RVG settimana 19
 
Radio-video-giornale del Villaggio
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Settimana-19 del 2024
 
 
RVG-19 - da  - Radio-Fornace
 
Settimana 19       2024-05-06 -  Dicembre - Calendario - la settimana
06⁄05 -19-127 - Lunedi
07⁄05 -19-128 - Martedi
08⁄05 -19-129 - Mercoledi
09⁄05 -19-130 - Giovedi
10⁄05 -19-131 - Venerdi
11⁄05 -19-132 - Sabato
12⁄05 -19-133 - Domenica
 
 
06 Maggio 2024 - lunedi - sett. 19⁄127
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
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Dati di concessione. (10- )
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-127-1.mp3 - Dati di concessione. (10- )
C'era una volta un piccolo frutteto.
Un pergolato, brevi filari d'uva, due prolifiche piante: fichi bianchi e neri. Stava dietro ad una bottega, un antro semibuio illuminato dal fuoco di una fucina; l'inverno sembrava incastonato nella nebbia.
Sopra l'ingresso, quale insegna, allineati ferri di cavallo.
Ai lati si fermavano i ragazzini attirati dall'inconfondibile odore di zoccolo bruciato: chissà la voglia che avevano di agitare quel manico di scopa in cima al quale era legato un mozzicone di coda, di cavallo appunto, arnese indispensabile per scacciare le mosche che infastidivan le bestie.
Il cadenzato batter del martello sui chiodi, ritmava la giornata.
Vapori soffiati da un secchio colmo di acqua dove s'immergevano i ferri incandescenti, filtravano tanto spettacolo quasi irreale.
La curiosità dei passanti non disturbava i maniscalchi: berretto in testa ed il grembiulone in cuoio di misura a tre quarti per non disturbare i movimenti, scendeva ancor più solenne.
Non c'eran garzoni a reggere la zampa del cavallo; ognuno doveva eseguirlo da solo il lavoro, bene e con la massima indipendenza.
Un documento procuratoci dalla Mariuccia dice che suo padre: Umberto Cattaneo nato a Milano nel 1890, consegue nel 1927 a pieni voti, l'attestato della "Scuola professionale teoricopratica di MASCALCIA".
Può quindi esercitare a pieno titolo in quella bottega sita in Ripa di Porta Ticinese al 77; l'antenato Luigi, l'artiere fondatore lì aveva iniziato l'attività nel 1866.
Correva l'anno XVII dell'era fascista, ossia il 1939; nel celebrato di del XXI Aprile, l'associazione nazionale degli artigiani conferisce alla Ditta la medaglia di bronzo.
Oltre all'Umberto, ci lavorava anche il fratello Luigi, "el Gin", così chiamato; niente da stupirsi, poichè di Luigi detto come scritto, era concepito solo quello del "vago giglio di candore immacolato".
Avevano alle dipendenze quattro lavoranti e c'era da fare per tutti, spesse volte tralasciando di santificare le feste.
Nessuna meraviglia, poichè mettendo insieme gli spedizionieri che operavano in zona, si potevan contare ad occhio e croce un centinaio di cavalli: quindi per ottenere un lavoretto ben fatto, si doveva procedere per appuntamento. A questi si aggiunga poi il ferrar in sede alla Centrale del latte in Pompeo Leoni, presso la quale si dovevan per forza recare la domenica.
A proposito correva voce che: "el Berto l'è forsi l'unich che el sà come se ferra on boeu".
Non che i buoi avessero a che fare con la Centrale del latte, ma tanto per sottolineare quant'era considerato nel suo mestiere.
Il terzo fratello, l'Ambrogio era veterinario; in pratica attività a ciclo completo, tutto in famiglia.
Persona tutto di un pezzo "el scior Dottor"; non ha mai voluto legarsi ad alcun carro.
E' chiaro che faticò sempre per avere delle condotte: con quelli di prima della guerra del '40 per un verso e con gli altri dopo il '45 per un altro.
La "mascalcia" chiuse nel 1951 dopo 85 anni di attività: era in arrivo l'invasione dei veloci quanto fragorosi motori.
In crociera sul Naviglio tra musica e castagnaccio
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-127-2.mp3 - In crociera sul Naviglio tra musica e castagnaccio
Secolo scorso. Da non confondere con la "battèlla", che trasportava soltanto merci, "el barchett" era il barcone riservato ai passeggeri che partiva dalla Darsena di porta Ticinese e, risalendo il Naviglio Grande, approdava a Boffalora sopra Ticino. Un percorso di circa 50 chilometri, un dislivello di 33 metri da superare, il viaggio durava all'incirca quattro ore. Al ritorno, in direzione di Milano, "el barchett" procedeva più spedito, perchè scivolava con la corrente a favore: se non c'erano intoppi riusciva a risparmiare anche quarantacinque minuti. Rimanere tante ore sopra l'acqua, davanti agli occhi un paesaggio che nemmeno allora era dei più ameni, il problema capitale era come rompere la monotonia. Non diversamente da come ci si comporta oggi durante una crociera nel Mediterraneo, si oziava, ci si perdeva in chiacchiere, pettegolezzi, si giocava barando a carte, si sbadigliava e si dormiva. A bordo, s'intende, non c'erano cinema, nè salette da ritrovo, mancavano pure ristorante e bar, ma, quanto a mangiare e bere, nessuna difficoltà. Un sacchetto di provviste per le più elementari necessità i viaggiatori previdenti se lo portavano da casa: pane, formaggio, salame, un fiasco di rosso e una bottiglia d'acqua che, col trascorrere delle ore e quando il sole bruciava, diventava imbevibile. Poi, c'era il ristoro volante. Assicurato da "quell di cùni", tanto per citare, da "quell di pericotti", dal "Gigi de la gnaccia", insomma da una schiera pittoresca di venditori ambulanti che per una manciata di centesimi offrivano fili di castagne, pere cotte, castagnaccio. Non mancava l'intermezzo musicale. Lo assicurava il "torototéla". Parola che significa insieme sia lo strumento, sia il suonatore. Nel suo monumentale, prezioso e insuperabile Vocabolario Milanese-Italiano, edito nel 1839, Francesco Cherubini scrive che si trattava di un "rozzissimo strumento musicale consistente in una sola corda di budello raccomandata ai due capi d'un lungo bastone e tesa per mezzo d'una vescica gonfia d'aria che verso la cima le serve da tavola armonica". Quanto al suonatore, il giudizio di Cherubini è d'impietosa stroncatura. "Fin verso il quarto lustro del secolo attuale - scrive - questo "Torototéla" fu lo strumento prediletto da quegl'idioti che formavano le delizie del nostro volgo con certi loro improvvisi ne' quali per tutta poesia non si udiva che una tempesta di rime storpiate allusive alle persone che ne formavano l'uditorio e terminanti nel perpetuo intercalare "Torototéla, torotototà". Avrà anche stonato ignobili filastrocche, il bistrattato "Torototéla», però a modo suo sapeva pure interpretare le infauste battaglie di Dogali e di Adua a intenerirsi sulle miserie di chi emigrava verso le lontane Americhe. Comunque, è stato un personaggio, cancellato da quella stessa morte lenta, naturale, indolore, che ha messo in secca anche "el barchett de Boffalora", soppiantato dalle prime tranvie a cavallo.
