troppo regolare.
L'I. R. Direzione si rivolge all'I. R. Commissario Distrettuale e questi alla Onorevole Deputazione Comunale che, a sua volta sempre in relazione alla << ossequiata ordinanza » della Polizia, fece chiamare il Capo Banda Giosuè Candiani detto Tuscia, falegname, per sentire come stavano le faccende.
La Filarmonica, approvata a suo tempo con decreto della I. R. Polizia, nell'aprile del 1841, aveva avuto un inizio burrascoso, perchè il 29 novembre dello stesso anno di fondazione un rapporto dell'I. R. Commissario riferiva che << dominava fra i soci la discordia e l'insubordinazione trovandosi fra essi individui irrequieti e di condotta poco plausibile ». Col camminare degli anni, poi, erano avvenuti senza autorizzazione diversi cambiamenti fra il personale della Banda, non si erano rinnovate le pratiche volute dal Piano Organico, e sopratutto, non si era tenuto più nessun conto della autorità del Delegato Politico, presente, per volere dell'Austria, in ogni associazione. Era successo un po' quel che succedeva ogni qual volta le ordinanze e le Patenti Imperiali non erano benvise al pubblico: si dimenticavano e si faceva repubblica a sè. Figuriamoci, pertanto, a Busto, ove tutti, ancora al giorno d'oggi, ci accusano di voler sempre fare repubblica per nostro conto!
Senonchè, morta la Filarmonica e venuto di nuovo al Giosuè Candiani il bernoccolo della musica, bisognò questa volta, far le cose con una certa regola. E gli I. R. funzionari non erano gente da dimenticarsi facilmente del passato. Fu così che l'I. R. Direzione della Polizia rispose che la Società Filarmonica era da ritenersi « sciolta di fatto e di diritto » e che tanto bisognava rifar tutto daccapo, dal Piano Organico o di regolamento, alle fedine dei singoli soci, dalla nomina del direttore a quella del delegato politico, giacchè, diventato << primo deputato » l'antico delegato Carlo Cesare Bossi o Bossetto, come lo si chiamava per soprannome, bisognava « riproporre l'oggetto di far conoscere per l'individuo a cui si potrebbe affidare l'incarico di delegato politico, il quale deve riunire tutti i requisiti d'idoneità, e di nessuna eccezione ».
Non si può certo dire che l'Austria mancasse di vigilanza, persino sui bustocchi.
Successe dunque che, mentre popolazione filarmonici e deputazione credevano ormai di rivedere la loro Banda sfilare per le strade, dietro le processioni, venne giù la doccia fredda della I. R. Polizia, e la Deputazione dovette << in obbedienza al prescritto dal Commissariale attergato 12 andante n. 500 P», comunicare al « Capo della Banda Civica di Busto Arsizio », Giosué Candiani detto Tuscia, « la nota della I. R. Direzione della Polizia 28 marzo 1855 n. 12187 contenente la dichiarazione della prefata Magistratura sulla invocata ricostituzione della Società Filarmonica di questo Capoluogo ». E per sopraggiunta << nel mentre si interessa il sig. Candiani capobanda a voler far conoscere le superiori prescrizioni in argomento ai singoli bandi disti, si dà premura la scrivente Deputazione richiamare specialmente l'attenzione di questo Corpo Filarmonico sulla circonstanza che il medesimo a sensi dei combinati paragrafi 28 e 24 lettera A della Patente 26 novembre 1852 resta sciolto per ora, salvo ad esaurire le opportune pratiche onde la società stessa possa ricostituirsi ex novo ».
Partiti dunque per suonare, i bustocchi filarmonici si trovarono suonati e con la Banda sciolta.
Ma, lo sappiamo, non passò un mese e già la nuova domanda era in corso, il Regolamento Organico pronto e approvato in ogni sua parte, e l'elenco dei filarmonici depositato, in bella calligrafia, negli uffici della Deputazione. I 26 componenti erano: 9 tessitori, 3 pizzicagnoli, 4 macellai, 2 fornai, 2 giornalieri, 2 falegnami, 2 calzolai, 1 sarto, 1 possidente. Vi erano 5 clarinetti, 3 tromboni, 4 trombe, 1 Corno, 1 Flauto, 1 Flicorno, 1 Grossa Cassa, 1 Pistone, 1 Flighelcorno, 1 Bombardino e 1 Bombardone, 2 Tamburini, i Bronzi, i Campanelli e, ultimo in lista e primo nelle sfilate il Porta Bastone, pizzicagnolo Gaspare Comerio.
Quanta sapienza i noster vècc
Un tempo a Milano, di chi scappava impaurito di fronte ad un pericolo, si diceva: "El va come on arian!". Il detto pare abbia origine dalla lotta sostenuta dal vescovo Ambrogio contro i seguaci di Ario, messi in fuga dal suo staffile. Una leggenda narra che la consuetudine di ritrarre Ambrogio con lo staffile è legata alla battaglia dei milanesi, capitanati dal Signore di Milano, Luchino Visconti, contro il cugino Lodrisio il 21 febbraio 1339 e vinta dagli ambrosiani.
La lotta che si combatté sulla neve fu sanguinosa; Luchino era stato catturato e le sue truppe disperse, quando nel cielo apparve la figura di S. Ambrogio a cavallo, armato di uno scudiscio nella destra, col quale colpiva i mercenari di Lodrisio sul viso, volgendoli in fuga! Come dire: "Scherza coi fant, ma lassa sta i sant!".
