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Cascina Scolari - Cort di Bertòcch – Cort di Marziali.
Si trova in via Fratelli Gorlini, all’incrocio con Via Lampugnano, è reputata una delle cascine più belle di Trenno. La Scolari Turati all’inizio del 1900 era la più grande possidente in Trenno, in questa cascina teneva le stalle con le mucche da latte e gli altri animali, nella Melghera invece aveva i ricoveri per le granaglie e le case dei contadini. Dopo la Scolari in questa cascina sono venuti i Bertocchi ed adesso ne sono proprietari i Marziali. I Marziali, prima di condurre questa azienda, svolgevano l’attività di mugnai nel vicino Molino dei Bissi.
Oltre a questa cascina, Rosa Scolari era proprietaria anche della Cascina Melghera, della cascina Fametta, della Maiera, della Molinazzo, della Belgioioso, la Corte degli Ortolani ed altre. Figura controversa quella di Rosa Scolari, per alcuni vecchi abitanti di Trenno è stata una bravissima persona, per altri invece il contrario.
Così scrive Luca Sarzi Amadè nel suo libro “Milano fuori di mano”.
“ …Della cascina Scolari, demolita, sul portone di via Gorlini 34 sono riportate due colonne con capitelli palmati del Quattrocento. Dello stesso complesso, in via Gorlini 40, sussiste villa Melzi: portico cinquecentesco spogliato di ogni orpello e amputato. All’interno ampia sala con tre stemmi barocchi, e camere con cassettoni e soffitti originali (tardo Quattrocento). Un masso, ivi conservato, occludeva l’imbocco di una rete di cunicoli diretti, si vuole, al Castello Sforzesco, S. Romano, Figino, di cui qualcuno, che vi si avventurò, ricorda lo sfiatatoio dietro la statua della Vergine, nella cappelletta all’angolo GorliniAd Giorgi. La tradizione li attribuisce ai “franchi muratori” che avrebbero compiuto riti satanici su ragazzine rapite in paese.
Angelo Tremolada (il grande Arcano), a proposito di questa proprietaria e di una delle sue cascine: la Cort di Ortolan, così ha scritto in un articolo dell’ottobre 1988 per “Milano19” :
“… Quale estrema periferia milanese Trenno è stata molto amata e nei ricordi dei più anziani cittadini sono rimaste molte gite fuori porta, le “merende” ai Boschetti di Trenno, la nascita del galoppatoio e le scuderie che hanno raggiunto fama internazionale. Ci siamo soffermati al civico 175 di via Lampugnano per ammirare i resti scomposti di una civiltà contadina in parte rivoluzionata in seguito ai rinnovamenti di tutta la zona circostante ed ora nel mirino d’una parziale ricostruzione esterna (il corpo principale verso strada) mentre un cartello all’interno già avverte della demolizione. Risalendo alla primitiva proprietaria, Rosa Scolari, si è potuto apprendere qualche particolare incisivo dalla viva voce di un ultraottantenne dalla mente non ancora annebbiata. Il Comune di Milano ebbe un suo preciso interesse a fare incidere sulle targhe che indicano la piazza a lei dedicata, oltre al casato e agli estremi di nascita e di morte, “benefattrice”. Certamente la Scolari ha ceduto al comune spazi e terreni di proprietà; sia per il capolinea dell’autobus che congiungeva Trenno a Milano sia per la rinuncia alla proprietà di tutto il percorso del Cagnola ( canale irriguo) ed altre cessioni. Eppure la “benefattrice” andava a spiare se i suoi dipendenti delle varie cascine consumavano qualche ceppo di legno di troppo, scrutando il fumare dei camini, fiutando nell’aria se nelle pentole cuocesse qualcosa di più del solito per il frugale pasto dei contadini (legna e cereali erano parte integrante del salario). “Benefattrice de carità pelosa” mormoravano; ma ieri non è molto diverso dall’oggi, sono cambiati i tempi non i costumi di certo ceto padronale, munifico con il comune e gretto con i sottoposti.
E torniamo al 175 di via Lampugnano, A sinistra dopo l’ingresso della costruzione v’è ancora una delle antiche testimonianze dell’epoca: una scala in legno con la “lobbia” di pregiata fattura ed una soffittatura di bel disegno ancora ben conservata. Nella attigua abitazione si trova al primo piano un imponente camino ai cui lati fanno da ornamento due cariatidi e sul frontale in alto fregi di richiamo storico nobiliare. L’altezza dei plafoni è prossima ai 5 metri e lascia intravedere una possente travatura di cui la sezione è impressionante: 30x40 centimetri per una lunghezza di 6 metri…”
“… in un’altra abitazione abbiamo notata una scala alle cui pareti residui di affreschi richiamano ai fasti di tempi remoti; già qualche decina d’anni addietro se ne era tentato il recupero, ma lo stato di conservazione pessimo ha sconsigliato di procedere in tal senso.
Lo sfratto incombe sugli attuali inquilini: la cascina sarà ristrutturata, dicono, ma non se ne conosce la futura adibizione e tanto meno garantita la presenza degli attuali affittuari.
E poi Trenno si trasforma… Gli ipocriti dettami di conservazione dell’ambiente non lasciano spazio a molto credito: non si meraviglino i nostri lettori se tra qualche anno si ritroveranno di fronte ad un cubo di cemento, malinconico, grigio, anonimo o meno, ma sicuramente privo di ogni romanticismo. Se così sarà ogni ulteriore atto d’accusa troverà il tempo a segnarne l’oblio; c’è chi vuol dare al progresso una spinta pericolosa nel contesto di una falsa dimensione sociale nuova, poi piange!…”
In questa cascina erano affittuari e svolgevano il loro lavoro di ortolani i Vaghi, i Ghezzi, i Sordelli ed i Bossi. Per fortuna questa cascina non è stata abbattuta, al contrario è stata ben ristrutturata, però quasi tutti gli antichi affittuari hanno dovuto lasciarla. Di tutti i vecchi ortolani è rimasta solo la famiglia Bossi.
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Piede