Va là va là barchett 'n su l'acqua 'nsognorenta e mena giò bel quiett sto mond de poverett.
I grand giughenn a sbatt i fioeu giughenn a l'oca; speremm, sto temp malnatt, ch'el pioeuva no o ch'el fiocca.
On vecc con la badinna
con denter i lenzoeu tri piatt 'na fiamenghinna e quatter tovajeou.
'Na sposa in scossaron in brascia on fioeu de tetta la usma on caldaron sperand quell pocch che spetta.
Gh'hann i front de preja lustraa de la schighera e gh'è chi ghe someja a on moccolott de cera.
E cascen via i dolor coi fiasch: in sto calvari el lumm de on'osteria l'è mej d'on santuari.
Va là va là barchett 'n su l'acqua 'nsognorenta e mena giò bell quiett sto mond de poverett.
 
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07 Maggio 2024 - martedi - sett. 19-128
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
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Busto Arsizio - cap. 9 (1⁄3)
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-128-1.mp3 - Busto Arsizio - cap. 9 (1⁄3)
<< Locchè vorrà compiacersi di eseguire anche in confronto di Crespi Pasquale detto Bilì altro individuo che proferiva minacce contro questa Guardia Nazionale... Busto Arsizio 28 giugno 1859 ».
Era successo che il 26 giugno, nella contrada Savico si era avvertita una << esplosione di arma da fuoco » al passaggio del « pelottone » della Guardia. Orrore! (E magari chissà che paura nel corpo dei nostri bravi militi bustocchi!) Attentato? Tradimento? Ghè scià anmo i tudeschi? I componenti del « pelottone >> comandato dal sergente Travelli Gilberto « che pattugliava per quella via » non si persero d'animo. Perlustrarono nei dintorni e agguantarono certo Carlo Galazzi detto Badan e lo portarono al Corpo di Guardia.
« A pronta evasione della nota di codesta Lodevole Autorità si fa rapporto come l'aresto di cui è cenno nella Denuncia 27 and. al n. 15 di Protocollo della Guardia Nazionale in luogo seguisse nella persona di Carlo Galazzi detto Badano, Possidente e Negoziante di Bestiame in Busto Arsizio, che si credette autore di esplosione d'arma da fuoco nella contrada Savico, quando appunto il Pelottone di Guardia Nazionale comandato dal Sergente Travelli Gilberto pattugliava per quella via. Venuto al Corpo di Guardia, e perquisito individualmente, non lo si rinvenne detentore di arme alcuna, per cui nella imputazione diretta, ma non bene accertata, e stante la notorietà del soggetto non pregiudicato in via politica, fu rimesso in libertà, coll'ammonizione che si credette del caso... ».
Evidentemente si era preso un granchio e l'autore dello sparo aveva saputo tenersi ben nascosto. Ma l'arresto e la perquisizione del Galazzi non andarono a genio del Muto dul Mania e del Bilì e di altri che si erano raccolti per la strada, minacciosi e armati di pistola e forse decisi a pescare nel torbido. I tedeschi si erano allontanati da Busto da soli venti giorni e la Guardia composta tutta di bustocchi, evidentemente. non incuteva paura nè rispetto. Sembrava dunque facile raccogliere gente e far chiassate e minacce all'indirizzo dei militi. Ma il Comandante della Guardia e la Deputazione non si lasciarono impaurire e ritornarono alla carica, nonostante la perquisizione infruttuosa.
<< All'Onorevole Deputazione Comunale in Busto Arsizio. Pur troppo presentivasi che la perquisizione di armi presso il Crespi Gio. Battista detto Muto, non avrebbe dato alcun risultato, mentre individuo facinoroso, ed astuto, come è, sa ben nascondere i mezzi di cui usa ad azioni delittuose, od al domicilio di complici, od in località che non lo possano compromettere. Ad ogni modo si insta, e si prega perchè un soggetto così pessimamente pregiudicato, e pel quale vi hanno già precedenti sentenze d'arresto, ineseguite per ordinaria latitanza sia tradotto nelle carceri colla possibile sollecitudine a cura dei Reali Carabinieri, in vista anche della Pubblica Sicurezza, e per prevenzioni di possibili disordini: dovendo bastare il titolo denunciato a tale misura, di cui si forniranno le incontrovertibili prove alla Autorità inquirente, non potendone per ora essere a competenza di codesta Onorevole Deputazione la procedura del caso: e bramando momentaneamente i Testimonj, che verranno al Giudizio indicati dal Capitano Denunciante conservarsi innominati, a declinare possibili soprusi, e personali vendette delli incriminati Crespi Muto e Bili Pasquale pur troppo di squisita capacità a qualsiasi mal'azione.
<< Si officia poi il patriottismo, e l'encomiata risolutezza di codesta onorevole Deputazione a volere con morale appoggio, e con valida cooperazione coadjuvare al servizio della Guardia Nazionale coll'accoglierne i rapporti del caso, e adottarne l'eventuali proposte, che saranno sempre dirette alla conservazione del Buon Ordine, onde congiuntamente tutelare il decoro, e la pubblica fiducia, corrispondendo con nobile gara alle dispositive del Regio Potere per la rigenerazione felice di questa nostra cara patria, che sta nel voto universale. Busto Arsizio, il 28 giugno 1859. Il Comando della Guardia Nazionale. D.re Travelli Gio. Donato Capitano, Ing. Carlo Ferrario Tenente ».
Il "Galmarini" di Tradate, nato dall’amore paterno
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-128-2.mp3 - Il "Galmarini" di Tradate, nato dall’amore paterno
Il "Galmarini" di Tradate, situato nella zona nord della cittadina e con ingresso in piazza Zanaboni, già via 11 Febbraio, iniziò la propria attività come "Opera Pia Ospedale Civile - Luigi Ambrogio Galmarini", per iniziativa del tradatese Agostino Galmarini, sensibilizzato dalla necessità di un ospedale in Tradate dalla morte in giovane età dei quattro figli, avvenuta presso l’ospedale di Ginevra. Inizialmente l’Istituto era finalizzato al ricovero, cura e mantenimento degli infermi indigenti residenti a Tradate. Il personale era composto da un medico, due infermieri e tre suore appartenenti all’Ordine di San Vincenzo. Nel 1925 si costituì il Circolo Ospedaliero e l’anno successivo iniziarono i lavori di ampliamento completati nel 1929. Nel 1930 venne dato l’avvio alla costruzione del Padiglione Sanatoriale, che divenne attivo il primo marzo 1933. In seguito la struttura si estese con ampliamento del padiglione centrale (1951), la costruzione di un nuovo padiglione destinato a Medicina, Maternità, Laboratorio Analisi e Radiologia (1958), l’ampliamento del Sanatorio con l’attivazione dei reparti di Otorinolaringoiatria, Oculistica, Pediatria, Dermatologia ed infine la costruzione di un nuovo complesso di sei piani destinato alla Chirurgia Generale, Ortopedia, Pediatria, Ostetricia⁄Ginecologia, Nido, Anestesia e Rianimazione, Uffici Amministrativi (1970). Contemporaneamente il primo edificio venne adibito a scuola per infermieri professionali, che iniziò l’attività nel 1971. Nel 1981, con la riforma sanitaria, il presidio entrò a far parte dell’USSL n. 7 di Tradate e successivamente dell’USSL n. 3 di Busto Arsizio. Dal 1998 il "Galmarini" fa parte dell’Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio.