È tempo di ammazzare il maiale e anche questa è un'occasione in più per ritrovarsi; ai bimbi si poneva questo indovinello:
"Qual'è quell'animal che l'è bon de mort e minga de viv?" (il maiale).
Un proverbio comasco riscatta il simpatico animale accomunandolo al padrone: "Omen e purscej, anca se i è brott, i è bon e bej!" (Uomini e porcelli, anche se son brutti, sono buoni e belli).
Nella città di Teodolinda la luganega de Munscia viene ancora preparata su ordinazione del cliente in diversa quantità e misura.
In questo peana al maiale non poteva mancare la cassoeula, cucinata da mani esperte con "costin, pescitt, salamin de verza e ona quaj codega"... e se qualcuno avesse da obiettare circa l'utilizzo della cotica, ecco pronto un proverbio: "La cassoeula senza codegh e l'insalada senza aj, hinn istess d'ona sposa senza bagaj!"
A Torre de' Picenardi (CR) il salumificio Santini conserva le tra- dizioni: culatello, culaccia, salame con e senza aglio, cotiche con fagiolini, cassoeula, costine, piedini e tutto il quinto quarto del maiale. Una delizia per gli occhi ed un invito "a mett i gamb sotta el tavol".
**************** fine giornata ************************
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20 Dicembre 2023 - Mercoledi' - sett. 51-354
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati2606/QGLO528-Angera-industrie.mp3 - Angera: distillerie Rossi, le filande e calce torba -
Proverbio del giorno
- Folclore
Toponimi di Biandronno
8) Gefe Pagàn: località posta a circa 200 metri di fronte al Nüstrin, caratterizzata dalla presenza di un pozzo nel quale alla fine del XIX secolo Giuseppe Quaglia ha rinvenuto ossa presumibilmente umane che hanno fatto pensare ad un luogo utilizzato in epoca romana per compiere rituali pagani anche legati a sacrifici umani (Chiesa pagana). Forte è quindi il suo collegamento con la località adiacente del Nüstrin.
9) Gesiolo: o Gesiöör, è una piccola cappella a sud del centro del paese sulla strada che dal Montesé porta al Roncato. In dialetto la gésa è la "chies a" . Il nome della cappella quindi non è altro che il termine generico dialettale con la presenza del suffisso diminutivo -öl, passato ad -ör per il fenomeno del rotacismo. La voce è molto frequente nei microtoponimi lombardi con numerose varianti.
E stata restaurata la Fontana del Mosè.
. E da sempre e da sempre simbolo della vecchia mercallo, la Fontana del Mosè che abbellisce piazza Prandoni. Ringraziamo i volontari che hanno voluto dare una nuova vita con un restauro accurato.
La gioeubia e di tradizione.
Il 23 gennaio del 2023 si è svolta la dodicesima edizione del tradizionale falò dell'aGiobia. E anche quest'anno una giobia ridotta a causa della normativa COVID e la manifestazione purtroppo, si è svolta a porte chiuse,.. Ma l'accensione del falò è stata eseguita in diretta streaming... L'appuntamento per tutti con il consueto falò della Gioeubia 2023 è stato allietato dalla fanfara dei bersaglieri ed è previsto per il 22 gennaio in piazza Balconi. Sperando che nel 2023 ci si possa godere con più serenità e insieme il fuoco che scalda. E questo vale anche per il 2024.
Busto Grande - 170 anni fa
Capitolo quarto 2)
Diceva dunque il Regolamento:
< La Società Filarmonica viene instituita allo scopo dilettevole ed utile di favorire l'incremento dell'Arte Musicale e per aggiungere decoro e maestà alle funzioni solite tenersi nelle feste di Stato, ecclesiastiche ed altre... >>.
« Il numero dei Soci viene determinato in 30... >>.
« Al Direttore incombe l'obbligo di notificare al Delegato Politico, che la competente autorità troverà di nominare, quelle qualunque mancanze in cui incorresse taluno dei Bandisti per le opportune provvidenze; così pure è dovere del Direttore di notificare al Delegato Politico i soci che da sè si ritirassero dalla Società, come pure di non introdurre nella medesima un nuovo soggetto senza prima farne la relativa proposizione al Delegato Politico da cui verrà implorata l'amissione dal- l'Autorità Superiore >>.
« L'uniforme, a norma del figurino superiormente approvato sarà allestito e mantenuto a spese della Com- pagnia...», ma quì casca l'asino. Escluso d'autorità ogni apparato, daghe, elmi, divise simili a quelle mili- tari, che i nostri bandisti si erano già dovuti strappare dal cuore, era rimasto, a parere dei soci, un solo oggetto in discussione: il cappello.
Che cosa avreste proposto voi, in simile circostanza?
Noi non sappiamo come furono le discussioni, se animate o meno: è certo però che tutti i bandisti si trovarono d'accordo avendo rinunciato oramai a tutto il resto su un imponente « cappello alla Ulana » che deveva far urlare di ammirazione tutte le ragazze del borgo.
Ma era destino che non venisse nemmeno il colbacco. Una nota, in margine al foglio << umiliato alla I. R. Polizia » dice brusco brusco che « non essendo ammissibile la foggia militare in genere è naturale che anche il cappello all'Ulana non può essere permesso ».
E non era finita.
