La storia (o leggenda)

del risotto alla milanese

 

La storia (o leggenda) del risotto alla milanese

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Discussioni:  Riferimenti culturali.

Discussione: Otto Cima.

Qual è il ruolo dello zafferano?

Qual era un antenato del risotto?

Ascolto di un commento

 

 

Alcuni riassunti

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th1671-leggende-risotto-01.mp3 - Il testo esplora la storia del riso in Italia, rivelando come inizialmente fosse considerato una spezia o medicinale, importato da culture come quella araba e introdotto in diverse regioni italiane in epoche differenti.  - #Legnano #tradizioni #racconti #redigio #giocult - Si evidenzia il ruolo cruciale della Lombardia e della famiglia Sforza nella sua trasformazione da prodotto esotico a alimento base, con i Cistercensi che ne promossero la coltivazione. La discussione si estende allo zafferano, un'altra spezia con una lunga storia e un legame profondo con Milano, che, pur essendo già conosciuta, si unì al riso per creare il celebre risotto, simboleggiando la ricchezza e l'immagine dell'oro nella cucina milanese.

 

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th1672-leggende-risotto-02.mp3 - Questo passaggio esplora le presunte origini del risotto alla milanese, collegandolo a un'antica usanza delle corti italiane, in particolare quella dei Visconti.  - #Legnano #tradizioni #racconti #redigio #giocult - Si narra che durante i banchetti di gala, i cibi fossero ricoperti da sottilissime lamine d'oro per stupire gli ospiti, come testimoniato dalle nozze di Violante Visconti nel 1368. Sebbene questa pratica costosa e poco salutare sia stata abbandonata, si suggerisce che l'uso dello zafferano nel risotto giallo sia un richiamo simbolico a quella antica opulenza, appagando la vista con il suo colore. Il testo conclude confutando una leggenda popolare che attribuisce a Federico Barbarossa la nascita del nome "risotto," evidenziando invece come il colore giallo influenzi positivamente l'appetibilità e la digestione

 

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th1673-leggende-risotto-03.mp3 - Il "Risotto alla Milanese" è celebrato come un piatto iconico della cucina meneghina, nonostante la sua apparente semplicità, data dalla combinazione di riso e zafferano.  - #Legnano #tradizioni #racconti #redigio #giocult - Il testo esplora la sua misteriosa origine, sfatando l'idea di una nascita improvvisa e proponendo invece una lenta evoluzione da antiche minestre di cereali. Si suggerisce che il suo antenato possa essere rintracciato nelle ricette del Maestro Martino da Como (XV secolo), in particolare in una minestra di farro o riso con zafferano, che già prevedeva una riduzione del brodo e una continua mescolatura, elementi fondamentali per la preparazione del risotto moderno. Questo dimostra come il piatto, pur nella sua rinomata complessità attuale, abbia radici in preparazioni più rudimentali ma già contenenti i suoi ingredienti e tecniche distintive.

 

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th1674-leggende-risotto-04.mp3 - Il brano esplora la storia e l'evoluzione del risotto alla milanese, evidenziando come questa pietanza si sia perfezionata nel corso dei secoli a partire dal XV secolo.  - #Legnano #tradizioni #racconti #redigio #giocult - Viene descritta la progressione degli ingredienti e delle tecniche di cottura, dal soffritto iniziale all'aggiunta di midollo di bue e zafferano, fino all'utilizzo esclusivo del Grana Padano. Un punto focale della discussione è la scomparsa del "cervelà", un antico e apprezzato ingrediente lombardo, la cui assenza dal risotto moderno è vista da alcuni come un segno di degenerazione gastronomica, mentre il piatto ha continuato la sua evoluzione, diventando un simbolo riconosciuto della cucina meneghina.

 

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th1675-leggende-risotto-05.mp3 - Il testo esplora le leggende milanesi legate al riso, distinguendo l'antica origine cinese della minestra di riso, consumata con le bacchette, dall'invenzione milanese del risotto e del cucchiaio.  - #Legnano #tradizioni #racconti #redigio #giocult - Si concentra in particolare sulla nascita del risotto giallo con zafferano, collegandola a un evento specifico del 1574: le nozze della figlia di Valerio di Fiandra, un maestro vetraio del Duomo di Milano. La leggenda narra che uno scolaro di Valerio, soprannominato "Zafferano" per la sua abitudine di usare lo zafferano nei colori, offrì agli sposi un risotto dorato come dono di nozze, diffondendo così il piatto in tutta Milano e consolidandone il successo, tanto da portare i negozi a esporre simboli della città di L'Aquila, da cui proveniva lo zafferano.

 

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th1676-leggende-risotto-06.mp3 - Il testo esplora l'origine della leggenda del risotto allo zafferano, o "risotto alla milanese", in relazione alla città di Milano.  - #Legnano #tradizioni #racconti #redigio #giocult - Viene narrata la storia di come lo zafferano sia accidentalmente caduto nel risotto di Mastro Valerio, creando un piatto dal colore giallo splendente che, inizialmente destinato ad essere scartato, fu invece assaggiato e apprezzato. Sebbene questa leggenda sia diventata estremamente popolare a Milano, specialmente tra gli anni '20 e '30, diffusa da giornalisti e scrittori come Otto Cima, il testo solleva dubbi sulla sua autenticità. In particolare, si evidenzia come non vi fossero tracce di questa storia prima del XX secolo e come studiosi, tra cui Massimo Alberini, l'abbiano considerata una "fanfaluca", ovvero una storia inventata con intento celebrativo. Il narratore conclude introducendo Otto Cima, l'uomo dietro la diffusione di questa leggenda, descrivendolo come un milanese "purosangue", figlio di un noto umorista, e un testimone della trasformazione di Milano sotto il peso della modernità.

 

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th1677-leggende-risotto-07.mp3 - Il testo esplora come Otto Cima, un sacerdote e scrittore milanese, abbia dato vita alle leggende di Milano vecchia attraverso i suoi articoli sul Corriere della Sera. In un'epoca di rapidi cambiamenti urbani che cancellavano il passato,  - #Legnano #tradizioni #racconti #redigio #giocult - Cima, con la sua scrittura nostalgica ma disincantata, creò una Milano che era "storia, leggenda, tradizione" anziché solo fatti. Egli non si limitò a una fredda ricerca storica, ma scelse la "strada calda della fantasia" per celebrare la sua città, arrivando a inventare mitologie per piatti iconici come il risotto alla milanese e il panettone, con l'intento di preservare il patrimonio immateriale di Milano nel cuore dei suoi lettori.

 

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th1678-leggende-risotto-08.mp3 - Il testo esplora le leggende milanesi che circondano piatti iconici come il risotto allo zafferano e il panettone, attribuendone la paternità a Otto Cima, un autore le cui "ricerche" erano spesso frutto della sua passione per Milano, piuttosto che di una rigorosa accuratezza storica. Nonostante Cima abbia inventato molte di queste tradizioni, esse sono state ampiamente accettate e integrate nella cultura milanese, diventando parte integrante dell'identità della città. Il brano sottolinea come, pur essendo "falsi clamorosi", queste narrazioni siano entrate nel tessuto popolare e vengano ormai considerate alla stregua di vere e proprie tradizioni. Inoltre, si menzionano diverse reazioni al risotto, da Stendhal che pare lo detestasse a patrioti che lo evitavano per il suo colore "austriaco", fino a figure come Giovanni Pascoli ed Emilio Gadda che lo celebrarono, evidenziando il profondo e vario significato culturale del risotto alla milanese.

 

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-01

La leggenda di Milano,

la leggenda del risotto. Il riso si diffuse relativamente tardi in Italia e quindi comparve in ritardo anche su tutte le mense dei lombardi. I celti forse non lo conobbero, i romani lo conoscevano, ma lo usavano quasi esclusivamente in medicina e sappiamo che ricorreva tra i medicamenti usati dai grandi dottori dell'antichità come Galeno, celebre medico di Pergamo, che esercitò la sua professione a Roma durante la peste del 166 dco gli arabi che lo avevano tra le basi della loro alimentazione lo introdussero in Spagna quando la occuparono nel secolo A lungo si sostenne che avessero fatto la medesima cosa anche in Sicilia, ma nuovi studi sembrerebbero negare l'evento. Gli aragonesi lo avrebbero portato a Napoli nel X secolo. Le varie fonti riportate in bibliografia citano quasi tutte un tariffario per droghieri e speciali stilato dal Tribunale di Provisione di Milano in data di 18 aprile 1386. Il riso vi è ancora incluso tra le spezie, i prodotti esotici di importazione e medicamenti e apprendiamo che non poteva essere venduto più di 12 lire imperiali la libra. Solo nella prima metà del X secolo, anche in Lombardia, il riso cominciò a essere guardato con occhi diversi. Il suo passaggio dalla medicina all e alla gastronomia fu abbastanza rapido in Milano e nel suo ducato, grazie all'attenzione che gli sforza gli riservarono. Sembra che anche i monaci cistercensi dell'Azia abbazia di Chiaravalle si siano prodigati per favorirne l'introduzione e la coltivazione nelle pianure a sud della capitale. Nel 1465 il Duca di Milano arrivò a nominare un commissario ducale dei risi nellodigiano, seno segno che la sua coltivazione era progredita da due lettere di Galearzo Maria Sforza che consente di esportare alcuni sacchi nel ferrarese da usarsi come seme. E veniamo a sapere che nel 1475 la cultura del riso poteva dirsi già molto diffusa. e che là dove c'erano i torreni solcati da cane, canali e rogge, le risaie continuavano a moltiplicarsi. La lumellina, ricca di acque copiose, grazie alla sua speciale conformazione geografica, divenne subito la terra del riso. La tradizione così vuole, come vuol vedere Ludovico il Moro, il sostenitore della diffusione tra noi, dei GSI, detti perciò Il milanese Muron. Nello stesso modo indica il duca come uno dei maggiori incrementatori della cultura del riso, quantomeno in Lomellina, terra che gli era molto cara. Il riso che nel primo secolo della sua coltivazione era stato prodotto con successo, nel 6 toccò forti punte di calo a causa di varie polemiche sorte sulle condizioni igieniche delle risaie. ritenute malsane e pericolose per la salute pubblica. Il 700 invece, nonostante le polemiche non fossero completamente sedate, riabilitò il riso definitivamente, nonostante le risaie avessero ancora dei detrattori, tra i quali c'era anche l'abate notorio che i milanesi si rifornissero di zafferano facendola arrivare dall'Abruzzo. La storia di questa Spezia risale alle antiche civiltà, egizi, greci, romani e che conoscevano e usavano zafferano. Gli arabi invadendo la Spagna lo portarono con loro insieme al riso e e dell'accoppiata vincente riso zafferano tutti trovano ancora testimonianza in quel paese della tipica paella. I legami tra l'estremo oriente e lo zafferano sembra che risalgono addiritt ai primordi di questa spearia, dicono alle falde dell'Himalaya. Nel Medioevo, epoca nella quale si vorrebbe far nascere il risotto alla milanese, lo zafferano era già conosciutissimo in Europa. I milanesi lo usavano già prima che si parlasse di risotto. Ottorina Perna Bozzi, esperta di storia della cucina lombarda, in un suo libro intitolato La Lombardia in cucina parla di un documento, una sentenza del 1218 che dimostrerebbe come già in questa data se ne facesse uso in città. In esso si dice che i monaci di San Vittore al corpo venivano obbligati a offrire un pranzo ai canonici di San Nazaro in occasione di una ricorrenza legata all'archescovo Arnolfo, fondatore di quel monastero. E tra l'elenco dei cibi e dei vari ingredienti figurava lo zaferano. Lo zaferano, il safran il milanese rimandava e rimanda ancora oggi direttamente all'immagine dell'oro, così come fosse forse succede anche alla dorata cotoletta alla milanese. E apre una parentesi sull'oro della cucina medievale. continua con la prossima puntata.