Galleria V. E.
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-128-3.mp3 - Galleria V ittorio Emanuele.
La Galleria Vittorio Emanuele grandiosa costruzione, il cui disegno è del compianto architetto Mengoni, misura metri 195 di lunghezza e metri 39 di larghezza. La superficie totale dei fabbricati di essa è di metri quadrati 8600. I fabbricati laterali hanno l’altezza di 26 metri. Dal piano alla sommità della copertura a vetri, nella branca intorno all’ottagono, l’altezza è di metri 32.
La cupola dell’ottagono ne misura 50. Gli archi d’ingresso verso le vie Silvio Pellico e Giovanni Berchet hanno una luce netta di metri 23 per metri 12. Gli archi maggiori verso la Piazza del Duomo e della Scala sono alti metri 24 e larghi m. 12.24.
Venticinque statue decorano gl’ingressi e l'ottagono. Del professore Magni, di recente tolto all’arte, sono le statue rappresentanti Leonardo da Vinci, Galileo, Pier Capponi, Cavour, Volta e Michelangelo. Del Tabacchi sono il Dante, il Lanzone. Di Barzaghi il Raffaello, di Guarneri il Macchiavelli, di Tantardini il Romagnosi, di Corti il Galeazzo Visconti, del Pandiani il Beno dei Gozzadini e il Colombo, del Selleroni P Arnaldo da Brescia, del Manfredini il Monti, ecc., ecc.
Gli affreschi che adornano gli scompartimenti della volta dell’ottagono sono pregevolissimi. L'Europa fu dipinta dal Pietrasanta, l'Asia dal Giuliano, l'Africa dal Pagliano, e l'America dal Casnedi. Nei pennacchi dei due archi verso la via Silvio Pellico e la via Berchet, il prof. Giuliano dipinse la Scienza, il Pietrasanta l’Industria, il Casnedi l'Arte e il Pagliano VAgricoltura.
Centoquattro sono le lesene, ed altrettante le cariatidi che adornano la galleria, sulle quali si alternano dodici varietà di modelli.
La tettoia è di ferro battuto e ferro fuso o ghisa, coperta di cristalli di Saint Gobain ; il peso complessivo del ferro del solo ottagono oltrepassa le 300 mila libbre di ferro fuso e lavorato. Tutta questa mole si appoggia solidamente alle quattro arcate della volta di cristallo e sulle quattro intestature a volta dei fabbricati formanti la parte centrale della Galleria. Essa tettoia è percorribile nella lunghezza in tutti e quattro i bracci, e precisamente fino al colmo della stessa.
A mezzo poi di scale di ferro fìsse, si può giungere alla sommità della cupola comodamente e senza pericoli di sorta. Sopra il ricco cornicione che termina il primo piano, si appoggia una elegante ringhiera di ferro, che gira maestosamente intorno all’edificio. La fregiano stemmi delle cento città principali d’Italia. La pavimentazione è a sistema detto alla veneziana. Il centro è il più riccamente lavorato. Yi si vedono quattro stemmi a mosaico, rappresentanti la casa regnante di Savoia, la città di Milano, e gli altri due sono gli stemmi deiringhilterra.
La illuminazione ordinaria della Galleria è fatta da 550 fiamme a gaz, parte lungo i lati, a mezzo di bracci di bronzo dorati, con globi di cristallo smerigliati e faccettati di fabbrica belga, posti a metri 4.60 da terra.
Imponente è la illuminazione straordinaria in occasione di feste.
Venti scale, aventi accesso dai cortili, conducono nei  piani superiori.
Le botteghe di questo bellissimo edificio sono novantadue.
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08 Maggio 2024 - mercoledi - sett. 19-129
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2112⁄QGLH1153-duomo-rifugio.mp3 - 5,51 -
redigio.it⁄dati2112⁄QGLH1154-maria-giuliana.mp3 - 4,47 -
Busto Arsizio - cap. 9 (23)
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-129-1.mp3 - *Busto Arsizio - cap. 9 (23)
Intanto la povera Guardia Nazionale era sempre vigile nella difesa della pubblica tranquillità e nell'esercizio dei propri doveri. Questa volta però, si tratta di... odori. E vorremmo dedicare queste righe al nostro sindaco di oggi perchè, cambiati i sindaci e passati gli anni, gli odori sono purtroppo rimasti.
Il 5 luglio del 1859, « a compimento del Dovere » le Guardie Eugenio Crespi, Carlo Cova ed Erasmo Moroni, commesso sanitario, comandati dal caporale Antonio Nobili, perlustrano le vie del borgo e, come i cani da caccia, sentono... un odore. Leggiamo nel rapporto:
<< Alla Lodevole Deputazione Comunale, il sottoscritto Commesso Sanitario anche di servizio alla Guardia Nazionale, dà pronto avviso come un carretto carico di un recipiente contenente acqua fetida servita ad uso di filatura da bacchi, appartenente al signor Zanna Giulio, sortiva precisamente alle ore 10 e un quarto pomeridiane dalla propria casa, diffondendo un intollerabile odore, del che il Corpo della Guardia d'ispezione molto se ne lagnò.
<< Più questa mattina alle ore cinque meno un quarto, il contadino Della Bella Francesco abitante al n. 69 passava con un altro carretto carricato di voluminoso recipiente contenente lo spurgo di latrina pure di odore insoffribile, e precisamente traversando la Piazza Santa Maria, quando di unanime consenso della Guardia Nazionale e per ordine del primo Tenente Sig. Ing. Ferrario si fece il tutto tradurre al Palazzo Comunale per quelle pratiche che nella sua saggezza troverà del caso codesta Autorità».
Immaginiamoci ora Palazzo Cicogna, col corpo di reato in sequestro stazionante in cortile a diffondere sempre più i suoi effluvi. Vennero chiamati il sindaco e la deputazione (povero Pasquale Pozzi, quale mai mo numento si merita?), si annusò, si discusse, si interrogò il Della Bella e alla fine, « nella sua saggezza », multa: multa di austriache lire sei, ridotte poi a sole lire tre, che furono distribuite ai poveri; e diffida al signor Giulio Zanna, industriale, che « venne regolarmente posto in avvertenza » per l'avvenire.
Ma l'avvenire ha dato evidentemente torto alla Deputazione.
Un fatto ben più grave si sta intanto preparando per l'agosto.
Il passaggio al nuovo regime, come sempre, suscitò dapprima molti entusiasmi, poi, qualche malcontento, infine un senso di insofferenza fra la popolazione. Era del resto inevitabile che i primi provvedimenti, che ten- devano a disciplinare con una certa energia gli incom posti desideri di tutti, suonassero offesa agli assetati di libertà e, chissa mai perchè, di benessere. Era diffusa l'opinione che, finita la dominazione austriaca, tutto si sistemasse automaticamente e si iniziasse un regno, mai conosciuto, di prosperità.