Si volle che tutti gli atti fossero corredati delle « fedine al nome dei singoli individui dei quali si indicherà ben anche lo stato economico e di famiglia e se per avventura l'entrare nella Società possa tornare dannoso alla domestica loro economia »; si fecero riserve sul nome del povero Candiani e lo si sostituì col signor Bernardo Pozzi << uomo intelligente in musica e sotto ogni rapporto più adatto »; si suggerì l'ingegnere Carlo Crespi a delegato politico « persona di una condotta la più commendevole ed egregiamente sentito nel pubblico ».
Dopo questo (gli sbirri austriaci erano più vigili che mai) venne forse il permesso: e la Banda Civica di Busto Grande cominciò la sua storia e si preparò agli immancabili trionfi, compresa la solenne partecipazione al Te Deum con Messa solenne che si teneva ogni anno il 4 ottobre per solennizzare, nella Chiesa Prepositurale, l'onomastico di « Sua Maestà Imperial Regia Apostolica l'Augustissimo Sovrano Nostro Francesco Giu seppe I ». Così diceva la prosa aulica del Commissario Distrettuale. Ed è per questo che - diciamolo fra noi - non fa nessuna meraviglia che nei primi giorni dopo la liberazione dall'Austria, i popolani bustocchi, per mandare uno a fare un mestieruccio mica male volgare, gli dicessero: < và a da vìa ul cessàtu guvèrnu! ».
Quanta sapienza i noster vècc
Ma adesso passiamo ad un altro argomento per rispetto verso coloro che sono a dieta e certe leccornie non possono permettersele... Dicembre è il mese della pioggia, del freddo, della neve ma anche della luce perché con S. Lucia (13 dicembre) le giornate cominciano ad al-ungarsi: "A Santa Lusia el pass d'ona stria!".
Aldo Milanesi scrive che per Santa Lucia i bambini andavano nella stalla a prendere un po' di fieno da mettere sul davanzale della finestra, per dar da mangiare all'asinello che arrivava carico di doni. In casa, invece, si apparecchiava la tavola con la tovaglia più bella e la cocuma del caffè era pronta da offrire alla santa perché almeno, col freddo che faceva, poteva scaldarsi un po' lo stomaco; al mattino seguente, guai se i bambini non trovavano la tazzina sporca di caffè!
Molto amata dai bambini Lucia, protettrice di Siracusa, in molte località lombarde sostituisce Babbo Natale nel portare regali ai più piccini: "Santa Lussia, mamma mia, cun la borsa del papà, Santa Lussia la vegnarà!".
A Cremona, in piazza Cavour, la sera del 12 dicembre, i venditori ambulanti fanno buoni affari vendendo gli ultimi giocattoli ai papà che non hanno avuto il tempo di acquistarli prima.
Offrono anche i famosi giardinèt, un misto di: nisoole, galéte, ciucarooi, zacaréle (nocciole, arachidi, castagne secche e mandorle) unite a noci, prugne e fichi secchi.
Sempre nel cremonese una leggenda racconta che la santa tirerebbe una manciata di sabbia del Po negli occhi di tutti i bambini che trova ancora svegli quando passa con l'asinello a distribuire doni; per paura di incontrarla, i più grandicelli prima di mezzanotte, girano a gruppi per le vie cittadine dando fiato ai loro zufoli per avvertire i più piccini che è tempo di dormire.
Quando entra qualche corpuscolo in un occhio è consigliabile rivolgere alla santa questa supplica: "Santa Luzia fim 'na fora 'sta purcheria!" poiché Lucia oltre che essere la protettrice degli agricoltori è anche invocata nelle malattie degli occhi, come ci fa sapere il detto milanese: "Che Santa Lusia te conserva la vista!" (per la verità riferito a chi mangia con ingordigia, in modo che possa vedere cosa sta divorando).
A Milano Santa Lucia è la patrona dei marmorin (lapicidi) che un tempo avevano la loro sede nella Cascina Camposanto posta dietro il Duomo dove, secondo una leggenda, nacque il famoso risotto alla mi lanese, gloria e vanto di ogni meneghino.
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21 Dicembre 2023 - Giovedi' - sett. 51-355
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati2606/QGLO547-Milano-celtica-01.mp3 - Milano celtica e la dracma padana -
Nessuna notizia dal Villaggio
Dove andare
Toponimi di Biandronno
10) Isola Virginia: detta anche Isulin "isolino". Triangolo di terra che si erge all'interno del * Si pensa che in cima a questa altura fosse collocata una torre di avvistamento romana poi utilizzata e fortificata anche dal Barbarossa. Ciò perché da questa posizione la visuale su tutto il Lago di Varese era perfetta ed era possibile vedere (anche a tutt'oggi) la torre di avvistamento romana più nota e documentata situata nel comune di Velate, paese sulla sponda nord del Lago di Varese. Storico, archeologo e scrittore, autore di numerose scavi nell'area del Lago di Varese. Sulle ricerche compiute si faccia riferimento al libro Dei sepolcri scoperti in 11 comuni del circondario di Varese, Varese 1881. Lago di Varese separato dalla costa da uno stretto canale chiamato Ticinello. L'isola, di circa 0.9 kmq, è ricoperta da una fitta vegetazione composta da salici, querce, ontani neri e canneti. Nell'antichità nota come Isola di San Biagio, venne acquistata nel 1822 dal duca Litta che la volle chiamare come la moglie Camilla. Nel 1878 l'isola cambiò nuovamente proprietario passando nelle mani di Andrea Ponti che subito la ribattezzò come la sua consorte, la marchesa Virginia Ponti Pigna, da cui il nome attuale di Isola Virginia. Dal 1962 l'isola è di proprietà del comune di Varese per gentile concessione del marchese Gian Felice Ponti. Attualmente l'isola ospita un museo dedicato alla famiglia Ponti e un bar-ristorante 0
11) Laghet: piccolo specchio d'acqua all'interno della zona acquitrinosa a nord-ovest del Lago di Varese, creatosi a causa della cava costituita per estrarre il materiale utilizzato per la produzione di mattoni nella fornace a sud del paese.