 

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-02

Le questa è la leggenda del risotto e la puntata numero due. Si è voluto vedere nel risotto giallo, risotto la milanese un ricordo dell'epoca nella quale alla corte dei Visconti, come anche nelle altre corti italiani, c'era l'uso di portare in tavola durante i banchetti di gala, dei cibi e delle pietante pietanze spesso dall'aspetto molto elaborato che avevano una specialissima prerogativa. Erano completamente rivestiti di vere lamine d'oro che producevano effetti meravigliosi. Un esperto artigiano, il battiloro, riduceva il metallo in fogli sottilissimi, quasi impalpabili, simili agli stessi fogli che ancora oggi vengono adoperati dai corniciai. per dorare le cornici e dai legatori per i titoli sul dorso dei libri. Quei fogli preziosi aderivano in modo perfetto alle carni arrostite e ancora ben calde, alle torte e a certi dolciumi come il croccante. Quando l'ospite mangiando non arrivava a togliere la copertura decorativa, si pensava che la cosa non dovesse costituire un problema. I medici dell'epoca erano pronti ad assicurarlo, poiché loro, dicevano, era una medicina portentosa capace di combattere molti mali e soprattutto si credeva che stimolasse le funzioni del cuore. È passato alla storia il banchetto dato a Milano il 15 giugno 1368 per le nozze di Violante Visconti, figlia del duca Galeazzo II con il principe Lionello d'Inghilterra. figlio del re di Edoardo II. La Corte di Milano doveva stupire gli inglesi. Bernardino Corio ne riporta fedelmente il menù di 50 portate e ci dice che vi compo arrosti di vitello, porchette, lepri, pernici, aironi, storioni, lucci, trote e carpe tutte completamente ricoperte d'oro. L'oro aderiva ai cibi e alle pietanze, come fossero stati tanti confetti. Con il tempo si smise quel costosissimo e poco salutare uso, ma si vuole vedere nell'oro dello zafferano di un bel piatto di risotto alla milanese portato trionfalmente in tavola un ricordo di quella antica e tramontata consuetudine. Chi era stato abituato a ben altri luccichi, accontentandosi, ritrovava ancora almeno l'appagamento degli occhi. Anche chi oggi non sa niente di questo antico uso, a distanza dei secoli, resta sempre piacevolmente coinvolto dall'immagine dell'oro fumante del risot Jad. Un piacere della vista che oltre al palato ogni volta chi ci appare davanti. Scrive felice con un solo. A tavola il colore conta più di quanto comunemente si pensa. presente gli esperti di psicofisica hanno individuato la funzione delle tinte nell'affettibilità degli alimenti e nella loro digeribilità. Un cibo piace e si gusta non solo per il sapore, ma anche per il colore. Le tinte calde poi favoriscono la secrezione dei succhi gastrici. Gli alchimisti medievali, pur sbagliando, non sono andati molto lontano dal vero con l'attribuire a loro la virtù di ringiovanire il cuore. In effetti è il giallo che stimolando il nerbo vago facilita la gestione e consente al cuore di non affaticarsi i poteri del risoroggialto. Ma quando entrò in uso per la prima volta a Milano la parola risotto, Stefania Vinciguerra nel suo saggio intitolato Storia della gastronomia inserito nella storia illustrata di Milano curata da Franco della Peruta, scrive: "Secondo le cronache di alcuni storici ambrani quali il Corio e il Giulini, il risotto era in uso già all'epoca di Federico Barbarosa che avendolo gustato in un banchetto ben condito con Zafferano e formaggio lodigiano, lo avrebbe definito Risum optimum. da cui per contrazione risoptun e quindi risotto. L'aneddoto è molto pittoresco, ma si qualifica già da sé. Aggiunge infatti il vinciguerra. Ma non sembra che questi racconti siano attendibili, poiché per quanto lo zafferano fosse già conosciuto dai romani e attestato storicamente nella cucina lombarda fin dal X secolo, il riso fu adottato come alimento ben più tardi. Fa poi sorridere e pensare che questa tradizioni tradizione indichi il peggior nemico che i milanesi abbiano mai avuto, come colui che avrebbe tenuto a battesimo il sacro risotto, gratificandolo persino di un nome di sua invenzione. Un omaggio che l'imperatore non avrebbe mai fatto ai ribelli milanesi. Continua con la prossima Puntata.

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-03

Leggende milanesi e il risotto alla milanese. La terza puntata. Senza dubbio il risotto della milanese divide con l'altrettanto mitica cotoletta la palma di più celebrato piatto della cugina cucina meneghina. A tanta celebrazione fa scontro l'estrema semplicità della sua ricetta che in fondo, se ci si pensa, è solo il connubio felice tra due ingredienti, il riso e lo zafferano. Tutti gli altri elementi della ricetta, il burro, la cipolla, il midolo di bue, il brodo di carne, il formaggio, più che come ingredienti, contano in quanto strumenti introdotti per portare alla perfetta armonia i protagonisti del piatto. il cereale in chicchi e la spezia dorata. Beh, raccontato così, il capolavoro della cucina milanese sembra ridursi a una inezia e tutt'altro. Un risotto che possa veramente definirsi tale presuppone la presenza del cuoco giusto al momento giusto di amore e maestria. Ma nonostante la sua semplicità, il cosiddetto risot gial risotto gialli giallo origine misteriosa che invano si è cercato di individuare nei più recessi antri della tradizione. La sua nascita probabilmente è avvenuta un po' in sordina e nell'ombra è passata anche alla lenta evoluzione che ha portato al definirsi della sua ricetta classica quando alla fine del proprio viaggio di formazione il risolto alla milanese si ritrovò incoronato come il più rappresentativo saggio della cucina meneghina. Il ricordo dettagliato delle sue origini si era già perso nei meandri dei secoli trascorsi e a questo punto, benché senza riscontri precisi da parte delle fonti storico ufficiali sono cominciate le innumerevoli ricerche, le supposizioni e le ipotesi di storici e asronomi che hanno prodotto vari saggi nel tentativo di spiegare perché tutti i perché di questo famoso piatto. La genesi ritenuta tanto misteriosa del risotto la milanese potrebbe avere seguito invece seguito invece un niter evolutivo molto più semplice di quanto non si possa pensare. Le sue radici, infatti potrebbero essere identificate in una minestra in cui la ricetta è testimoniata anche dai più antichi ricettari italiani. A parlare della menestra che fa a caso nostro nel suo libro di arte coquinaria è maestro Martino da Como. Quindi, cosa importante, è un lombardo che nella sua arte avrà tenuto anche conto dai presupposti della propria tradizione nativa. Celebre cuoco del X secolo al servizio del cardinal Ludovico Trevisani, patriarca nominato di Aquileia e l'opera risale al 1450 circa. In un buono brodo de Capone e d'altro pollo grosso, scrive l'illustre cuoco, si cuoceva del farro e a coltura ultimata si aggiungevano buone spettie e tuorli d'uovo. Maestro Martino chiude la ricetta dicendo che questo farro vuole essere giallo di zafrano, ossia colorato di giallo tramite la giunta dello zafferano. Detto questo, maestro Martino passa subito a presentare la minestra successiva che gli chiama riso con brodo de carne. Ma la ricetta è prestudata. Il maestro si limita a scrivere di fare como è ditto per la ricetta della minestra precedente aggiungendo che siccome molti sonno e non vogliono oval col riso, volendo si poteva anche emettere di metter evitare di emetterli e poi la volta della minestra di miglio con brodo di carne non molto dissimile alle precedenti delle quali si diversi si diversifica solo per sfumatore del sapore. Cambia il brodo, non il pollame, ma di carne bovina, forse per compensare la povertà del miglio rispetto ai più nobili farlo e riso e non compaiono né spezie né uova, ma c'è sempre il zafrano. Il riso del X secolo rispetto al miglio e al farro ereditati della tradizione antica dai romani e dai Celti doveva essere ancora un piatto d'elite, ma andava facendosi strada velocemente nell'alimentazione dei lombardi. comparendo da prima solo nelle minestre e proprio in queste e con il tempo si sarebbe sostituito ad altri cereali relegati in zuppe di secondo ordine. Una volta entrato pienamente nell'uso, si cominciò a variarne la modalità di cottura. Dagli antichi ricettari si desume infatti che il riso in origine venisse sempre bollito. Quando e ma quando si cominciò a stufare La minestra di riso in brodo con Zafferano tolta le uova che del resto erano facoltative costituisce quasi sicuramente un'antenata del risotto alla milanese. Nel ricettario di maestro Martino si presenta caso di zuppe che venivano ristrette come la menestra di Brodecto, ricca di vari ingredienti, tra i quali anche un poco di zafrano. Questa andava cotta menando continuamente col cocchiaro e facendola stringere fino a che lo cucchiaro comincia a imbrattarsi. Contemplava cioè già tutti quei gesti e quelle regole di cottura che avrebbero poi costituito i cardini sui quali si fonda la preparazione del risotto. Notoriamente, infatti, il risotto viene rimestato per tutti i 20 canonici minuti. cottura, mentre il brodo si prosciuga fino a sparire, regalando, complice la manteca, la famosa onda del risultato finale, limitandosi a far stringere il brodo di quell'antica minestra di riso colorata dal zafrano di maestro Martino in via rudimentale e si dava già vita a un proisotto alla milanese senza bisogno di tante invenzioni. La storia del risotto continua con la prossima puntata.