Prima doccia fredda fu, specialmente per Busto, la abolizione, col 15 luglio, delle dogane interne, che met- teva i nostri tessuti alla mercè della concorrenza; poi, la notizia che circolava con insistenza di una chiamata alle armi dei giovani nati dal 1830 al 1839, anche di quelli che avevano già servito sotto l'Austria; infine, il quotidiano continuo aumento dei generi di prima necessità, in particolare dei commestibili. A coronare que- sta ridda di notizie si era messa a circolare anche quella di una imminente grave disoccupazione che, in corso da anni per la avvenuta congiunzione ferroviaria con Ge- nova e il conseguente diminuito costo del trasporto del cotone, prima effettuato dai numerosi cavallanti bustesi, si sarebbe ora aggravata per la introduzione dei telai meccanici che il Cantoni stava impiantando negli stabi- limenti della Castellanza.
IL FOLCLORE BOSINO (1-2)
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-129-2.mp3 - il folclore bosino (1-2)
Le cose belle, con la loro semplicità e schiettezza, restano immutate, come una sfida al tempo, e trovano nella coscienza degli uomini saggi ragioni valide di esistenza, perché il buono, il bello e il giusto, non periscono mai.
Sono convinto di non dire nulla di fuori luogo, se riallaccio questo discorsetto introduttivo al Gruppo Folcloristico dei Bosini  di Varese che, percorrendo una lunga e faticosa strada, iniziata con la proclamazione della città varesina a capoluogo della provincia, si trova ancora oggi al servizio delle tradizioni popolari, mantenendo la sua piena vitalità anche nel momento in cui in altre località venivano disdegnate.
Questo benemerito complesso, si presenta alla pubblica ribalta più vispo che mai, per manifestare intatto il suo patrimonio di folclore, di cori e balletti tradizionali, gelosamente custoditi e che ha ricevuto in eredità dai più insigni poeti dialettali e musicisti del varesotto, di cui ricordiamo gli incancellabili nomi: Jemoli Speri della Chiesa, Giuseppe Talamoni, Nino Cimasoni, Carmen Broggi, Ettore Lombardi, Eros Sciorilli, Aurelio Maggioni, Luigi Luoni, Consonni e altri ancora, tanto per citare gli artefici maggiori del  Canzoniere Bosino; che costituisce l'inizio e la continuazione di attività della intramontabile compagine.
Da Venezia ad Agrigento, da Firenze a Roma, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania all'Ungheria, dalla Svizzera alla Danimarca, fino alla Cecoslovacchia, e proseguendo via via verso altre città del continente europeo, si possono registrare le luminose tappe percorse dal Gruppo Bosino; in settantanni di interessante, e molto spesso, estenuante attività.
I suoi canti popolari, i suoi semplici ma caratteristici balletti, le sue gustose scenette di carattere schiettamente agreste, hanno divertito un po ovunque migliaia e migliaia di spettatori.
E; un bel programma quello che i Bosini, periodicamente rinnovati nei ranghi e nello spirito, presentano nelle più svariate manifestazioni. Esso comprende antiche e più recenti canzoni dialettali che hanno la grazia e la fragranza dei campi in fiore; e le danze caratteristiche che ricordano l'ingenua e spensierata gaiezza dei contadini nei giorni di festa all'ombra dei casolari. Canzoni e danze che ancora sopravvivono in certi silenziosi borghi valligiani, i cui abitanti si rallegrano, ancora oggi, col suono delle campane e di qualche stagionata fisarmonica, ma ancora buona per stimolare nei giorni di festa, le ugole e le gambe, senza lasciare indifferente il cuore.
Questo patrimonio folcloristico, nel quale l'idillio preludente le nozze di due anime candide, si associa all'inno che esalta le bellezze dei paesaggi del varesotto, dopo essere stato elaborato, trascritto e arricchito da poeti musicisti nativi, ha i suoi ravvisatori o meglio ancora ambasciatori, armonici ed espressivi, che in ogni cambio generazionale, vestendo i costumi tradizionali, sono gli interpreti insuperabili di brillanti e pittoresche esibizioni che richiamano alla memoria gli usi e costumi di casa nostra.
Si tratta di un complesso talmente composto da laboriosi lavoratori e casalinghe, arricchito da alcuni esperti pensionati che, di anno in anno, si è affermato come una delle più affermate formazioni del genere, tanto che la sua marcia nel mondo folcloristico è stata rapida e duratura. Ovunque si presenta, l'esito è superiore ad ogni aspettativa, e ogni città visitata, sia in Italia che all'estero, gli ha riservato eccezionali e festose accoglienze.
In tal senso voglio ricordare la festa popolare animata dai bosini, svoltasi il 6 giugno 1976 sulle sponde del pittoresco laghetto di Ghirla, in occasione del campionato italiano di pesca alla trota. Era una domenica piena di sole che mise in luce l'incantevole scenario della Valganna. Il clima era mite e piacevole, tanto che i numerosi turisti convenuti anche da altre regioni del- la penisola, gremivano letteralmente lo spazioso lido dell'Associazione Pro Valganna; per una salutare giornata di aria e di sole, ma erano particolarmente attratti dalla eccezionale gara di pesca e dalla programmata esibizione del gruppo folcloristico varesino.
 
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09 Maggio 2024 - giovedi - sett. 19-130
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2112⁄QGLH1155-busto-brughiera.mp3 - 8,47 -
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IL FOLCLORE BOSINO (2-2)
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-130-1.mp3 - il folclore bosino (2-2)
Il lago di Ghirla, formato dal fluente Morgorabbia, posto in un pittoresco paesaggio silvestre, dall'aspetto severo a ridosso delle montagne, si distendeva come un lucido fondale, fra collinette verdeggianti, tanto da costituire un fiabesco scenario. Su questa splendida località, non distante dalla Badia di Ganna, sono state narrate molte romantiche storie. Anzi, qualcuno, durante la nostra permanenza mi ha raccontato una favolosa leggenda, riguardante la storia di due giovani della Valganna, accesi di vivo amore, ma contrastati dai genitori che non vedevano di buon occhio quella unione. Secondo la leggenda gli innamorati con le loro lacrime avrebbero formato i due laghi: la ragazza il laghetto di Ganna e il giovane quello di Ghirla, con lo sco- po di rimanere vicini per l'eternità.
Mentre commentavamo quell'inverosimile racconto, all'improvviso, come in una fiaba, dalle sponde del lago e dalle alture dei prati, spuntarono simili alle sirene alcune graziose contadinelle in costume d'altri tempi e scoppiettanti d'allegria. Erano le bosinedel gruppo folcloristico di Varese, seguite da alcuni eccitati campagnoli, anch'essi stranamente abbigliati, ma ben decisi a non perdere d'occhio le loro donne.
L'originalità di quella apparizione fu messa in evidenza da una ben congegnata regia che prevedeva il comportamento arguto degli uomini, all'inseguimento delle donzellette che sgambettavano tra l'erba dei prati, con audaci movenze, desiderose di dare espressione ai loro finti capricci, indirizzando nel contempo ai loro inseguitori tipici strambotti dialettali per farli desistere dai loro intimi e amorosi desideri.