Comune di Mercallo - sec. XIV - 1757
La località di Mercallo, facente parte della pieve di Angera, venne citata negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano: era tra le comunità che contribuivano alla manutenzione della strada di Rho (Compartizione delle fagie 1346).
Angera e il suo territorio erano antico feudo degli arcivescovi di Milano. Nel 1350 il pontefice Clemente VI investì del feudo Caterina di Bernabò Visconti; nel 1397 Angera divenne contado, a favore di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano. Nel 1404 il feudo di Angera passò ad Alberto Visconti di Castelletto.
Nel 1449 il consiglio generale della comunità di Milano effettuò la vendita della pieve d’Angera, con la sua rocca, i poteri giurisdizionali e una serie di entrate fiscali, al conte Vitaliano Borromeo per lire 12.800 (Casanova 1930).
Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVIII secolo Mercallo risultava ancora compreso nella medesima pieve (Estimo di Carlo V, cart. 2).
Il comune di Mercallo nel 1751 rientrava nei feudi del conte Borromeo, a cui non si corrispondeva alcuna somma. Non vi risiedeva alcun giudice, ma si faceva riferimento al podestà di Angera, Giovanni Pietro Borrone, cui si pagavano annualmente 10 lire, 2 soldi e 6 denari, ed al fante 2 lire; il giuramento di rito veniva prestato alla banca del vicario del Seprio in Gallarate. La comunità aveva solo un console, che cambiava ogni mese, a rotazione tra i focolari. Il cancelliere risiedeva a Sesto Calende e curava le scritture attinenti al comune per trenta lire imperiali all’anno: non esisteva archivio. Lo stato totale delle anime era di 297 (Risposte ai 45 quesiti, cart. 3035, vol. D XV, Como, pieve di Angera, fasc. 8).
1757 - 1797
Nel compartimento territoriale del 1757 Mercallo risultava compreso nella pieve di Angera (editto 10 giugno 1757). - Il comune entrò nel 1786 a far parte della provincia di Gallarate, poi di Varese, con le altre località della pieve di Angera, a seguito del compartimento territoriale della Lombardia austriaca, che divise il territorio lombardo in otto province (editto 26 settembre 1786). - Nel 1791 i comuni della pieve di Angera risultavano inseriti nel distretto censuario XXXV della provincia di Milano (compartimento 1791).
1798 - 1809 - A seguito della legge 26 marzo 1798 di organizzazione del dipartimento del Verbano (legge 6 germinale anno VI bis) il comune di Mercallo venne inserito nel distretto di Angera. Soppresso il dipartimento del Verbano (legge 15 fruttidoro anno VI), con la successiva legge 26 settembre 1798 di ripartizione territoriale dei dipartimenti d’Olona, Alto Po, Serio e Mincio (legge 5 vendemmiale anno VII), Mercallo rimase nel distretto di Angera, che divenne il XIV del dipartimento dell’Olona. - Con il compartimento territoriale del 1801 il comune fu collocato nel distretto II di Varese del dipartimento del Lario (legge 23 fiorile anno IX). - Nel 1805 il comune di Mercallo venne inserito nel cantone III di Angera del distretto II di Varese del dipartimento del Lario. Il comune, di III classe, aveva 384 abitanti (decreto 8 giugno 1805). Il 21 dicembre 1807 Mercallo e le terre circonvicine avanzarono una petizione per essere aggregate al dipartimento d’Olona (petizione di Angera 1807). - A seguito dell’aggregazione dei comuni del dipartimento del Lario (decreto 4 novembre 1809, Lario), in accordo con il piano previsto già nel 1807 e parzialmente rivisto nel biennio successivo (progetto di concentrazione 1807, Lario), Mercallo figurava, con 334 abitanti, comune aggregato al comune denominativo di Comabbio, nel cantone II di Gavirate del distretto II di Varese, e come tale fu confermato con il successivo compartimento territoriale del dipartimento del Lario (decreto 30 luglio 1812).
1816 - 1859 - Con l’attivazione dei comuni della provincia di Como, in base alla compartimentazione territoriale del regno lombardo-veneto (notificazione 12 febbraio 1816), il comune di Mercallo fu inserito nel distretto XV di Angera. - Mercallo, comune con convocato, fu confermato nel distretto XV di Angera in forza del successivo compartimento territoriale delle province lombarde (notificazione 1 luglio 1844). - Nel 1853 (notificazione 23 giugno 1853), Mercallo, comune con convocato generale e con una popolazione di 553 abitanti, fu inserito nel distretto XX di Angera.