 

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-04

 

La leggende milanesi e la storia del risotto alla milanese Zafra. Tutti gli altri passaggi riportanti alla cottura con i secoli si avrebbero solo rappresentato le fasi di miglioramento e persino di perfezionamento del piatto. Dal XV secolo a oggi fasi che si saranno prodotte a più riprese progressivamente a partire dall'iniziale soffritto con burro e cipolla del quale si fa tostare il riso e dalla giunta successiva di midollo di bue per continuare con lo spruzzato di vino che apre una feroce polemica, ci vuole o non ci vuole e poi biancorosso per proseguire ancora con il brodo caldo versato, un messo. volta sul riso e fatto restringere per poi passare a fine coltura al formaggio che è solo unicamente uno, il grana padano grattugiato, poiché quello di Lodi ormai è un ricordo. Il dolc si infondo per terminare con il tocco finale una noce di burro. C'è poi il dilemma dello zafferano, chi lo aggiunge all'inizio, chi ha metà, chi ma è fuori legge, osa addirittura farlo quasi alla fine. Da questa antica minestra si arrivò a risotto per gradi, piano piano attraverso miglioramenti dettati dall'evoluzione del gusto, dalle condizioni economiche generali che mutavano e permettevano via di larghegiare in condimenti migliori. Con la fine del 700 ci si avvicina sempre più alla configurazione del risotto classico che finalmente nei primi ricettari dell'8 viene presente diventato in via ufficiale come risotto alla milanese, tanto che il cherubini può includerlo nel 1839 nel suo vocabolario come piatto già facente parte dell'antica tradizione gastronomica meneghina, ampliamente riconosciuta da tutti. Risot che anche diciamo risald soffritto che tu abbia nel burro al quanto mi dono di e una cipollina trita e vi metti il riso un po' abbrustito che egli sia. Tu l'inondi di buon brodo, indi lo regoli di cervellata e di calciolo di giano gratato. Lo lasci così cuocere e beversi tutto il brodo, dopodiché lo ingialli con preserella di zafferano e lo servi risotto. Ma il risotto non si è immobilizzato nella ricetta dei giorni dei cherubini che ha comunque proseguito il suo ulteriore viaggio evolutivo. In quel viaggio qualcosa si è anche perso rispetto all'antica tradizione ed è la cervellata di cui parla proprio cherubini o cervellato che dir si volesse antico e prezioso ingrediente dell'antica cucina lombarda detto in dialetto cervelà Era, per usare l'ennesima volta le parole cherubini, un composto di grascia porcina e di grascia d'argnone di manzo, scus affatto di carne triturate minutissime, insalate e regalate da Romi e di calciolo di Giano trito. Si vendeva insaccato in budelle tinte in giallo collo zafferano e stroncate ad altezza di spanna come il salsicciuoli comuni. Questo cervelà era un integratore di sapori. Si aggiunge in piccole quantità a cibi e a pietanze come brodi in tingoli e piatti di carne. Dava un gusto speciale a ogni pietanza con cui si sposava. I palati fini gli andavano pazzi. A Monza in Brianza se ne preparava uno particolarmente ottimo. Ortenis Olandi 1512. di circa 1553, medico e letterato, forse il più bizzarro tra gli scrittori italiani il 500, nel commentario delle più notabili mostruose cose d'Italia, edito a Venezia 1548 e più volte ristampato, dice che era particolarmente buono quello che si confezionava nel paesino di Pere Gallo. Goderà in Milano il cervellato del peregallo cibo re dei cibi. Per misteriose ragioni inspiegabili, visto il favore che riscontrava nei palati milanesi Lombardo e Lombardi, il cervelà scomparve della cucina brusanea con sdegno delle buone forchette. Alcuni illustri buon gusta presero la scomparsa di quel condimento come esempio della degenerazione dei tempi e della perdita dell'identità. più vera e genuina. Antonio Ghislanzoni, il librettista della Ida di Verdi, espresse il concetto in parole che sembrano condivise anche da altri. Si richiamavano a un tempo in cui gli antichi valori venivano ancora tenuti in considerazione e rispettati tempi nei quali gli ambrugiani non avevano ancora degenerato, al punto da proscrivere il cervelà da risotto. Del Cervelà restò solo un ricordo mitizzato dalla letteratura locale ed evocato anche dal nome che milanese si dava al salumiere il Cervelì. Dal 1839 in poi i milanesi per generazioni mangiarono quintali di risotto senza domandarsi da dove mai questo piatto venisse. Era ottimo e basta. I puristi lo degustavano senza aggiunte, ma c'era chi invece talvolta vi aggiungeva i funghi porcini, chi li incorniciava con un giro di salsiccia arrostita, chi lo copriva di scaglia di tartufo, chi vi aggiungeva le codie di gambero. Poi, in un giorno del primo dopoguerra apparre per la prima volta sulle pagine del Corriere della Sera leggenda del risotto. -?

 

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-05

Le leggende milanesi, il risot con Zafran e la minestra. Dicono che la minestra risalga i cinesi, i quali coltivavano il riso da tempo immorabile e non ne dubitiamo. Il cucchiaio, però, per mangiarla l' l'abbiamo inventato noi, mentre i cinesi sono rimaste le bacchette di bambù. Inoltre noi, proprio noi milanesi, abbiamo inventato il risotto, diciamo il risotto intorno al quale purtroppo mancano notizie precise, così che si ignora che abbia pensato per primo al midolo di manzo, al cervellato, alla cipollina, che abbia avuto l'idea di accompagnarlo con i funghi, i tartufi, le code di gambero eccetera. Si sa appena che per molti anni non si mangiò che risotto bianco e che il primo risotto giallo risale a settembre del 1574. Anzi, come molti altri avvenimenti importanti della storia di Milano, si riallaccia anche la storia del Duomo, perché fu appunto in quell'anno che Valerio di Fiandra, maestro vetraio, incaricato della veneranda fabbrica di terminare l'avvetriata di Sant'Elena, lasciata incompiuta da Rinaldo D'Umbra, riuscì ad ultimare ben 75 quadretti di quella vetrata. Il maestro Fiammingo godeva fame di essere più lesto nel bere che nel lavorare, ma per incoraggiarlo la fabbrica gli aveva promesso a titolo di premio per ogni 100 lire imperiale di vetri consegnati una brenta e mezza di vino. Direte che non era proprio il modo più adatto per sollecitare un lavoro di urgenza. Invece Valerio ci si era messo con tanto impegno che era riuscito a rifornirsi di premi la cantina pur non avendo sofferto la sete. Ma se il vino, come era giusto, se lo beveva lui, ha la tavolozza che è la scorta dei vetri colorati alla mufola che è il forno di cottura e all'impasto dei colori attendeva lo zafferano, un intelligente scolaro che si era guadagnato da Valerio quel soprannome perché nel comporre il giallo d'argento non mancava da aggiungere dalla polvere di Tripolo un pizzico di zafferano ottenendone meravigliosi effetti. Chiedeva il maestro allo scolaro Che cosa hai messo nella tinta di quelle carni così ben riuscite? Zafferano rispondeva lo scolaro. E nei capelli di quella santa zafferano e nella barba di quel profeta zafferano. Sempre zafferano. Tanto che un giorno il maestro abbia dirgli ridendo: "To finirai col metro zafferano anche nel risotto?" E il ragazzo era rimasto meditabondo. Ora avvenne che fra la bellissima figliuola di Mastro Valerio e il giovane maneggiatore del Bettolin di Pret, cioè la cantina del Camposanto dove si smerciava il vino dell'arcivescovo si accendesse una di quelle passioni che a dire di molti non si estinguono che con il matrimonio. Il partito era buono e poiché il maneggione aveva saputo acquistarsi le simpatie simpatie del futuro suocero Endo con zelo e premura ogni scadenza di premio gli ordini della veneranda fabbrica, il consenso non tardò a essere accordato e le nozze vennero fissate per la Madonna di settembre di quell'anno stesso che era appunto il 1574. Ed è qui che viene in scena il risolto giallo perché al banchetto nuziale tenutisi in mezzo al cantiere degli scalpellini fra blocchi di marmo, peduz Gugliette e statue appena bozzate, con l'intervento di tutti i vetrai della fabbrica, fecero loro comparsa quattro belle marmitte di risotto, sulle quali sembrava che il sole di mezzogiorno avesse lasciato cadere i suoi raggi d'oro. Era il dono di nozze che Zafferano, d'intesa col cuoco del Bettolin di Pret, offriva agli sposi. Al giorno il giorno appresso tutta Milano. mangiava risotto giallo. Così negli anni 20 del 9 scriveva lo scrittore Otto Cima, presentando la leggenda che raccontava la nascita del ridotto del risotto piatto principe del milanesi. Ma la leggenda continua con le parole scritte di più 30 anni dopo da Vincenzo Bonassisi, famoso esperto in cucina e autore di un numero infinito di pubblicazioni. sui cibi e sui vini italiani. Riprendendo la leggenda cimana, Buonassisi fa la sintesi dei suoi effetti postumi. Il successo fu tale, continua a riferire, che gli indomani tutti i negozi dove si vendeva lo zafferano misero fuori in aquila o un falchetto per ricordare la città dell'Aquila donde lo zafferano arrivava. Così la gente sapeva dove e procurarselo e tutti si dettero a cucinare risotto d'oro. Ma non finisce qui perché continua con la prossima puntata.