A quella indovinata sequenza è seguito in noi un attimo di viva commozione nel rivedere tanti carissimi amici e amiche di un passato indimenticabile. Ma il nostro desiderio di un affettuoso abbraccio svani sull'istante, poiché il gruppo era atteso con impazienza dalla folla, desiderosa di concludere la festosa giornata, assistendo all'atteso spettacolo popolaresco di spensierata allegria.
Il microfono è passato subito nelle mani di un brillante presentatore, che ha dato il via al lieto carosello, canoro e danzerino. Le belle canzoni dialettali, semplici e senza pretese, candide e senza orpelli, hanno avuto il sopravvento sulla folla, gaia e plaudente per la divertente esibizione.
Anche le note melodiose delle fisarmoniche, accarezzate da sapienti dita, si diffondevano nello spazio con le fresche canzoni del popolo, sino a spegnersi sopra gli alberi delle feconde colline che dominano la vallata.
Ancora una volta, nel naturale scenario di una incantevole zona agreste, è prevalso l'antico motto: 'canta che ti passa, e tra gli applausi scroscianti del pubblico i bosini interpretavano con bravura e spontaneità le gustose scenette e le belle canzoni che rappresentano la popolazione del varesotto ed i suoi più vivi sentimenti.
Ecosì trascorsa un'altra indimenticabile giornata, allietata dalla brillantissima esibizione del complesso folcloristico varesino, in un autentico scenario di sapore agreste. Una delle tante, infinite rappresentazioni, effettuate durante la sua lunga esistenza che risale al 1927, quando il professore Giuseppe Talamoni, stimolato dal marchigiano Nino Benni, direttore del disciolto Dopolavoro Provinciale, diede vita alla ormai famosa compagine, con lo scopo di mantenere quel filo ideale che, allacciando le nuove generazioni a quelle del passato, ha dato ai varesini la sensazione sulla continuità della vita, legata tenacemente alla propria terra ed ai costumi dell'antica gente.
Non ho rievocato a caso la manifestazione dei Bosinipresso il lago di Ghirla, poiché dopo settant'anni di attività del complesso, ciò che importa rilevare è il senso pratico, la saggezza morale, la fantasia creativa, l'amore della propria gente e del focolare, che i bravi interpreti, di alternato ricambio generazionale, si sono sforzati di raccogliere e interpretare, infondendo tra la popolazione i sentimenti profondi, le attitudini e i motivi spirituali che si esprimono in quelle manifestazioni tradizionali dell'anima popolare.
Quando sulle rotaie del tram scalpitavano gli zoccoli
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-130-2.mp3 - Quando sulle rotaie del tram scalpitavano gli zoccoli
Il 13 settembre 1841, trainato da un cavallo, un carrozzone mon- tato su quattro ruote lasciò piazza del Duomo e raggiunse Porta Nuova. A Porta Nuova c'era la stazione della ferrovia per Monza. Quel cassone traballante, otto posti a sedere, prezzo della corsa 25 centesimi, inaugurò a Milano il servizio di trasporto pubblico. A questa prima linea di «autobus» (subito ribattezzati "omnibus") nel ventennio successivo altre se ne aggiunsero: mancano notizie precise, ma è certo che alla stazione di Porta Nuova, col tram a cavallo, si arrivava dal dazio di Porta Ticinese, dal Carrobbio, dal largo del teatro Carcano e da piazza Mercanti. Le carrozze erano diventate più capienti, quattordici e anche sedici passeggeri potevano accomodarsi sui sedili, immutato il prezzo del biglietto, soltanto era stato necessario aggiungere al tiro un secondo cavallo.
Il 28 giugno 1861 la neocostituita Società Anonima Omnibus presentò al consiglio comunale un progetto per ampliare la rete di trasporto a undici linee. Ne furono approvate tre, a titolo di esperimento: da piazza del Duomo alle Porte Ticinese, Garibaldi e Venezia. Nove omnibus entrarono in servizio il 1° gennaio 1862, viaggiavano a intervalli di dieci minuti, dieci centesimi la corsa di giorno, quindici quando arrivava il buio della sera. Già nel 1864 le vetture erano salite a trentacinque. Il successo dell'ini- ziativa indusse la giunta municipale, l'anno successivo, ad approvare le restanti otto linee proposte: la città venne così servita da una rete di "omnibus" che collegava il Duomo alle varie Porte.
Più tardi si cominciò a vagheggiare l'idea di una "ippovia guidata" (così la chiamavano i giornali), una linea di tram a cavalli su rotaia, che doveva snodarsi lungo la circonvallazione. L'"ippovia" fu realizzata soltanto nel 1885, ma già se ne parlava dal 1874, quando la Società degli Omnibus insi- steva per attrezzare tutte le linee interne della città con binari metallici. Il Comune era rimasto sordo, ma la SAO, bocciata in città, si era rivalsa ottenendo l'esercizio di un tram a cavalli da Milano a Monza. Questa "ippo- via" fu inaugurata l'8 luglio 1876: partiva da Porta Venezia, due cavalli, I carrozzoni a due piani, posti di prima classe 25 centesimi. Le rotaie del tram entrarono in città 5 anni dopo.
Poi la rivoluzione sconvolgente. L'8 novembre 1892 la Società Generale di Elettricità Edison ottiene l'autorizzazione comunale di elettrificare l'intera linea di trasporto pubblico urbano. E l'ultimo tram a cavalli va per sempre in rimessa nel 1902.
Tarlicch tarlòcch, el riva el bròcch, el tira la bigonza, vott passegger per Monza. A Porta Noeuva ciappen el vapor gent che curiosa a tucc i or.
Poeu i bròcch hinn diventaa ben duu e gent in di casson semper deppuu. Quand in di strad hann miss giò i rotaj gh'è saltà foeura quel che l'è el tramvaj. Rivada la "corrent" 'me primadonna tucc 'n sul car per andà in carbonna.Serom allora in del millanoeuvcentduu: el bròcch e la pollina g'hinn staa pu.
 
 
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10 Maggio 2024 - venerdi - sett. 19-131
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
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Dati di concessione. (11- )
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E lui, il Berto, che per essere sempre in moto si occupava di terreni o giù di lì, lo si trovava spesse volte sul ponte di Via Valenza a fare quattro chiacchere abbondanti con quelli che avevano avuto a che fare con il suo mestiere. Oltre ai diversi carradori rimasti senza lavoro, dei quali "El Castold" con tanto di tabarro e frusta ne era il simbolo, a confabulare c'era anche " El Malegori" "sellee": sapeva più lui di finimenti, che Verdi di musica. Era ancora ragazzo, a cavallo fra l'ottocento e il novecento quando imparò a sistemare sottopancia e paraocchi, lavoraccio che non dava tregua; non si crede proprio che abbia potuto godersi il vantaggio del sabato inglese. "Rico", nel senso di Federico e non Enrico, "Come l'è andada con la ferrovia"? Perchè lui, Federico Vietti era ufficialmente autorizzato, in quanto perito riconosciuto dalle FFSS, di quantificare i danni riscontrati sui vagoni merci; era normale che durante il viaggio da Marsala a Milano, qualche bozzello o qualche pinta si sarebbe trovata con le doghe fracassate.
Il di lui padre Benedetto, nel 1914 dopo aver lasciato in Ripa la vecchia piccola Officina, comprò in Via Marco Fusetti, breve strada dedicata alla prima medaglia d'oro assegnata ad un milanese (1893-1915).