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22 Dicembre 2023 - Venerdi' - sett. 51-356
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati2606/QGLO530-Sacro-Monte-01.mp3 - Il nostr o Sacro Monte
Toponimi di Biandronno
12) Montége: zona ora pianeggiante un tempo caratterizzata da una masseria in cui avveniva la monta taurina e costituita da campi coltivati a mais. Oggi quest'area è tagliata in due dalla stazione ferroviaria di Travedona-Biandronno a sud-est del centro cittadino (per l'etimo v. Cadrezzate n. 13).
13) Montesé: piccola zona pianeggiante al di sopra di un leggero poggio che dal centro del paese porta alla Fornace a sud-est di Biandronno. Toponimo di non semplice interpretazione, forse da intendere come "monticello", legato indubbiamente al termine "monte", vista anche la sua collocazione geografica (v. Cadrezzate n. 13).
14) Nüstrin: piccola area pianeggiante che collega il Gesiolo alla Fornace. Alla fine degli anni '90 del Novecento, durante alcuni lavori di ricerca, sono stati trovati reperti e materiali che fanno presupporre l'antica presenza di un cimitero pagano. Di etimo incerto, forse da ricondurre ad una voce ticinese nèstula che significa "laccio" o "stringa"che si potrebbe riferire alla forma del terreno.
Storielle
AMORE PLATONICO - Vedere e non toccare è una cosa da imparare. (Proverbio italiano)
Compatitemi pure, scuotete la testa, ridete se la cosa vi fa ridere, ma io avrei voluto innamorarmi platonicamente: anche a rischio di far pensar male, di sentirmi citar continuamente a beffa il verso di Aleardo Aleardi: Si guardan sempre e non si toccan mai (son le due isolette vicine, simbolo dell'amore platonico romantico).
E come quel personaggio d'un "racconto idiota" di Alphonse Allais, che diceva:
"Io sono un tipo sul genere di Balzac. Bevo una quantità enorme di caffè.
lo sono un tipo sul genere di Napoleone. Mia moglie si chiama Giuseppina.
lo sono un tipo sul genere di Molière. Sono becco", avrei proprio voluto dal canto mio poter dire:
"Io sono un tipo sul genere di Dante: amo una donna d'un amore come quello di Dante per Beatrice": anche a rischio d'esser mandato da quella donna all'Inferno, anche a rischio di non esser creduto dagli amici: e quel ch'è molto peggio, da me stesso. "Sai? Amo una donna d'un amore platonico". "Non ci credo".
"Nemmeno io".
I sassi di Mercallo
Il comune di Mercallo ha acquisito la denominazione "dei sassi" per la presenza in loco di massi erratici. L'ambiente circostante, oltre alla presenza di terreni rocciosi, si caratterizza per lo sviluppo di colline in cui fanno capolino megaliti, tra boschi di castagno, conifere ed altre piante tipiche della flora del Lago Maggiore. - I massi erratici sono alcuni tra quelli presenti nel nostro territorio provinciale e documentano un fenomeno geologico di estrema rilevanza che ha avuto origine circa 60.000 anni fa: nel corso di varie glaciazioni, infatti, materiale detritico proveniente dalle montagne del Sempione e del Gottardo fu trascinato a valle dai ghiacciai. - Durante il ritiro e lo scioglimento di queste grandi distese di ghiaccio, che giunsero a ricoprire fin quasi le vette delle nostre montagne, questi enormi massi rimasero in loco, depositandosi e caratterizzando il paesaggio circostante.
Canto di mezzanotte - (9-10 giugno 1880)
Una cucitrice di ventisette anni, Giulia Mezzanotte, abitante in via Sambuco numero 3, fu presa ieri da mania religiosa. Col crocifisso in una mano, col libro di preghiere nell'altra, si diede a percorrere le vie, e alle dolci parole di pietà e di perdono univa pezzi della Traviata e del Rigoletto che cantava con voce stridente. Sul corso Vittorio Emanuele, le cose giunsero a tal punto, che si pensò da pietosi cittadini condurla all'ospedale.
AA CAPELETA DA S. AMBREUSU
Son passà da Canton Santu
t'hu ciercà, ul me Giesioeu,
tème càntu séa 'n fioeu, cun passion e cun magon;
Hu crià da tucc'i parti oibol par savé st'han cambià postu, ma purtroppu m'han rispostu: l'han trej dent'in d'un buron!
Un tempo sorgeva in Canton Santo una cappella dedicata appunto a Sant'Ambrogio. Dopo che fu demolita, con nostalgia scrisse Ernesto Bottigelli (1932):
(Son passato dal Canton Santo e ti ho cercato, o mia chiesetta, come quando ero bambino, con passione ed un nodo alla gola; ho gridato dappertutto, per sapere se ti avessero cambiato posto, ma purtroppo mi hanno risposto: l'hanno buttata in un burrone!)
Questi versi, pieni di rimpianto e di commozione, ci fanno pensare all'attaccamento dei Bustocchi per la loro città e al loro desiderio di mantenere intatto ciò che, se non loro, almeno i loro padri hanno contribuito a costruire.
I CUPETI
Le coppette erano così importanti nella vita dei Bustocchi che se ne è voluta studiare l'origine. "Un bel dì a Madòna da Prà
L'ha vorzù vegni foeua da cà:
Ul so coeui ga rendéa cumpassion
Che in d'un Bust ga fuss nanca un bumbòn. Chi pescitti, spassegiandu sutt'i pianti Han cambià tucci i sassi in croccanti: Chi manitti, inscì bianchi e devòtti I han quatà cont'a a nevi sua e suttu E vedendu a passà ul diavaén Par cuppal gh'i à tià in dul cuppén. E peu, dopu d'avèi benedetti,
L'ha vorzù ch'u ciamassen cuppètti.