 

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-06

Le leggende di Milano e il risotto zafferano. Da questa versione ne sono venute fuori altre, per esempio, che l'esperimento non fu voluto e non avvenne in occasione di un pranzo di nozze. Semplicemente uno degli allievi di Mastro Valerio, sbadatamente uno dei sacchetti con lo zafferano poggiato sopra un banco nel capannone a fianco del Duomo dove si teneva gli attrezzi, colori, materiali e si faceva anche cucina per tutti nell'intervallo fra il lavoro mattutino e il lavoro pomeridiano. Eh, avete già capito. Lo zafferano cadde sul risotto mentre cuoceva e lo tinse di uno splendido giallo. Mastro Valerio con tutti gli altri da principio voleva buttarlo via, ma poi ci ripensò. In fondo lo zafferano era un prodotto vegetale, ma che male poteva fare? Qualcuno assaggiò gli piacquei ed era nato il risotto. I milanesi degli anni ruggenti si innamorarono subito della leggenda presentata da Otto Cima. Giornalisti e scrittore la riciclarono centinaia e centinaia di volte. La si ritrova citata o raccontata per esteso in un numero infinito di pubblicazioni che riguardano Milano. Ben pochi si chiesero se fosse autentico oppure no. Nessuno chiese e osò chiedere al cima come mai questa antica leggenda fosse ricomparsa alla ribalta per la prima volta solo allora in quegli ormai lontani anni tra il 1923 e il 1929. E come mai nessuno dicasi nessuno ne avesse mai parlato prima in una delle pubblicazioni, monografie ostrenne, davvero tantissime, che parlavano di Milano. Nel 1992, nella sua storia della cucina italiana, Massimo Alberini esprimeva il suo giudizio lapidario. La leggenda del risotto la milanese di Otto Cima era una di quelle fanfaluche che la gente accetta volentieri in tanto facili da ricordare. Nella sua invenzione il cima aveva chiaramente intenti celebrativi. Per la scoperta del suo risotto immaginò addirittura una data precisa, scelta in modo non casuale, tra tutte le opportunità che i calendari ambrosiani gli offrivano, la ricorrenza della Madonna di settembre che cade il giorno 8 del mese. In questo giorno Milano festeggia la dedicazione della sua chiesa più importante, il Duomo. Oggi è una festa che nel rumore frenetico della città che lavora passa inosservata, ma in passato vantava una buona partecipazione ai fedeli. La festa, pensava al cinema, sarebbe diventata doppia. Per un autentico milanese come lui poteva forse essere un binomio celebrativo. Duomo è risotto, eh, è migliore di questo. Otto cima nacque a Milano nel 1859, anno di gloria per i milanesi che si liberarono per sempre degli odiati austriaci. L'annessione della Lombardia all'Italia ormai era quasi finalmente realtà. Otto veniva da una famiglia di milanesi di Milano, come si diceva allora per sottolineare con orgoglio l'assoluta purezza dei quarti di meninità. Suo padre Camillo, uomo di interessi molteplici, poetà dialettale, pittore e caricaturista, era noto Milano per avere scritto varie commedie dialettali di successo e soprattutto per aver inventato dal nulla un giornale umoristico. L'uomo di pietra, destinato a una lunga vita e a una strepitosa fame. Le belle vignette da lui disegnate colpirono ancora oggi per la piacevolezza del segno e ci restituiscono il ritratto sconosciuto di una Milano che sapeva ancora ridere di sé stessa in primo luogo e degli altri poi quando ancora esisteva un umorismo alla milanese. Otto cima rica e cliché tipico del scrittore e del poeta lombardo inaugurato dal porta è impiegato modello di una famosa banca milanese e riusciva a trovare il tempo per i suoi studi per scrivere, per ricevere in circolo gli amici scritosi e i milaneesisti per fare il marito al padre di famiglia in un'antica casa di via Borgogna con corte in giardino dove i suoi vivevano ancora patriarcamente. Egli era stato in vita la passione nato testimone di una città che andava velocemente cambiando sotto il peso trasformatore della modernità. Dopo alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Milano ottocentesca e post risorgimentale, con le sue ricchezze e le sue miserie aveva cominciato la propria lenta autosepoltura, ma non è finita qui perché continua con la prossima puntata.

 

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-07

Leggende lombarde, meglio ancora milanesi e la storia del risotto alla Zafran, risotto milanese. Otto Cima divenne sacerdote che presiedeva il culto della vecchia Milano. Si impegnò nelle pagine del Corriere della Sera a fermare affermare in articoli di terza pagina le sue tante memorie e le sue preziose testimonianze, mentre i piccioni sventravano nei quartieri antichi e i dedicoli sparivano per lasciare posto a nuove vie e a piazze anonime. Presto anche i Navigli, con tutta la loro oleografica poesia, sarebbero stati coperti per trasformarsi in viari e gramiti di automobili. Questa Milano che moriva nascere in lui una certa malinconia, sebbene un po' disincantata, contro il tempo che mutava ogni cosa egli sapeva di non poter fare niente. Cima sapeva che anche non essere l'incallito sognatore incapace di guardare a quel poco che di buono, di presente porta con sé e tutt'altro. In lui, come scrissero, l'uomo antico non ne dall'uomo moderno, anzi stanno fra loro in paziente diplomatico pace. La sua Milano, quella che si portava dentro, nessuno gliela avrebbe potuta rubare. Era il suo patrimonio per sempre, quella di un tempo irremediabilmente perduta, quella presente che viveva con l'intensità di sempre, quella sognata e magari anche quella inventata. E dalle colonie del giornale regalava ai lettori le coloratissime pennellate di un'immensa tela che di lettura in lettura andava componendosi e che dopo la sua morte venne trasformata in un libro intitolato Milano vecchia con la prefazione della scrittrice Ada n****. Ma ciò nonostante egli diventò su Maggrade il portabandiera degli andeg tradizionalisti accaniti. per i quali Milano era diventata una fenice che non sapeva risorgere più dalle sue ceneri, una città nella quale ogni giorno si presentava l'occasione di celebrare, tra fastidiosi pianti e imbarazzanti lacrime, le eseque e funebre anche di tutto ciò che era giusto morisse. La risposta ai milanesi alle celebrazioni giornalistiche del buon tempo andato inaugurate dal cima Fu sorprendente. Cima senza saperlo, aveva inventato la saga della vecchia Milano. Quasi giornalmente, scriveva Ada n**** nel suo ricordo postimo del cima, la posta gli portava lettere di ignoti piene di consensi, di domande, di informazioni, di ringraziamenti. Egli seppe così ogni articolo suo letto, discusso e postillato da una speciale categoria di pubblico. Studiosi di cose antiche, ma senza cattedre di musoneria, milannesoni innamorati della loro madonnina d'oro e del loro santeorgio, dei barconi di Ripa Ticcinese e delle colonne di San Lorenzo, i quali nel cinema ritrovavano la Milano del loro cuore. Milano e più storia, leggenda, tradizione, linguaggio, singolarità della stirpe, luci, linee risonanze, ombre, rilievi che ormai non esistono più o stanno per scomparire. Nel vortice di questi consensi capitò che qualche volta la penna del cima, apostolo del tempo perduto, fosse tentata di integrare con l'invenzione letteraria i vuoti della tradizione. Sebbene con lo spirito più disincantato rispetto ad alcuni suoi predecessori, Cima fu anche lui uno dei tanti glorificatori di Milano. In lui rivva qualcosa dello spirito che secoli prima aveva animato fin quasi al delirio celebrativo. L'antico frate Paolo Morigia, inventore di tante alle gente milanesi e Otto Gima, in modo diverso, con maggior garbo, migliore stile, ma con lo stesso candore disarmante fu qualche volta e in dimensioni minime il suo epigono moderno. Il risotto la milanese, il pannettone, le due specialità gastronomiche che che portano lontano al nome di Milano non era mai non erano mai stati fatti oggetto di celebrazioni mitologiche. Il cima, che era un topo di biblioteca, avrebbe potuto limitarsi a svolgere tra gli scaffali della biblioteca Ambrosiana e della Braidense, una delle tante accurate ricerche che lo distinguevano tra i cultori di cose milanese. E invece no, per queste due sacre e relique della tradizione meneghina, risotto e panettone, egli sese un altro tipo di rievocazione, quella dalla fantasia e dal cuore. Milano ora era da vista lui come una veggia amorosa, l'unica veramente amata, il ricordo della quale andavano tributati speciali omaggi. L'amante appassionato che era in lui prevarse sul ricercatore con l'invenzione di nuovi innalzava il suo canto immaginario all'amata. Era capitata la stessa cosa anche ad altri scrittori e poeti medegghini e lombardi a lui contemporanei. Anziché la fredda ma puntuale disamina delle fonti storiche, Cima scelse la calda strada della fantasia che cul sogni e accarezza le passioni. Fu così che nacquero le leggende del panettone e quelle del risotto. Un cima forse un po' vergognoso, ma certamente soddisfatto delle sue funzioni letterarie molto ben architettate, presentò le neoleggende al pubblico milanese con una discrezione particolare, facendole quasi scivolare leggermente, senza far rumore, dalle pagine del giornale negli occhi e nell'immaginario dei lettori. E se qualcuno si dimostrava un po' stupito di una leggenda mai sentita prima, con un largo sorriso sorgnone rispondeva con tono esclamativo: "Ma come non la conosce? Non la conoscete, ma se è notissima." E non finisce qua perché continua con la prossima puntata. -?