Lì si mise alla grande nel mestiere di bottaio.
L'altro figlio Angelo, entrò anche lui in attività cosicchè, tutti sotto in famiglia a fabbricare e a riparare botti sinistrate, sempre tenendo conto degli impegni in Stazione Genova dell'esperto Federico.
Anche loro cessarono verso il '55: il sano e pacato legno, lasciava il posto alla rivoluzionaria plastica.
Ora il nostro Berto è rimasto solo.
Forse starà ripensando quando caporal maggiore maniscalco nelle guerre dell'11 e del '15-'18, gli toccò di ferrare il cavallo di Badoglio.
Certamente starà ancora ricordando quel giorno quando si arrabbiò con il Rivolta, negoziante in cavalli di alto rango, con relativo maneggio in Ripamonti.
Aveva accompagnato la vedova Fornonzini, lo spedizioniere; ne aveva bisogno uno un po' in grazia di Dio.
Mise gli occhi su un nero bello e lucido.
Gli fu rifiutato perchè faceva parte di una pariglia da spedirsi a Napoli; sarebbe stato l'orgoglio di una pompa funebre partenopea.
Il resto ve lo immaginate.
Un bel giorno, silenziosamente e con tanti ricordi in saccoccia, se ne andò: da quattro mesi aveva compiuto i novantacinque.
L'esser saggio, forse, l'aveva imparato dai cavalli.
Busto Arsizio - cap. 9 (3⁄3)
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-130-2.mp3 - Busto Arsizio - cap. 9 (3⁄3) - Piazza del Duomo.
Già nel '54 un aumento di cinque centesimi sul prez- zo del pane aveva scatenato tumulti un po' dappertutto; e anche a Busto si erano verificate alcune dimostrazioni. Ora, su quell'esempio e per le notizie che giungevano da quasi tutta la Lombardia ove scoppiavano tumulti più o meno gravi (a Crema, a Lodi, ecc.), gli operai avevano chiesto un aumento di paga.
Gli industriali, anch'essi dubbiosi sull'avvenire della industria cotoniera, si erano decisamente opposti, co- sicchè il malcontento e i discorsi si facevano di giorno in giorno più forti, aggravati dalla incertezza del mo- mento e, forse, da numerosi elementi decisi a pescare nel torbido.
Il 3 agosto, di mattino, forse dopo i primi tumulti in Busto, una grossa squadra di dimostranti << a suon di tamburo e a bandiera spiegata » mentre le campane di Sacconago suonano a stormo, si porta a Castellanza. Depone il << Pelascia» alias Giuseppe Pozzi che, mentre egli si trovava a lavorare << in un suo fondo denominato Campo Grande nel territorio di Sacconago, circa cento passi lontano dall'abitato, di là udendo il suono della campana a stormo, si affrettò a portarvisi temendo d'incendio ». In altro momento dice invece di aver visto < la turba degli operaj recarsi alla volta di Castellanza > stando nel suo campo.
Ma un rapporto del Comune dice che « sembra im- possibile che il Pozzi, essendo occupato nel suo cam- po a lavorare frammezzo a quel bosco di viti e gelsi e siepi potesse scorgere gli operaj che passavano sulla strada che mette a Castellanza ». Sta di fatto che il « Pelascia » è il secondo degli arrestati.
La turba, che non cessa di gridare, si ingrossa lungo la strada raccogliendo altri dimostranti, in particolare quelli che venivano dallo stabilimento Candiani alla Garottola, capitanati pare dall'Angelo Erba detto Martin e, nientedimeno, che dal Candiani stesso. Così dice un foglio della Regia Questura Distrettuale di Pubblica Sicurezza che si rivolge alla Deputazione perchè <« sarà compiacente di categoricamente e coscenziosamente soddisfare alle ricerche contenute nell'ultima nota 7 andante (che non si è trovata fra le carte) della locale R. Pretura, riferibilmente agli inquisiti detenuti Erba An- gelo detto Martin e Pietro Candiani fabbricatore di tessuti in cotone, entrambi di Busto Arsizio, ecc. ».
Che cosa sia veramente successo in questo frangente non ci è stato possibile conoscerlo con esattezza, sulla scorta delle poche carte rimaste. È certo che i dimostranti, arrivati davanti al cotonificio Cantoni diedero inizio a una fitta sassaiola e, padroni del campo, invasi i locali, si avventarono sulle macchine.
Il guaio è certamente grosso, tanto più che, nello scorrere l'elenco dei partecipanti e dei possibili « mandanti » del tumulto, vi troviamo alcuni nomi che lascia- no perplessi. Crespi Francesco Maria detto Tangin, Crespi Carlo detto Perellino, il Giovanni Pigni (che troviamo nella Guardia Nazionale col grado di Maggiore Comandante), il Crespi Carlo detto Raffaell, « sono tutti onesti commercianti di condotta sotto ogni rapporto incensurabile e incapaci di commettere violenze di sorta >. Così dicono le informazioni della Deputazione. Ma la notizia che il Candiani, proprietario di un grosso opificio, sia già convocato a mezzogiorno dello stesso 3 agosto nell'ufficio del Questore, e, in seguito, arrestato, ci fa pensare che la rivolta e le violenze siano state fomentate o sobillate dai bustocchi « fabbricatori di tessuti » che vedevano ormai nelle macchine « meccaniche » una temibilissima concorrenza.
La Regia Questura Distrettuale, avvenuto il tumulto, si mette subito all'opera per la ricerca dei responsabili. Già il 13 settembre si contano 16 arrestati, 23 << dati a sospetto », 11 inquisiti, e una filza di nomi che ci danno un vivissimo quadro della Busto di allora.
Chi sono dunque questi uomini?
Una nota che il Regio Commissario Distrettuale di Pubblica Sicurezza Caravaggio scrive alla « lodevole Deputazione » ce li descrive tutti col loro nome, il cognome e l'indivisibile soprannome. Leggiamo un po':
Piazza del Duomo.
Questa piazza, tuttora incompleta, è opera dell’architetto Mengoni. Questi ha voluto contrapporre alle forme acute del Duomo, masse larghe, di grandiosa semplicità, in cui predomina la linea orizzontale.
Il Mengoni tolse il risalto dell’arcata in prospetto dell’angolo sporgente del Palazzo di Corte, e dispose tutto il lato nord della piazza, lungo un solo non interrotto rettilineo. Soppresse tutti i cavalcavia, immettendo nella piazza le strade mediante shocchi liberi ed aperti. Stabilì per la piazza Mercanti una comunicazione libera fra il Corso Vittorio Emanuele ed il Cordusio.