(Un giorno, la Madonna in Prato è voluta uscire di casa; provava pena al pensiero che a Busto non ci fosse neppure un dolcetto. I suoi piedini, passeggiando sotto alle piante, hanno trasformato tutti i sassi in croccanti; le sue manine, così bianche e devote, li hanno coperti di neve sopra e sotto. E vedendo passare il diavoletto per accopparlo glieli ha tirati sul... cupén. Così, dopo averli benedetti, ha voluto che li chiamassero "coppette").
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23 Dicembre 2023 - sabato - sett. 51-357
Cosa ascoltare oggi
- redigio.it/dati2606/QGLO548-Milano-celtica-02.mp3 - Milano celtica e la dracma padana -
Notizia dal Villaggio
Toponimi di Cadrezzate
9) Gesiolo: piccola cappella campestre situata sulla strada che porta verso Brebbia. Un tempo queste strutture avevano la funzione di riparare i contadini nei campi durante le improvvisi piogge ed erano anche il luogo dove si pregava per la buona riuscita del raccolto e si benedicevano buoi e asini utilizzati per l'agricoltura e l'allevamento (v. Biandronno n. 9).
10) Martinello: strada consorziale oggi non più individuabile attestata nelle carte del Catasto Regio del 1905.
11) Mogno: in dialetto noto come Mügn. È una zona pianeggiante che porta verso Monate, ora area residenziale. L'etimologia del termine è dubbia ma si possono riconoscere due forme di riferimento. Il termine mògn nei dialetti alto milanesi può voler dire "umido", ma indica anche "un tipo di foraggio scadente". In milanese esiste, però, anche il termine mognon "salice" e la presenza di questa pianta in area lacustre è da sempre significativa per le comunità locali.
12) Moncalvo: altura di circa 300 metri a sud del paese al confine con i comuni di Osmate e Capronno, che i locali chiamano Muntcalv. Il toponimo è frequente anche in altre zone della Lombardia e d'Italia (cfr. Moncalvo località di Versiggia -PV-). Il nome, con tutta probabilità, richiama le caratteristiche di un monte poco ricoperto da alberi e arbusti (v. Comabbio n. 19).
Tempesta ormonale - (11-12 maggio 1884)
Un giovanetto quindicenne, certo Martino C..., era stato messo in pensione presso una famiglia milanese affinché fosse in grado di percorrere gli studi ginnasiali nella nostra città. Il ragazzo invece di studiare si invaghì perdutamente della sua padrona di casa, la quale, alle proteste d'amore del giovanetto, rispondeva che sarebbe stato meglio mettesse giudizio. Tanto bastò per mettere alla disperazione il disgraziato Martino, il quale in un accesso di furore non seppe pensare nulla di più nuovo che farla finita colla vita. Andò nella sua camera e trangugiò una miscela di pasta badese, fiammiferi e acqua ragia. Ma non andò molto bene: atroci dolori gli strapparono altissime grida: la padrona accorse e fu in tempo a mandare a chiamare un medico. Il medico arrivò subito e somministrò al giovanotto un potente ematico col quale lo salvò subito da ogni pericolo, e lo guarì probabilmente dalla melanconia del suicidio. Non gli mancherà tempo di far la corte alla padrona di casa.
VIGILIA DI NATAL
L'ospitalità, per i vecchi, era una cosa sacra. Non si poteva ricevere il Natale senza ceppo. Non c'era tempo da perdere; si andava sulla lòbia (solaio), si prendeva il ciocco più anziano, quello che era lì a stagionare da almeno cinque anni, pronto per essere bruciato. Stando nel sottotetto, si era un po' inumidito: bisognava dunque portarlo giù e collocarlo vicino al focolare, per lasciarlo seccare bene. Se ad una finestra mancava un vetro ed entrava il freddo, occorreva mettervi rimedio. Per un vetro nuovo ci volevano ben trenta centesimi, poca cosa per dei signori, ma troppi per chi non ne ha. Si rimediava allora con un pezzo di carta dei bachi da seta, impastata con farina di segala inumidita. Col mar tello, la tenaglia, qualche vite ed un po' d'olio, si rimetteva in funzione l'uscio di casa.
La massaia lucidava il rame, che splendeva come oro appeso al muro della cucina. Le ragnatele venivano spazzate dagli angoli a colpi di scopa. Gli ultimi "schittaboeugi" venivano stanati dai loro inacessibili nascondigli, mentre i ragazzi si indaffa- ravano a spazzare il cortile. In un angolo della cucina, a circa due metri di terra, era pronto il Presepio, col Bambino sulla culla di paglia. Mentre il Bambino era di gesso, le altre figure erano di cartone. Come base, c'era un grosso strato di "teppa" verde, raccolta pazientemente sulle scarpate della ferrovia. Il prete, venuto a benedire la casa, l'aveva trovata in ordine.
La sera della vigilia, in casa del nonno, si mangiavano i "sbatuèi" (frittelle). Dopo il pasto, c'era la recita del rosario, particolarmente lenta, perché era una sera diversa dalle altre.