 

 

 

 

 

La leggenda del risotto milanese pt-08

Le leggende milanesi con il risotto al zafferano. I lettori del Corriere, tutti quei milanesi che stimavano molto il cima, ovviamente presero per veramente anticende e le pagine che uscivano dalla sua Cina, sempre in piena attività, erano ritenute, come dice Ad n****, scritte con scrupoloso amore di ricerca cronistica e storica, umanità, coerenza e armonia dei argomenti, piacevolezza di stile, tutte scaturite della stessa sorgente e cioè dalla passione di un milanese per la sua Milano. E tutto ciò era vero, salvo il fatto che, come tutti gli amanti un po' paranoici. Qualche volta il cinema aveva il vizio di lasciarsi andare a manifestazioni del cuore un po' esagerate. Ma se la finzione al momento resse l'impatto con i lettori appassionati, col tempo riverò l'inganno del suo inventore. Il già citato Massimo Alberini, sempre nell'opera di cui si è fatto cenno, ribadendo il concetto già espresso, scrivendo che Otto Cima fu l'inventore, fra l'altro, di leggende care agli imbrusiani come quella del risotto e del pannettone. Anche per queste leggende è il caso di ripeterlo. Vale la tesi espressa altrove in questa raccolta, sebbene siano dei falsi clamorosi, sebbene non possono inseriristi nel novelo delle tradizioni cosiddette popolari, ma fanno ormai parte della tradizione ambrosiana, come i saggi della teratura milanese e quindi vanno viste e trattate in quest'ottica. Popolari divennero comunque nonostante tutto perché Milano Intera le conobbe, le amò e le fece sue. Otto Cima, ricercatore d'archivio ovviamente non era rimasto a guardare con in mano in mano il romantico scrittore che era in lui, tutto intento alla costruzione della sua leggenda. La trama della storia del risotto partiva infatti da un fondamento storico. Il maestro Valerio di Fiandra, nella cui bottega, secondo il cima, nacque risotto, era un personaggio realmente esistito. Nel quarto volume degli annali della fabbrica del Duomo e nell'appendice terza degli stessi compare effettivamente un magistro Valerio de Profunda Valle. Fiammingo, maestro vetrerie, impegnato soprattutto nelle opere per la tare di Sant'Elena. Gli annali dovevano essere un'opera della quale durante le sue ricerche il cima aveva attinto ampiamente per gli studi del Duomo. Tra i cantieri dei vetrai del Duomo in precedenza il cima aveva ambientato uno dei suoi racconti intitolato Guglietta, pubblicato nella raccolta delle arie antiche milanesi e in racconto, sebbene appena con un breve accenno mi compariva già il mastro Valerio di Fiandra, da cui quasi sicuramente gli venne lo spunto per l'invenzione della leggenda. Le origini del risotto saranno scure e ancora a volte nel dubbio, ma la sua storia, come si può constatare, è antica e interessante. Con queste premesse il risolto diventò l'oggetto di varie colte citazioni. Stendal, che pure amava Milano di un amore intenso e quasi struggente, sembra che lo detestasse che lo chiamasse risotto all'audano. Ci furono patrioti che, come il celebro attore Moncalvo, in un eccesso di sentimento nazionale, scansavano rabogiosamente il risotto, proprio perché era giallo, il colore che insieme al nero formava la bandiera dell'Austria dominatrice. Carlo Rossi nella nota numero 5464 delle note azzure scriveva che Moncalvo la sera recitava, il giorno lo passava in carcere perché non perdeva l'occasione di fare sulla scena allusione austria per esempio ordinando un risolto diceva Damel Mengajald e dopo una pausa e Naneger Giovanni Pascoli ed Emilio Gadda furono più amabili nei confronti del risotto e fecero qualcosa di di più. Il primo, che era un buon gustaio con una poesia scherzosa dedicata proprio al risotto giallo, rispose a un'amica che dopo averglielo fatto gustare gliene aveva inviato la ricetta. Il secondo, animato da vivaci interessi cultural gastronomici, produsse nel 1960, nella sua bella lingua, un Una prosa intitolata risotto patrio, recippe, è inserito in un'opera gadiana tra le meno conosciute, le meraviglie d'Italia pubblicate da Einaudi. È un prezioso omaggio con il quale si celebra, per usare le parole di Gadda stesso, il profondo, il vitale nobile significato del risotto alla milanese. -?

 

 

 

 

Discussioni:  Riferimenti culturali.

 

Il risotto alla milanese è profondamente radicato nella cultura milanese e lombarda, e le sue origini e la sua evoluzione sono costellate di riferimenti culturali che spaziano dalla storia antica alla letteratura moderna.

Le origini e l'evoluzione culinaria con riferimenti storici: Il riso si diffuse in Italia relativamente tardi. I Romani lo usavano quasi esclusivamente in medicina, e viene citato tra i medicamenti usati da medici antichi come Galeno. Gli Arabi lo introdussero in Spagna, dove era una base della loro alimentazione, nel VII secolo, e a lungo si credette che l'avessero portato anche in Sicilia, ma nuovi studi sembrano negarlo. Furono gli Aragonesi a portarlo a Napoli nel X secolo. In Lombardia, solo nella prima metà del XV secolo, il riso iniziò a essere considerato diversamente, passando rapidamente dalla medicina alla gastronomia, grazie all'attenzione degli Sforza. Anche i monaci cistercensi dell'abbazia di Chiaravalle si prodigarono per favorirne l'introduzione e la coltivazione. Nel 1465, il Duca di Milano nominò un commissario ducale dei risi nel Lodigiano, segno della sua crescente diffusione. La Lomellina, ricca di acque, divenne "la terra del riso", e Ludovico il Moro è considerato un sostenitore della sua diffusione. Tuttavia, nel XVII secolo, la coltivazione subì un calo a causa di polemiche sulle condizioni igieniche delle risaie, ritenute malsane. Nel '700 il riso fu riabilitato definitivamente.

Lo Zafferano: un riferimento all'oro e alle antiche civiltà: Lo zafferano ha una storia antica, conosciuto e usato da Egizi, Greci e Romani. Gli Arabi lo portarono in Spagna insieme al riso, e questa "accoppiata vincente" è ancora testimoniata nella tipica paella. Nel Medioevo, epoca in cui si vorrebbe far nascere il risotto alla milanese, lo zafferano era già molto conosciuto in Europa. I Milanesi lo usavano prima che si parlasse di risotto; un documento del 1218, citato da Ottorina Perna Bozzi, attesta l'uso dello zafferano a Milano in un pranzo offerto dai monaci di San Vittore ai canonici di San Nazaro. Il termine milanese "zaferano" o "safran" rimandava e rimanda ancora all'immagine dell'oro, come forse accade anche per la "dorata cotoletta alla milanese". Questa associazione con l'oro si rifletteva nell'uso, presso le corti come quella dei Visconti, di servire cibi e pietanze rivestite di sottilissime lamine d'oro durante i banchetti di gala, per produrre "effetti meravigliosi". Un esempio celebre è il banchetto dato a Milano il 15 giugno 1368 per le nozze di Violante Visconti, dove 50 portate, inclusi arrosti di vitello, porchette e pesci, erano "completamente ricoperte d'oro". I medici dell'epoca assicuravano che l'oro fosse una "medicina portentosa" per il cuore. Con il tempo, questo uso costoso e poco salutare scomparve, ma l'oro dello zafferano in un piatto di risotto alla milanese è visto come un ricordo di quella "antica e tramontata consuetudine". Il colore giallo stimola il nervo vago e facilita la digestione, avvicinando gli alchimisti medievali al vero nel loro attribuire all'oro la virtù di "ringiovanire il cuore".

Il dibattito sull'origine del termine "risotto" e le ricette proto-risotto: Stefania Vinciguerra menziona un aneddoto pittoresco, ma inattendibile, secondo cui Federico Barbarossa, dopo aver gustato un riso ben condito con zafferano e formaggio lodigiano, lo avrebbe definito "Risum optimum", da cui "risoptun" e infine "risotto". Questo racconto è considerato improbabile perché il riso fu adottato come alimento molto più tardi, e un omaggio del genere non sarebbe stato fatto ai ribelli milanesi. La genesi del risotto alla milanese potrebbe essere più semplice, derivando da una minestra. Maestro Martino da Como, celebre cuoco lombardo del XV secolo, nel suo libro "Arte Coquinaria" (circa 1450), descrive una minestra di farro in brodo di cappone, a cui si aggiungevano spezie e tuorli d'uovo, e specificava che "questo farro vuole essere giallo di zafrano". Successivamente, propone una minestra di riso con brodo di carne e zafferano, o anche di miglio con zafferano, che anticipano il risotto. La minestra di riso in brodo con zafferano, senza le uova facoltative, è considerata quasi sicuramente un'antenata del risotto alla milanese. Le pratiche di cottura di queste minestre, come il mescolare continuamente e far restringere il brodo, richiamano i gesti fondamentali della preparazione del risotto moderno.

 

 

Discussione: Otto Cima.

 

Otto Cima è una figura centrale nella discussione sulle leggende milanesi, in particolare per la sua influenza nella creazione e diffusione della leggenda del risotto alla milanese.

Biografia e Contesto: Nato a Milano nel 1859, un anno significativo per i milanesi che vedevano l'annessione della Lombardia all'Italia, Otto Cima proveniva da una famiglia di "milanesi di Milano", un'espressione usata con orgoglio per sottolineare la purezza della loro "meneghinità". Suo padre, Camillo Cima, era un uomo dai molteplici interessi: poeta dialettale, pittore e caricaturista, noto per aver scritto commedie dialettali di successo e per aver fondato il giornale umoristico "L'uomo di pietra". Otto Cima incarnava il cliché dello scrittore e poeta lombardo. Era un impiegato modello di una famosa banca milanese, ma riusciva a dedicare tempo ai suoi studi, alla scrittura, a ricevere amici scrittori e "milaneesisti" nel suo circolo, e a essere padre di famiglia in un'antica casa di via Borgogna.