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11 Maggio 2024 - sabato - sett. 19-132
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
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Non dimenticar le mie parole
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-132-1.mp3 - Non dimenticar le mie parole
I signori dello swing: Rabagliati, Otto, Bonino
lberto Rabagliati (Milano, 1909-1974), inizia la sua carriera tentando la via del ci- nema. Simpatico a prima vista, cordiale ed esuberante, sbaraglia migliaia di concorrenti nel concorso indetto dall'americana Fox per cercare un emu- lo e sostituire Rodolfo Valentino, scomparso giovanissimo. Rabagliati ha un'ottima presenza fisica e tutti i connotati richiesti, ma il soggiorno in America per tentare il successo nel mondo della celluloide si rivela drammaticamente fallimentare. La permanenza oltreoceano non è però vana per- ché se il cinema gli chiude le porte, riesce ad assimilare in maniera molto convincente lo swing e il jazz che dominano la musica americana. Tornato in Italia porta con sé questo suo importante bagaglio di esperienze che, per il panorama nazionale, equivalgono a una novità assoluta. Dopo un esordio con Barzizza, parte per Cuba con Lecuona tornando poi in Italia per una tournée molto apprezzata.
Fa amicizia col maestro D'Anzi, già affermato compositore, che gli permette di spalancare tutte le porte del suc- cesso. Lancia Bambina innamorata e Ti dirò.
Bambina innamorata stanotte ti ho sognata, sul cuore addormentata e sorridevi tu. Bambina innamorata la bocca t'ho baciata, quel bacio ti ha destata, non lo scordare tu...
Ti dirò che tu mi piaci, ti dirò che nei tuoi baci si nasconde il mio destino, il sogno mio divino che ancor non conosci tu!
Sfonda poi con C'è una casetta piccina, di Valbrega e Prato.
Sposi! Oggi si avvera il sogno
e siamo sposi!
Tutto risplende a noi d'intorno
e luminosi ci sembrano persino i fior...
Il Regime che nel frattempo sanziona la musica esterofila e negroide come stupida e antifascista, chiude un occhio perché in quest'ultima canzone si fa riferimento alla campagna demografica appena lanciata in Italia. A Mussolini non piacciono questi nuovi ritmi <«<sincopati»>, ma ormai Raba è popolarissimo ed è quindi meglio trattarlo da amico piuttosto che combatterlo. Sono molti i successi legati al nome di questo simpaticissimo interprete che porta un'aria nuova nella canzone all'italiana, mascherando talvolta lo swing come un'esuberanza personale. Un esempio è dato da Ba, ba, baciami piccina in cui sillaba il testo con grande maestria.
Ba, ba, baciami piccina
sulla bo, bo, bocca piccolina,
dammi tan, tan, tanti baci in quantità tarataratarataratatà.
Al cinema interpreta se stesso, il cantante osannato e «divorato» con gli occhi dalle tante ammiratrici. Tra le canzoni da citare Tu musica divina (tu che m'hai preso il cuore, non sai che il canto d'un violin può far di un sogno il mio destin), poi Mattinata fiorentina di Galdieri e D'Anzi.
È primavera, svegliatevi bambine, alle Cascine messere Aprile fa il rubacuor... E a tarda sera, madonne fiorentine, quante forcine si troveranno sui prati in fior.
È poi la volta di Silenzioso slow (Abbassa la tua radio, per favor), di Maria la O e della Canzone del boscaiolo, di Morbelli e Barzizza (O boscaiolo, il sole sta per tramontar, lascia il lavoro, torna al tuo casolar). Il Primo pensiero d'amore è un altro grande successo.
Il primo pensiero d'amore sei tu, sei tu,
colei che non posso scordare mai più, mai più. Negli occhi tuoi belli c'è un velo
di dolcezza, di bontà.
Se cade una stella dal cielo,
quella stella ti dirà...
Il primo pensiero d'amore sei tu.
Quando canta Rabagliati, di Galdieri e D'Anzi, conferma la bontà della sua voce e il prestigio del personaggio.
Quando canta Rabagliati fa così
e sui fianchi ben piantati resta li. Nello sguardo scanzonato come un lampo fa brillar
e agitando sempre l'indice levato
fa un versaccio che somiglia a un miagolar.
Canta Rabagliati diviene una rubrica fissa dell'EIAR, uno spazio personale nei programmi di musica leggera, molto gradito dai radioascoltatori. Nel dopoguerra il successo non durerà a lungo anche perché la voce, di pari passo a una evoluzione del fisico, subirà un peggioramento e non gli permetterà più di supportare i suoi soliti fraseggi. La popolarità acquisita gli consentirà, comunque, di partecipare a una serie di riviste, anche di Garinei e Giovannini.
Natalino Otto, nato a Cogoleto (Genova), nel 1912, seguendo l'innata predisposizione per il ritmo, vorrebbe di- ventare batterista, ma gli esordi sono difficili e lo spazio che trova per le sue esibizioni è sempre molto ristretto. Cerca fortuna allora in America dove cominciano ad apprezzare anche le sue doti vocali; ottiene un contratto, ma non si ferma negli Stati Uniti perché ha nostalgia di casa. Preferisce piuttosto imbarcarsi sulle navi che attraversano l'Atlantico ed esibirsi a bordo. Nel giro di due anni percorre molte volte la rotta e assimila perfettamente la nuova musica d'oltreoceano, il jazz in particolare e, ritornato stabilmente in Italia, con varie formazioni di avanguardia, gira i locali più alla moda. Fondamentale per lui la collaborazione con Gorni Kramer. Suoi successi del tempo sono Mister Paganini, Le tristezze di San Luigi (versione mascherata di Saint Louis Blues). La radio sbarra il passo tanto a lui che a Kramer, ma il successo continua, cosa sorprendente, solo basandosi sulla vendita dei dischi che escono sul mercato a ripetizione. Fra le migliaia di canzoni ricordiamo Mamma mi piace il ritmo, Conosci mia cugina?, Polvere di stelle, la Star dust americana e Mamma voglio anch'io la fidanzata di De Santis e Del Pino.
Mamma non son più quel capriccioso ragazzino, che sgridavi pel suo fare birichino,
ora son cresciuto e sento un fremito nel cuore che, o mamma, dà il segnale dell'amore.
Natale Codognotto, come si chiama veramente, da quegli anni sarà solo più Natalino Otto. Senza la radio, e con l'ostilità del Regime, deve lottare molto, ma ha il prezioso appoggio dei giovani che apprezzano la musica che propone.
Ricordo ancora i trionfi di Lungo il viale, del Giovanotto matto, della Classe degli asini, di Rastelli, Larici e Ravasini.
Signorina Maccabei venga fuori, dica lei dove sono i Pirenei? Professore, io non lo so, lo dica lei!
C'è poi Voglio amarti così insieme con una serie di (proibitissime!) canzoni americane.
Voglio amarti così, teneramente, voglio amarti ogni dì, con tutto il cuor Solamente il tuo labbro sa dirmi le cose più belle solamente i tuoi baci
san darmi la felicità.
Nel dopoguerra, finito il forzato esilio, trova i fan che vanno ad applaudirlo. Partecipa a numerosi Festival di Sanremo con Mogliettina, Il pericolo numero uno, Avevamo la stessa età. Nel '54 incrementa i successi cantando, in coppia con Flo Sandon's, che diviene sua moglie.
Tanti sono i brani che Natalino Otto lancia ed è impossbile fare una selezione esauriente. Non si tratta in tanti casi di canzoni bellissime, ma rappresentano delle pedine importanti nella storia del jazz nella canzone italiana.
Ernesto Bonino (Torino, 1922-2008) è forse il meno fortunato del trio che comprende Rabagliati e Otto. Nel '41 lancia Se fossi milionario, un brano sincopato che piace ai giovani. Gradevole Non passa più di Liri e Marchetti.