Poi, tutti pendevano dalle labbra del nonno, il quale comunicava il programma per il giorno successivo.
BRUSCITI
È questo il re dei piatti della cucina bustocca, anche se si è profondamente modificato nel tempo. Spieghiamoci meglio. Le donne bustocche sono sempre state altrettanto operose dei loro uomini; mentre si occupavano della casa e dei figli, si dedicavano anche al lavoro al telaio, in casa o fuori. Avendo poco tempo da riservare alla cucina, impararono presto ad arrangiarsi. Quando ne avevano la possibilità (economica, s'intende), si procuravano un pezzo di manzo ben maturo, reale o tampetto o fustello, e lo sminuzzavano con un coltellaccio. Ponevano in uno "stuén" di terracotta un pezzo di burro e vi versavano la polpa che iniziava una lenta cottura tra le braci del camino, insaporita dall'erbabona (semi di finocchio), messa in un sacchettino di tela, da poco sale e, talvolta, da uno spicchio d'aglio tritato. Non era necessaria una assistenza continua, per cui la donna poteva dedicarsi ad altro. Poco prima del pranzo, il fuoco veniva attizzato ed i brusciti erano sgrassati con una... sgüriàa di vino. Oggi i fornelli hanno sostituito il camino, di cui le case sono quasi sempre prive; il macellaio provvede a macinare la carne e qualcuno ha apportato la variante dell'aggiunta di un po' di salsa, ma i brusciti restano sempre un gran piatto, ancor più invitante se accompagnato da una polenta ben cotta e soste- nuta, ma non dura, fatta con la farina bramata o bergamasca, di grossa macina, mescolata con un "regundén" di legno in un paiolo di rame.
A Busto non è neppure concepibile una Gioeubia senza pulenta e brusciti.
STUA' IN CONSCIA
Per lo stuà in conscia ci vuole la coppa di manzo, ben mondata e poi fatta a pezzi grossi come un'arancia. I pezzi di carne si collocano in una marmitta; sopra si spargono foglie di alloro, di rosmarino, ginepro ed altre erbe aromatiche. Si versa poi sul tutto del vino di altra gradazione, possibilmente dello Squinzano. Si lascia tutto in infusione per almeno due giorni.
Si colloca poi sul fuoco la padella, meglio se di terracotta; vi si versa molto burro - di quello buono - e si aggiungono delle fette di pancetta. Si rosolano quindi i bocconi di carne tolti dalla marmitta. Si aggiunge una cipolla tacchettata di chiodi di garofano: cipolla che a metà cottura si può togliere, perché la sua funzione è finita. La coppa deve cuocere a fuoco molto lento, per circa tre ore. A mano a mano che la carne cuoce, la si inumidisce col vino che è servito per l'infusione. Una mezz'ora prima del termine della cottura della carne si aggiungono le patate, nella misura di due per persona. Per lo stufato, ogni contadino coltivava una mezza pertica di "pundatèra quarantén", che avevan la buccia. grigio-violetta ed eran rotonde, perfette, della gros sezza di una mela nostrana. Questa qualità di patata era molto dura, faceva poca acqua, cosicché poteva assorbire, senza sfasciarsi, il condimento. La patata in conscia diventava tanto buona da essere preferita alla carne.
Oltre le tradizionali "copette", un'altra specialità di alcuni anni è stata realizzata da una nota Pasticceria del centro cittadino: la pulenta e brusciti" nella versione di un gustosissimo dolce in una confezione veramente originale.
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24 Dicembre 2023 - Domenica - sett. 51-358
Cosa ascoltare
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Notizia dal Villaggio
Toponimi di Biandronno
15) Ponte della Brabbia: piccolo ponticello in ferro situato sulla strada che da Comabbio porta a Varese e che sovrasta il fiume Brabbia, dialettalmente noto come Bràbie, confine naturale tra Biandronno e Cazzago Brabbia (v. Cazzago Brabbia n. 1).
16) Roggia Gatto: nota anche come Rùngia. Piccolo corso d'acqua che unisce il Laghèt al Lago di Varese e taglia latitudinalmente il comune passando al di sotto della strada provinciale che da Biandronno porta a Bardello. Il nome è da far risalire con tutta probabilità alla voce dialettale gat "canale di scolo" ben attestata nelle aree del piacentino e della Lombardia meridionale.
Dicembre
Il fiore del mese di dicembre è il vischio, simbolo della riservatezza e dell'immortalità. Una leggenda nordica narra che il dio Hödhr uccise il fratello Balder con una freccia ricavata da un ramo di vischio. Frigg, la madre, disperata pianse a lungo, bagnando con le sue lacrime la freccia conficcata nel corpo del figlio. Odino, commosso da tanto dolore, tramutò le lacrime in bacche perlacee che da allora adornano il vischio che mettiamo all'ingresso delle nostre abitazioni in segno di augurio.
"Se pioeuv per Santa Bibiana, pioeuv per quaranta dì e ona settimana" oppure:
"Se fiocca a Santa Bibiana, ven giò nev per ona settimana". Pioggia e neve accompagnano questa santa che si festeggia il secondo giorno di questo mese.
Per noi lombardi però Vess devot a Santa Bibiana ha un altro significato! Il detto sta ad indicare gli amanti del vino che, oltre ad essere appellati: gainatt o ciucheton, erano detti anche bibianon, parola che il popolino, pare abbia ricavato dal latino bibo (bere), abbinando poi bibo a Bibiana, perché proprio in questo periodo il vino novello è pronto per la degustazione:
"Prima impieniss la damigiana e poeu svoiela a Santa Bibiana!"