Il "Sacerdote della vecchia Milano" e il suo Patrimonio: Cima fu testimone appassionato di una Milano che cambiava rapidamente sotto il peso della modernità, specialmente dopo la Prima Guerra Mondiale, quando la Milano ottocentesca iniziò una "lenta autosepoltura". Divenne il "sacerdote che presiedeva il culto della vecchia Milano". Attraverso i suoi articoli nella terza pagina del Corriere della Sera, si impegnò a conservare la memoria e le testimonianze di una città che vedeva sventrati i quartieri antichi, sparire i vicoletti e i Navigli coperti per far posto a nuove vie e automobili. Nonostante una certa malinconia per il tempo che mutava, Cima non era un sognatore incallito; in lui convivevano "l'uomo antico" e "l'uomo moderno" in una "paziente diplomatica pace". La sua Milano interiore, il suo "patrimonio per sempre", era fatta di ricordi di un tempo perduto, di una Milano presente vissuta intensamente, e di una sognata e persino inventata. Le sue "coloratissime pennellate" sul giornale furono poi raccolte nel libro "Milano vecchia".

 

 

 

 

Qual è il ruolo dello zafferano?

 

Lo zafferano svolge un ruolo multifacetico e di fondamentale importanza nella storia e nell'identità culturale del risotto alla milanese, agendo come elemento storico, simbolico, culinario e leggendario.

Ecco un'analisi dettagliata del suo ruolo:

1. Origini e diffusione storica:

    - Lo zafferano ha una storia antica, essendo stato conosciuto e utilizzato da civiltà come Egizi, Greci e Romani.

    - Fu introdotto in Spagna dagli Arabi insieme al riso, e questa "accoppiata vincente" è ancora evidente nella tipica paella.

    - Nel Medioevo, periodo in cui si collocano le origini del risotto alla milanese, lo zafferano era già molto conosciuto in Europa.

    - I Milanesi lo usavano ben prima che si parlasse di risotto; un documento del 1218 attesta il suo impiego in un pranzo offerto dai monaci di San Vittore ai canonici di San Nazaro.

    - I milanesi si rifornivano di zafferano dall'Abruzzo.

2. Simbolismo dell'oro:

    - Il termine milanese "zaferano" o "safran" rimandava e rimanda ancora oggi direttamente all'immagine dell'oro. Questa associazione si ritrova anche nella "dorata cotoletta alla milanese".

    - Questa connessione con l'oro è un richiamo all'uso medievale presso le corti, come quella dei Visconti a Milano, di servire pietanze rivestite di sottilissime lamine d'oro durante i banchetti di gala per produrre "effetti meravigliosi".

    - Un esempio celebre è il banchetto nuziale di Violante Visconti nel 1368, dove 50 portate, inclusi arrosti di carne e pesce, erano "completamente ricoperte d'oro".

    - Sebbene l'uso diretto dell'oro nei cibi fosse costoso e poco salutare (anche se i medici dell'epoca lo ritenevano una "medicina portentosa" per il cuore), l'oro dello zafferano in un piatto di risotto alla milanese è visto come un "ricordo di quella antica e tramontata consuetudine".

    - Il colore giallo brillante del risotto, dato dallo zafferano, appaga gli occhi e richiama l'immagine dell'oro fumante.

3. Funzione culinaria e benefici (percezione storica):

    - Lo zafferano è l'ingrediente che conferisce il caratteristico colore giallo dorato al risotto, distinguendolo e rendendolo iconico.

    - Maestro Martino da Como, nel suo libro "Arte Coquinaria" (circa 1450), nelle sue ricette di minestre di farro, riso e miglio, specificava che "questo farro vuole essere giallo di zafrano", indicando chiaramente la funzione colorante dello zafferano nelle preparazioni proto-risotto.

    - Oltre al colore, il colore caldo stimola il nervo vago, facilita la digestione e contribuisce a non affaticare il cuore, avvicinando gli alchimisti medievali alla verità nel loro attribuire all'oro la virtù di "ringiovanire il cuore".

4. Ruolo nel dibattito sul "Risum optimum" (leggenda):

    - In una leggenda inattendibile, Federico Barbarossa avrebbe definito un riso condito con zafferano e formaggio lodigiano come "Risum optimum", da cui il nome "risotto". Questo indica come lo zafferano fosse già associato al riso nelle narrazioni sull'origine del piatto, sebbene la leggenda sia smentita.

5. Ingrediente fondamentale del risotto classico:

    - Il risotto alla milanese è descritto come il "connubio felice tra due ingredienti, il riso e lo zafferano". Tutti gli altri elementi (burro, cipolla, midollo di bue, brodo, formaggio) sono considerati "strumenti introdotti per portare alla perfetta armonia i protagonisti del piatto: il cereale in chicchi e la spezia dorata".

    - La ricetta classica del risotto, che si avvicina alla fine del '700 e appare nei ricettari dell'800, include lo zafferano per "ingiallirlo".

    - Anche se ci sono dibattiti su "quando" aggiungere lo zafferano (all'inizio, a metà o quasi alla fine), la sua presenza è indiscutibile.

6. Nelle "cervellate":

    - Lo zafferano era un ingrediente del "cervelà" o "cervellata", un antico e prezioso composto dell'antica cucina lombarda, venduto insaccato in budella "tinte in giallo collo zafferano". La scomparsa di questo ingrediente è stata vista come una "degenerazione dei tempi".

7. Elemento chiave della leggenda di Otto Cima:

    - Nella leggenda più popolare creata da Otto Cima, lo zafferano è l'elemento centrale che dà origine al risotto giallo.

    - Valerio di Fiandra, maestro vetraio del Duomo nel 1574, aveva un allievo soprannominato "Zafferano" proprio per la sua abilità nell'usare il pigmento giallo, aggiungendo un pizzico di zafferano alla polvere di Tripolo per ottenere "meravigliosi effetti" nel giallo d'argento.

    - La leggenda culmina con l'allievo "Zafferano" che, per le sue nozze, offre quattro marmitte di risotto giallo, descritte come se "il sole di mezzogiorno avesse lasciato cadere i suoi raggi d'oro".

    - Il successo del piatto fu tale che il giorno dopo "tutta Milano mangiava risotto giallo".

    - Un'altra versione della leggenda narra di uno dei sacchetti di zafferano che cadde accidentalmente sul risotto durante la cottura, tingendolo di "uno splendido giallo".

    - Dopo la diffusione della leggenda, i negozi che vendevano zafferano iniziarono a mettere fuori un'aquila o un falchetto per ricordare la città dell'Aquila, da dove proveniva lo zafferano.

In sintesi, lo zafferano è molto più di un semplice ingrediente colorante; è un fil rouge che lega il risotto alla milanese alla storia, all'arte, alla simbologia dell'oro, alle credenze popolari e alle leggende che hanno contribuito a plasmare l'identità di questo piatto iconico.

 

 

 

 

 

Qual era un antenato del risotto?

 

Un antenato del risotto alla milanese è quasi sicuramente la minestra di riso in brodo con Zafferano.

Le radici del risotto possono essere identificate in una minestra, la cui ricetta è testimoniata anche dai più antichi ricettari italiani. A parlarne è il Maestro Martino da Como, un celebre cuoco lombardo del XV secolo, nella sua opera "Arte Coquinaria" (risalente a circa il 1450).

Maestro Martino descrive diverse "minestre" che anticipano il risotto:

• Una minestra di farro cotta in un buon brodo di cappone o altro pollo grosso. A cottura ultimata, si aggiungevano spezie e tuorli d'uovo, e Maestro Martino specificava che "questo farro vuole essere giallo di zafrano", cioè colorato con lo zafferano.

• Successivamente, presenta una minestra chiamata "riso con brodo de carne". Per questa ricetta, il maestro si limitava a dire di procedere come per la minestra precedente, aggiungendo che, per chi non gradiva le uova con il riso, si potevano omettere.

• Vi era anche una minestra di miglio con brodo di carne, non molto dissimile dalle precedenti, che si diversificava solo per sfumature di sapore. In questa ricetta, il brodo era di carne bovina anziché di pollame, non comparivano spezie né uova, ma c'era sempre lo zafferano.

La minestra di riso in brodo con Zafferano, eliminando le uova che erano facoltative, è considerata "quasi sicuramente un'antenata del risotto alla milanese". Il riso nel XV secolo, sebbene ancora un piatto d'élite, stava rapidamente facendosi strada nell'alimentazione dei lombardi, comparendo inizialmente nelle minestre dove gradualmente avrebbe sostituito altri cereali.

Inoltre, il ricettario di Maestro Martino presenta anche casi di zuppe che venivano ristrette, come la "menestra di Brodecto", ricca di vari ingredienti, tra cui "un poco di zafrano". Questa minestra doveva essere cotta "menando continuamente col cocchiaro e facendola stringere fino a che lo cucchiaro comincia a imbrattarsi". Questo metodo di cottura contemplava già quei gesti e quelle regole (il mescolare continuamente e il far restringere il brodo) che sarebbero diventati i cardini della preparazione del risotto moderno. Limitandosi a far stringere il brodo di quell'antica minestra di riso colorata dallo zafferano di Maestro Martino, si dava vita in modo rudimentale a un "pro-risotto alla milanese".

 

 

 

 

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Ascolto di un commento

Benvenuti. Oggi ci immergiamo in un piatto che è molto più di una semplice ricetta. Direi che è un vero e proprio simbolo, un pezzo di storia milanese ma anche italiana. Stiamo parlando del risotto alla milanese.

Esatto.

Abbiamo esaminato diversi materiali, fonti video principalmente, che raccontano storie a volte un po' diverse, anche contraddittorie, dove i fatti storici si mescolano, diciamo, con racconti popolari.

Sì, succede spesso con questi piatti così iconici.

E quindi la nostra missione oggi è proprio questa, provare a separare, beh, la la storia vera dalla leggenda che avvolge questo piatto straordinario. Vedremo come il riso è arrivato qui in Lombardia, come si è sposato con lo zafferano.

Incontro fatale.

Ah, sì. Ehm, come quella che forse all'inizio era una minestra, magari anche semplice, si sia poi trasformata nel risotto che tutti conosciamo. Sarà un viaggio interessante tra speziali, duchuki, monaci, cuochi del Rinascimento e beh, anche qualche narratore un po' creativo del 9.

E guarda, proprio qui le cose si fanno subito m Mm, intriganti. Noi oggi pensiamo al riso come a un cibo quasi banale, no? Ma a Milano nel 300 lo troviamo nei tariff fari, sai dove? Accanto a spezie costosissime, tipo pepe, cannella. Era considerato quasi una medicina.