Non passa più per la mia stessa via, non passa più perché non è più mia. Intorno i platani si spogliano col vento, col vento tornano le nuvole nel ciel...
Seguono Maria Gilberta, Bambola e Il giovanotto matto che, nella sua versione, fa incassare diritti d'autore consistenti a Lelio Luttazzi. Da ricordare ancora Birimbo-Biram-
bo, un pezzo pieno di swing assimilato negli Stati Uniti. Presto sarà sul viale del tramonto. Il suo nome scomparirà per anni per ritornare, tristemente, nella cronaca dei giornali in tempi recenti. Completamente in miseria, chiede di fruire della legge Bacchelli che aiuta i cantanti (anche lirici) a superare le difficoltà economiche. I giornali lo ricorderanno ancora nell'aprile del 2008, alla sua morte, tracciando un ritratto che renderà giustizia ai suoi meriti.
 
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12 Maggio 2024 - domenica - sett. 19-133
Notizie dal Villaggio
Cosa ascoltare oggi
redigio.it⁄dati2112⁄QGLH1165-cronache-varesine.mp3 - 7,33 -
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Dati di concessione. (12- )
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Ora, il mio barcaiolo "slongaa sora el guarnacc", ovvero quasi sdraiato sul lungo timone che governa la barca, si scuote.
S'appoggia alla lunga pertica e facendo leva sul fondo, si stacca dalla sponda. Si arriva e si sosta al ponte di ferro o ponte nuovo costruito fra il 1901 ed il 1905 per mettere in comunicazione la Via Casale con la Via Pasquale Paoli. Provvidenziale fu la sua realizzazione; un notevole risparmio di strada per raggiungere i posti di lavoro, la vera ragione per la quale fu costruito questo quartiere.
Ricordiamo della Via Casale, la scuola per sordomuti al n°6 e nella stessa. porta la cantoria Giuseppe Verdi, diretta dal maestro Gerevini.
Non c'è da stupirsi; corali di canto, tra liturgiche e liriche, sulla Riva ce n'erano in abbondanza.
Il segreto era uno solo: si incominciava a cantare da bambini e quindi la preparazione era quasi naturale e la passione per questo libero modo di esprimersi sempre più accesa.
Bottegaio in prima "el prestinee" scior Sacchi, al quale successe el Carugati, che "marcava", ossia segnava cliente per cliente le spese giornaliere: la fine settimana si regolavano i conti.
Aveva un libretto lungo e stretto con una copertina color carta da zucchero. Annotava i crediti a penna; l'inchiostro veniva asciugato cospargendovi sopra pizzichi di farina. Spesse volte smarriva volutamente la pagina come se avesse scritto con l'inchiostro simpatico, e così il conto si trovava silenziosa- mente saldato.
All'angolo con l'Alzaia esiste ancora una farmacia. Era titolare il Dottor Cordara Armando; l'aveva rilevata nel 1929, anno in cui suo fratello pure farmacista, ottenne il permesso di esercitare a Courmayeur.
Ancora oggi, quella là ai piedi del Monte Bianco condotta dagli eredi, porta lo stesso nome.
Le donne avevano una venerazione per "el speziee": lui le ascoltava e, nel limite del possibile, le aiutava pazientemente cercando di spiegar loro che il Kalmine non si doveva usare come fosse la pasticca del Re Sole.
A dare ancora più colore all'ambiente, un omino paffutello, calmissimo, e che parlava con una cadenza ostinatamente monotona: padrone di una carriola di frutta e verdura a posteggio fisso al n°5.
Per distinguerlo dagli altri ambulanti del suo mestiere lo chiamavan "el marenna" da amarena.
Suo concorrente era "el Maran", ambulante nel senso che veramente ambu- lava. Girava per la zona del Naviglio inoltrandosi sino in Via Arena al di là del laghetto, presso la "Cà di can...": era così chiamato un caseggiato abitato da invalidi che avevan subito l'amputazione delle gambe. La carrozzina, loro mezzo di trasporto, veniva trainata dal fedele amico dell'uomo.
Ritorniamo però al nostro omino con il cesto "la cavagna", piena di frutta e verdura.
Museo Civico (ai Giardini Pubblici, Via Manin)
redigio.it⁄rvg101⁄rvg-19-133-2.mp3 - Museo Civico (ai Giardini Pubblici, Via Manin)
Pervenne al Municipio nel 1838 per l’acquisto da esso fatto delle ricche raccolte d'oggetti naturali di proprietà del nobile Giuseppe De Cristoforis e Giorgio Jan, ampliato in seguito con continui acquisti e doni di privati; si che va annoverato fra i più notevoli d'Italia, e per alcune speciali raccolte non teme confronto neppur fuori. Di 40 sale circa si compone il Museo e cioè, in pian terreno : Erbario, la Raccolta tecnologica, la Sala dei modelli, la Galleria dei minerali, fra cui dei rarissimi e per le forme cristalline e per la provenienza ; gli zolfi di Sicilia, i petroli di molte località italiane ; una raccolta di rocce distinte per serie geologica e per località, la Sala di etnografia con pregiati oggetti delle isole del Pacifico e delle tribù del centro dell’Africa, la Collezione paleo-etnografica cogli oggetti dell’epoca preistorica delle stazioni lacustri dei laghi di Lombardia, le Raccolte paleontologiche contenute in due sale, nella prima delle quali stanno i fossili invertebrati, fra cui la Collezione delle Conchiglie dei terreni terziarii distinguesi per copia di specie e d’individui ; nella seconda, o Galleria de’ vertebrati, degna d’osservazione per bellissimi fossili d’Italia, quale lo Scheletro di Balena lungo 21 piedi; gli Elefanti di Leff'e, l'Orso delle caverne, ecc. ecc. Al primo piano procedono tre sale in cui si conserva la Raccolta dei Mammiferi ; poi quelle d'Anatomia comparata con crani, scheletri e preparazioni di visceri. La Galleria degli Insetti, dei Crostacei e dei Polipai; in questa i grossi Gran chi del Giappone e le Madrepore del Mar Pacifico primeggiano fra tutti.
Le Sale de' Pesci tra cui molti a secco, le Gallerie degli Uccelli, ove attira l’attenzione una raccolta di nidi di specie lombarda, Le Sale dei Sauri e dei Batraci. La Sala dei Serpenti con una ricchissima collezione nell’alcoole di questi animali, con grossi coccodrilli e tartarughe e pescicani, finalmente la Galleria delle Conchiglie e degli animali inferiori, parte allo spirito, parte a secco, presentante le più vaghe e singolari forme.
Possiede il Museo Civico una biblioteca pregiata per il numero dei volumi di Storia Naturale. Vii sono da ammirare in questi alcuni dipinti a fresco di Tiepolo veneziano, e sullo scalone i busti in marmo di G. Jan e G. De Cristoforis, fondatori del Museo, e di C. Porro e C. Bassi, legatari del Museo. Sotto il portico vi è un gruppo grandioso in gesso di Pompeo Marchesi, rappresentante Ercole che libera Aiceste^ alquanto guasto.
Il Comune mantiene presso il Museo una scuola di Storia Naturale.
 
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Le dirette
Pensiero della settimana