Dice la sapienza di noster vècc: "In dicember la nev l'ingrassa i campagn" e che: "El someneri dicembrin el var nanca tri quattrin". E tempo di preparare il terreno per le semine primaverili, arandolo profondamente e concimandolo per avere un buon raccolto:
"La terra in tutti i piagh fà con l'araa, la pareggia i 'legrij del fogoraa!".
Nel frutteto e nel vigneto, se le giornate sono serene e non si prevedono gelate, si possono fare le potature; attenzione però, perché: "Tajadura malfada, pianta ruinada!".
"La fiocca decembrina per tri mes la te confina" e siccome:
"La prima nev l'è di can, la seconda l'è di gatt e la terza l'è di cristian", sia gli uomini che le donne, se possono, evitano di uscire perché per le strade si forma quel piciopacio che invita a starsene volentieri in casa quacc, quacc e al cald.
In Brianza, come spiega nel suo libro Ottorina Perna Bozzi, la cà non voleva indicare la casa, ma la cucina, che ne era il cuore, soprattutto d'inverno. Grandissima, pavimentata con mattoni rossi era dominata dal camino, dove ai suoi lati e davanti, su delle lunghe panche i vecchi passavano il tempo scaldandosi e bevendo grappa alla ruta erba, a loro dire, dai poteri taumaturgici: "L'erba ruga, tutt i maa i e destruga!". In questa stagione si mangiano polenta e castagne, la furmentada (minestrone di frumento) e i missoltitt (agoni essicati al sole e al vento del Lario) scaldati in sù la stua.
Spetta a San Nicola il compito di preservare la gola dalle malattie stagionali con panini benedetti in chiesa il 6 dicembre, giorno in cui lo si festeggia.
Il 7 dicembre in tutta la diocesi milanese si onora S. Ambrogio. Dice un vecchio adagio: "Per S. Ambroeus, buratta e coeus!". Abburatta, ovvero, separa la farina dalla crusca e dividila secondo la finezza poi impasta e cuoci il pane; gli scopi sono due: avere il nutrimento base e scaldarsi mentre cuoce, perché il freddo è intenso, come ci ricorda una variante dello stesso proverbio: "A S. Ambroeus el fregg el coeus!".
Cosa preparo oggi
I sardinn marinaa - In del pessee comprà quand che gh'in bei fresch e bon mercaa e bei gròss, on mezz chilo de sardinn e, dopo avei nettaa co'l toeugh el coo, i busecch e peu el coin, e dada ona lavadina, fai sugà distendei su on mantin. Intant fa 'sta tridadina:
mezz'on fesin de ai 'na scigoletta, on poo d'erborin fresch, dò gamb de zeller, de laur ona foietta, tre inciòd con foura i resch.
Mett in piatt i sardinn con la tridada ben fina, on duu cugiaa d'asee, cinq d'òli fin, ona sbroffada de pever e de saa. Messedai con riguard de nò spelai e in d'on biellin bel pian, a coa in dent, a schena in sù, piazzai ben ben de man e man, tucc in coròna. Coeusi sul fornell ò in forno ma adasin
con poggiaa sui sardinn, giust a cappell on piatt ò on covercin.
Quand in frecc, impiattai co 'l sò bagnett e spremegh soravia
mezz limon. Guarnij poeu con di fett de limon tutt el piatt. E così sia.
Lago di Varese
Inserito in una splendida posizione geografica, ai piedi del massiccio del Campo dei Fiori è lungo 8,8 Km e largo 4,5 Km. Percorrendo il tratto iniziale dell'autostrada Varese-Milano si gode uno dei più bei panorami, un'ampia e verdeggiante conca che ospita il Lago di Varese, disseminata di ville ed insediamenti ben armonizzati nel paesaggio. - Il massiccio del Campo dei Fiori digrada, con lieve pendio, verso lo specchio lacustre, mentre in lontananza la catena delle Alpi con il Monte Rosa che si staglia nitido, fa da sfondo. Sulla riva occidentale del Lago di Varese si trova la piccola Isola Virginia, che rappresenta un importante insediamento palafitticolo tra i più importanti d'Europa. - Oltre cinquantamila persone intorno al Lago di Varese per dare vita all'abbraccio più grande del mondo ed entrare, così, nel guinness dei primati.
Playboy - (15-16 novembre 1880)
La turpe speculazione da cui è contaminata Parigi ha trovato degl'imitatori a Milano. Le cantonate sono da qualche giorno tappezzate dall'annunzio d'un giornale "in gran formato" che "dovrà leggersi soltanto dagli uomini". Qual è il suo programma? Eccolo tal quale: «Dilettare, divertire, accarezzare, blandire, solleticare, in questi verbi sta il programma. Vi racconteremo storielle appetitose, scollacciate, avventure galanti più o meno avventurose in tutto lo sfoggio della loro provocante nudità. Saremo insomma più realisti del Boccaccio, più veristi del vero». La questura e l'autorità giudiziaria avranno, speriamo, già provveduto a quest'ora per reprimere quest'industria corruttrice. Noi l'aiuteremo con tutto il vigore, denunciando al pubblico gli scrittori che le presteranno l'opera loro, se potremo conoscerne i nomi.
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