Davvero? Non l'avrei mai detto.

Eh sì. E poi c'è la storia più famosa, quella super popolare sulle sue origini, legata al Duomo. Beh, quella in realtà è un'invenzione letteraria abbastanza recente, oltretutto. È nata solo un secolo fa.

Incredibile. Allora, partiamo proprio dal riso. Le fonti che abbiamo visto concordano che la sua diffusione in Italia non è stata immediata, non come altri cereali, diciamo.

No, affatto. I romani lo conoscevano questo sì, ma più come rimedio, quasi un farmaco. Lo cita pure Galeno, che come cibo da mangiare tutti i giorni.

E quindi quando arriva sulle nostre tavole?

Dobbiamo aspettare un po'. Sembra che siano stati gli arabi a portarlo in Spagna e poi da lì si è arrivato nel Sud Italia, forse a Napoli con gli aragonesi nel 31º secolo. Per Milano abbiamo una data, una data precisa, 1386.

Ah, ecco.

Sì, c'è un tariffario ufficiale della città che elenca il riso tra le spezie e droghe e fissa il prezzo. 12 lire imperiali la libra.

Caspita.

Decisamente non era un prodotto economico, né di largo consumo, insomma.

La svolta quando arriva?

Arriva nel secolo dopo, il 400, con gli sforzi al potere. Lì la percezione cambia proprio. Il riso diventa una coltura da incentivare e sembra che abbiano avuto un ruolo Anche i monaci cistercensi di Chiaravalle.

Ah, i monaci sempre loro con le bonifiche.

Esatto. Erano maestri nella gestione delle acque, fondamentale per le risaie e infatti la coltivazione prende piede. Pensa che nel 1465 viene nominato addirittura un commissario ducale dei risi nellodigiano, segno che la produzione era già organizzata,

quindi un'attività economica rilevante.

Proprio così. E nel 1475 con Ludovico il Moro che era un grande sosten La coltivazione ormai diffusa, specialmente in Lomellina, una zona perfetta, ricca d'acqua, diventerà una delle capitali italiane del riso. Il duca la amava tanto che il riso di lì veniva chiamato il morone.

Però poi c'è stato un momento di difficoltà, mi pare, nel 600. Le fonti ne parlano.

Sì, c'è stato un calo nella produzione. Sembra ci fossero delle polemiche sulle risaie, considerate ambienti poco sani che portavano febbre, malattie, insomma.

La malaria, probabilmente.

Probabilmente Un dibattito che è andato avanti a lungo, ma comunque nonostante le critiche nel 700 il riso si afferma, diventa un pilastro dell'alimentazione lombarda e a quel punto ecco il nostro cereale è pronto per l'incontro con l'altro protagonista, lo zafferano,

l'oro giallo, che ha una storia ancora più antica del riso in Europa, se non sbaglio.

Molto più antica. Lo usavano gli Egizi, i greci, i romani e un po' come per il riso, sembra siano stati gli arabi a fonderne la coltivazione in Spagna. Non è un caso, infatti, che riso e zafferano siano la base di un altro piatto famosissimo, la paella,

vero?

Le origini della pianta forse sono ancora più lontane, si parla dell'Himalaya, ma per la nostra storia quello che conta è che nel Medioevo lo zafferano era già conosciutissimo e usato in Europa, Italia inclusa. E a Milano, beh, circolava ben prima che si parlasse di risotto. C'è un documento interessante citato da dottorina Pernabozzi. Una sentenza del 1218,

una sentenza addirittura e che diceva

in pratica obbligava i monaci di San Vittore a offrire un pranzo ai canonici di San Nazaro in una certa occasione. E nell'elenco della spesa per questo pranzo, cosa troviamo?

Proprio lo zafferano

nel 200.

Esatto, nel 200. A Milano già si usava questa spezia preziosa per colorare, per insaporire.

E poi c'è tutto il discorso del simbolismo, del colore giallo come l'oro. La ricchezza, un po' come per la cotolitta la milanese, no? Anche quella famosa per la sua doratura, precisamente. E questo ci porta una parentesi, direi, affascinante sulle abitudini delle corti medievali rinascimentali. Qualcuno ha ipotizzato che l'uso dello zafferano nel risotto possa essere una specie di eco, un surrogato più, beh, più economico, di un'usanza incredibilmente sfarzosa,

cioè

quella di ricoprire i cibi con vere lamine d'oro. Vero, da mangiare. Ma dai,

proprio così. Era una pratica diffusa nelle corti più ricche, come quella dei Visconti qui a Milano. C'erano artigiani apposta, i batti loro che riducevano l'oro zecchino in fogli sottilissimi, quasi impalpabili. E questi fogli venivano usati per rivestire arrosti, pesci, pollame, perfino i dolci. Immagina l'effetto scenografico nei banchetti.

Deve essere stato pazzesco. C'è qualche esempio famoso?

Uno celebrimo. Il banchetto per le nozze di Violante Visconti con Lionello di Clarence nel 1368. Lo storico Bernardino Corio racconta di pensa 50 portate vitelli, capritti, lepri, fagiani, trote, tutto tutto ricoperto d'oro zecchino.

50 portate dorate. Incredibile. E perché lo facevano a parte per farsi vedere?

Beh, oltre allo sfarzo c'era anche una giustificazione, diciamo, medica o Tale si credeva che l'oro facesse bene al cuore.

Ah, ecco, chissà quanto costava. Comunque, tornando al risotto, l'idea sarebbe che, finita questa moda costosissima dell'oro alimentare, lo zafferano è rimasto come un modo per mantenere quell'effetto visivo, quella preziosità del colore. C'è chi, come Felice Cunsolo, insisteva sull'importanza psicologica del colore nel cibo.

Sì, diceva che le tinte calde, come il giallo oro, stimolano l'appetito, i succhi gastrici, quasi un legame con le teorie alchemiche.

Affascinante. tra colore, gusto e storia. Ma a proposito di storia, la parola risotto quando salta fuori? C'è quell'aneddoto su Federico Barbarosso.

Ah, sì, lo riportano alcune fonti. Si dice che l'imperatore, forse a Lodi, dopo aver battuto i milaniesi, assaggiò un piatto di riso con zafferano e formaggio locale e disse: "Risum optimum", cioè riso ottimo e da lì contraendo risotto.

Carina come storia.

Sì, carina, ma come dice Stefania Vinciguerla pittoresca, ma diciamo per niente attendibile. E i motivi ci sono. Primo, ai tempi di Barbarossa X secolo il riso non era ancora coltivato diffusamente in Lombardia, come abbiamo detto,

giusto?

Secondo, anche ammettendo che conoscesse lo zafferano, è assurdo pensare che Barbarossa, nemico giurato di Milano, potesse fare un complimento a un piatto locale, inventandogli pure un nome celebrativo proprio mentre era in guerra contro i comuni lombardi. Non ha senso.

Quindi l'origine della parola Resta un po' un mistero. Ma veniamo all'evoluzione della ricetta. Oggi sembra semplice, no? Riso, zafferano, burro, brodo, formaggio. Ma le fonti sottolineano come ogni ingrediente, anche quelli che sembrano secondari, come la cipolla o il midollo, sia fondamentale per l'armonia finale.

L'ipotesi più convincente è che il risotto derivi da minestre di cereali più antiche, molto diffuse nel Medioevo. E qui entra in scena un personaggio chiave, maestro Martino da Como. Ah, il grande cuoco lombardo del 400, autore del libro d'arte arte coquinaria.

Esatto, una pietra miliare. E nel suo libro troviamo ricette illuminanti. C'è il farro giallo di zaffrano, farro cotto in brodo di cappone, arricchito con spezie, tuorli, d'uovo e appunto o zafferano. Poi subito dopo c'è il riso con brodo de carne, preparazione quasi uguale, ma specifica che le uova solo facoltative. E c'è anche una minestra di miglio, sempre con brodo e zafferano. cereali, tipo il farro o il miglio, ma usando condimenti simili, zafferano compreso.

Proprio così. All'inizio il riso veniva probabilmente bollito nel brodo, come gli altri cereali, ma è lo stesso maestro Martino a darci l'indizio chiave per capire come si è evoluta la tecnica. Descrivendo una minestra di brodeecto, potremmo tradurla come una minestra asciutta, raccomanda di cuocerla, senti bene, menando continuamente col cocchiaro,

menando, cioè mescolando. Esatto. Mescolando di continuo fino a farla stringere, cioè finché non diventa densa, cremosa, tanto che il cucchiaio resta imbrattato.

Ma allora è proprio lì. Il mescolare continuo, l'assorbimento del liquido, la consistenza cremosa e non brodosa. Sono i gesti, le regole del risotto di oggi.

Esattamente. Se prendiamo quella minestra di riso del 400, già gialla di zafferano, le togliamo le uova che Martino stesse diceva opzionali e la cuociamo stringendola, come suggeriva lui, Abbiamo un piatto già molto molto vicino al nostro risotto. Non c'è bisogno di inventarsi leggende o cadute accidentali di zafferano nei paioli. L'evoluzione si vede nei ricettari

e da lì in poi è un continuo perfezionamento, immagino, nei secoli.

Certo. Si introduce il soffritto con burro e cipolla, si capisce l'importanza di tostare il riso per sigillare i chicchi. Si aggiunge il midollo di bue per dare più cremosità, più sapore

e nascono le discussioni infinite.

Ah, quelle sì che appassionano ancora oggi. Il vino nel soffritto, sì o no, bianco o rosso e lo zafferano all'inizio, a metà, alla fine? Ogni famiglia ha la sua verità.

E la tecnica si consolida. Brodo bollente aggiunto poco alla volta, sempre mescolando fino alla cottura perfetta al dente. E poi la mantecatura finale è fondamentale fuori dal fuoco con burro freddo e formaggio grattugiato.

Oggi usiamo soprattutto il grana padano perché l'antico formaggio di lodi che un tempo era il riferimento è diventato quasi introvabile.

Insomma, si arriva verso la fine del 700 con la ricetta che conosciamo più o meno.

Sostanzialmente sì. E nell'8 finalmente il nome risotto alla milanese compare nero su bianco nei ricettari, nei vocabolari. Francesco Cherubini nel suo vocabolario milanese italiano del 1839 lo inserisce e ne dà anche una ricetta precisa.

Ed è lì che spunta quell'ingrediente misterioso quasi scomparso oggi. La Ell

Ah, il cervellato in dialetto che Rubini lo descrive bene. Era un impasto di grasso di maiale e di bue. Carne magra tritatissima, spezie, aromi, formaggio lodigiano grattugiato. Il tutto insaccato in un budello spesso colorato di giallo con lo zafferano. Sembrava un piccolo salamino, una salsiccia.

E a cosa serviva nel risotto?

Era un booster di sapore potentissimo. Bastava metterne un pezzettino in cottura nel risotto, ma anche nei brodi, negli stufati. per dare un gusto ricco, profondo, inconfondibile. Era un prodotto famosissimo, celebrato già nel 500. Pensa che Ortensi Olando definì il cervellato di Peregallo, vicino Monza, cibo re dei cibi.

Sembrava fondamentale, amatissimo. Ma allora perché è scomparso? Cosa è successo?

Eh, questo è un piccolo giallo della nostra gastronomia. Non si sa bene, nonostante fosse così appezzato, considerato quasi essenziale per il vero risotto alla milanese. A un certo punto, tra fine 800 e inizio 9 sparisce, se ne perdono le tracce.

Strano.

Sì. Personaggi come Antonio Ghislansoni, il librettista dell'Adida, ne lamentavano la scomparsa come un segno triste della degenerazione dei tempi. Oggi è rimasto solo un ricordo nel nome dialettale del salumiere, Cervellet.

Che storia affascinante quella dell'ingrediente perduto. Ma adesso dobbiamo affrontare la leggenda, quella con la L maiuscola, quella che tutti i colleghi all'origine del risotto giallo, la storia delle vetrate del Duomo.

Ah, la leggenda di Mastro Valerio, di Fiandra e del suo assistente soprannominato Zafferano. Bella storia, sì, molto suggestiva, ma come vedremo storicamente un po' traballante.

Le fonti che abbiamo consultato sono tutte d'accordo. Questa storia salta fuori per la prima volta negli anni 20 del 9, pubblicata sul Corriere della Sera, firmata da uno scrittore milanese OT cima.

Esatto.

L'ambientazione è la Milano del 1574 c'è questo mastro Valerio, un maestro vetraio, fiammingo che esistito davvero, eh, lavorava nel cantiere del Duomo alla vetrata di Sant'Elena e aveva un giovane aiutante che per ottenere un giallo super brillante nei vetri usava aggiungere polvere di zafferano ai colori

e da lì la battuta del maestro che è il cuore della leggenda. Guarda che a forza di usare sto zafferano dappertutto finirai per metterlo anche nel risotto.

Proprio così. E l'occasione per mettere in pratica lo scherzo arriva l'8 settembre 157. Festa per la dedicazione del Duomo, ma anche giorno del matrimonio della figlia di Mastro Valerio.

E dove lo fanno il banchetto? Nel cantiere del Duomo, tra le impalcature, molto suggestivo.

E lì l'aiutante, zafferano d'accordo col cuoco, fa portare in tavola a sorpresa quattro enormi paioli di risotto giallo brillante, colorato proprio con lo zafferano.

Un colpo di teatro, uno scherzo, un omaggio che secondo la leggenda ebbe un successo Si dice che il giorno dopo tutta Milano mangiava il risotto giallo. C'è anche un'altra versione un po' meno romantica.

Ah, sì. Quale?

Quella dell'incidente. Un sacchetto di zafferano che cade per sbaglio nella pentola del risotto degli operai del Duomo durante la pausa pranzo. All'inizio un po' di esitazione, poi assaggiano e scoprono che è buono.

Meno studiata, diciamo.

Comunque incidente o scherzo, la storia raccontata da Otto Cima fa il botto negli anni 20 e 30, diventa super popolare. Addirittura anni dopo Vincenzo Bonassisi aggiunge un dettaglio quasi comico. Quale? Che i negozianti di Spezie per sfruttare la fama della storia mettevano fuori insegne con aquile o falconi per ricordare che lo zafferano migliore veniva dall'Aquila.

Geniale marketing anellitam.

Una storia che ha avuto una fortuna incredibile, l'hanno ripetuta tutti, però però fin da subito e poi con più forza sono sorti i dubbi. E l'obiezione principale è forte. Non c'è nessuna traccia di questa storia, né della battuta, né del banchetto, né dell'incidente in nessun documento, nessuna cronaca, nessuna lettera prima degli articoli di Otto Cima.

Un silenzio di secoli,

più di tre secoli su un evento che se fosse vero avrebbe dovuto lasciare un segno, no?

Certo. E gli storici della gastronomia che dicono?

Beh, studiori seri come Massimo Alberini già nel 1992 l'hanno definita senza mezzi termini una fanfaluca. Una bella favola inventata di sana pianta da otto cima. Una storia che piaceva, facile da ricordare, che dava un'origine precisa e romantica a un piatto amato e quindi la gente l'ha accettata volentieri.

Ma chi era questo Otto Cima, l'inventore della leggenda,

un personaggio interessante, molto milanese, nato nel 1859, impiegato di banca, ma con l'anima dello scrittore, poeta dialettale, tra l'altro ha vissuto in pieno le grandi trasformazioni di Milano. dopo la prima guerra mondiale vedeva la sua città cambiare faccia velocemente.

E questo c'entra con la leggenda?

Sembra di sì. Cima era diventato un po' il cantore della vecchia Milano che stava scomparendo. Scriveva articoli nostalgici sul Corriere molto seguiti e in questo clima è probabile che lui, forse come altri, abbia sentito il bisogno di, come dire riempire i vuoti della tradizione con l'invenzione letteraria, creare storie che celebrassero la sua Milano. le sue tradizioni, anche inventandole un po'. Pare abbia fatto lo stesso anche per il panettone.

Ah, un vizietto allora.

Ma è stato bravo, bisogna dirlo. Ha preso un dato storico vero. Mastro Valerio di Fiandra esisteva davvero. È documentato negli annali della fabbrica del Duomo.

Ah, ok.

Ha preso un personaggio reale e ci ha costruito sopra una storia verosimile, affascinante.

E come l'ha presentata al pubblico?

Come una scoperta, no? Con una certa finta non curanza, quasi on passan, ma pare che se qualcuno metteva in dubbio che fosse una storia nuova, lui rispondesse con finta sorpresa, "Ma come, non la conoscete? È notissima a Milano." Un po' furbetto, eh,

decisamente.

Quindi, tirando le somme, la leggenda del Duomo bella finché vuoi, ma è quasi certamente un falso storico, un'invenzione d'autore nata dalla nostalgia e dall'amore per Milano, però, e qui c'è l'aspetto interessante,

dimmi.

Pur essendo nata a tavolino solo un secolo fa, Questa leggenda è diventata parte della tradizione del folklore milanese. È un esempio perfetto di come un racconto ben fatto possa a volte prendere il posto della realtà storica nell'immaginario comune. Ci fa riflettere, no, su quante storie che raccontiamo sulle nostre tradizioni siano un misto consapevole o meno di vero e inventato.

È un'osservazione molto acuta. Comunque, leggenda a parte, il risotto alla milanese ha lasciato il segno anche nella cultura, nella letteratura. Ci sono Aneddoti. Le fonti ne citano parecchie.

Assolutamente. Sembra che Stendal, che pure amava Milano, non lo apprezzasse molto. Forse lo trovava pesante. E poi è curioso l'aneddoto sui patrioti del Risorgimento.

Ah, quello del colore.

Esatto. Alcuni, come l'attore Moncalvo, si rifiutavano di mangiarlo giallo perché ricordava la bandiera austriaca, il nemico. Lo volevano bianco. Magari dicevano al cameriere in dialetto: "Dame il minga Jald e Neger, non darmelo giallo e nemmeno ne Forte. E poi ci sono stati anche omaggi più poetici.

Certo. Giovanni Pascoli gli ha dedicato una poesia scherzosa e Carlo Emilio Gadda, in una prosa bellissima del 1960, risotto patrio, ne ha esaltato il profondo, vitale nobile significato, vedendolo quasi come un simbolo dell'identità lombarda italiana.

E poi tutte le varianti che dimostrano che è un piatto vivo.

Esatto. Già nel primo dopoguerra si parlava di aggiunte come funghi, salsich tartufo, perfino code di gambero, segno che anche nella sua forma classica si presta a essere riinterpretato continuamente.

Bene, direi che possiamo tirare le fila di questa nostra analisi. Abbiamo seguito il viaggio del riso in Lombardia, da Spezia quasi medica a cultura importantissima. Abbiamo visto lo zafferano, antichissimo e simbolico, unirsi al riso. Abbiamo ricostruito l'evoluzione della tecnica da minestra medievale colorata a ricetta precisa ottocentesca con ingredienti chiave come il midoll. e quel cervellà dimenticato.

Un percorso lungo e affascinante.

E punto fondamentale, abbiamo separato nettamente questa storia basata sui documenti dalla famosa leggenda del Duomo, riconoscendola come un'invenzione letteraria di Otto Cima, nata dalla nostalgia per la Vecchia Milano.

E forse proprio questa insistenza quasi ossessiva sul colore giallo come identità del piatto ci offre uno spunto finale, una riflessione.

Vai.

Dall'oro, vero dei banchetti dei visconi allo zafferano come suo sostituto cromatico e di sapore fino al rifiuto politico del giallo durante il Risorgimento. Tutto questo ci mostra quanto l'aspetto visivo sia legato al significato culturale che diamo al cibo. Non mangiamo solo con la bocca, ma anche con gli occhi, con la mente, con la nostra storia.

Un pensiero molto bello per concludere. E con questa riflessione chiudiamo la nostra esplorazione sulle vere origini del risotto alla milanese. Grazie per averci seguito in questo viaggio tra storia, leggenda e naturalmente sapore.